mercoledì 22 aprile 2020

[Recensione] CANDY CANDY

copertina manga candy candy recensione
Testi: Kyoko Mizuki
Disegni: Yumiko Igarashi
Tankobon: 9 (completo)
Edizione: Kodansha
Anno: 1975


*RECENSIONE SPOILERINA DI TUTTA LA SAGA*
Procedete a vostro rischio e pericolo, se avete vissuto con la testa sotto la sabbia per tutti gli anni 80 e non avete mai seguito un episodio dell’omonimo cartone animato.


PREMESSE DOVEROSE
Quando parliamo di Candy Candy è impossibile che non suoni un campanello pure al più arido dei cuori di pietra. Ci ritroviamo infatti di fronte nientepopodimeno che a una delle pietre miliari del genere Shojo, vale a dire i manga romantici destinati alle ragazze fatti di sfighe, batticuori e interminabili struggimenti. Candy Candy in tutto questo regna suprema, quindi chi amerà le lacrime strappa storie avrà davanti a sé l’opera della vita.

Qualche parola sulla TRAMA però è comunque d’obbligo: siamo in America nei pressi del lago Michigan dove una neonata (che deve avere solo pochi giorni di vita ma ha già un casco di banane di riccioli biondissimi, che Shakira può accompagnare solo) viene abbandonata davanti alla porta dell’orfanotrofio “La casa di Pony”, gestita dalla suddetta Miss Pony e da suor Lane (Maria nell’adattamento mediaset): alla bambina viene dato nome Candy White (in italiano solo Candy, come Cher), e cresce allegra e vivace insieme agli altri bambini ma soprattutto alla coetanea Annie. Le due si giurano eterna amicizia e devozione, eternità che dura più o meno fino al momento in cui Annie viene adottata da una coppia di ricchi in cerca di un clone della figlia deceduta, dopodichè Annie troncherà ogni rapporto con l’amica per non dover rivelare agli amici spocchiosi di essere nata povera.
Naturalmente questo pupazzo caricato a melassa di nome Candy non gliene farà una colpa e non le serberà mai rancore, e sarà un atteggiamento che manterrà a vita persino con le più perfide e recidive carogne della terra.

Infatti visto che la buona sorte sembra accanirsi senza pietà sulla nostra eroina dai codini da cocker, in risposta alle preghiere in cui chiedeva di essere adottata da una famiglia ricca per poter tornare ad essere amica di Annie essa viene adottata da una ricca famiglia di origine scozzese, i Lagan, o per meglio dire assunta come dama di compagnia per la figlia Iriza, che insieme al fratello Near cercherà di sopperire a una vita di lusso e noia cercando di rendere la vita un inferno all’orfana con un accanimento gratuito.
Candy però non si dà mai per vinta, e nonostante i continui soprusi fa la conoscenza (diventando amica inseparabile) dei tre cugini dei due, appartenenti alla famiglia Ardlay: Archie, Stear ma soprattutto Anthony, che con una mossa uscita dritta dritta da La donna del mistero risulta la copia in carta carbone di quel Principe della collina che anni addietro consolò una Candy in lacrime, e di cui lei serba un caro ricordo nel suo cuore di zucchero filato. 

Farà anche la conoscenza di Albert, un misterioso giramondo barbuto che indossa i Ray-ban senza stecche (indispensabile accessorio di moda presente in ogni guardaroba del perfetto clochard del primo Novecento) anche al buio e che parla con una puzzola con la permanente di nome Poppi.

Le angherie di Near e Iriza, gelosa soprattutto della vicinanza tra Candy e Anthony, vanno oltre lo screzio addentrandosi nel codice penale, e quando Candy viene accusata di furto la soluzione più logica e umana non è rispedirla a calci nel culo all’orfanotrofio da cui proviene ma venderla a un messicano perché la porti a lavorare in una fattoria oltre confine.

A questo punto si necessita di una piccola ma importante riflessione geografica: la casa di Pony si trova nei pressi del lago Michigan, che si trova tra Michigan, Indiana, Wisconsin e Illinois (notare la macchia blu a sinistra, siamo attaccati al Canada). Appurato che il viaggio di Candy non è durato mesi e che presumibilmente i Lagan per quanto quella ragazza sia di una bastardagine rara non siano stati tanto disperati di trovare compagnia a Iriza da aver battuto a tappeto tutti gli Stati Uniti, limitandosi agli orfanotrofi del circondario, viene da chiedersi il motivo della scelta di mandare Candy a lavorare in MESSICO.
Fattorie nel circondario?
Non pervenute.
Magari spedirla nel sud rurale per farle raccogliere cotone a paghe coatte al posto dei neri emancipati (e di cui in questo manga non v'è traccia)? Suonava troppo logico, si vede.
Ma questo manga è talmente impegnato a farci immergere fino ai gomiti nelle romantiche vicissitudini di un’orfana baciata in fronte dalla sfiga che non brillerà mai né per verosimiglianza storica né per attenzione alla geografia: Albert si veste da hippie anni Settanta, Terence da new romantic con lunghi capelli belli cotonati, Candy indossa spesso una salopette di Jeans nei momenti informali e non c’è un personaggio che si acconci i capelli alla maniera del tempo. Ma soprattutto, i paesaggi americani si trasformano magicamente in paesaggi scozzesi solo perché quelle famiglie provengono dalla Scozia (quasi che possano imporre la loro scozzesità al background con la forza dei loro kilt e delle loro cornamuse), il Messico è vicino al Michigan e la gente può fare avanti e indietro tra l’Inghilterra e l’America come se fossimo in Star Trek.


Ma il destino di Candy non è mangiare Tacos e coltivare mais, e quando mai: durante il viaggio, proprio mentre sta per subire l’immancabile assalto sessuale della donna bianca da parte del mangiafagioli stereotipato coi labbroni e il sombrero, viene rapita da un uomo col baffetto alla Walt Disney che si rivela essere George, segretario personale dello zio William, il capo della famiglia Andrew, il quale ha deciso di adottare ufficialmente Candy dietro le insistenze di Archie, Stear e Anthony visto che in fondo è una brava guagliona.
Si rende necessario quindi presentare la nuova arrivata alla famiglia, e quale occasione migliore di presentare a una mansnada di ricchi snob una ragazza di umili origini, che non ha mai ricevuto una nobile educazione e non ha mai messo il culo sopra un cavallo, di una caccia alla volpe in cui si deve correre, saltare, sudare, e tempo per le chiacchiere zero? D’altronde senza questo espediente per nulla forzato Anthony non avrebbe mai potuto imitare Diletta di Via col vento, atterrare di faccia sul prato dopo una caduta da cavallo e lasciare questo mondo.

Candy a questo punto è comprensibilmente distrutta dal dolore, e torna alla Casa di Pony: come dimenticare infatti Anthony, il principe azzurro, quel dolce e caro ragazzo che tra il regalarle una rosa e l’andarsene in giro a mostrare quelle belle cosciotte sode sotto al kilt la prendeva a sberloni di rovescio per aver osato scappare e passare fuori la notte all’ennesima angheria di Iriza ed è stato il primo (e unico dei tre cugini) a credere almeno all’inizio che la poveretta fosse responsabile del furto dei gioielli dei Lagan?
Un’altra cose di questo manga che mi ha fatto storcere il naso non poco è, a questo proposito, la trama romantica fatta davvero con il culo, e mi fa ridere che le stesse persone che sospiravano dietro queste trame e che asseriscono di aver avuto aspettative romantiche altissime e inarrivabili grazie a cartoni come quello di Candy ora magari sono quelle che se la prendono con le giovani generazioni debosciate che corrono dietro a Christian Gray o alla Joker/Harley di Suicide Squad.
Il romanticismo non esiste, a meno di non voler considerare romanticismo gente che si innamora perdutamente dopo aver notato una somiglianza tra Candy e SUA MADRE MORTA, aver scambiato due parole di convenienza ed essersi fatta prendere a sberle (Candy e Anthony, che paradossalmente è l’unica cotta di Candy che giustifico dal momento che lui era la copia sputata del suo principe misterioso che tanti anni fa l’aveva consolata in un periodo di profondo sconforto); gente che passerà la maggior parte del tempo a scriversi lettere o a struggersi in lontananza (Candy e Terence, altro fenomeno); gente che si innamora a caso e lo dimostra malissimo (Candy e Near); gente che soffre della sindrome di Papà Gambalunga e non ha altro motivo per invaghirsi dell’amato bene se non il fatto di essere bono e ricco da fare schifo (Candy e William). Le coppie di convenienza abbondano: tutti amano Candy ma Candy questo non lo sa e come il bombo continua a volare, quindi tutti devono accontentarsi della squinzia lì attorno che li ama. O si devono sacrificare per stare accanto a quella che li ama anche se loro non la amano, in un crescendo di WTF drammatico che a una certa si è fatto francamente insopportabile.

Ma i momenti di pace per Candy non durano mai a lungo, perché bisogna tenersi belli desti: infatti lo zio William non si sa bene per quale motivo spinge tutta la famiglia ad andare a studiare in Scozia nella stessa scuola (ma il manga sarà pieno di queste forzature, o di incontri casuali, tipo quello di Candy e questo bad boy di nome Terence Grandchester sulla nave che la porterà in Inghilterra, o quello con l’amica d’infanzia Annie proprio in quella scuola, che sembra essere l’unica di tutto il paese, una specie di Hogwarts della riccanza americana), nonostante Candy non si sia mai vista con un precettore dai Lagan o con un libro in mano, si presume non abbia mai avuto un’istruzione superiore all’orfanotrofio e abbia passato metà del tempo a pulire la merda dei cavalli di Iriza o a parlare con la puzzola Poppi. Eppure per motivi astrusi sa leggere in francese.


Iriza fa subito l’infame, nonostante sia vietato interagire tra maschi e femmine Candy passerà più tempo nei dormitori dei maschi che in camera sua, farà amicizia con Patty (convenientemente dotata di occhiali per fare da controparte romantica di Stear) e nel frattempo il suo cuoricino comincia a battere per un altro personaggio con cui dare inizio a una romantica e per nulla inquietante o fastidiosa o diseducativa storia d’amore: trattasi proprio di Terence, il quale fuma, beve, fa a botte, schiaffeggia e sputa in faccia alle ragazze e non fa che tormentare Candy con nomignoli e prese in giro, salvo poi rubarle il primo bacio a caso.
Ah, che bello.
La storia tra i due si rivelerà una meteora perché Terence sarà costretto ad abbandonare la scuola, ma i due continueranno a struggersi inspiegabilmente l’uno per l’altra nonostante la loro interazione sia stata tutto fuorchè memorabile e nonostante nel corso della storia si scambieranno qualche lettera e due parole in croce. Ma è comunque tutto molto bello e tragico.
Amare significa non dover mai dirsi convenevoli, e tutto il resto.

Candy non può restare in quella scuola senza il suo bad boy e torna in America dove dopo un’inutile filler in cui con la bontà del suo cuore e degli inutili bambini vestiti da angioletti riesce a sciogliere il cuore di un avido speculatore e a salvare la casa di Pony, ha deciso a caso di fare l’infermiera, una delle uniche due carriere riservate alle donne di questi manga insieme alla maestra). Nel frattempo Terence ha inseguito il suo sogno di diventare attore teatrale (e lei lo scopre dai giornali, pensa te quanto si parlano questi due, quanto è realistica questa storia infelice), ma la storia tra loro finirà in tragedia quando la sua collega attrice Susanna perderà una gamba per salvarlo da un proiettore ballerino durante le prove e lui dovrà sposarla e rimanerle accanto per senso di colpa e compassione (c’è gente che si sposa per motivi peggiori, non vedo motivo di buttarla in tragedia se non per il fatto che la vita di Susanna è rovinata. Ma di Susanna non frega mai niente a nessuno). 

Lo ritroveremo qualche capitolo dopo sbronzo duro a recitare male in commediole schifose in una bettola (nonostante mi risulti che Susanna sia di famiglia ricca e anche lui per quanto ribellino e figlio bastardo non sia proprio l’ultimo degli stronzi) perché senza Candy non si vive, per essere salvato dalle lacrime salvifiche di Candy che, tra il pubblico, lo incoraggia silenziosa e letale come una loffa.
Un epilogo di cui avrei fatto volentieri a meno.
Ma amare significa anche non poter dire mai addio a Candy o finire malissimo perchè la sfiga è contagiosa, evidentemente.

Ma alla fine di tutta questa caterva di peripezie il sole tornerà a splendere per la nostra Candy, con una rivelazione da Carramba che sorpresa e un lieto fine amoroso buttato ai maiali quando fino a due secondi prima pareva che senza Terence non si poteva vivere. E come parentesi seria, nonostante io appoggi il fatto che alla fine il vero amore di Candy non sia quello idealizzato dell’infanzia o il bad boy tormentato dell’adolescenza ma qualcosa di adulto e stabile, l’amico di sempre che le è sempre stato accanto fin da quel lontano giorno sulla collina di Pony, dall’altro non è così naturale e obbligato che da grandi amici si diventi amanti e il fatto che tra i due prima della fine non ci sia un accenno romantico fa pensare più a un’unione di convenienza e a un amore nato dalla gratitudine che da un sentimento sincero.
Quindi un po’ come quello di Terence e Susanna.
Invece no, perché Candy è innamorata, amore vero, belliXXimo!!

*

RIFLESSIONI FINALI
Candy Candy è un manga che scopiazza a piene mani da tutta la letteratura occidentale dell’Ottocento, e lo fa malissimo dal momento che all’autrice (che non essendo europea magari giustamente non conosce molto della nostra storia) nulla sembra fregare di qualsivoglia originalità o verosimiglianza storica, basta che si soffra d’amore e si muoia, non necessariamente in quest’ordine: abbiamo l’orfana sfigata costretta a svolgere lavori umili (Cenerentola, Anna dai capelli rossi, La piccola principessa) ma che non perde mai l’ottimismo (Pollyanna), con un misterioso benefattore che interagisce con lei solo tramite lettera o tramite segretari personali (Papà Gambalunga), tormenti amorosi degni di un libretto di Verdi e parentesi patetiche e forzatissime.

Nonostante si tocchino temi molto seri e importanti come la morte (e lo ammetto, quando è morto il signor McGregor ho pianto come una stronza, e non scherzo, altro che morte di Stear o l’addio di Terence, col quale ho riso come una iena), le differenze di classe, l’alcolismo o la depressione, e nonostante sia ammirevole che Candy, un’eroina degli anni Settanta in Giappone, voglia comunque trovare la propria strada senza dipendere dai soldi dello zio William (anche se alla fine non è che la si veda tanto camminare con le proprie gambe per davvero), o che si parli anche solo di striscio della situazione dei figli bastardi in un’epoca di grande ipocrisia forse non così lontana dalla nostra, resta tutto in secondo piano, mai analizzato, tutto resta sempre funzionale alle cagate romantiche e questo denota, almeno a mio avviso, una grave mancanza che però non inficia totalmente la godibilità dell’opera.

Giudizio finale
Si ama, si odia, ma soprattutto si soffre.

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