domenica 20 febbraio 2022

[Recensione] A CIASCUNO IL SUO, di Leonardo Sciascia

Titolo originale:
 Apartment in Athens
Autore: Leonardo Sciascia
Genere: Giallo
Edizione: Adelphi, copertina flessibile
Pagine: 132
Anno: 2000
Euro: 10,00 | Ebook: 4,99


A ciascuno il suo è un romanzo del 1966, il cui titolo è la traduzione letteraria della locuzione latina unicuique suum, che deriva da uno dei tre precetti base del diritto romano.
Insieme al suum cuique tribuere questi comprendevano il "vivere onestamente" (honeste vivere) e "non recare danno agli altri" (alterum non ledere): precetti piuttosto (e amaramente) ironici non solo tra i romani che non erano esattamente famosi per la rettitudine etica ma anche nel contesto siciliano dipinto da Sciascia in questo romanzo, romanzo che si presenta solo superficialmente come giallo ma che non si deve fare l'errore di prendere come tale dal momento che, ci avverte l'autore nella citazione iniziale per bocca di Edgar Allan Poe, non bisogna credere che si stia per svelare un mistero o per scrivere un romanzo.
Eppure il mistero c'è, così come la volontà di dipanarlo.

*

DUE RIGHE DI TRAMA

Estate 1964.
In un non precisato borgo dell'entroterra a poca distanza dal capoluogo il farmacista del paese, il dottor Manno, riceve una lettera anonima in cui viene minacciato di morte. Ma il tutto viene bollato dal diretto interessato e dalle persone che vengono a conoscenza della cosa come burla di cattivo gusto dal momento che il dottor Manno è una persona assolutamente integerrima, seria benvoluta da tutti, che non dà grattacapi né si interessa di politica, e con l'unica passione della caccia.
Senza dar peso alle minacce, come di consueto si reca tra i boschi in compagnia del suo amico e compagno di battute di lungo corso, il dottor Roscio, ma qui i due troveranno la morte per mano di un misterioso sicario, che lascerà sul luogo del misfatto un sigaro di marca Branca.

Giunti dal capoluogo per indagare su un delitto troppo grande per le sparute forze del paesello, gli inquirenti ipotizzano che il motivo dell'omicidio sia passionale e che il Manno, sposato per interesse a una donna di famiglia molto più agiata della sua ma bruttina, di nascosto indulgesse nelle grazie di qualche giovane e piacente frequentatrice della farmacia.
La pista però dopo una breve indagine si rivela totalmente campata in aria, risolvendosi solo con l'annullamento di un fidanzamento e le percosse preventive da parte dei parenti ai danni della giovane innocente, che la farmacia l'aveva frequentata, sì, ma solo perché tutti i suoi parenti erano malati e poteva andarci solo lei. Anche le ricerche del fumatore di sigaro Branca sembra portare i solerti uomini in divisa a un vicolo cieco, e la speranza di scoprire la verità sembra allontanarsi sempre di più.
🎵 Whohoo-Whohoo
Whooo detective Laurana🎵
Anche noi lettori del resto ne sapremmo ben poco se non fosse per il mite professor Laurana, insegnante di lettere del liceo classico del capoluogo e amico di vecchia data (se così si può dire data la sua natura schiva) del defunto dottor Roscio, che si ossessiona su questo omicidio nel notare che sul retro del foglio mandato al Manna compare la parola UNIQUIQUE, composta utilizzando i caratteri inconfondibili dell'Osservatore romano, giornale di area clericale che scoprirà essere ricevuto solo da due persone in tutto il paese, vale a dire il decisamente poco devoto parroco di Sant'Anna e l'Arciprete, zio della vedova Roscio.
Laurana intuisce che il vero bersaglio non era il povero Manno, che era davvero integerrimo come si credeva (se escludiamo la colpa, forse imperdonabile all'interno delle chiacchiere di paese, di aver provato a salire l'ascensore sociale sposando una donna più ricca per interesse), ma proprio il Roscio.

Laurana, mai sazio di verità, continuerà a indagare sul perché qualcuno volesse rivalersi su una persona innocua come il Roscio, incontrando il destino riservato a chi non si fa i fatti suoi.

*

IMPRESSIONI SPARSE

A ciascuno il suo è, per dirla con Calvino, "un giallo che non è un giallo", un romanzo che segue pedissequamente le regole del genere, che prende il topos della risoluzione di un mistero (un mistero tra l'altro ispirato a un vero fatto di cronaca di quegli anni, ovvero l'omicidio del commissario di pubblica sicurezza di Agrigento Cataldo Tandoy), prende il topos della ricerca della verità e dell'ordine con l'uso della logica contro il caos del mondo, per mandarli a infrangersi malamente contro gli scogli di una realtà come quella nostrana, una realtà gretta, egoista, connivente, attaccata con le unghie e i denti alla roba (nel senso verghiano del termine) che non prende di buon occhio la gente che viola la sacra regola dell'omertà.
Per Sciascia, che riserva il cambiamento in positivo più a un alato, ipotetico e lontano futuro utopistico che al futuro concreto che ha davanti agli occhi, in Sicilia non c'è spazio per la giustizia né per la verità
"Certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell'oscurità in cui stanno... Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino".
Quindi il giallo si può scrivere, se ne possono seguire le regole, ma con un certo gusto ironico e amaro di sovvertimento e con la certezza che l'assassino di Roscio e Manno non vedrà mai la galera.
Perché, ripetiamolo, A ciascuno il suo le regole del giallo le segue:

L'indagatore si pone il problema del mistero, ma se lo pone male.
Il nostro detective, il professor Laurana, è uno Sherlock Holmes de noartri: ingenuo, poco accorto, poco addentro alle cose della vita ("Un cretino" azzarderanno a dire di lui a cose fatte) e in generale piuttosto improponibile a fronte di altri arguti indagatori del mistero d'oltralpe.
Il professor Laurana, descritto come "bravo ma curioso" o "curioso ma bravo" a seconda della persona a cui lo si chieda (dove per curioso si intende bizzarro) non è il classico tipo del detective. Scapolo di quasi quarant'anni che vive da solo al paesello nella casa in cui ha trascorso l'infanzia con l'anziana madre vedova, insegna al liceo classico del vicino capoluogo, che gli tocca raggiungere con i mezzi pubblici dal momento che non si è mai sentito di prendere la patente.
Dedito alla lettura e alla ricerca, è piuttosto esterno ai pettegolezzi di paese e frequenta il circolo locale da fuori: non ama la chiacchiera o la polemica e le sue amicizie, anche quelle considerate di vecchia data, sono piuttosto superficiali e votate alla chiacchiera meramente intellettuale, che mai vanno a toccare temi caldi come la politica o la religione.
Persino nei confronti del Roscio non è che ci fosse questo rapporto amicale profondo o provi un cordoglio così stordente nei suoi confronti: nei confronti della risoluzione del mistero è più animato da una placida curiosità intellettuale nei confronti di qualcosa di inspiegabile che sta facendo brancolare nel buio anche i professionisti che dalla ricerca della giustizia o della semplice vendetta per la morte di un ex compagno di liceo e una persona tutto sommato seria e perbene. Laurana è una persona schiva, anche piuttosto ingenua in certi schemi di pensiero ma soprattutto nel suo amore quasi adolescenziale, dagli echi angelicati, nei confronti della giovane e bella vedova Luisa Roscio, nata Rosello, su cui tutto il paese vagheggia ma con il rispetto dovuto a una donna della sua levatura, a differenza di quanto accade alla vedova Manno, che è bruttina quindi gettare un po' di fango sulla memoria del marito ci sta.

Gli indizi per la risoluzione del mistero ci vengono presentati, ma sono nella maggior parte dei casi scoperti casualmente, e i segnali di pericolo e avvertimento totalmente ignorati.
Il detective Laurana nel corso delle sue indagini, mentre cerca di fare il vago con gente del paese molto più scafata di lui che cerca di metterlo in guardia in ogni maniera e mentre indaga con la stessa scaltrezza delle protagoniste dei romanzi di Kerry Maniscalco, si imbatte in una serie di botte di culo micidiali.
Mentre si trova a Palermo in qualità di commissario d'esame di maturità, al ristorante incontra per caso un compagno di scuola, ora deputato nazionale, che non vedeva da tanto tempo ma di cui aveva seguito l'ascesa politica in seno ai comunisti. E' lui a rivelargli che il povero Roscio lo aveva contattato nemmeno un mese prima per chiedergli di denunciare alla Camera un notabile del paese, "uno che aveva in mano tutta la provincia, che faceva e disfaceva, che rubava, corrompeva, intrallazzava...". Chi fosse, il deputato non ne ha idea, dal momento che il defunto era stato molto reticente contro una cosa così delicata e personale.
Peccato che questo individuo legato intimamente al Roscio sia il primo nome che gli spiattella lo smaliziato parroco di Sant'Anna, Don Luigi Corvaia (che a differenza del protagonista sa come gira la vita), che è la prima persona a cui confida vagamente la sua curiosità intellettuale circa un notabile intrallazzone della zona, nome che Laurana è immediatamente pronto a scartare perché no, troppo ovvio. Tipo me con le risposte a scelta multipla, no è troppo ovvio, sicuramente è sbagliata.
Sempre per caso Laurana, nel corso di una visita al Palazzo di giustizia, si imbatterà nel colpevole in compagnia del sicario (riuscendo a sapere proprio dal colpevole il paese di provenienza che se lo fa sfuggire di bocca) che guardanpo'ilcaso per ingannare il tempo si fuma davanti a lui un sigaro Branca. Ma nulla di tutto questo (neppure gli avvertimenti che continuano a dargli le persone che sanno) gli servirà, alla fine dei giochi.

Il detective discute degli indizi e delle prove raccolte fino a quel momento, ma lo fa confidandosi con le persone sbagliate e comunque le prove raccolte per quanto schiaccianti non verranno mai date a chi di dovere per consegnare il colpevole alla giustizia.
Per paura, perché non si è proprio sicuri al 100% e si ha paura di ripercussioni o di passare per millantatore davanti alla polizia, o perché molto semplicemente della giustizia che non ci si fa da soli, dopo secoli di lotta contro chi detiene il potere, non ci si fida.

La dimostrazione della definitiva colpevolezza del responsabile alla fine c'è ma è affidata alle chiacchiere dei paesani, col povero Laurana, l'uomo d'intelletto più affascinato dal mistero in sé che dalla sua risoluzione (un po' come lo stesso Sciascia), che alla fine si sarebbe comunque fatto i fatti suoi uscito definitivamente di scena, buttato in qualche zolfara abbandonata, chissà dove. Nel totale sovvertimento del genere, alla fine è il detective a seguire la sorte della vittima senza rivelare o scoprire alcunché (e non si saprà nemmeno nulla di chi materialmente toglierà la vita a lui), ma anzi affidando la propria cieca fiducia ai carnefici.
Onestà e ingenuità possono solo condurre alla rovina.
Ed è l'unica cosa che poteva venirne dal ficcare troppo il naso dove non si doveva.

*

Consapevole dell'apprezzamento a livello popolare di un genere "basso" quale è considerato il giallo, è ad esso che Sciascia affida quello che è principalmente un romanzo di riflessione e denuncia, una satira politica leggera e incalzante nei modi ma amara e impietosa nei fatti, priva di qualsivoglia intento consolatorio.
La Sicilia (ma l'Italia tutta) è presentata come un luogo omertoso e ipocrita in cui la verità è affidata al pettegolezzo ma chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni, e in cui la giustizia non può trionfare nemmeno a livello locale, assicurando alla giustizia un sicario che ha materialmente tolto la vita a un medico e a un farmacista.
Non siamo nella Sicilia di Montalbano o nella Napoli di De Giovanni, dove pochi uomini giusti si muovono a fatica (eppur si muovono) in un contesto corrotto portando a casa una piccola ma consolatoria dose di giustizia assicurando il cattivo di turno alle cure dello Stato.
Qui non c'è giustizia e non c'è Stato, se non nella forma di nemico.
La legge è lontana, astratta, si guarda con sospetto e timore alla guardia che viene a interrogarti e alla fiducia nella divisa subentra la preoccupazione delle conseguenze delle proprie confidenze, la certezza di essere lasciati soli ad affrontare le conseguenze del proprio tradimento. Lo stato è il primo a tradire il concetto di diritto e giustizia di cui si fa portatore, rivelandosi non solo intrinsecamente corrotto e desideroso solo di mantenere sé stesso con accordi e sotterfugi di ogni tipo (la cornice storica offerta da Sciascia, non a caso, è quella della preparazione al centrosinistra organico) ma anche il primo nemico dell'individuo onesto, che (lo si uccida in un bosco insieme a un marito cornuto o si attenti semplicemente alla sua reputazione) diventa impotente vittima sacrificale in nome del mantenimento dello status quo, della pace, della roba.
E tutto questo, per Sciascia, difficilmente potrà cambiare.
Perché intrinsecamente siamo tutti, chi più chi meno, un po' fascisti.
"Lei è fascista?"
"Ma no, tutt'altro."
"Non si offenda, lo siamo un po' tutti. E le faccio subito un esempio, che è anche esempio di una delle mie più recenti e cocenti delusioni... Peppino Testaquadra, mio vecchio amico: uno che dal ventisette al quarantatrè ha passato tra carcere e confino gli anni migliori della vita, uno che a dargli del fascista salterebbe su per scannarvi o per ridervi sul muso... Eppure lo è. E naturalmente lei ritiene che a considerarlo fascista ci voglia una forte carica di malafede o di pazzia... Ebbene, forse di pazzia sì, se consideriamo la pazzia una specie di porto franco della verità; ma non di malafede, assolutamente... E' un mio amico, le dico, un mio vecchio amico,.
Ma non c'è niente da fare, è un fascista. Uno che arriva a trovarsi una piccola e magari scomoda nicchia nel potere, e da quella nicchia ecco che comincia a distinguere l'interesse dello stato da quello del cittadino, il diritto del suo elettore da quello del suo avversario, la convenienza dalla giustizia... Non le pare che gli si può domandare chi gliel'ha fatto fare a soffrire galera e contino?"
Se la critica di fondo lascia in chi legge una sensazione di amarezza nel constatare che gli anni passano ma nulla sembra cambiare, a livello narrativo la storia e i personaggi volano, l'intreccio è ben orchestrato e velato d'ironia, le atmosfere delicatissime, i suoi attori (persino chi rimane più sullo fondo) vividi, concreti e ben delineati nel bene e nel male in poche sapienti pennellate (aiutati da qualche regionalismo che aggiunge realismo ai dialoghi, dando alla storia un piglio quasi teatrale) e non mancano riflessioni lucide e intelligenti sulla religione e la letteratura.
Sciascia, da uomo di cultura d'altri tempi qual è, non fa mancare nulla al suo lettore. Tranne la speranza.

Giudizio finale:

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