domenica 26 aprile 2020

[Recensione] I MOSTRI DI VERITY #1 - QUESTO CANTO SELVAGGIO


recensione victoria schwab questo canto selvaggio copertina
Autore: Victoria Schwab
Traduzione: R. Serrai
Ed. Italiana: Giunti, copertina rigida, 400 pagine,
Anno (Italia): 2017
Euro: 18,00

A volte, giunta all’ennesima delusione di fronte a un titolo straosannato dai fan del genere che si rivela l’ennesima cacata piena di clichè in cui la storia “fantastica” è solo una scusa per far limonare una cretina e uno scimmion, tra l’altro scritta con parti anatomiche che di solito non dovrebbero reggere una penna, penso di essere troppo vecchia per apprezzare un genere creato su misura per i ragazzi. Poi di solito comincia Elena di Avalor in tv, destinato direttamente alle bambine, e a quel punto torno in sintonia col mio fanciullino pascoliano quindi per un po’ non ci penso.
Ma a volte a mettere pace tra me e i prodotti per ragazzi e a farmi felicia capita uno YA con un worldbuilding intrigante che mi emoziona e mi fa interessare sinceramente alle sorti dei protagonisti. Se poi questo è scritto da una donna, è la ciliegina sulla torta.
E’ il caso di Questo canto selvaggio, prima opera di Victoria Schwab che finisce tra le mie manine e primo volume della saga de I mostri di Verity.


QUALCHE RIGA DI TRAMA
A Verity City la violenza regna sovrana: omicidi, attentati, rivalità tra bande, quotidiana criminalità sono arrivati a un livello tale che a confronto Gotham è Helsinki. Ma la violenza, si sa, genera mostri, in questo caso letteralmente: dagli atti violenti infatti hanno cominciato a prendere vita tre stirpi di creature mostruose. Ci sono i Corsai, poco più che bestie: istintivi, selvaggi, dai pensieri elementari, che attendono al varco la vittima incosciente che si avvicini troppo al buio.
I Malchai, altrettanto avidi di sangue ma più sofisticati nel modo di comportarsi e di cacciare: umani li si potrebbe definire nel bene e nel male se non fosse per la carnagione così pallida da sembrare morta e gli occhi scarlatti, sono la stirpe che anche visivamente più si avvicina ai nostri classici vampiri.
E infine i più rari e potenti Sunai, quasi del tutto indistinguibili da un essere umano in condizioni normali, i quali nascono dai crimini più efferati che prevedono la morte di un gran numero di persone (attentati, suicidi di massa, stragi scolastiche). Loro non si nutrono di carne e ossa come i Corsai né di sangue come i Malchai: scovano chi si è reso colpevole di un crimine violento e irretiscono con una musica ipnotica solo le anime colpevoli di un delitto che ha comportato la morte di un altro essere umano. Sono costretti a nutrirsi, pena sofferenze inimmaginabili.

Ma come si gestisce il male a Verity?
Come si tengono a bada queste creature?

Callum Harker, che governa sulla parte nord della città, ritiene che la risposta sia un connubio di pugno di ferro e capitalismo: stringe delle alleanze con i Malchai, tiene a bada con la violenza i Corsai e istituisce un sistema di protezione per cui la gente paga un fiume di pecunia e in cambio ottengono una medaglietta pacchiana con il suo brand. Non importa che tu sia un peccatore o una brava persona, chi è ricco è protetto e chi non paga cazzi suoi.
A sud di Very invece Henry Flynn è un idealista che vorrebbe proteggere tutti gli esseri umani indistintamente (chiedendo alla gente di rischiare la vita gratis e stupendosi poi di avere pochi volontari) ed eliminare il problema che infesta Verity alla radice. Ecco perché si batte con coraggio insieme a un plotone di volontari per uccidere Corsai e Malchai mentre i suoi tre figli adottivi, tutti Sunai, si occupano di esorcizzare gli uomini malvagi.
Le due zone, separate fisicamente da un muro, si reggono su una flebile tregua, e in questo scenario si muovono e incroceranno i loro cammini i nostri due specialissimi protagonisti, Katherine Harker, la figlia ribellina di Callum, e August Flynn, il più giovane dei Sunai accolti da Henry. Non ti puoi sbagliare, i protagonisti sono sempre specialissimi. Ma in questo caso va bene così, non si fosse specialissimi a Verity si morirebbe in due giorni.

*

QUALCHE RIFLESSIONE SPARSA
Questo romanzo non è la cosa più originale e golosa mai creata da mente umana, e nemmeno me lo aspetto da uno YA. Il libro corre per tutto il tempo rasente al binario dritto e regolare dei clichè di genere, attraversa di striscio gli stessi placidi e sicuri paesaggi già visti tipo mille volte e io ho passato l’intera lettura TERRORIZZATA che a un certo punto tutto svaccasse e si cadesse in qualcosa di irritante e prevedibile come il “ti odio ma ti amo”, “uuups, la mia camicia si è strappata/bagnata, meglio togliersela per far vedere gli addominali alle lettrici”, “sono una donna pawaaaah profonda come una pozzanghera che sogna solo l’amore”, ma fortunatamente la Schwab è trollina e questo,almeno finora, non accade.
Grazie Victoria.

Questo canto selvaggio (This savage song in originale) non è un titolo dato a caso perché suona bene, e forse da qui la scelta lodevole di Giunti di non metterci mano con estrose leziosità (perché dire imbarazzanti cazzate suona brutto, vero Rizzoli?) e tradurlo alla lettera.
Tutto in questo libro richiama alla musica, e non solo perché, motivo più superficiale, August suona il violino e in generale i Sunai operano attraverso la musica. La stessa Kate ha come tic nei momenti di maggior nervosismo il battere il tempo con le dita, e quasi diventa per August un metronomo con cui tenere il ritmo. Non a caso nel corso dell’opera sarà lei a rappresentare più volte per il Sunai un punto di riferimento, senza diventare una pawah che fa tutto lei, risolve tutto lei.
Ha buone idee perché conosce meglio la città e il mondo degli umani rispetto a August che non è mai uscito di casa, ma di fronte a cose più grandi di lei, giustamente, è impotente.
Per buona parte del libro poi viene riportata, canticchiata da diversi personaggi nel corso della storia, una filastrocca che si presume venga insegnata ai bambini fin da piccoli a Verity City, per metterli in guardia dai mostri che si annidano nel buio. E che serva a esorcizzare la paura o a far passare il tempo mentre si aspetta che un Sunai faccia il suo “dovere”, la filastrocca scandisce i ritmi della metropoli.


«Mostri, mostri, belli e brutti
Verranno a mangiarvi, a uccidervi tutti.
Corsai, Corsai, artigli e zanne,
La vostra vita misurano a spanne.
Malchai, Malchai, vi mostrano i denti,
E gli occhi rossi, volenti o nolenti.
Sunai, Sunai, occhi di pece,
Sentite una musica, poi l’anima tace.
Mostri, mostri, belli e brutti,
Verranno a mangiarvi, a uccidervi tutti!»



Lo stesso punto di vista dei due protagonisti si alterna di capitolo in capitolo come un duetto armonico che parte con un capitolo a testa (anche nei momenti in cui sono insieme nello stesso posto) e poi va intrecciandosi sempre più man mano che i due personaggi si avvicinano, diventando un tutt’uno indissolubile nel momento clou per poi separarsi ancora, come una melodia che va sfumando nel finale.

Chi si aspetta un Romeo e Giulietta paranormal-postapocalittico però casca male.
I due protagonisti si incontrano in ambiente scolastico, ma non vi daranno la soddisfazione di incontrarsi casualmente dopo aver sbattuto l’uno contro l’altra mentre lei sta correndo perché è in ritardo e lui è distratto da cupi pensieri di morte perché è bello e maledetto; nessuno noterà nemmeno per un secondo i pettorali marmorei di lui mentre è disteso nella vasca da bagno, o gli occhi splendenti e la pelle perfetta di lei durante un pigro pomeriggio passato insieme. August di Kate noterà al massimo la cicatrice che le percorre l’orecchio (da cui è sorda) e zigomo, frutto di un incidente che ha avuto da bambina e in cui ha perso la madre, quando per caso le si scosteranno i capelli dal viso. Lei noterà gli occhi di lui solo quando questi da grigi si faranno neri come la pece, nel momento in cui la fame di Sunai si farà insostenibile, e non sarà certo un momento soft porn. Kate e August sono due anime sole e schive che trovano una luce l’uno nell’altra, qualcuno di cui fidarsi, un modo di sopravvivere e sentirsi, a modo loro, umani.
Persino il modo in cui inevitabilmente si avvicinano non ha nulla di forzato.
A una certa, nel punto di maggior sfiducia reciproca, saranno letteralmente costretti a collaborare perché qualcuno vuole incastrare entrambi per mettere fine alla tregua, ma già prima di allora hanno parlato molto, sentendo di essere anime in sintonia nonostante appartengano a mondi così diversi.

Kate non è un personaggio facile da amare. Perché non è una damina fragile, ma nemmeno una pawaaah bidimensionale o una sassy senza sostanza che in fondo cerca solo l’amore per farsi rimettere in riga. Kate è proprio una criminale in erba, una queen bitch del liceo con licenza di uccidere.


Inizialmente vuole entrare nelle grazie di un papi malvagio (che è proprio quello di cui necessita una città in cui la violenza genera mostri, un criminale violento…), diventare fredda, spietata, letale e determinata: conquistarsi un posto di dominio nella scuola che frequenta o diventare una letale macchina da guerra per mostri è per lei una missione da perseguire con ogni mezzo, specie se violenti perché è il padre a gradire questi metodi. Ma il suo scopo alla fine di questo libro non sarà innamorarsi e trovare la sua altra metà paranormal della mela per combattere insieme contro le forze del male, ma proprio il contrario: smetterla di cercare amore dove chiaramente non ce n’è, ritrovare se stessa, diventare una persona che non chiude più gli occhi di fronte alle verità scomode (ed è ironico che una città di nome Verity tutto persegua fuorchè la verità).
In più Kate è una giovane pawah, ma è sensato che lo sia.
Vive comunque un mondo in cui ci sono dei mostri assetati di sangue, e lei è la figlia dell’uomo più potente e odiato di Verity: deve difendersi quindi sia dai mostri che dagli uomini che possono nuocere a suo padre attraverso lei. Per questo nonostante la giovane età è logico che sia una persona consapevole dei pericoli che la circondano, che nasconde armi letali che è perfettamente in grado di usare nella divisa, e perfettamente in grado di usarle, ma anche di rompere una clavicola a un professore di ginnastica durante una dimostrazione di poco efficaci tecniche di autodifesa che prevedevano tra le altre cose quella di colpire un vampiro all’inguine.
Segue immagine di repertorio.


Se Kate è intrappolata in questa spirale di violenza (cosa che le causa ansia e un continuo stato di tensione fisica ed emotiva), paradossalmente è August a essere tra i due il più umano, che è un clichè ma funziona. August, che nonostante sia un figlio adottivo e non sia nemmeno umano ha un rapporto molto più intimo e affettuoso con i suoi “genitori” e i suoi “fratelli” (specie con la sorella Ilsa, costretta a non uscire mai di casa a causa dell’instabilità del proprio potere) di quanto abbiano mai avuto Kate e suo padre. Non a caso l’unico momento in cui viene davvero colpito sul personale dalle frecciate di Kate è quando lei insinua che Henry non sia davvero suo padre.
August è un introspettivo, perennemente in conflitto con se stesso.
E’ un mostro ma ha sentimenti anche se passa le ore davanti allo specchio per imitare le espressioni umane; studia avidamente tutto lo scibile umano per dare un senso alla propria esistenza, si sente responsabile del gatto appartenuto ad una delle sue vittime al punto da portarlo a casa per occuparsi di lui e vuole dare una mano a suo padre e alla gente della città combattendo in prima linea come suo fratello maggiore Leo, anche se al tempo stesso il pensiero di uccidere un essere umano, per quanto colpevole, lo riempie di dubbi, e cerca di rimandare quanto più possibile il momento del prossimo “pasto”.
A un certo punto si chiederà addirittura se sia giusto quello che fa, se il Sunai sia effettivamente un portatore di giustizia e la soluzione al problema dei mostri a Verity, o se invece non sia poi tanto diverso da un Malchai o un Corsai o da Callum Harker qualunque visto che sembra non faccia nemmeno differenza il motivo per cui la loro vittima ha dovuto compiere un delitto. Che si agisca per piacere o per autodifesa l’anima sembra essere ugualmente corrotta, in fondo, ma a lui non sembra affatto la stessa cosa.
August ha paura di morire senza lasciare nulla dietro di sé, ma ha anche paura di cedere a un’oscurità divorante, come il suo integerrimo fratello maggiore che usa il suo potere senza remore per portare nel mondo non la pace ma la punizione divina. August è un personaggio di una tenerezza infinita, e per tutto il tempo, come alla fine del gobbo di Notre Dame di disneyana memoria, viene da domandarsi chi sia il vero mostro in questa storia.
Risposta: gli uomini, ma ci si poteva arrivare facilmente.

Ad accomunare lui e Kate c’è però, oltre all’essere specialissimi, la voglia di non chiudere gli occhi di fronte a una realtà scomoda come il resto di Verity. Perché i mostri imperversano nelle strade ma a scuola non si insegna seriamente l’autodifesa, la storia è raccontata in modo asettico e propagandistico concentrandosi sulla sola parte Nord, la gente si sente al sicuro portando al collo dei medaglioni che possono esser strappati via dal collo il giorno successivo qualora non si dovessero avere i soldi per comprare la protezione di Callum Harker (e possono scatenare a loro volta rancori, invidie, e quindi altre violenze da parte di chi non è così fortunato da possederne uno), chiudendosi in casa al tramonto quando non sono certo porte chiuse a tenere alla larga i mostri.
Ma quanto potrà durare questa situazione?
Nessuno riflette sul fatto di essere sull’orlo di una guerra, non sembra importare.
Ma nemmeno li si può biasimare per questo, perché la paura paralizza e porta a negare le verità scomode, portando ad aggrapparsi con le unghie e con i denti a una parvenza di normalità. Emblematico ma umanissimo il fatto che nonostante si sappia benissimo che l’origine di quei mostri deriva dalla violenza contro un altro essere umano si continua senza particolari problemi a uccidersi per motivi futili.

*

Grande attenzione viene dato dalla Schwab anche al worldbuilding: vaghi cenni in corso di narrazione ma che bastano a schiudere davanti ai nostri occhi il mondo in cui si muovono i protagonisti, che è il nostro, ma no. Molti capitoli sono dedicati alla vita a scuola o al territorio urbano, ai cunicoli della metropolitana o alla natura, ma anche a ciò che accade fuori Verity.
Si passa da una pigra lezione di storia che ci spiega come si è giunti al sistema politico attuale a seguito di una perdita di potere del governo centrale degli Stati Uniti a stralci di vita nelle altre metropoli: separate tra loro da frontiere per proteggere quello stralcio di normalità che ancora si può sperare di avere al di fuori di Verity (ma per quanto?), lì i mostri non sono che favole per spaventare i bambini. Si passa dalle zone semi abbandonate di South City in cui la gente sarebbe abbandonata a se stessa se non fosse per Henry Flynn alla periferia di Verity in cui vige la legge di Mad Max.


Il libro attua per tutto il tempo una sorta di zoom all’indietro dal punto di vista dell'ambientazione: parte presentandoci August nella sua camera zeppa di libri e termina su strade deserte che si perdono verso l’orizzonte: pagina dopo pagina il mondo della Schwab si schiude sotto ai nostri occhi.
Un mondo in cui un uomo può disprezzare la vita mentre un mostro può amarla.
Che messa giù così non è che sia chissà quanto originale, e non è che i colpi di scena brillino per genialità, ma il libro mi ha comunque emozionata, e tanto: dà molto spazio ai suoi personaggi, è scritto con amore e intelligenza e, almeno finora, evitando qualsiasi facile fanservice per farsi plaudere da una folla adorante di giovani fanciulle romantiche. A volte basta anche questo a trovarsi di fronte a un ottimo libro.

Giudizio finale:
Poco fanservice e tanto amore per il proprio mondo

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