martedì 28 aprile 2020

[Recensione] SOTTO LA PELLE

copertina michel faber recensione libro sotto la pelle
Autore: Michel Faber
Traduzione: L, Lamberti
Ed. Italiana: Einaudi Super ET, copertina flessibile, 268 pagine,
Anno (Italia): 2014
Euro: 12,00


Migliaia di recensioni entusiastiche in giro per il web, una media di voti da parte dell’utenza alta, presenza di tematiche condivisibili quasi a livello universale…

… Eppure mi trovo DI NUOVO nella situazione di andare controcorrente e optare per una totale stroncatura, nonostante il libro in sé non sia scritto male e metta sul piatto messaggi condivisibili e attuali: questo non perché io sia una bastiancontraria a tutti i costi ma perchè in breve trovo questo romanzo superficiale, facilone, morboso e stupido nella resa. Insomma, per me è un grosso e grasso


*

QUALCHE DOVEROSA RIGA DI TRAMA
Isserley è una donna minuta, con grandi e spessi occhiali da vista, capelli indomabili e due meloni che sfidano la forza di gravità, che trascorre le sue giornate a percorrere le Highlands scozzesi lungo la A9 a bordo del suo autoveicolo. La sua missione è caricare autostoppisti che presentino certi standard fisici, con una buona massa muscolare e preferibilmente maschi, per portarli alla sua fattoria dove questi vodsel, così vengono chiamati, verranno menomati, messi all’ingrasso e trasformati in cibo.
E se questo vi sembra il colpone di scena, la locura, cosa che si sarebbe tenuti a pensare visto che l’autore rivelerà questa cosa più o meno a metà romanzo e inventa addirittura una razza aliena che tra i membri della loro specie si appellano col titolo di “esseri umani” di modo da distinguerli dai noi vodsel evidentemente non sembrava così a Einaudi, che ha ben pensato di ficcare uno spoiler grosso come una casa in quarta di copertina.
Geniale.

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Ma al di là di questa manovra dal mio punto di vista a dir poco bastarda ma che a livello di marketing può avere un suo senso per attrarre il lettore che si ritrovi tra le mani questo tomo in libreria (altrimenti non si andrebbe oltre le prime 50 pagine fatte di dialoghi stronzi tra Isserley e l’autostoppista di turno che vogliono insegnare al lettore una profonda lezione di vita, cioè che fare l’autostop è pericoloso. Grazie Faber, davvero, che insegnamenti preziosi) Il libro presenta tanti di quei problemi che mi trovo in seria difficoltà a organizzare un discorso lineare.
Quindi seguirò un flusso di coscienza libero.
Niente di nuovo sotto il sole.

QUESTIONE ALIENI
Faber riesce talmente male nell’intento di tenersi ambiguo sull’effettiva natura di questi esseri per darci l’effetto straniante del surprise surprise e portare avanti i suoi messaggi piuttosto banali (il capitalismo è brutto, sfruttare gli animali è brutto, la natura è bella, caricare gli autostoppisti è pericoloso) che per la maggior parte del tempo ho creduto che Isserley e i suoi colleghi fossero creature di origine terrestre ma che abitavano luoghi remoti da raggiungere con una nave-cargo o le profondità della terra, portati in superficie dalla fame dovuta allo sfruttamento intensivo del pianeta da parte dei Vodsel. Nulla mi avrebbe fatto mai pensare a esseri provenienti da altri mondi dal momento che:

1) Sembrano grossi volpini di Pomerania e per sembrare umani gli basta subire una serie di operazioni chirurgiche modello Rocket Raccoon (anche se Rocket rompe molto meno i coglioni su quanto queste operazioni gli procurino dolore: anche un po’ meno Faber, il messaggio, posso assicurare, arriva lo stesso).
2) Usano un sistema di comunicazione basato su una lingua, straniera quanto si vuole, che prevede che Isserley la studi su libri, riviste e programmi tv, ma che possa impararla (e che possa parlare tranquillamente la sua lingua d’origine pur con mezza faccia scavata per ricavare un viso umano da un muso a punta).
3) Hanno un sistema basato sul CAPITALISMO SFRENATO e su domanda e offerta fornita da multinazionali senza scrupoli, nomineddio.


Da parte dell’autore (che sta scrivendo un romanzo di fantascienza, e forse questo è uno dei punti cardine visto il genere che hai scelto per veicolare il tuo messaggio) sforzi immaginativi nulli per creare qualcosa di davvero alieno, creature diverse (e non dei grossi cani col pollice opponibile) spinte al limite da bisogni primari o invischiate in sistemi economici e politici che potrebbero anche richiamare tra le righe al capitalismo (visto il messaggio critico che si vuole portare avanti) ma nei fatti molti diversi dal nostro.
Ma meglio volare bassi e creare simboli superficiali e scorreggioni, così il lettore non fa troppo sforzo per coglierli.

In più Faber ha talmente voglia di presentare le sue tematiche “satiriche” che sull’aspetto di questi alieni si tiene vago e crea grossi cani parlanti, e sulla loro organizzazione sociale al di là della rigida divisione economica stende direttamente un velo pietoso dal momento che nell’unico punto del libro in cui sembra provarci si barrica dietro una barriera di termini alieni a cazzo senza prendersi la briga di spiegare alcunchè.

Cito dal testo:
“Alla fine però i Vodsel non sapevano fare nessuna delle cose proprie degli umani. Non potevano siuwil né mesnishtil, non avevano il concetto di slan. Nella loro brutalità, non si erano mai evoluti abbastanza da usare l’hunshur, le loro comunità erano così rudimentali che l’ississins non esisteva ancora; né queste creature sembravano manifestare il bisogno di un chail neppure del chailsinn.”
Faccio anche io questo gioco, dai: il popolo Sblurf del sistema stellare Ohpen fa il patagarrau mentre si sflotange lo zimbabuana nel xylodivadeur del franco.


Mi vuoi fare un libro in cui vuoi puntare il dito contro lo specismo e il fatto che ci riteniamo superiori alle bestie che macelliamo senza averne motivo? Perfetto, anche se non si condivide quel pensiero può saltar fuori una roba interessante, ma allora non mi rendere la tua razza superiore tale e quale a quella macellabile glissando totalmente su ciò che li differenzia coprendo la tua mancanza di talento e fantasia dietro parole inventate.
Che cazzo di fantascienza è?

Anche dal punto di vista della STORIA in sé non è che Faber abbia prodotto chissà che dono di Dio alla letteratura: per la maggior parte del libro cerca di acquisire volume con dialoghi noiosi e ripetitivi tra Isserley e gli ignari autostoppisti (che a quanto pare nelle Highlands abbondano visto che non passa giorno senza che non ne incroci almeno due o tre e si permette anche di fare la schizzinosa), chiacchiere mirate a capire se questi passeggeri sono vittime ideali, ovvero persone senza famiglia e senza contatti in zona che nessuno cercherà con insistenza, (e glisso sulla faciloneria con cui 9 volte su 10 Isserley sembri quasi giustificata dall’autore nel decidere chi muore e chi arriverà sano e salvo alla meta designata visto che quasi tutte le sue vittime risultano persone sgradevoli, razziste o violente. Perché il messaggio vuole essere antispecista ma al tempo stesso vuoi far provare simpatia verso la tua protagonista denigrando le sue vittime, perchè gli esseri umani fanno schifo, altro prezioso insegnamento. Il resto del tempo ci si barcamena tra morali spicciole e lamentele sulla condizione di “deforme” di Isserley, che sarebbero anche sensate se lei non sembrasse Elsa che scappa disperata dalla stanza perché per colpa sua al castello non festeggiano il natale, continui e immotivati riferimenti ai suoi seni, particolari morbosi sui testicoli flosci dei Vodser e scene sessuali non sempre consensuali e francamente inutili (in cui riceviamo informazioni di cui io non sentivo il bisogno, ovvero che durante le operazioni chirurgiche subite un volpino alieno è stato dotato anche di qualcosa che somiglia a una vagina).
Ooooookay bro…


C’è infine quella fastidiosa sottotraccia di BECERO PATERNALISMO a dare la mazzata finale a questo libro, per cui nonostante Isserley conosca la cultura vodser più di tutti i suoi colleghi, nonostante sia l’unica a interagire (e amare) il mondo esterno e le sue meraviglie naturali, nonostante a più riprese comunichi con le sue vittime, in fondo è solo una povera operaia ignorante che fatica a sbarcare il lunario e non comprende appieno le implicazioni del suo lavoro finchè non arriva (letteralmente) dal cielo qualcuno di più evoluto: ecco quindi comparire il figlio e indegno erede del capo della Vess Corporation, che si presenta liberando quattro esemplari di vodser nella ferma convinzione che siano creature intelligenti che non meritano di essere trattate in quel modo e usate come cibo.

"Grazie per avermi corretto..."

Ovviamente Amlis Vess non sa nulla della cultura vodser.
Non conosce una parola del loro linguaggio, per lui sono solo pikkoli ancioli calvi.
Questo tizio è talmente retorico e ignorante da sembrare a conti fatti la presa per il culo di un animalista (cosa che penso sia voluta, perché a un certo punto si farà riferimento addirittura al fatto che Vess è talmente impegnato a preoccuparsi della causa vodser da non notare la sofferenza di un umano che ha al suo fianco), e in un libro del genere, costruito per affermare tutto il contrario, onestamente mi sembra una scelta deficiente. Ma è bono, ha il pelo nero e folto e un bel culo ci tiene a specificare Isserley, quindi a conti fatti si può anche pendere dalle sue labbra mentre sciorina vuota retorica (”Questo sistema di commercio è crudele”, “Il capitalismo è iniquo coi poveri”, “Ogni creatura merita rispetto”, “tutti sono bellissimi, anche tu che sei deforme e senza peli”, ”Inserire cliché”), vivere un momento pseudo romantico sotto la neve e, quando lui se ne va a casa sua a vivere la sua vita privilegiata da alternativo edgy, farsi venire finalmente i dubbi veri e dissociarsi dai suoi simili fino ad abbandonare la fattoria.
D’altronde lu pover è shtupide!

*

Di questo libro non riesco a salvare assolutamente nulla, nemmeno la forma anche se non è questo disastro, anzi. Perché preferisco una cosa scritta male ma con ingenuità a uno che ti prende scientemente per il culo, perché avrebbe tutti i mezzi per portare al pubblico una storia interessante, che colpisce al cuore e con dei bei messaggi di fondo ma decide di andare avanti a scelte pigre e cliché.


Giudizio finale:
Brutti clichè, pigrizia e cazzate

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