martedì 17 giugno 2025

Recensione del romanzo "Orgoglio e Premeditazione" di Tirzah Price col beneplacito di Jane Austen
Titolo originale: Pride and Premeditation
Autore: Tirzah Price
Traduzione: P.M. Bonora
Edizione: Giunti
Pagine: 320
Anno: 2025
Prezzo: 18 euro

Perché nel 2025 le scrittrici americane sentono ancora il bisogno di abusare, e a più riprese (sembra infatti che sia già in corso di pubblicazione un seguito, sulla scia di quest'opera magna), del cadavere di Jane Austen?
Perché noi fan della Austen abbiamo questi momenti di reset in cui guardiamo una copertina che richiama alla Austen o alle sue opere, ci dimentichiamo di tutta la merda letta e vista fino a quel momento e torniamo le 15enni col giubbetto di jeans e i glitter tra i capelli che si ritrovavano la vita sentimentale rovinata a causa dei paragoni che facevamo tra i nostri filarini e Mr. Darcy. Torniamo in noi solo quando siamo già uscite dalla libreria col tomo tra le mani.
La scienza prima o poi darà un nome a questo disagio, e forse troverà anche una cura. Per il momento posso solo pensare ai 18 euro e alle ore della mia vita che non riavrò mai più.

Di base, essendo questo un libro osannato in quarta di copertina da quella inarrivabile regina del trash che è Kerry Maniscalco non sono stata così incauta da credere di trovarmi davanti a chissà che capolavoro, ma la trama sembrava abbastanza sciocca da fare il giro e diventare divertente. E così è stato in effetti, almeno finché il cringe non ha divorato tutto il resto. 
Ma andiamo con ordine.

DUE RIGHE DI TRAMA

Il libro altro non è che Orgoglio e Pregiudizio riproposto in salsa "mistery", in cui le cinque sorelle Bennet sono le figlie non di un piccolo possidente terriero ma del capo di un altrettanto piccolo e abbastanza sfigato studio legale di Londra di nome Longbourne & Figli.
1. Sì, in questo libro gli studi legali e le compagnie commerciali hanno i nomi delle proprietà del libro originale. Che per me già rappresenta un problema nel momento in cui ragiono sul fatto che gli studi legali, essendo solitamente società formate da singoli, di solito trovano profittevole essere il più riconoscibili che si può.

2. Sì, c'è scritto Figli anche se nello studio (perlomeno in via ufficiosa) non lavora nessun figlio e tutti sanno che il signor Bennet ha solo 5 femmine da maritare. Ci viene detto che secondo il signor Bennet questo espediente di marketing servirebbe a dare quel non so che di conduzione familiare, cosa che notoriamente è la priorità di chi è in cerca di consulenza legale.

A Longbourne, scopriremo in corso d'opera, c'è talmente poco lavoro che i dipendenti passano più tempo a spettegolare tra loro che a lavorare sui casi (tanto quei pochi che ci sono vengono risolti dietro le quinte dalle intuizioni mirabili della nostra protagonista), ma l'autrice ogni tanto se lo dimentica (di solito quando vorrebbe ricordarci che Elizabeth sta lottando contro il tempo e deve sbrigarsi a dimostrare quanto vale) e ci mostra scene in cui il signor Bennet fa colloqui a nuova potenziale forza lavoro maschile che potrebbe rubare a Elizabeth un posto che è suo di diritto. Con quali soldi il signor Bennet vorrebbe pagare questa gente è il vero mistero inevaso del romanzo.

Elizabeth Bennet ovviamente è la nostra protagonista: la mente sopraffina della storia, l'acuto ingegno che deve sgomitare in un mondo di uomini per emergere e riuscire a realizzare il suo sogno di lavorare nello studio del padre in veste di avvocato. Nonostante sia già la più furba dei furbi e la più dura dei duri in quello studio (il fatto che l'asticella lì dentro sia veramente bassa non sembra turbarla) infatti il posto non le è stato ancora assegnato.
Perché una donna avvocato formata all'università della vita affosserebbe definitivamente uno studio già sull'orlo del fallimento? No, perché deve dimostrare di saper usare la logica nelle sue indagini invece di andare avanti a intuizioni e botte di culo.

E proprio mentre la protagonista sta frugando di nascosto tra le scartoffie di uno studio specializzato in diritto commerciale in cerca del caso perfetto per fare colpo sul genitore entra Fred, un Irregolare di Baker Street stufo di stare in un romanzo bello che Elizabeth paga per fargli da informatore su casi che lo studio non le affiderà mai, che ha giusto giusto informazioni su un caso perfetto per fare colpo sul genitore. 
Pare infatti che un ricco commerciante appena giunto nella City, un certo signor Bingley, abbia assassinato il cognato, il signor Hurst. Per dimostrare di aver capito perfettamente quello che vuole da lei il padre (lo ricordiamo, che affronti le cose con la logica) Elizabeth sa per istinto che Bingley è innocente e che questo omicidio fa proprio al caso suo.
Che fino a ieri si occupava di contratti e corna.
C'è solo un problema, e non è il fatto che le donne avvocato non esistano e che pure esistessero nessun inglese dell'Ottocento le prenderebbe sul serio, ma solo che ha bisogno di incontrare il suo futuro cliente, che al momento è chiuso in prigione in attesa del processo, prima di indagare e dimostrarne l'innocenza. Per fortuna che Elizabeth è una tipa sveglia, non una cretina qualunque, quindi non ci mette molto a ideare un piano geniale: fingere di essere sua sorella minore (nubile, senza chaperon) per convincere una guardia a farla parlare vis a vis con Bingley, e portargli un cesto di focaccine fatte in casa e marmellata per convincerlo ad ascoltarla.
"Salve, sono miss Bingley. Credo di avere
diritto di far visita a mio fratello senza guardie"
"Molto bene, miss Bingley, nome di battesimo?"
"...... Non lo so."
Peccato che Bingley avesse già l’aiuto del consulente legale del rinomato studio di Pemberley,  l’arrapante l’arrogante Mr Darcy, se no questo astuto stratagemma non avrebbe fatto una piega.

Senza contare il fatto che di suo faccia un po' ridere che l’autrice sia convinta che nell’Ottocento inglese un ricco inglese bianco rischi la forca o anche solo la reputazione sociale per aver ucciso qualcuno di classe sociale inferiore alla sua, e che quindi noi lettori dovremmo essere in ansia per le sorti di questo Bingley perché oddio, se non ci pensa Lizzie chi lo salverà?
Di base se questo romanzo fosse un pelo realistico Darcy potrebbe passare il tempo a fare l’elefante con il pisello e qualsiasi giudice assolverebbe comunque Bingley con una pacca sulla spalla e un bicchierino di Sherry per il disturbo. Ma facciamo finta di non curarci della verosimiglianza storica (cose impossibili da chiedere a un americano, me ne rendo conto), concentriamoci piuttosto su Lizzie, che non è dotata solo di notevole acume ma anche di una morale granitica.
Perché se Darcy vuole semplicemente far uscire di galera il suo amico col minimo sforzo e senza dover interagire con giovani donne prive di buonsenso (e qui io non me la sento di dargli torto), lei vuole solo diventare avvocato e al tempo stesso far trionfare la verità e la giustizia, dimostrando che questo tizio mai visto prima è totalmente innocente perché sì. Il problema è che ovviamente avrà ragione e Darcy se la metterà in saccoccia con la consueta classe.

*

IMPRESSIONI SPARSE

(con copiosi spoiler, che tanto qui si intuiscono da pagina 5)

In Orgoglio e Premeditazione, che nelle intenzioni dovrebbe essere un giallo (o così almeno suggeriscono sinossi, copertina e scheda libro online), tutto il mistero è svelato anche ai meno attenti fin dalle prime pagine, quindi il resto del tempo al lettore non resta altro da fare che assistere impotente alla tenace quanto fallimentare in partenza battaglia di Elizabeth contro l'ormonella nei confronti di un Darcy sempre più affascinato dalle sue doti deduttive.
ELLEizabeth in azione mentre passa allo scanner
le labbra di Darcy e cerca di convincerci
che in realtà lo trova odioso.
Doti deduttive che la portano a capire cose a cui io ero arrivata almeno 100 pagine prima, e non essendo io particolarmente arguta presumo che nel primo Ottocento inglese le aspettative sull'acume femminile fossero molto basse.
Di base c’è una sola deduzione fatta da Elizabeth a cui non si può arrivare con le proprie forze (ma anche questo problema si può aggirare facilmente dato che gli stronzi papabili in questo libro di merda sono due e uno Elizabeth te lo esclude da subito), ovvero il mistero del proprietario del bottone ritrovato per pura botta di culo sulla scena del delitto, un bottone che potrebbe essere finito lì in qualunque modo e che potrebbe appartenere a chiunque (il fatto che Elizabeth lo trovi importante è quindi, di nuovo, prova di intuito e non di logica, con buona pace delle poche e semplici indicazioni paterne). Questo accade solo perché l’autrice tradisce in maniera molto conveniente il punto di vista scelto (una terza persona ma dal punto di vista di Elizabeth) per non farci volutamente partecipi di una cosa, dice la protagonista al momento di fare la grande rivelazione, notata solo distrattamente giorni addietro.
E Porcoddue, Tirzah!
Per il resto del tempo la Price, evidentemente fiera di questi pochi deliranti colponi di scena, dissemina in giro indizi sottili come baobab, passando da improvvisi e immotivati cambi di carattere di un personaggio a un sussulto sfuggito dalle labbra di una giovane cameriera che la, ricordiamolo, geniale protagonista scambia per arrapamento (e daje...), passando per informazioni che nelle intenzioni vorrebbero essere casuali sul passato di un personaggio, come dei provvidenziali trascorsi in marina o la casualissima presenza sul luogo del delitto al momento dell’omicidio, ma che lo rendono immediatamente sospetto. 
Tranne che alla furbona che vuole fare l’avvocato, cioè. 

Ora, al netto di una cattiva scrittura (e di soluzioni che posso solo definire deliranti come la finta assicurazione stipulata dalla malvagia mastermind per far credere agli inquirenti che Bingley pagasse mazzette ai pirati per non farsi derubare, quando di fatto la compagnia rischiava la bancarotta proprio per i furti continui ai suoi convogli mercantili) personalmente credo che alla base di questa cattiva impostazione della trama ci siano due fattori:

1. Chi legge questo libro, a differenza evidentemente di chi lo ha scritto, conosce Orgoglio e Pregiudizio abbastanza bene da sapere esattamente quali personaggi bisogna tenere d’occhio (per esempio Wickam) con conseguente crollo della tensione, perché l’effetto sorpresa è andato a ramengo, e a differenza che nel romanzo originale che non aveva nessuna velleità mistery qui teoricamente dovrebbe ruotare tutto attorno ai colpi di scena.
2. L’autrice, incapace di gestire un cast corale, approfondisce solo i pochi personaggi chiave relegando miseramente sullo sfondo gli altri. Di conseguenza, eliminando per ovvie ragioni i protagonisti dalla rosa dei sospettati, ne rimangono pochi di personaggi su cui concentrare gli sforzi deduttivi (a parte quando la Price si fa prendere dalla stessa locura del bottone mancante e dell’assicurazione farlocca e si inventa una versione di Lady Catherine un po’ Milady di Dumas e un po’ Oona di Disincanto). 

"Sono la pazza vedova pirata di nessuna terra!"

Lady Catherine, vedova di un non meglio specificato Lord De Bourgh che l'ha lasciata con un titolo nobiliare, ricca da fare schifo e piena di livore contro i maschietti e lo status quo inglese, si rivelerà infatti essere la vera mastermind, la burattinaia suprema che muove i fili non solo di questo delirio delitto ma anche di intrighi politici ai danni dell'Inghilterra di cui potrà saperne di più il temerario che deciderà di proseguire con la saga.
Nel tempo libero pare si diletti pure di pirateria, col beneplacito della Francia.
Una vera architetta del caos, insomma, una donna di polso con un piede tra le fila dei nemici dell'Inghilterra e l'altro ben piantato nel collo del patriarcato. Strigni strigni, Lady Catherine è il solito araldo del nazifemminismo, la donna cattiva che porta avanti la sua versione malata del riscatto sociale e decide di rispondere alle ingiustizie subite con la violenza, a differenza di Elizabeth che è una femminista buona perché non dà noie e non porta rancore ai penemuniti a meno che non venga provocata, e che si fa spazio nel mondo dei maschi (e nei loro cuoricini) con l'intelletto. E con lo studio di papà che ti ha permesso di avere accesso allo studio della legge, anche se da outsider, ma chi fa caso ai privilegi dei buoni?
Di sicuro non Elizabeth, ma ci tornerò nel punto successivo.

*

Un'altra delle cose che mi hanno fatto più girare i birilli sono i pochi spunti interessanti buttati ai maiali, tra cui la solita immancabile quota "coloured" per spaccare i maroni alla buonanima della Austen ma senza dimenticarci che siamo nel 2025 e anche le giovani lettrici di colore ora hanno i soldi per comprare i tuoi romanzi. 
Charlotte, la migliore amica di Elizabeth, nel romanzo della Austen è l'emblema della pragmatica rassegnazione: priva di qualità eccezionali, bellezza o una dote che la rendano appetibile, sa bene di non potersi permettere il lusso del romanticismo. Arrivata a una certa età - quella in cui una donna secondo il galateo sociale dell'epoca doveva essere sistemata - il suo unico desiderio è garantirsi un futuro decoroso come padrona di una casa rispettabile, indipendentemente da chi sarà al suo fianco. La sua è una visione che finisce con lo scontrarsi con l'idealismo cieco di Elizabeth.
Qui accade qualcosa di simile, ma in versione Shein.
Elizabeth scopre l'amara verità su Charlotte
La Charlotte di Orgoglio è Premeditazione è la figlia di un mercante inglese e di una donna originaria delle Indie Occidentali. Rimasta orfana, viene cresciuta da un socio del padre, amico del signor Bennet, ed è così che giunta alla veneranda età di 23 anni (praticamente un cesso immaritabile per i canoni dell'epoca) si ritrova a lavorare presso lo studio legale del padre di Elizabeth nel ruolo di segretaria.
Una scelta non originale ma comunque interessante, che avrebbe potuto offrire a noi e alla geniale protagonista degli spunti per riflettere non solo su un privilegio legato al ceto sociale e al sesso, ma anche all'etnia. Niente di tutto questo passa per la mente di Lizzie finché non è la stessa Charlotte a farle un pippone in merito, totalmente cieca com'era al fatto che la sua migliore amica e confidente fosse una nera, nonché bellamente inconsapevole del fatto che nell'Inghilterra dell'Ottocento ai neri le cose non andassero proprio benissimo.

Come se ciò non bastasse la questione raggiunge vette di inenarrabile cringe nel momento in cui dopo aver scoperto che i neri sono diversi da lei, Elizabeth si turba comunque nello scoprire che il signor Collins (qui nel ruolo di giovane e incapace avvocato e futuro erede dello studio legale del signor Bennet), il quale poche pagine prima aveva corteggiato la sua amica alla scrivania del posto di lavoro, in realtà stesse solo giocando con lei e non avesse alcuna intenzione di fare della sua amica una moglie rispettabile.

Elizabeth scopre che i neri e
i poveri non sono come lei.
D'altronde a una certa le devono spiegare anche che nemmeno i poveri simpatichelli e orgogliosi, quelli come Fred e la fioraia scalza del mercato di cui non ricordo il nome perché tanto è una poverah, le scimmiette zozze con cui da piccola amava tanto trascorrere il tempo non appena riusciva a superare la sorveglianza di sua madre e la servitù delle case signorili se la passano bene, ma di che stiamo parlando?

Il punto è che queste ingenuità io potrei anche perdonarle a un personaggio come l’Elizabeth del romanzo originale — una ragazza brillante, sì, con la lingua affilata e la mente vivace, ma pur sempre cresciuta in campagna in un contesto relativamente benestante, con un'istruzione limitata e una visione del mondo ristretta ai parametri di una signorina di buona famiglia che non ha mai toccato con mano la miseria vera o sentito parlare apertamente di certe dinamiche sociali.
Ma se qui la Price mi propone una persona che mi spacca continuamente i coglioni su quanto desideri fare l'avvocato e sia solo per colpa dei maschi cattivi e della società sciovinista se non può farlo, una donna che tutti incensano per l'acume straordinario, mi aspetto che sia sul pezzo. Che poi è lo stesso motivo per cui perdonavo alla Jasmine del film d'animazione che voleva sposarsi per amore ma non a quella del live action che studiava da una vita per fare la sultana che non sapesse che al mercato la roba doveva pagarla. 

*

Last but not least, le due cornici - quella storica e quella del romanzo originale - attorno alle quali è sviluppata la vicenda mistery vengono maneggiate dall'autrice con la consueta grazia degli americani che si approcciano a culture diverse dalla propria (situazione che a parte poche pregevoli eccezioni va a peggiorare esponenzialmente nel momento in cui oltre che nello spazio ci si allontana anche nel tempo): una carnevalata frutto di una miscela esplosiva di superficialità, sicumera gratuita e totale mancanza di conoscenza del contesto (storico e letterario) in cui ti stai muovendo. 
Il risultato è uno schizzo di merda preciso e chirurgico, come un piccione che ti centra in pieno il lunotto all'uscita dell'autolavaggio.
Tra le bestialità che mi sono capitate sottomano in corso di lettura, se no non ci si crede:

1. Darcy e Lizzie si baciano
Alla fine, fiaccata dagli sforzi compiuti per ideare un complotto delirante e una scena in tribunale in cui Lizzie trasmuta in Allie McBeal e scopre che spettegolare in salotto e parlare in tribunale in fondo è un po' la stessa cosa – scena in cui, tra le altre perle, spiccano un giudice che ha fretta di chiudere alla buona un caso di omicidio perché si sono accavallate altre faccende e un anonimo in aula obietta terrorizzato che Bingley non stia prendendo sul serio le accuse se ha deciso di farsi difendere da una donna – l’autrice ha solo voglia di ricompensarsi con un delicatissimo limone tra i protagonisti.
Dramatization: il bacio
Agli americani del resto piacciono così tanto i limoni tra i protagonisti che persino Joe Wright ha dovuto girare una scena extra a uso e consumo esclusivo del pubblico statunitense in cui Elizabeth e Darcy si baciavano in riva al lago (true story, ma perlomeno in quella scena erano già sposati).
Peccato che questa sia la fottuta epoca Regency, non Mean Girls.
Già due balli di troppo a una festa o una passeggiata da soli in giardino (sotto l'occhio vigile di un'intera corte di parenti, rivali e simpatizzanti) erano considerati un corteggiamento in piena regola, un impegno che avrebbe potuto rovinare per sempre la reputazione della ragazza se il pretendente si fosse smarcato prima delle nozze. Un bacio avrebbe significato la rovina sociale per Lizzie, e anche in un contesto in cui dobbiamo sospendere l'incredulità al punto da accettare che questa cretina abbia appena perorato la causa di un uomo accusato di omicidio in tribunale e che un giudice l'abbia ascoltata nessun sano di mente avrebbe affidato la propria difesa a una donna pubblicamente compromessa.
Tra l'altro, ironicamente, è proprio Lizzie a rammentarci durante uno dei precedenti screzi con Darcy che la reputazione sociale è una bitch.

1b. Elizabeth viene rapita da Wickham
Se come abbiamo visto nel punto 1 bastava un bacio a compromettere la reputazione di una ragazza (e di riflesso quella dell'intera famiglia) figurarsi un rapimento in piena regola. Il romanzo originale - che nel dubbio poteva fungere da bignami storico per l’autrice se proprio non le andava di sfogliare un saggio - lo illustra chiaramente con la vicenda della fuga di Lydia: la ragazza scappa con Wickham in modo consensuale, eppure il disonore che ne consegue sarebbe totale per la famiglia Bennet se Darcy ci mettesse mano facendoli sposare in fretta e furia. 
Questo perché il problema, all’epoca, non era se avessero scopato o meno, ma che avessero avuto l’occasione di farlo. Nel caso in oggetto Elizabeth non solo viene rapita, ma quando arrivano le autorità la trovano sola, di notte, al porto, con il suo presunto rapitore morto e un secondo uomo - Darcy, gettatosi all'inseguimento dei due come nei western - sporco di sangue. 
Logica sociale del tempo avrebbe imposto di mettere tutto a tacere: corrompere guardie, nascondere Elizabeth e ridurre il tutto a una diatriba tra maschi alpha... No, invece noi raccontiamo del rapimento alla polizia per scagionare Darcy, perché siamo per un romanzo storico del disimpegno.

2. Darcy e il "duello"
Dramatization: Il duello
Ci viene spiegato a un certo punto che il Darcy di Orgoglio e premeditazione pur essendo il figlio del fondatore dello studio Pemberley&Co. non esercita la professione di avvocato ma si limita al ruolo di consulente legale. 
La ragione di questo inspiegabile demansionamento del figlio del capo si chiarisce nel momento in cui scopriamo che Darcy qualche anno prima sarebbe stato coinvolto in un duello - pratica che essendo illegale avrebbe infangato il buon nome di famiglia e spinto il padre a prendere provvedimenti nei suoi confronti.
Peccato che poi in corso di storia emerga che questo duello non ha nemmeno avuto luogo perché Wickham, il contendente, non si è presentato. Si vede che nel mondo della Price il duello è come il Falqui: basta la parola.
A questo punto, per la gioia di tutti, si necessita un pippone storico time!
In epoca Regency i duelli erano ufficialmente illegali: su carta costituivano a tutti gli effetti un reato penale e i partecipanti rischiavano l'accusa di omicidio (in caso di morte), tentato omicidio, lesioni personali o disturbo della quiete pubblica. Nella pratica i gentiluomini li consideravano un mezzo socialmente accettabile per regolare le questioni d'onore.
Trattandosi di una questione che riguardava i gentiluomini abbiamo già capito dove voglio andare a parare: il reato esisteva ma le condanne erano rare. Le giurie dell’epoca tendevano a chiudere un occhio (o due) se i duellanti sopravvivevano e appartenevano a un certo rango. Ma soprattutto, in qualsiasi luogo che non sia il mondo di Minority Report non si fa il processo alle intenzioni e per dire che un duello c’è stato e subirne le conseguenze a livello sociale, lavorativo, giuridico e salcazzo bisogna che questo duello nei fatti avvenga.

3. Lizzie partecipa attivamente in tribunale
Essendo l'unica ad avere un quadro chiaro e completo della situazione (e come abbiamo già visto questo non rende lei particolarmente intelligente ma il resto dei personaggi che la circondano particolarmente stupidi) spetta proprio alla nostra eroina il compito di esporre la difesa di Bingley in tribunale e ripulire il suo buon nome.
Il mondo ha deciso di mettersi contro la puttana sbagliata.
La nostra Allyzabeth McBeal prende finalmente la scena e sotto lo sguardo attonito dei presenti coglie la sua grande occasione, espone i fatti e costruisce con metodo l’accusa contro il vero colpevole dell'omicidio del signor Hurst, vale a dire il signor Collins che ha agito su mandato della perfida Lady Catherine (cosa che non stupisce dal momento che tutti gli uomini in questo libro sono dei pupazzi senza appello): Mr Bingley è totalmente scagionato, urrà!
Dramatization: Lizzie accusa Mr Collins
Un momento girl power davvero edificante, non fosse per il fatto che a questo punto io personalmente ne ho le palle rase e non riesco più a passare oltre il fatto che nell'Inghilterra del mondo reale per trovare la prima presenza femminile in un ruolo legale documentato dobbiamo aspettare il 1922, e questo non perché le donne fino a quel momento fossero prive di iniziativa ma perché c'era una legge (abolita nel 1919) che stabiliva che le donne non potessero, tra le altre cose: testimoniare in contesti formali, far parte di giurie, esercitare la professione legale e ottenere la laurea in giurisprudenza.
Lizzie a malapena poteva metterci piede in quel tribunale, altro che perorare la causa di Bingley e salvare la situa guadagnandosi il rispetto di tutti e l'accesso al mondo dei maschi alpha. 

4. Balli dove Miss Bingley va a rimorchiare un maranza di nascosto
No comment.

E non ho capito bene la situazione perché a quel punto avevo spento il cervello per l'overload di cazzate che stavo subendo, ma in chiusa voglio sperare che la Price non abbia davvero insinuato che alla signora Hurst bastasse lasciare il tetto coniugale perché Bingley potesse farle avviare le pratiche di divorzio dal marito biscazziere e ubriacone. 

*

In una rilettura mistery di Orgoglio e Pregiudizio poi è lecito aspettarsi che la trama ricalchi in molti aspetti, o almeno nelle sue parti più significative, l'originale. Avrei voluto anche che questi rimandi fossero fatti con criterio e rispetto invece che ficcati dentro a forza a martellate, ma la Price non ci regala nemmemo questa gioia.

La scelta più emblematica di questo approccio forzato al parallelismo (che spesso e volentieri si traduce in interazioni altrettanto forzate tra i personaggi - vedi Lydia e Wickham, o Collins e Charlotte) è senza dubbio il mantenimento dell'antipatia della signora Bennet, la madre di Elizabeth, nei confronti di Darcy. 

In Orgoglio e Pregiudizio questa antipatia ha un senso: è una reazione eccessiva portata avanti da una donna gretta e poco intelligente al comportamento altezzoso, ai limiti dello sgarbato, di un uomo ricco, scapolo e in età da matrimonio che si rifiuta di partecipare al gioco sociale del corteggiamento - gioco che per una madre con cinque figlie nubili è tutto fuorché frivolo.
La signora Bennet riflette e amplifica i presunti sgarbi subiti trasformandoli in antipatia (la classica volpe che non arrivando all'uva la dichiara acerba). Arriva persino a ignorare le convenzioni sociali che vorrebbero un minimo di discrezione quando si manifesta la propria aperta acredine nei confronti di un uomo di ceto infinitamente superiore al proprio, e questo atteggiamento causa non poco imbarazzo alle figlie maggiori. Ma tutto questo è coerente col contesto e con la sua caratterizzazione.
Nella rilettura della Price, invece, la signora Bennet odia Darcy perché sì. Lui non l’ha mai offesa, ignorata, o snobbata. In realtà, non si sono mai nemmeno incontrati. Eppure lei (che come nel romanzo originale smania di veder accasate le sue figlie) lo presenta fin da subito a Elizabeth come un individuo sospetto da cui stare alla larga, un uomo appartenente a una famiglia sì influente, ma dalle maniere discutibili.
Promemoria per me, mutilare Darcy
dopo aver maritato figlie...
Il tutto senza fornire non dico una motivazione concreta, ma una ragione qualsiasi. Poi, a un certo punto, come se l’autrice si fosse ricordata di dover giustificare la cosa salta fuori una vaghissima allusione a un duello: un pettegolezzo sentito chissà dove, chissà quando – nonostante la stessa narrazione ci dica che l’unica dote della signora Bennet è tenersi sempre aggiornata sul gossip. 
Ovviamente parliamo sempre del famoso duello che non ha mai avuto luogo e che non avrebbe dovuto avere alcuna conseguenza sulla sua reputazione.
Ma di che minchia parliamo?

Abbiamo poi il fatto che Jane e Bingley debbano comunque piacersi tanto tanto anche se lui avrebbe per la testa altri cazzi un po' più urgenti dell'happy ending sentimentale, tipo un'accusa di omicidio e il fallimento imminente della sua compagnia commerciale.
Però così dev'essere, Price vult.
Per tutto il romanzo i due non interagiscono nemmeno per sbaglio, un po' come Darcy e la signora Bennet. Non un momento rubato, non uno scambio significativo, nemmeno un cenno d’intesa o delle parole di ammirazione e apprezzamento rivolteda Elizabeth, che magari avrebbe potuto far presente alla sorella certe qualità del suo assistito in corso d'indagine, per far nascere almeno l'abbozzo di un sentimento (non è dato sapere cosa avrebbe dovuto dire Elizabeth per destare l'interesse della sorella, dal momento che come tutti i personaggi che non sono i protagonisti o i cattivi Bingley è una figurina inconsistente, ma avrei apprezzato il tentativo).
Ma niente panico, tanto li si accoppia alla fine a cazzo di cane.
Nel primo momento di calma, quando tutto si è risolto e Bingley è sollevato dalle accuse di omicidio (ma ancora non si capisce come dovrebbe fare a salvare le sue finanze, forse con un'altra assicurazione fasulla), senza una costruzione narrativa sensata o un minimo di tensione emotiva, per il solo gusto di barrare la casella della ship canonica corrispondente.
Missione compiuta.
Il che forse è un bene, perché se questa tensione emotiva doveva essere sullo stile di quella tra Darcy ed Elizabeth, meglio evitarla. Lui non fa altro che elogiare a caso la sua inesistente mente brillante, e più è ormonalmente preso (di solito nei momenti bitchy bitchy) più diventa audace nei vezzeggiativi al punto da osare l'impensabile: chiamarla per nome, proprio come negli Shojo brutti!

Passerò a volo d'uccello, perché ho parlato anche troppo di questa monnezza, su personaggi secondari rimaneggiati con l'accetta come Georgiana, la fan numero uno della teoria della polizza assicurativa fasulla, nonché causa scatenante del famoso duello mai avvenuto tra Darcy e Wickham; Collins, che da personaggio servile e piaggeroso verso i potenti, magari pedante e poco sveglio ma non cattivo, diventa un arrogante cazzone perché l'autrice non sa descrivere in altro modo una personalità maschile ostile, non degna di essere l'interesse amoroso della protagonista; le sorelle Bingley che sono stronze a caso con Elizabeth anche se di fatto la Price ha pure regalato a Caroline un amore impossibile (un ragazzo di ceto sociale inferiore che la tapina incontra di nascosto ai balli per rimorchiare in anonimato) proprio per smarcarla dal ruolo di potenziale rivale in amore di Elizabeth.
Solo per farvi capire io che cazzo mi sono ritrovata a leggere.

*

IN CONCLUSIONE. . .

"Orgoglio e Premeditazione è una merda" (cit).
Più che un retelling divertente è una sfida alla pazienza e all'intelligenza di chi legge (il quale finisce a maledire il giorno in cui ha imparato a farlo e a provare lo stesso rancore gratuito che la signora Bennet prova nei confronti di Darcy). Più che un giallo intrigante è una tortura cinese e un'istigazione al blocco del lettore, un esercizio di sopportazione durante il quale ci si chiede se non si sia forse vittime di Scherzi a parte
Di base tutto ruota intorno ai continui e gratuiti segoni a due mani rivolti all'acume e alle doti deduttive di una cretina.
L'autrice è la classica americana che scrive di un'epoca e di un libro che non ha capito, e che fa ruotare la sua narrazione attorno a un contesto giallo/mistery che non è in grado di gestire. I personaggi (cioè quei quattro che non sono pallide figurine sullo sfondo) sono accettabili solo perché si hanno continuamente nella testa gli originali della Austen, tranne quando devo leggere di Lady Catherine che è diventata un capitano pirata che vuole distruggere le fondamenta del patriarcato, perché lì nemmeno la Austen può metterci una pezza. Di base penso che lo scopo dell'autrice fosse solo scrivere una fanfiction in cui Darcy ed Elizabeth bitcheggiano male e alla fine limonano.

Giudizio finale:
Poteva essere anche 1 o 1.5 ma alla fine ha 
prevalso il rancore dovuto ai 18 euro perduti.

martedì 11 giugno 2024

BABEL - UNA STORIA ARCANA, di R. F. Kuang

Recensione "Babel - Una storia arcana" di R. F. Kuang
Titolo originale:
 BABEL Or the Necessity of violence: an Arcane History of the Oxford translators' revolution
Autore: R.F. Kuang
Traduzione: G. Scocchera
Edizione: Mondadori
Pagine: 777 (versione kindle)
Anno: 2023


BABEL, o “Dalla Cina con Furore”

“Non c’è cattivo più cattivo di un buono che diventa cattivo”, diceva un saggio. O, nel caso di Babel: “Non c’è storia più cattiva di una buona storia che diventa cattiva”. Ora, naturalmente la mia vuole essere una provocazione: Babel è un romanzo solidissimo al limite del pachidermico quando vuole parlare di lingua ed etimologia, una storia dagli intenti nobili, intelligente con alle spalle un lavoro mastodontico, un’opera in cui i fan della dark academia o delle storie un po’ più corpose della media degli YA non mancheranno di trovare quelle atmosfere stimolanti con cui sentirsi delle piccole figlie di Rory Gilmore e Mercoledì Addams.
Brava R.F. Kuang, gloria a te.
Aggiungo che nonostante le mie note riserve col genere fantasy e la mia idiosincrasia con i tomi dalla mole importante la prima parte di questo romanzo, con quel piglio da Oliver Twist mischato all’Ars Grammatica, mi è volata e mi stavo davvero entusiasmando. Poi dalla seconda metà in poi anche alla Harper Voyager deve essere girato un sacco di Oppio. Per scopi medici, si capisce…
Ma bando alle ciance e cominciamo a farci odiare.

DUE RIGHE DI TRAMA

Siamo nel XIX secolo, attorno agli anni 30 dell’Ottocento. L’Impero britannico tiene per i coglioni il mondo dalle colonie dell’ovest fino all’estremo oriente, non (solo) grazie alla superiorità tecnologica e militare ma soprattutto grazie all’argento e alla magia. 
Dramatization: l'Impero Britannico si
appresta a civilizzare i barbari
L’argento infatti nel mondo della Kuang viene impiegato per forgiare delle tavolette su cui vengono incise coppie di parole che rappresentano in qualche modo l’una la traduzione dell’altra.
E, si sa, tradurre è un po’ tradire, ovvero c’è sempre qualcosa che va inevitabilmente a perdersi nel processo di traslitterazione da una lingua all’altra. Ed è questa energia in eccesso liberata dalla parola e dal suo corrispettivo che va a trasformarsi in un incantesimo. Va da sé che essendo la natura delle parole sfuggevole e imprecisa l’effetto magico non è sempre facile da prevedere, destreggiarvisi può rappresentare un pericolo, e un ruolo di fondamentale importanza è quindi assunto dai traduttori.

In questo background si muove il nostro protagonista, un ragazzo di origini anglo-cinesi il cui vero nome non ci è dato modo di sapere (non ce lo dirà mai perché a suo dire impronunciabile per gli inglesi, una bella riflessione sulla perdita dell’identità, che però tocca farsi da soli perché l’autrice non la approfondisce): prenderà il nome di Robin Swift (dall’autore de I viaggi di Gulliver, il suo libro preferito dell’infanzia). Robin vive a Canton insieme alla sua famiglia, persone di origini benestanti ma ridotte alla povertà a causa di uno zio drogato (sic!). Avviato allo studio della lingua inglese grazie a una bambinaia bianca e ai pochi libri che riceve in dono da un misterioso papà Gambalunga, Robin è un ragazzo intelligente, gentile e curioso (per ora, poi va in Inghilterra e diventa Batman) che come ogni principessa Disney che si rispetti sogna grandi avventure in mondi lontani.
Robin si eccita a palpare l'argento
Ora, visto che il padreterno è stronzo verso i 9 anni il suo desiderio viene esaudito con un’epidemia di colera che gli stermina la famiglia.
Lui, l’unico sopravvissuto, viene tratto in salvo per il rotto della cuffia da un distinto signore inglese, tal Richard Lovell, professore ordinario di Oxford, che lo porta con sé al suo paese recidendo qualsiasi legame identitario con la sua patria tranne quello linguistico (e anche qui solo parzialmente dal momento che Robin studierà il cinese mandarino mentre lui arrivando da Canton parlerebbe in teoria il cantonese).

In UK con una robusta dieta a base di studio, cucina grassa e colpi educativi con l'attizzatoio (sic!) questo sensibile pedagogo lo libererà dalla pigrizia tipica della sua razza (sic!!) e lo preparerà all’ingresso al Royal Institute of Translation di Oxford, chiamato anche Babel, con ovvi riferimenti alla mitica torre della Bibbia. Ironico in questo senso che all’interno del romanzo non compaia nemmeno un personaggio di origini ebraiche. La Kuang forse cerca di levarsi d’impiccio spiegandoci in una delle prime scene ambientate a Babel che una delle poche proibizioni della magia riguarda il tentare di tradurre la parola di Dio (rendendo quindi di fatto inutile cercare di tradurre le Scritture, a differenza di quanto accadrà con le “superstizioni” haitiane), ma non è che se sei ebreo hai sempre lo Yahweh in bocca.
Personalmente parlando poi trovo problematico anche che in un testo che tratta di lingua e magia non compaia un fetente di studente proveniente dalla zona di Praga visto che là è dal 1300 che se lo menano con l’esoterismo.

Vabbè. A Babel comincerà la nuova vita senza ebrei e slavi di Robin, una vita completamente isolata dal mondo fatta di studio e conoscenza, ma soprattutto di insperate opportunità per chi come lui fuori da quelle mura viene impiegato al più come domestico o minatore, con la prospettiva di far parte, anche se mai totalmente perso com’è tra due culture così diverse, di qualcosa di più grande e meraviglioso.
Babel è soprattutto il luogo in cui finalmente potrà farsi degli amici etnicamente variopinti stile spot Benetton (ma questa cosa la giustifico col fatto che Babel, nel suo desiderio di coprire quante più lingue possibili col minimo sforzo visto quanto costa il mantenimento di un borsista di traduzione, mira ad avere un solo esponente di ogni lingua nel suo panierino): abbiamo Ramiz "Ramy" Rafi Mirza, la quota India e musulmana, Victoire Desgraves originaria delle colonie di Haiti che ha vissuto a lungo in Francia, e Laetitia “Letty” Price, quella brutta e cattiva che al massimo si tollera alzando gli occhi al cielo perché è bianca, inglese, arriva da una famiglia benestante e quindi non capisce mai un cazzo di niente.

IMPRESSIONI SPARSE

(con copiosi spoiler)

Ribadisco, prima di passare da hater rancorosa che come Letty non capisce un cazzo dei temi profondi del romanzo, che trovo splendida la prima parte di Babel. Mi piace il ritmo lento, il modo vivido in cui passeggiamo prima per Canton e poi per le strade di Oxford, le stimolanti e appassionate parentesi linguistiche. Mi piacciono questi ragazzi; la loro brama di conoscenza, quella spinta ad eccellere dovuta sì a un amore per la cultura ma anche e soprattutto alla consapevolezza che la loro presenza a Oxford, un'occasione più unica che rara per quelli come loro, è appesa a un filo.
Toglietemi tutto ma non il mio Lord
Sono stranieri, non europei, addirittura donne (va bene un po’ tutto purché ci si converta all’anglicanesimo una volta varcate le porte dell’università), reietti che fuori da Babel non hanno nulla. Ragazzi prelevati a forza alle famiglie a cui non viene insegnato altro che latino e greco (di modo tale che se a Babel non dovesse andare non avrebbero in mano nemmeno un mestiere), che a Babel vengono accettati perché sono utili.

In questa prima parte insomma il razzismo si percepisce in maniera potente ma con intelligenza ed eleganza, senza sovrastare la trama. Dalla seconda parte in poi invece gli equilibri si rovesciano: se all'inizio al massimo questi ragazzi si ubriacavano e davano gli esami dopo viaggiano fino a Canton, si drogano, scatenano una guerra, ammazzano gente, occultano cadaveri, mettono in scena mezzo “So cos’hai fatto l’estate scorsa”, organizzano la rivoluzione più scema della storia, si tradiscono poi forse si amano o sono gay e viceversa, saltano in aria, vengono torturati, spiegano agli operai disoccupati cos’è l’etica e la giustizia (e poi gli ciulano le coperte e i cuscini), vanno in berserk e distruggono mezza città. Il tutto sotto una gragnola di interminabili predicozzi che sembrano rivolti a dei lettori deficienti su quanto è brutto il razzismo e il colonialismo e quanto qualsiasi persona bianca faccia un po’ cagare.
A parte una che boh, non si sa cosa ci faccia lì, fa presenza.
Kuang, lo dirò molto spesso anche al tuo protagonista: ANCHE MENO.

*

Dal punto di vista delle atmosfere da Dark Academia nulla da dire: ai fan del genere parrà proprio di camminare lungo le strade di Oxford insieme ai protagonisti della storia, se non fosse che gli studenti inglesi passano per un branco di alcolizzati sempre attaccati al fiasco del vinello anche quando è in corso una rivoluzione, tipo una confraternita da college americano (l'unico esente dall'alcolismo ovviamente è Ramy, ma solo per motivi religiosi). Da quello linguistico ed etimologico a Babel non si può dire nulla, se non che si ha l’impressione che la Kuang (che Oxford l’ha frequentata davvero per laurearsi in Sinologia e dal 2020 frequenta l’università di Yale per conseguire un dottorato in lettere e culture straniere), proprio come il suo personaggio di Yellowface Athena Liu, cannibalizzi tutto quello che studia per monetizzarci (ma questo non è un crimine e se il risultato è buono non è nemmeno un difetto – anche se a volte quando i personaggi parlano di etimologie linguistiche ok, è interessante, ma si ha un pochino l’impressione che la storia venga messa in pausa e che l'autrice abbia fatto un copia e incolla di una lezione universitaria).

Una delle più grosse delusioni di questo romanzo invece è stato il LATO UMANO della storia, ovvero i rapporti interpersonali e le costruzioni caratteriali di questi ragazzi, che nonostante le premesse interessanti e qualche spunto intrigante qui e lì hanno finito per diventare pagina dopo pagina degli slogan elettorali con le gambe, con buona pace dell’immedesimazione.
E della pazienza.
Per spiegarmi meglio, anche se non sono una grandissima fan di quella saga, vorrei fare un paragone con Harry Potter, dove pure ci ritroviamo a leggere dell’amicizia di un gruppo di ragazzi abbastanza diversi tra loro e un po’ outsider (e ora che abbiamo scoperto che Hermioine è sempre stata nera possiamo farne la nostra Victoire). Harry Potter ha tanti difetti ma di pagina in pagina noi diventiamo testimoni della nascita e della crescita della loro amicizia nel bene e nel male, tra litigi, giornate di studio, varie strunzate da adolescenti, quindi quando alla fine quando questi tre stronzi passano il tempo a sacrificarsi gli uni per gli altri noi ci crediamo perché li abbiamo visti diventare grandi amici nel corso di 7 anni di vita scolastica.

"René, io non sento l'amicizia!"
In Babel io non ci credo nemmeno per un secondo che questi sono amici per la pelle e a fine romanzo se non ci pensassero da soli a togliersi dal cazzo butterei tutti glù dalle scale dell’ottavo piano a calci nel culo. Le scene con loro che parlano o studiano sono asettiche, ripetitive, sembra di sentir parlare il signor Spock di Star Trek. L'intenzione di farci capire quanto diventino alienanti delle giornate fatte di matto e disperatissimo studio fallisce miseramente perché quello che vediamo sono quattro stronzi che sparano lemmi, mangiano merda, condividono biscotti e ogni tanto si incazzano, solitamente con quella bianca.

Anche le caratterizzazioni del singolo personaggio rimangono abbastanza superficiali: a Robin piace leggere romanzi d’appendice, così come a Victoire (che preferisce quelli romantici a quelli d’avventura), poi arriva la pubertà e Robin diventa un kamikaze ringhiante mentre Victoire abbraccia la santità. Ovviamente entrambi hanno a cuore le questioni razziali e mal tollerano il bullismo e il razzismo che subiscono a Babel, e graziarcazzo.

La Kuang poi se ne sbatte proprio i coglioni delle sfumature più intriganti e delle zone grigie di questi personaggi (il cui background è relegato a quattro risicati siparietti in vari punti del romanzo). Robin è quello che più di tutti soffre di questo suo essere in bilico tra due mondi ed è quello che ha più da perdere dal mettersi contro lo status quo dal momento che essendo per metà inglese se non si fa attenzione può quasi essere scambiato per un caucasico (a differenza di Ramy e Victoire che non possono nascondere la pelle scura sotto uno strato di fondotinta color changing, e Letty che a una certa dovrà smetterla di vestirsi da uomo perché non ci crederà più nessuno). Da metà romanzo in poi diventa Highlander e tutti i suoi dubbi sono volati via come la mia speranza di trovare uno YA che possa appassionarmi come Sei di corvi.
Il suo rapporto con Griffin (il suo fratellastro e porta d'ingresso per il mondo della ribellione allo status quo) o quello Lovell (suo tutore e, scopriremo, patrigno) è lasciato a ringhi, sarcasmo, ghigni da Joker o abbracci impacciati (scene che servono come un culo senza il buco), senza che si vada mai a fondo di nulla, lasciandoci continuamente in pieno feeling-blocking perché l'autrice è troppo impegnata a farci vedere che ha fatto i compiti e sa quando hanno inventato la macchina fotografica o la storia etimologica della parola sciopero.
Abbiamo capito Kuang, sei Corvonero.

Ramy era partito benissimo e rischiava seriamente di diventare il mio personaggio preferito: divertente e affabulatore, per sopravvivere all’interno di un mondo ostile in cui non può mimetizzarsi come Robin asseconda con simpatia i pregiudizi dei dominatori inglesi anche se questo ruolo da “scimmietta” gli va stretto a causa del suo orgoglio.
Poi vediamo che il suo essere musulmano serve solo a farlo parlare di Allah e a farlo lagnare del fatto che nessuno pensa agli indiani musulmani. Tra parentesi, questa degli indiani musulmani è una questione che per ovvi motivi a lui sta molto a cuore, ma tra lui e Robin, che dovrebbe essere tipo il miglior amico e unico confidente a scuola bffb (best friend forever di Babel, con forse addirittura un accenno di queerbaiting sul finale? Boh…) non ci sarà mai un dialogo approfondito in merito. Ma Robin non è in grado di controargomentare nemmeno il menù del pranzo, quindi...

Victoire semplicemente è la femmina del gruppo quindi di base rappresenterà il grillo parlante che deve tenere a bada i bollenti spiriti di quei bombaroli dei suoi amici col testosterone, con buona pace delle sue affascinantissime origini haitiane (tra le altre cose si scalda tanto per i testi sacri di Haiti ma della sua dimensione religiosa non si dirà mezza parola)

Tra questi tre c’è un’amicizia talmente solida che non parleranno mai, se non quando si fanno scoprire come dei fessi, del fatto di essere stati precettati tutti da Hermes, una società segreta terroristica di scappati di casa, talmente segreta che la conoscono tutti pure a Oxford, talmente organizzata che devono farsi aprire la porta dagli studenti, non si informano sui sistemi di sicurezza della torre, tengono un elenco dei membri ancora attivi con relativo indirizzo su dei fogli di carta e in caso si cambi idea si può disertare a piacere.
Chissà come mai in tanti anni di attività non hanno risolto nulla, che mistero...

Fa specie, tra parentesi, che in un libro che parla di comunicazione sia l’incomunicabilità a farla da padrone, un tema che se ben sviluppato invece di essere sommerso dai pipponi sarebbe stato interessantissimo: proprio come nel passo biblico, Babel diventa la culla dell’incapacità di capirsi l’un l’altro. Specialmente con i bianchi non si comunica, perché come recita un antico detto: se vedi un bianco menagli forte, lui non sa il perché perché tanto anche se glielo spieghi non capisce, ma tu sì.

Lascio ultima ma non ultima la questione Letty.
Di base Letty è il quarto membro di questo ameno gruppetto di fogli di carta velina. Lei è la Fleur Delacour acquistata su Shein: bianca, bionda, inglese, bellissima, di buona famiglia. Ovviamente è la più privilegiata del gruppo e ovviamente la condizione di persone non bianche non la potrà mai capire fino in fondo non vivendola sulla propria pelle (potrebbe aiutare spiegarglielo un po’ per volta invece di lanciarle direttamente una bomba a fine romanzo aspettandosi che capisca, un po’ come se foste amici che si vedono tutti i giorni a scuola), ma essendo questo un romanzo-slogan contro il razzismo Letty, che in quanto donna inglese dell’Ottocento non è che se la passi proprio come la Ferragni pre-Pandorogate, è bianca, quindi non è soltato privilegiata ma è direttamente l’origine dei mali del mondo.

Ora, non per perorare la causa della donna bianca (non sono un reale inglese in visita in Africa) ma alle donne inglesi del tempo, anche se fighe, esattamente come accadeva alle persone di colore era precluso l’accesso alla cultura alta: la stessa Letty racconterà di essere stata praticamente diseredata dal padre (che non la trova simpatica per aver ucciso sua madre nascendo, e meno male che non sa dell'alterco avuto col fratello prima che finisse sotto una carrozza), a causa della sua voglia di studiare. Il rifiuto di pagare gli studi a un utero particolarmente brillante unito al fatto che essendo morto suo fratello in famiglia manca un erede maschio, ci fa togliere il praticamente di poc'anzi: Letty non potendo ereditare un centesimo dei soldi del papy, si attaccherà a 'sta ceppa potendo eventualmente contare solo su una dote matrimoniale, che comunque non sarà mai gestita da lei. Letty insomma, a modo suo, è un altro scherzo della natura accolto a Babel.

Esattamente come Robin, Victoire e Ramy, si rende perfettamente conto che la possibilità di studiare lì è un privilegio che apre porte altrimenti inaccessibili a quelli come lei, e a differenza loro essendo nata in una buona famiglia inglese ha avuto accesso diretto al privilegio sprecato (suo fratello, che ha buttato via la sua occasione a Babel, ma anche la sua cerchia sociale a Oxford, una pletora di cliché che passa il tempo a bere, farsi le seghe pensando al marito di Mary Shelley e dire cagate visto che per stare lì non hanno dovuto lavorare duramente), quindi più di tutti forse avverte la paura di perdere quell’occasione (logico, più ti avvicini alla parte dominante più ti brucia il culo rimanere fuori, è lo stesso identico problema che porta Robin a non prendere posizione per anni). Letty, come Victoire, è una donna quindi deve comunque mascherarsi da uomo per non subire abusi e offese.
Sempre in quanto donna che cerca di farsi strada in un mondo di uomini bianchi col papillon dovrà lavorare dieci volte tanto per rompere il soffitto di cristallo, e le poche donne che si troverà di fronte come la professoressa Craft le saranno apertamente ostili rinnegando il loro essere un'eccezione miracolosa e affermando con una certa spocchia di occupare quel posto solo per merito.
Letty poi subirà insieme a Victoire una vera e propria molestia di gruppo al ballo di fine anno. Lo stesso professor Lovell ci renderà edotti su quello che gli inglesi del periodo pensano delle donne, davanti a Robin che lo accusa di aver lasciato morire sua madre: “Santo dio, era soltanto una donna.”

Normale interazione tra Letty e Ramy.
Letty è costantemente trattata con sufficienza perché essendo bianca non può capire quello che provano loro in quanto persone di colore, anche se da un certo punto di vista non mi sento di contraddirli sul fatto che non sia la più sveglia della cucciolata in casa Price dal momento che non si accorge nemmeno che per tre anni la sua compagna di stanza e best friend ha dovuto cagare fuori casa come i cani perché la padrona di casa i neri sul suo water non li voleva.
La si apostrofa con stizza quando dicce una vaccata dovuta al suo privilegio o le rivolgono occhiate di traverso (senza che però le si dica nulla di esplicito), si alzano gli occhi al cielo, le si tengono nascoste cose importanti da ben prima di Hermes perché di lei non ci si fida mai, con lei non ci si confida. La stessa Victoire ammetterà di non aver MAI parlato con lei di questioni di razzismo prima di esplodere in un giga pippone a fine romanzo, quando le chiedono in ordine di capire la questione del razzismo in UK, coprire l’omicidio di un professore e rovesciare lo status quo dell’Impero.
Strano le vengano i dubbi...

Letty come fa sbaglia.
Non può lamentarsi dell'essere stata diseredata perché è nata in una famiglia ricca (quando non mi risulta che Ramy facesse il bagno nel Gange o che a Robin e Victoire sia mai mancato da mangiare e un tetto sulla testa, comunque); qualsiasi riferimento a un cazzo di fratello morto (un fratello che scopriremo essere morto dopo un feroce litigio con lei che gli aveva augurato di non tornare – di nuovo, nessun bisogno di analizzare il fatto che lei ha praticamente calpestato il cadavere fumante di suo fratello per entrare in quella scuola) secondo gli amici è un tentativo bieco di manipolarli; Letty non cerca mai consigli o uno sfogo amicale ma attenzioni; il suo desiderio di stare in loro compagnia è un peso e un fastidio, quindi la ignorano, quindi lei che non è scema chiede spiegazioni sul loro strano comportamento e a quel punto le viene risposto “Eravamo solo stufi di sentire la tua voce.”
Viene assalita insieme a Victoire a una festa e la colpa ovviamente è sua che ha insistito per farli andare lì (e non degli assalitori, o degli stronzi degli altri studenti coloured che non li hanno avvisati di una festa alternativa dove quelli come loro si sarebbero sentiti al sicuro); avere a che fare con lei e sopportarla è un lavoro a tempo pieno. Quando le spiegano cose che farebbero uscire di testa anche una persona del XXI secolo che vota Vannacci lei piange perché è turbata per non aver capito nulla del dolore provato dalla sua migliore amica, e a loro rode il culo perché la scena è finita con loro che consolano lei.
A una certa viene da chiedersi cosa se la tengano a fare nel gruppo. ... Ah, già, è la più brava in inglese e nelle lingue classiche, quindi gli corregge i compiti.

Non paga di ciò, inspiegabilmente, non sarà pronta ad accogliere con gioviale buonumore l’assassinio brutale di un professore: piangerà per giorni, avrà crisi di nervi improvvisi, sarà invasa dall’angoscia, e a quel punto Robin commenterà stizzito che quell’atteggiamento “non aiutava di certo la causa femminista, votata a dimostrare che le donne non erano creature nervose, isteriche e senza cervello”. Non come lui, che due pagine prima ha singhiozzato virilmente sul petto della sua tata e a pagina 530 si farà un altro piantino di commozione davanti alla gente di Hermes perché si sente a casa.
Se alla fine di tutto questo Letty decide che il gioco non vale la candela, che bisogna avvertire le autorità prima che i suoi amici si rovinino la vita con queste idee sovversive (e qui sì che si avverte una punta di razzismo paternalistico, la faccia buona della stessa merda, quando Letty dice che i suoi amici non sono cattivi ma malguidati da Hermes) è una traditrice senza appello, e noi lo sapevamo da sempre che era stronza. Se spara alla prima cosa che si muove con la pistola che tiene tra le mani che tremano (tipico atteggiamento di chi, come dice Robin, è abituato a sparare perché figlio di un militare) l’ha fatto apposta. Si decide senza darle la possibilità di negare o confermare (ma a questo punto anche chi se ne frega) che in realtà non ha mai amato Ramy.
Perché sì, amava quello che la mandava sempre a cagare.
Deve essere il masochismo tipico della donna bianca che ama troppo.

Qualsiasi cosa facca Letty sbaglia perché, ovviamente, non vive quelle situazioni sulla propria pelle avendo il privilegio dell’etnia, ma al tempo stesso non vale la pena spiegarle in cosa sbaglia, tanto non capisce, è una causa persa come tutti i bianchi. E se nemmeno una persona con cui hai condiviso tutto, dai biscotti all'omicidio, riesce a capire quello che provi e non ti spalleggerà mai, e nel momento del bisogno te lo ficcherà in culo, la situazione è senza speranza, e se è senza speranza non ha senso fare la rivoluzione appellandosi alla giustizia, fare i volantini cercando la simpatia della gente, allearsi coi luddisti e gli operai disoccupati, così come non ha senso far ragionare il governo inglese per CONVINCERLO AD ABBANDONARE LA MENTALITA’ IMPERIALISTA E A NON RUBARE PIU' LE RISORSE ALLE COLONIE (sic!!!). Visto che il libro si intitola pure "Babel o DELLA NECESSITA' DELLA VIOLENZA" inizia direttamente una guerra contro i bianchi, distruggi tutta l'Inghilterra senza dare ultimatum di sorta e vafangulo.

A fronte di tutto questo rido nel momento in cui a pagina 490, quando Letty come al solito non riesce a capire un cazzo di quello che le accade intorno e gli altri si innervosiscono perché non capisce l'ovvio leggo: “In effetti non c’era altro da dire, se non la verità: ovvero che non potevano fidarsi di lei. Perché nonostante tutto quello che avevano condiviso, nonostante i giuramenti di eterna amicizia, non potevano sapere da che parte si sarebbe schierata”

1. Ma che cazzo hanno condiviso a parte i predicozzi e il rancore?
2. Ma è stronza Letty che poi effettivamente li tradirà o sono deficienti loro che NON POSSONO FIDARSI DI LEI e nonostante questo se la portano dietro nella sede supersegreta di Hermes, le chiedono di scrivere al padre perché perori la loro causa (ma avete capito che questo non voleva manco che una femmina studiasse e ora state pretendendo che appoggi dei bombaroli? Ma ce la fate?) e la fanno uscire liberamente in strada per “prendere un po’ d’aria fresca”?

*

Essendo un romanzo lungo e corposo, la Kuang non può trascorrere tutto il tempo a parlare di etimologie e lemmi linguistici, perché altrimenti davvero la gente prende e va a leggersi un saggio di grammatica, quindi si rende necessario condire la trama di azione e colpi di scena, e qui nascono i problemi.

Perché la trama diventa delirante nel momento in cui si abbandonano le sicure pareti di Babel e si entra nel mondo reale a toccare con mano l’ingiustizia e l’iniquità ai danni della gente delle colonie (mondo reale di cui fino a 5 minuti prima non sapevano una ciolla) e i COLPI DI SCENA sono espedienti telefonati da telenovela argentina, con gente morta, parenti ritrovati, drama esagerato sull’ovvio con tanto di zoom dal piglio cinematografico su occhiate guardinghe e faccette basite. Pensavo fosse Babel e sono finita in Boris.
Faccio alcuni esempi:

Griffin Lovell
E’ il fratellastro di Robin, spunta fuori durante un furto a Babel ad opera di Hermes in cui questi cretini devono farsi aiutare da un passante ad attivare una tavoletta d’argento per diventare invisibili. Già lì ti rendi conto che questa società segreta è meglio che si estingua.
Se devi fare la rivoluzione, prendi gente sveglia.
Questa rivelazione, insieme a quella (ovvia visto il cognome) che vede entrambi come figli bastardi del loro tutore, il professor Lovell, non lascia sconvolti quanto si potrebbe pensare dal momento che è dall’inizio del libro che praticamente tutti i personaggi che mettono piede nel salotto del professore notano quanto sembri bianco Robin e quanto gli somigli Robin. Addirittura uno di questi ospiti fa notare al buon Richard quanto Robin “gli somigli più dell’ultimo”.
Questo ci porta a capire immediatamente due cose, e siamo solo a inizio romanzo:

1. Robin ha un fratello
2. Griffin non è l’altro ma l’ultimo, quindi capiamo immediatamente che ci sono altri fratelli (è quello il senso del biglietto che lascia a Robin prima di lasciarci le penne) e che Lovell tra una traduzione e un complotto ai danni dei cinesi è andato in giro a scoparsi mezzo Impero del grande Qing.

Tra l’altro come se tutto questo non bastasse a farci capire immediatamente che da qualche parte in quel di Oxford c'è un parente di Robin quella maestra del sotterfugio della Kuang rende Griffin praticamente il suo gemello. Anche meno indizi, Kuang, guarda che ci arriviamo.

Griffin poi soffre della stessa sindrome di tutti i personaggi di questo libro: è profondo come una pozzanghera nonostante le premesse interessanti (vivere ai margini della società con la consapevolezza di essere un “esperimento educativo fallito” nelle mani di Lovell, che ha perfezionato la tecnica con Robin), e finisce per diventare un altro robot spara slogan.
Il suo ruolo è quello del cane rabbioso che sbuffa, ringhia, risponde da bulletto del cazzo e ha trovato nella violenza l’unica risposta possibile all’oppressione. Che a questo punto è la posizione più logica da tenere visto che tutti i bianchi fanno schifo, ma tutti lo trattano lo stesso come lo zio ubriaco ai cenoni di natale che ti tocca assecondare anche se passa il tempo a palpare i culi delle nipoti e a fare il nostalgico del ventennio. Non si va mai oltre la bava alla bocca, gli occhi da pazzo e il fetish erotico per la polvere da sparo.
Le interazioni con Robin (l’unica famiglia che gli è rimasta) si dividono in paternalismo, sarcasmo, disgusto e slogan bombaroli. Sono la prima a trovare Robin gradevole come il cazzo di un gatto, ma visto che Griffin di base lo cerca perché senza l’aiuto di uno studente di Babel questa società segreta di sveglioni nella torre non riesce nemmeno a entrare (e non sa nemmeno nascondersi, ricordo), e non è colpa di tuo fratello se il professor Lovell da piccolo ti sputava nel porridge, magari sii un po’ più gentile, testa di merda.

Anthony Ribben
Ad un certo punto, durante una specie di tirocinio militare obbligatorio che si fa al terzo anno, giunge la notizia della morte di un compagno di scuola più grande del nostro quartetto di slogan elettorali, che ovviamente anche se non lo conoscevano bene (a parte Victoire, che era la più amica dell’altra comparsa nera con un minimo di importanza della storia) restano turbati dalla cosa. Sempre ovviamente non è morto per davvero, ma ha deciso di fingere la propria morte per unirsi alle file di Hermes (che si ritrova tra i coglioni un altro furbone che nella torre non ci può più entrare).
Perché ovviamente?
Perché la grande rivelazione della sua finta morte per defilarsi da Oxford e agire in seno ad Hermes a tempo pieno è preceduta da tutta una serie di scene in cui non appena si nomina Anthony davanti a personaggi in qualche modo molto vicini a lui o legati a Hermes la reazione è distogliere lo sguardo, “sussultare e dopo un rapido battito di ciglia fare di tutto per cambiare argomento”, abbandonarsi a un’indignazione “fin troppo teatrale e fastidiosa” (tra l’altro fuori tema visto che Victoire si indigna perché Anthony era uno schiavo in America e non perché è morto e in facoltà il cordoglio è durato due secondi) e fare spallucce come se non fosse successo niente di che. Tutte cose per nulla sospette.
In una scena addirittura Robin incontra in libreria un sosia perfetto di Anthony che appena lo vede scappa.

La risonanza
A pagina 279 Robin e il professor Chakravarti, professore ordinario di cinese (sarebbe stato carino sapere un po’ del suo background dal momento che è l’unico professore non bianco di questa cazzo di scuola), sono a spasso per il quartiere come i rappresentanti BoFrost per fare la revisione delle tavolette d’argento, e ovviamente si approfitta della scena per parlare di quanto siano finti e poco cinesi i giardini zen e quanto siano razzisti gli inglesi che si trovano davanti un indiano e un cinese e non vogliono lasciarli entrare, e non di quanto ad esempio siano stupidi gli accademici di Oxford a non pensare a un modo per far riconoscere un loro accademico di colore a vista. A un certo punto una di queste tavolette sembra avere un problema legato al malfunzionamento della risonanza.
“Cos’è la risonanza?” chiede giustamente Robin.
Meno giustamente Chakravarti molla tutto così de botto per tornare di corsa alla torre perché “non c’è altro modo per spiegarglielo” e il ragazzino deve vederlo per forza anche se sono “informazioni per pochi eletti”. Praticamente abbiamo già capito tre cose:

1. La risonanza avrà un ruolo fondamentale nella risoluzione della situa
2. Chakravarti ha qualcosa da nascondere
3. Oxford non sceglie i professori per l'acume visto che non sa spiegare a parole un sistema di canne che vibrano all’unisono e creano una sorta di rete di collegamento con le tavolette più lontane e meno pregiate che senza questo sistema non funzionerebbero.

Morti varie
Questo libro è un boost all’autostima, perché o io sono supergeniale o la Kuang non sa scrivere le trame a impostazione giallo/mistery dal momento che i flashforward sono così espliciti che già a pagina 133 si sospetta una fine alla Guardiani della Galassia vol. 3.

*

Più su ho detto che l’idea del SISTEMA MAGICO legato a coppia di lemmi lost in translation è la cosa più intrigante e originale del romanzo, e lo penso sinceramente. Questo non vuol dire che questro sistema (così come il sistema scolastico) non presenti comunque, a mio personalissimo avviso, delle criticità di base, inefficienze, forzature e punti che lasciano perplessi, e non si può giustificare tutto col fatto che l’inghilterra basta che fa i soldi e chi se ne frega. Perché l’inefficienza costa denaro, e se agli inglesi interessa il denaro interesserà l’efficienza.
Se no perché automatizzare le fabbriche per mandare a casa gli operai, perché i padroni si fanno le seghe sui macchinari come in Chobits delle CLAMP?

La prima cosa che mi sembra problematica è quella legata all’impossibilità di trovare persone di madrelingua cinese che possano insegnare la lingua agli occidentali, questo perché “L’imperatore ha emanato una legge che prevede la morte per chi insegna il cinese a uno straniero”.
Poi però vediamo che a pagina 22, Robin manco ha lasciato Canton ma sta al porto con Lovell pronto a imbarcarsi, si parla di contratti di viaggio molto comuni che servivano a far viaggiare i cinesi verso occidente per fungere da manodopera servile legale in tempi in cui era diventato difficile commerciare legalmente schiavi neri. Lo stesso Lovell non ha nessuna difficoltà a portare in Inghilterra in qualità di semplice tutore un figliastro mai riconosciuto (quindi tecnicamente un cittadino cinese, e la Cina non è una colonia inglese come l’India non hanno nessuna autorità se non il potere di corrompere qualche burocrate).
Quindi dove minchia sarebbe questa difficoltà a trovare i cinesi?
Poi, chiaro che non puoi farti insegnare la lingua dal pesciaiuolo di Chang’an, ma dai ricordi di Robin veniamo anche a conoscenza del fatto che ci sono molte famiglie di una certa levatura cadute in disgrazia per varie ragioni (inglesi, politica interna, droga…), persone acculturate ma povere a cui si potrebbe fare uno di questi contratti, per dire.
Dopo mi vogliono convincere che se non si portano i cinesi a Babel è perché i cinesi sono pigri, umili e incivili (a differenza di Robin che è stato educato da inglese). Ma deve conversare e insegnare un po’ di grammatica e fare conversation, mica spicconare in miniera, che cazzo dici scemo? E se sono così pigri perché l’imperatore cinese ha dovuto emanare una legge per impedirgli di insegnare il mandarino agli stranieri? Tra l’altro la presenza di cinesi madrelingua specializzati ma non troppo all’interno dell’università, per esempio nel settore della manutenzione, permetterebbe di contenere i costi ed evitare che i professori ordinari e gli studenti passino i pomeriggi a girare per il quartiere come quelli che controllano i contatori invece di, non so, fare ricerca. 
O lezione, la butto lì.

Personalmente poi non trovo molto efficiente o razionale nemmeno il sistema di studio delle lingue.
Agli studenti di Babel è richiesto di arrivare già studiati in latino, greco e inglese che rappresentano le basi (e fin qui va bene, anche se a un cinese non frega un cazzo del greco o del latino la giustifico perché siamo nell’Ottocento e la supremazia del classicismo e l’europeismo generano questo tipo di mostri), più la propria lingua d’origine che verrà sviscerata fino al vomito nel corso dei vari anni accademici mentre al secondo anno sarà previsto l’affiancamento di una lingua secondaria che faccia da mera ancella alla prima (sanscrito per il cinese, protoindoeuropeo per l’hindi, eccetera). 
Se questa iperspecializzazione è anche logica, perché cogliere tutte le varie sfumature di una lingua è condizione imprescindibile per trovare nuove e potenti combinazioni magiche:

1. Come fanno dei non madrelingua a specializzare a tal punto un madrelingua? Passi Robin che almeno interagisce con qualcuno che il cinese lo sa, ma Victoire praticamente deve tradurre lei la roba per il prof che non è in grado e sulla lingua ancella le tocca scegliere lo spagnolo perché nessuno a Babel ha modo di insegnarle i dialetti africani. A questo punto aveva più senso prendere due haitiani, chiuderli in una stanza e farli studiare da soli in modo più efficiente, col professore in un ruolo di supporto, dialogo e organizzazione dello studio.
2. A pagina 526 scopriamo che Babel non è l’unico centro di traduzione ma solo quello attualmente più importante. Dice, mi pare, Anthony: “Sono stati i francesi ad avere il ruolo di protagonisti per gran parte del XVIII secolo, e poi i romantici tedeschi hanno avuto per un po’ il loro periodo di splendore. Ora la differenza è che noi abbiamo argento a palate e loro no.”
E allora perché le basi per accedere a Babel non prevedono almeno francese e tedesco, per prendere il testimone degli studi precedenti (gli studi, anche se alla Kuang piace convincerci del contrario, non sono a tenuta stagna, gli intellettuali non sono incatenati alle scrivanie e possono essere pagati per andare in un’altra università), o anche solo per avere una conoscenza più approfondita delle etimologie linguistiche con cui vi fate le pippe tutti i giorni? Come minchia si fa a sviscerare un lemma inglese senza conoscere il francese o il tedesco? Una lingua non è a tenuta stagna, e non si è passati magicamente dal latino all’inglese, dio bonino.
3. A che serve al terzo anno mandare tutti a Canton come tirocinio formativo, se l’unico che parla cinese è Robin e gli altri passano il tempo a grattarselo contro il bambù come i panda? Non era più utile e formativo spedire lo studente a calci nel culo su qualche mercantile o nave militare diretta verso il luogo in cui si parlava la sua cazzo di lingua? Bastava prevedere un accompagnatore, uno dei famosi madrelingua non specializzati o qualche ex studente che ha fatto carriera nel commercio o nell’esercito.
Spoiler: è solo una forzatura che serve all’autrice per avere tutti lì in un momento chiave.

Ultimo ma non ultimo, la Kuang in Babel cerca di unire storia e fantastico legando a doppio filo la magia con la tecnologia di quegli anni (macchine fotografiche, spolette volanti, telegrafi), ma questo porta a dei problemi, perché da un lato abbiamo le stesse identiche invenzioni tecnologiche del nostro mondo, e dall’altro la magia ha un sacco di criticità: ha bisogno di argento purissimo altrimenti si rompe subito, anche in presenza di argento superpuro la tavoletta può deformarsi o spaccarsi, la scritta può ossidarsi o scheggiarsi, può servire della semplice manutenzione (cosa che renderebbe necessaria la presenza di un traduttore in campo, ma ci viene detto che pochi SCELGONO quella carriera perché devono viaggiare e faticare – viene da chiedersi perché non li obblighino, allora).
Insomma, più che un valore aggiunto mi sembra giusto un lieve miglioramento di prestazioni a fronte di parecchi contro, il che rende a dir poco peculiare farne il perno dell’impero britannico.

*

Se nella prima parte del libro possiamo riassumere gran parte delle mie perplessità come voglia di fare la punta al cazzo, la seconda è puro delirio e non c’è amore per il genere fantasy che tenga.
Dopo essere giunto a Canton, aver fumato oppio per vedere cosa provava lo zio drogato (sic!), scatenato una guerra nel pieno delle tensioni tra Cina e Britannia per il commercio dell’oppio in 5 minuti e aver scoperto che l’imperialismo è brutto e i bianchi sono razzisti (cioè lo sapeva anche prima, ma se ne fotteva), a Robin sale il capitan Harlock e ammazza il professor Lovell con una tavoletta d’argento che in passato aveva già ucciso una studentessa e che gli aveva dato lui per memento.
Ma complimenti a Oxford per la scelta dei docenti.
Dramatization: il professor Lovell poco prima
di morire, perché ci devono far capire
che è proprio cattivo
Seguono occultamento di cadavere di gruppo, roba uscita da un episodio del Tenente Colombo, scene da “So cos’hai fatto l’estate scorsa”, fuga dall’università in cui sembra stiano andando al Conad a comprare le zucchine, incontro con membri di Hermes che anche se non sanno aprire le porte ci tengono una lezione di scienze politiche e ci spiegano come pilotare le elezioni del Parlamento in un giorno per fermare la guerra contro la Cina e far prendere all'Impero britannico posizioni più eque ed etiche sul colonialismo imperiale. 
E’ una roba talmente senza senso che persino Letty ne ha abbastanza, millanta un bisogno di aria fresca che rende necessario andare a fare una passeggiata in strada: "Ah sì guarda, ci si passa tranquillamente dal cortile qua a fianco", le rispondono (tipica logistica di un covo supersegreto, anche la Batcaverna ha l'ingresso blindato e poi l'uscita diretta per il Conad di Gotham perché non si sa mai, un languorino notturno...).
Letty li tradisce e gli manda a casa la pula per salvarli.
Infatti tipo dieci pagine dopo i membri di Hermes sono tutti morti trucidati e Letty ha sparato a Ramy che invaso dallo spirito di un clichè di Hollywood si è lanciato contro un proiettile indirizzato a un altro. Robin, che ormai è Wolverine, sfodera gli artigli in adamantio e si lancia addosso di peso ai poliziotti per gambizzare Letty, Ma stranamente viene catturato insieme a Victoire. E’ Griffin a salvarli, ma perde la vita durante la fuga, dopo la gara a chi ha il pisello più lungo più brutta della letteratura.
Addio Griffin, insegna agli angeli a eccitarsi sessualmente con le bombe carta.
Rimasti da soli Emiliano Zapata e Victoire, due persone che per loro stessa ammissione hanno sempre dedicato la loro vita allo studio e non hanno mai nemmeno letto un giornale perché il mondo esterno non era di loro interesse, decidono di ideare UNA RIVOLUZIONE VIOLENTA e di ASSALTARE BABEL IN DUE, armati di pistola e coltello.
Tanto sono studiosi mica militari, dice Robin, che ci vuole? 
Studiosi che preparano tavolette magiche che uccidono male i trasgressori e che l’esercito usa per vincere le guerre, ma dettagli. Per quanto sembri incredibile il piano funziona: perché El Chapo signore della droga e Victoire entrano a Babel armati non solo di pistola ma di un super pippozzo moralista di quarto livello: il colonialismo è brutto e iniquo, l’Inghilterra vende la droga ai cinesi, la polizia ha ucciso gente che credevate morta ma ora è morta veramente, dovete fare la cosa giusta e mettere Babel in sciopero di modo che il Parlamento capisca le nostre ragioni e abbatta le ingiustizie dell’imperialismo.

Nota da rompina: è tutto il libro che mi si rompe i coglioni col fatto che i bianchi sono avidi, capiscono solo le ragioni economiche, se li si vuole irretire e portare dalla propria parte devi parlare al portafoglio, ora stai cercando di convincere una platea di bianchi a perorare la tua causa rivoluzionaria e non ti salta in mente di fare appello, per dire, al fatto che l’impero sfrutta e sottopaga pure gli studenti di Babel, non versando nemmeno i diritti d’autore per le loro scoperte?

Nella sala inspiegabilmente cala il dubbio almeno finché John Wick, che si deve veramente dare una calmata, non minaccia tutti con una pistola e non ferisce un professore particolarmente bianco e imperialista che aveva protestato in maniera troppo accalorata. A quel punto si lascia ai presenti la SCELTA di restare a fare la rivoluzione o andarsene.
La Kuang ci tiene a specificare che i primi a defilarsi sono i bianchi e gli studiosi di lingue europee (e quando te sbagli?), mentre a restare sono uno sparuto gruppetto di comparse coloured (“Facce di colore, facce che venivano dalle colonie”) e la quota caucasica, forse perché alla casa editrice hanno detto alla Kuang di smetterla di fare Malcolm X, una professoressa bianca che crede a due ragazzini armati e balbettanti perché, cito: “le bugie servono sempre interessi personali. Questa storia invece non va a vantaggio di nessuno. Certamente non di questi due. E inoltre è coerente”
Coerente come lasciar andare via come se niente fosse della gente che conosce a menadito le difese della torre, oltre che il numero e l’identità dei rivoltosi. Tra l’altro, sarebbe anche potuta rimanere qualche talpa che poteva fingere di perorare la loro causa per poi tradirli alla prima distrazione se in questo libro ci fosse una persona in grado di mettere in modo quella ruota da criceti che hanno nel cranio.

Visto che i due non pensavano di arrivare fino a questo punto (sic!!!!), le ultime 150 pagine sono una specie di lungo e tedioso girarsi i pollici: non sanno come contattare i membri di Hermes (né se ci sono dei superstiti), scrivono a mano 100 volantini che contengono un po’ le idee volemosebbene di Anthony e un po’ quelle bombarole di Griffin (in pratica un recap per quelli disattenti) da lanciare dal tetto in cui di nuovo si fa appello prima all’etica e poi, con calma perché non è come se tu stessi parlando a persone che ritieni interessate solo al lato economico, ai diritti dei lavoratori inglesi che a causa dell’automazione hanno perso il lavoro, viene loro in mente di far crollare gli edifici tenuti insieme e tagliare i servizi essenziali con la magia giusto perché la Magdalene Tower crolla per caso. Il giorno della rivoluzione avrebbero dovuto fare manutenzione alla tavoletta che la teneva in piedi e nessuno se l'è ricordato (sic!).
Fortunatamente arrivano gli ex operai dei cotonifici a dargli man forte.
“Anche noi odiamo l’impero perché con le sue politiche scellerate di automazione magica ci ha tolto il lavoro, per quello protestavamo davanti alla torre a inizio libro, vi lanciavamo le uova e mendicavamo per le vostre strade”, spiega loro pazientemente (a differenza di quanto fatto da loro con Letty) il loro portavoce, tal Abel Goodfellow.
“Ah sì?” risponde Victoire incuriosita.
Perché le famiglie che muoiono di fame sono una curiosità.
D’altronde poche pagine dopo Robin chiederà a Victoire cosa sono le dieci piaghe d’Egitto perché “è da un po’ che non prende più in mano la Bibbia” e non se lo ricorda. Ma è una parodia, dai…

*

Nonostante all’inizio mi avesse fatto una gran tenerezza ho trovato Robin un PROTAGONISTA INSOPPORTABILE: inizialmente, proprio come Letty, sa di essere stato ammesso all’interno di un sistema iniquo in cui riesce a inserirsi abbastanza bene solo perché sembra più bianco di Ramy e perché a differenza di Victoire e Letty è uomo, ma trova molto più vantaggioso e conveniente adagiarsi nello status quo, visto che lui ce l’ha fatta.
Un pensiero infame quanto si vuole, ma umanissimo.
Poi quando lui ha deciso che non va più bene a nessuno è permesso pensarla così.
Robin poi è uno studioso, persegue la vita intellettuale e gli interessano solo i libri e le parole: per sua ammissione non ha mai aperto un giornale né si è mai curato delle cose del mondo (ha perlomeno il buongusto di vergognarsi nel momento in cui a inizio romanzo gli fanno notare che la gente licenziata dai cotonifici rischia di morire di fame visto che non cagano i soldi, perché “non ci aveva pensato”. Minchia, ma pensa se eri stupido!) o alla guerra. Non sa nemmeno cosa succede nel suo paese natale finché non va a drogarsi a Canton e ambasciatori, missionari e capi di compagnie commerciali non confabulano come villain degli anime in sua presenza, figurarsi in Afghanistan. Robin insomma è un vaso vuoto che coerentemente verrà riempito dai pipponi degli altri.
Non ha un’idea che sia sua: gli imboccano in continuazione ragionamenti e riflessioni, mai che arrivi da solo a una conclusione che non derivi da un discorso che ha appena sentito o dal suo piccolissimo vissuto personale (comunque privilegiato rispetto a quello di molti altri, compresa Victoire), mai che controbatta né ai deliri bombaroli del fratello né agli slogan razzisti del patrigno. Però quando diventa Pancho Villa guai a fermarlo, diventa un kamikaze pazzo in culo che vuole gambizzare Letty e prendere a spallate i poliziotti. Addirittura durante un assedio scalcagnato di civili e studenti di Babel che vogliono dar fuoco a una torre di pietra l'Incredibile Hulk “si concentrò sul sangue che gli pulsava nelle vene. Voleva lo scontro. Voleva saltare giù e MACIULLARE quelle facce a suon di pugni. Voleva che lo conoscessero per chi era veramente…”
Un coglione?
Ah no.
“Il loro peggior incubo: disumano, brutale, violento.”

Soprattutto, Robin a un certo punto ha un gran desiderio di morire dal momento che non ha più nessuno, o un motivo per vivere (da qui il mio dubbio che potesse esserci una specie di rapporto omosessuale tra lui e Ramy, perché nonostante la questione salti fuori ogni tanto a partire da Canton è solo con la morte di Ramy che pare concretizzarsi per davvero questa disperazione), al punto che tutto il piano della presa della torre sembra votato al suicidio, a conti fatti, perché in effetti che cazzo si poteva fare una volta entrati là dentro e distrutta mezza città, uscire e chiedere scusa?
Ora, non metto bocca nei motivi che possano spingere una persona a togliersi la vita, non sto questionando su se sia giusto o meno per Robin sacrificarsi perché tanto non ha niente da perdere, come se i suoi ideali fossero un mezzo per farla finita e non un fine nobile. A darmi ai nervi è che Robin ha anni per riflettere sull’idea, prepararsi, ragionare e infine decidere di farla finita nel modo che ritiene più opportuno, facendo crollare Babel e distruggendo il suo prezioso argento. Ma visto che “non può farcela da solo” a buttare giù un edificio di 8 piani chiede aiuto a dei volontari che si sacrifichino insieme a lui. In pratica lui sceglie di suicidarsi fin dall'inizio ideando un piano che può portare solo alla morte, ma la gente che si è portato dietro ha due secondi di tempo per pensare se ha ancora qualcosa per cui vivere o meno.
Per forza poi troveremo motivazioni deliranti come quella della professoressa Craft, che decide di sacrificarsi con lui insieme a un altro paio di comparse (mentre Victoire giustamente lo sfancula perché suicidati da solo, testa di minchia) perché non troverà mai un altro lavoro da nessuna parte. Cioè, i giornali non hanno mai nominato la donna bianca tra i terroristi (esattamente come negli articoli sulla morte di Lovell non è mai stato riportato il nome di Letty), veniamo a sapere qualche capitolo prima che le altre università ucciderebbero per accaparrarsi uno studioso di Babel (ma al tempo stesso vogliono farci credere che a nessuno venga in mente di pagarli meglio di quanto non vengano pagati a Babel per farli andare da loro a condividere la loro conoscenza), ma la tua vita è finita?Anche la mia speranza di trovare una persona sveglia in questo romanzo sulle persone sveglie è finita, ma non mi ammazzo per questo.

IN CONCLUSIONE. . .

Babel è un libro dalle ottime premesse in cui la morale antirazzista e anticolonialista tanto cara alla Kuang (una morale fin troppo moderna per dei personaggi che si muovono nel 1800, spesso e volentieri, cade il velo e si vede che i protagonisti non stanno parlando agli interlocutori ma a noi lettori) finisce per fagocitare tutto, anche la trama, con risultati demenziali. Si percepisce molto l’amore che l’autrice ha per la lingua e le parole, anche troppo quando vengono sparati lemmi a caso nei momenti meno opportuni, tipo quando la lezione di etimologia interrompe l’azione o toglie il pathos a una scena importante.

Non si scampa dai cliché da telenovela argentina, dalla costruzione alla Disney in cui si è buoni e nobili (di colore) o stronzi in culo (bianchi) né dagli espedienti dei disaster movie brutti in cui gli scienziologi specialisti in disastro imminente si spiegano le cose tra loro semplificandole a misura di spettatore (in questo caso lettore) stupido, perché quando a un certo punto uno studente di Babel spiega a un altro studente (che dovrebbe saperlo benissimo) la parola paraetimologia magari il lettore è troppo stupido per andarselo a cercare su Google.

Trovo inoltre fastidioso, ma questa è una mia idiosincrasia personale, questo sfoggio orgoglioso di una vita intellettuale fine a se stessa, in cui ci si disinteressa del mondo a meno che la cosa non vada a cagare nel tuo orticello. Una persona che dice di amare la conoscenza e poi non si interessa del mondo che lo circonda è un poser e anche un po’ stronzo.

Infine onestamente, ma è sempre una mia percezione personalissima, quasi 800 pagine a farmi spiegare quanto tutti i bianchi siano stronzi e quanto volerci bene sia una guerra persa in partenza perché tanto non capiamo un cazzo me le sarei risparmiate volentieri.

Complimenti a chi ha avuto la forza di arrivare fino a qui.

Giudizio finale:

PS: A pagina 343 forse c’è un piccolo errore di traduzione (senza nulla togliere all'ottimo lavoro svolto), o così pare. Quando Letty e Victoire hanno appena subito un assalto di gruppo da parte degli stronzi della fratellanza ariana di Babel, Letty afferma che un certo Thornill era curioso di sapere se il colore del loro… sì hai capito… combaciasse, “per interesse biologico”. Ora, l’unica cosa che mi viene in mente che volessero vedere era la zona delle tette, e al momento della festa Letty e Victoire erano vestite in abiti femminili, abiti che avranno previsto una scollatura di qualche tipo che il seno lo lasciava intravvedere. Visto e considerato che tipo due righe dopo pronunciano la parola seno senza problemi presumo che Thornill volesse guardar loro il colore dei capezzoli e che quindi la parola dovesse essere declinata al plurale.