Testi: Kyoko Mizuki
Disegni: Yumiko Igarashi
Tankobon: 9 (completo)
Edizione: Kodansha
Anno: 1975
*RECENSIONE SPOILERINA DI TUTTA LA SAGA*
Procedete a vostro
rischio e pericolo, se avete vissuto con la testa sotto la sabbia per tutti gli
anni 80 e non avete mai seguito un episodio dell’omonimo cartone animato.
PREMESSE
DOVEROSE
Quando parliamo di Candy Candy è impossibile che non suoni un
campanello pure al più arido dei cuori di pietra. Ci ritroviamo infatti di
fronte nientepopodimeno che a una delle pietre miliari del genere Shojo, vale a
dire i manga romantici destinati alle ragazze fatti di sfighe, batticuori e
interminabili struggimenti. Candy Candy in tutto questo regna suprema, quindi
chi amerà le lacrime strappa storie avrà davanti a sé l’opera della vita.
Qualche parola sulla TRAMA
però è comunque d’obbligo: siamo in America nei pressi del lago Michigan dove
una neonata (che deve avere solo pochi giorni di vita ma ha già un casco di
banane di riccioli biondissimi, che Shakira può accompagnare solo) viene
abbandonata davanti alla porta dell’orfanotrofio “La casa di Pony”, gestita
dalla suddetta Miss Pony e da suor Lane (Maria nell’adattamento mediaset): alla
bambina viene dato nome Candy White
(in italiano solo Candy, come Cher), e cresce allegra e vivace insieme agli
altri bambini ma soprattutto alla coetanea Annie.
Le due si giurano eterna amicizia e devozione, eternità che dura più o meno
fino al momento in cui Annie viene adottata da una coppia di ricchi in cerca di
un clone della figlia deceduta, dopodichè Annie troncherà ogni rapporto con
l’amica per non dover rivelare agli amici spocchiosi di essere nata povera.
Naturalmente questo pupazzo caricato a melassa di nome Candy non
gliene farà una colpa e non le serberà mai rancore, e sarà un atteggiamento che
manterrà a vita persino con le più perfide e recidive carogne della terra.
Infatti visto che la buona sorte sembra accanirsi senza pietà
sulla nostra eroina dai codini da cocker, in risposta alle preghiere in cui
chiedeva di essere adottata da una famiglia ricca per poter tornare ad essere
amica di Annie essa viene adottata da una ricca famiglia di origine scozzese, i
Lagan, o per meglio dire assunta
come dama di compagnia per la figlia Iriza, che insieme al fratello Near
cercherà di sopperire a una vita di lusso e noia cercando di rendere la vita un
inferno all’orfana con un accanimento gratuito.
Candy però non si dà mai per vinta, e nonostante i continui
soprusi fa la conoscenza (diventando amica inseparabile) dei tre cugini dei
due, appartenenti alla famiglia Ardlay: Archie,
Stear ma soprattutto Anthony,
che con una mossa uscita dritta dritta da La donna del mistero risulta la copia in carta carbone di
quel Principe della collina che anni addietro consolò una Candy in lacrime, e
di cui lei serba un caro ricordo nel suo cuore di zucchero filato.
Farà anche
la conoscenza di Albert, un
misterioso giramondo barbuto che indossa i Ray-ban senza stecche (indispensabile accessorio
di moda presente in ogni guardaroba del perfetto clochard del primo Novecento)
anche al buio e che parla con una puzzola con la permanente di nome Poppi.
Le angherie di Near e Iriza, gelosa soprattutto della
vicinanza tra Candy e Anthony, vanno oltre lo screzio addentrandosi nel codice
penale, e quando Candy viene accusata di furto la soluzione più logica e umana non
è rispedirla a calci nel culo all’orfanotrofio da cui proviene ma venderla a un
messicano perché la porti a lavorare in una fattoria oltre confine.
A questo punto si necessita di una piccola ma importante riflessione geografica: la casa di Pony si
trova nei pressi del lago Michigan, che si trova tra Michigan, Indiana,
Wisconsin e Illinois (notare la macchia blu a sinistra, siamo attaccati al Canada). Appurato che il viaggio di Candy non è durato
mesi e che presumibilmente i Lagan per quanto quella ragazza sia di una
bastardagine rara non siano stati tanto disperati di trovare compagnia a Iriza
da aver battuto a tappeto tutti gli Stati Uniti, limitandosi agli orfanotrofi
del circondario, viene da chiedersi il motivo della scelta di mandare Candy a
lavorare in MESSICO.
Fattorie nel circondario?
Non pervenute.
Magari spedirla nel sud rurale per farle raccogliere cotone a
paghe coatte al posto dei neri emancipati (e di cui in questo manga non v'è traccia)? Suonava troppo logico, si vede.
Ma questo manga è talmente impegnato a farci immergere fino ai
gomiti nelle romantiche vicissitudini di un’orfana baciata in fronte dalla
sfiga che non brillerà mai né per verosimiglianza storica né per attenzione
alla geografia: Albert si veste da hippie anni Settanta, Terence da new
romantic con lunghi capelli belli cotonati, Candy indossa spesso una salopette
di Jeans nei momenti informali e non c’è un personaggio che si acconci i
capelli alla maniera del tempo. Ma soprattutto, i paesaggi americani si
trasformano magicamente in paesaggi scozzesi solo perché quelle famiglie
provengono dalla Scozia (quasi che possano imporre la loro scozzesità al
background con la forza dei loro kilt e delle loro cornamuse), il Messico è
vicino al Michigan e la gente può fare avanti e indietro tra l’Inghilterra e
l’America come se fossimo in Star Trek.
Ma il destino di Candy non è mangiare Tacos e coltivare mais, e
quando mai: durante il viaggio, proprio mentre sta per subire l’immancabile
assalto sessuale della donna bianca da parte del mangiafagioli stereotipato coi
labbroni e il sombrero, viene rapita da un uomo col baffetto alla Walt Disney
che si rivela essere George, segretario personale dello zio William, il capo
della famiglia Andrew, il quale ha deciso di adottare ufficialmente Candy
dietro le insistenze di Archie, Stear e Anthony visto che in fondo è una brava guagliona.
Si rende necessario quindi presentare la nuova arrivata alla
famiglia, e quale occasione migliore di presentare a una mansnada di ricchi
snob una ragazza di umili origini, che non ha mai ricevuto una nobile
educazione e non ha mai messo il culo sopra un cavallo, di una caccia alla
volpe in cui si deve correre, saltare, sudare, e tempo per le chiacchiere zero?
D’altronde senza questo espediente per nulla forzato Anthony non avrebbe
mai potuto imitare Diletta di Via col vento, atterrare di faccia sul prato dopo
una caduta da cavallo e lasciare questo mondo.
Candy a questo punto è comprensibilmente
distrutta dal dolore, e torna alla Casa di Pony: come dimenticare infatti
Anthony, il principe azzurro, quel dolce e caro ragazzo che tra il regalarle
una rosa e l’andarsene in giro a mostrare quelle belle cosciotte sode sotto al
kilt la prendeva a sberloni di rovescio per aver osato scappare e
passare fuori la notte all’ennesima angheria di Iriza ed è stato il primo (e
unico dei tre cugini) a credere almeno all’inizio che la poveretta fosse
responsabile del furto dei gioielli dei Lagan?
Un’altra cose di questo manga che mi ha fatto storcere il naso
non poco è, a questo proposito, la trama
romantica fatta davvero con il culo, e mi fa ridere che le stesse persone
che sospiravano dietro queste trame e che asseriscono di aver avuto aspettative
romantiche altissime e inarrivabili grazie a cartoni come quello di Candy ora
magari sono quelle che se la prendono con le giovani generazioni debosciate che
corrono dietro a Christian Gray o alla Joker/Harley di Suicide Squad.
Il
romanticismo non esiste, a meno di non voler considerare romanticismo gente che si
innamora perdutamente dopo aver notato una somiglianza tra Candy e SUA MADRE
MORTA, aver scambiato due parole di convenienza ed essersi fatta prendere a
sberle (Candy e Anthony, che paradossalmente è l’unica cotta di Candy che
giustifico dal momento che lui era la copia sputata del suo principe misterioso
che tanti anni fa l’aveva consolata in un periodo di profondo sconforto); gente
che passerà la maggior parte del tempo a scriversi lettere o a struggersi in
lontananza (Candy e Terence, altro fenomeno); gente che si innamora a
caso e lo dimostra malissimo (Candy e Near); gente che soffre della sindrome
di Papà Gambalunga e non ha altro motivo per invaghirsi dell’amato bene se
non il fatto di essere bono e ricco da fare schifo (Candy e William). Le coppie
di convenienza abbondano: tutti amano Candy ma Candy questo non lo sa e come il
bombo continua a volare, quindi tutti devono accontentarsi della squinzia lì
attorno che li ama. O si devono sacrificare per stare accanto a quella che li
ama anche se loro non la amano, in un crescendo di WTF drammatico che a una
certa si è fatto francamente insopportabile.
Ma i momenti di pace per Candy non durano mai a lungo, perché bisogna
tenersi belli desti: infatti lo zio William non si sa bene per quale motivo
spinge tutta la famiglia ad andare a studiare
in Scozia nella stessa scuola (ma il manga sarà pieno di queste forzature,
o di incontri casuali, tipo quello di Candy e questo bad boy di nome
Terence Grandchester sulla nave che la porterà in Inghilterra, o quello con
l’amica d’infanzia Annie proprio in quella scuola, che sembra essere l’unica di
tutto il paese, una specie di Hogwarts della riccanza americana), nonostante
Candy non si sia mai vista con un precettore dai Lagan o con un libro in mano,
si presume non abbia mai avuto un’istruzione superiore all’orfanotrofio e abbia
passato metà del tempo a pulire la merda dei cavalli di Iriza o a parlare con
la puzzola Poppi. Eppure per motivi astrusi sa leggere in francese.
Iriza fa subito l’infame, nonostante sia vietato interagire tra
maschi e femmine Candy passerà più tempo nei dormitori dei maschi che in camera
sua, farà amicizia con Patty
(convenientemente dotata di occhiali per fare da controparte romantica di
Stear) e nel frattempo il suo cuoricino comincia a battere per un altro
personaggio con cui dare inizio a una romantica e per nulla inquietante o
fastidiosa o diseducativa storia d’amore: trattasi proprio di Terence, il quale fuma, beve, fa a
botte, schiaffeggia e sputa in faccia alle ragazze e non fa che tormentare
Candy con nomignoli e prese in giro, salvo poi rubarle il primo bacio a caso.
Ah, che bello.
La storia tra i due si rivelerà una meteora perché Terence sarà
costretto ad abbandonare la scuola, ma i due continueranno a struggersi
inspiegabilmente l’uno per l’altra nonostante la loro interazione sia stata
tutto fuorchè memorabile e nonostante nel corso della storia si scambieranno
qualche lettera e due parole in croce. Ma è comunque tutto molto bello e
tragico.
Amare
significa non dover mai dirsi convenevoli, e tutto il resto.
Candy non può restare in quella scuola senza il suo bad boy e
torna in America dove dopo un’inutile filler in cui con la bontà del suo cuore
e degli inutili bambini vestiti da angioletti riesce a sciogliere il cuore di
un avido speculatore e a salvare la casa di Pony, ha deciso a caso di fare l’infermiera, una delle uniche due
carriere riservate alle donne di questi manga insieme alla maestra). Nel
frattempo Terence ha inseguito il suo sogno di diventare attore teatrale (e lei
lo scopre dai giornali, pensa te quanto si parlano questi due, quanto è
realistica questa storia infelice), ma la storia tra loro finirà in tragedia
quando la sua collega attrice Susanna
perderà una gamba per salvarlo da un proiettore ballerino durante le prove e
lui dovrà sposarla e rimanerle accanto per senso di colpa e compassione (c’è
gente che si sposa per motivi peggiori, non vedo motivo di buttarla in tragedia se non per il fatto che la vita di Susanna è rovinata. Ma di Susanna non frega mai niente a nessuno).
Lo ritroveremo qualche capitolo
dopo sbronzo duro a recitare male in commediole schifose in una bettola (nonostante
mi risulti che Susanna sia di famiglia ricca e anche lui per quanto ribellino e figlio bastardo non sia proprio l’ultimo degli stronzi) perché senza Candy non si vive, per
essere salvato dalle lacrime salvifiche di Candy che, tra il pubblico, lo
incoraggia silenziosa e letale come una loffa.
Un epilogo di cui avrei fatto volentieri a meno.
Ma amare
significa anche non poter dire mai addio a Candy o finire malissimo perchè la sfiga è contagiosa, evidentemente.
Ma alla fine di tutta questa caterva di peripezie il sole
tornerà a splendere per la nostra Candy, con una rivelazione da Carramba che
sorpresa e un lieto fine amoroso buttato
ai maiali quando fino a due secondi prima pareva che senza Terence non si
poteva vivere. E come parentesi seria, nonostante io appoggi il fatto che
alla fine il vero amore di Candy non sia quello idealizzato dell’infanzia o il
bad boy tormentato dell’adolescenza ma qualcosa di adulto e stabile, l’amico di
sempre che le è sempre stato accanto fin da quel lontano giorno sulla
collina di Pony, dall’altro non è così naturale e obbligato che da grandi amici
si diventi amanti e il fatto che tra i due prima della fine non ci sia un
accenno romantico fa pensare più a un’unione di convenienza e a un amore nato
dalla gratitudine che da un sentimento sincero.
Quindi un po’ come quello di Terence e Susanna.
Invece no, perché Candy è innamorata, amore vero, belliXXimo!!
*
RIFLESSIONI
FINALI
Candy Candy è un manga che scopiazza a piene mani da tutta la
letteratura occidentale dell’Ottocento, e lo fa malissimo dal
momento che all’autrice (che non essendo europea magari giustamente non conosce
molto della nostra storia) nulla sembra fregare di qualsivoglia originalità o
verosimiglianza storica, basta che si soffra d’amore e si muoia, non
necessariamente in quest’ordine: abbiamo l’orfana sfigata costretta a svolgere
lavori umili (Cenerentola, Anna dai capelli rossi, La piccola principessa) ma
che non perde mai l’ottimismo (Pollyanna), con un misterioso benefattore che
interagisce con lei solo tramite lettera o tramite segretari personali (Papà
Gambalunga), tormenti amorosi degni di un libretto di Verdi e parentesi
patetiche e forzatissime.
Nonostante si tocchino temi molto seri e importanti come la
morte (e lo ammetto, quando è morto il signor McGregor ho pianto come una
stronza, e non scherzo, altro che morte di Stear o l’addio di Terence, col
quale ho riso come una iena), le differenze di classe, l’alcolismo o la
depressione, e nonostante sia ammirevole che Candy, un’eroina degli anni
Settanta in Giappone, voglia comunque trovare la propria strada senza dipendere
dai soldi dello zio William (anche se alla fine non è che la si veda tanto
camminare con le proprie gambe per davvero), o che si parli anche solo di
striscio della situazione dei figli bastardi in un’epoca di grande ipocrisia
forse non così lontana dalla nostra, resta tutto in secondo piano, mai
analizzato, tutto resta sempre
funzionale alle cagate romantiche e questo denota, almeno a mio avviso, una
grave mancanza che però non inficia totalmente la godibilità dell’opera.
Giudizio finale
Si ama, si odia, ma soprattutto si soffre. |
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