mercoledì 13 maggio 2020

[Recensione] AGENTE 007 - LICENZA DI UCCIDERE

recensione 007 licenza di uccidere film
Anno: 1962
Regia: Terence Young
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Johanna Harwood, Richard Maibaum, Berkely Mather
Cast: Sean Connery, Ursula Andress, Joseph Wiseman

Confesso di avere un rapporto altalenante con la saga di James Bond: non sono una fan dell’action machista e all’insegna del “più culo che anima", ma adoro la sua ironia e il suo carisma, in più trovo molto divertenti i vecchi film, e molto affascinante dal punto di vista storico studiare il modo in cui sono cambiati i costumi attraverso i prodotti della cultura pop.
Bikini bianco di Ursula Andress? Nessuno?

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Licenza di Uccidere (Dr. No in originale. Curiosamente, il successivo Licence to kill del 1989 diventa da noi per ovvi motivi Vendetta Privata) è un film del 1962, primo tentativo di portare sul grande schermo i romanzi dell’instancabile Ian Fleming.


LA TRAMA IN SOLDONI
James Bond, agente dell’MI6, viene incaricato da M di indagare sulla morte del suo collega John Strangways: le sue indagini lo porteranno in Giamaica, dove il suo cammino si incrocerà con gli scagnozzi del dottor Julius No, membro dell’ancor più misteriosa organizzazione criminale Spectre, ma soprattutto col primo manipolo di avvenenti fanciulle in ambiti succinti pronte ad essere sedotte, maltrattate e abbandonate dall’eroe.
La più memorabile, anche a livello di immaginario iconico è la "giamaicana" Honey Ryder: prima della sequela di Bond Girl dai nomi ammiccanti e improponibili, anche se non arriviamo ancora ai livelli di Pussy Galore. Nonostante nella vita cerchi conchiglie sulla spiaggia Honey si unirà a Bond visto che anche lei ha un conto in sospeso con il dottor No, che le ha ucciso il padre. Nonostante questo al momento clou, in procinto di avere la sua vendetta verrà mandata via perché dà fastidio.
Cazzo te la sei portata dietro a fare, dico io?
Così l’agente segreto ancora privo di gadget avveniristici, un pescatore del posto e una raccoglitrice di conchiglie partono alla ricerca di un signore del crimine circondato da sgherri armati fino ai denti, finendo catturati in molto più tempo di quello che si penserebbe. Cioè, in realtà solo Bond e Honey vengono catturati.
Per l’unica comparsa di colore non c’era scampo nel 1962.
Visto che la lussuosa villa del Dottor No è circondata da terreni altamente radioattivi i due eroi vengono sottoposti a lunghe doccette calde decontaminanti che altro scopo non sembrano avere se non quello di permetterci di ammirare la Andress che fa le faccette guduriose prima di mostrarsi in tutta la sua adamitica gloria. Anche ai granitici pettorali villosi di Connery si può dare una sbirciata, ma non è la stessa cosa.

Sarebbe troppo facile fare battute...
Idem come sopra...
Qui vedi proprio la paura della Andress di essere prigioniera E radioattiva...
Qualcuno può decontaminarsi in modo normale per cortesia?
A questo punto arriva l’ovvio spiegone del cattivo.
Giustamente non ti prendi la briga di decontaminare il tuo nemico come se fosse nel bagno di casa sua se non hai intenzione di spiegargli con calma tutto il tuo piano malvagio.
Il Dottor No quindi davanti a una bella tavolata ci spiega quindi la storia della sua vita con dovizia di particolari, confidandoci che, sentitosi ignorato e sminuito  come scienziato sia dal blocco orientale che da quello occidentale (siamo in periodo di Guerra Fredda, non scordiamolo), ha deciso di voltare le spalle a entrambi e mettere il suo genio a disposizione di una multinazionale segreta del crimine. Il loro scopo a questo giro è sabotare le missioni spaziali americane.
Quindi dietro ci sono i soliti cattivi russi.
Russi che sparavano animali nello spazio dai primi anni ’50 ma perdono comunque tempo e denaro per sabotare gli americani, che erano ancora all’equivalente spaziale del girare nudi a caccia di marmotte. Cosa che è pure plausibile in un’ottica di boicottaggio reciproco, ma la propaganda di stampo maccartista fa sempre ridere.

Alla fine Bond, sorpresa sorpresa, risolve la situa e salva la ragazza, limonando selvaggiamente in un motoscafo alla deriva.

*

Licenza di uccidere è un film di esordio, a basso costo (1 milione di dollari, poco anche per i canoni dell'epoca), tutt’altro che memorabile, specie nelle sequenze d’azione che non è che spicchino per adrenalina (la maggior parte del tempo Bond la passa nascosto sotto i canneti e dietro le rocce) e con effetti speciali farlocchi: il carro armato sputafuoco di No sembra fatto di cartone, ma basta quello a terrorizzare gli indigeni facendoglielo scambiare per un drago.
Eppure è un film che resta nel cuore, in cui già troviamo elementi iconici.
Il Martini rigorosamente“agitato, e non mescolato”.
L’intro con Bond theme e barrel gun.
Le magnifiche Bond girls.

Che poi è uno dei motivi per cui a un film del genere oggi si darebbe fuoco, e dall’altro lato è il motivo per cui lo zoccolo duro tradizionalista del franchise inorridisce alla sola idea di avere un James Bond donna nonostante 007 sia un nome in codice che indica l’agente numero 7 della sezione 00 e non le dimensioni del suo pene in pollici.
Le Bond girls infatti non sono certo un esempio di moderno women power.
Non brillano mai per forza né per intelligenza, mal che vada (come in questo caso) sono donne del luogo invischiate in qualcosa più grande di loro, bene che vada sono agenti segreti o gregarie del cattivo di turno, ma raramente riescono ad essere più di “semplici donne” pronte a cedere al fascino del sardonico Bond o morire male.
Se hanno sfiga, entrambe le cose.
Il loro ruolo è passivo: una brava Bond girl infatti mira non tanto a sedurre (come farebbe ad esempio una Fujiko Mine) quanto a venir sedotta, mostrando al pubblico le doti ammaliatrici del pene di Bond. E’ anche quello di non servire fondamentalmente a nulla, come nel caso della nostra Honey, tranne che a offrire al pubblico qualcosa da vedere con la scusa di una decontaminazione da radiazioni.
Visto che negli anni ’60 non si andava tanto per il sottile con la sensibilità femminista, Bond raramente ci va leggero con queste ragazze, che siano doppiogiochiste o ingenue alleate finite in mezzo ai guai senza volerlo: le strattona, le tratta con sufficienza, le tiene in disparte durante l’azione (se non sono loro a rappresentare una minaccia, ma puntualmente Bond le atterra con poca fatica), spesso le sminuisce in virtù del loro sesso e non manca di andarci a letto per poi tradirle alla bisogna.

A questo aggiungiamo anche una spruzzata abbondante di quello che oggi si definirebbe whitewashing con una punta di razzismo: se in film come West Side story ci si prendeva la briga di prendere attori almeno scuretti per interpretare dei portoricani, qui non si fa nemmeno finta di voler scegliere un’attrice che sembri giamaicana (a mio avviso non è un caso che a interpretare Foxxy Cleopatra in Austin Powers - Goldmember sia Beyoncé mentre nella finta trasposizione cinematografica che vediamo all'inizio dello stesso film il ruolo sia interpretato dalla britannica Gwyneth Paltrow), e ci si ritrova con la bionda, sinuosa e svizzera Ursula Andress a interpretare Honey Ryder (doppiata anche in originale per non farla sembrare una ex nazista finita sulle calde spiagge giamaicane per sfuggire a Norimberga, presumo).
Il canadese Joseph Wiseman, grazie al suo taglio d’occhi orientale, invece ha il compito di interpretare il mezzo cinese Dottor No, sfoggiando, oltre a due fichissimi moncherini al posto delle mani, il completo grigio con tanto di colletto alla coreana per cui noi fan di Austin Powers possiamo solo alzarci in piedi e metterci una mano sul cuore in segno di rispetto.

Quando "Un milione di dollari!" non basta più causa inflazione...
L’unico membro di colore del cast, il pescatore giamaicano Quarrel, è l’esempio perfetto del buon selvaggio armato di tutte le buone intenzioni del mondo ma facile a credere a sciocche superstizioni, a navigare "seguendo l'istinto", e a morire come un povero stronzo risparmiandosi la doccetta decontaminante nella villa del Dottor No.
"Il povero ne*ro muore per primo", ci insegnava Evolution...

... E non fa carriera.
Licenza di uccidere, non va dimenticato, è anche un esperimento, un primo tentativo di portare sul grande schermo una serie editoriale di successo, cosa che avrebbe potuto anche finire in un flop di dimensioni gargantuesche dal momento che non solo l’ora iconico Sean Connery era un quasi perfetto estraneo, ma il suo James Bond si è anche distaccato parecchio dalla sua controparte cartacea, più scazzottate e sparatorie che abiti firmati e sogghigni ironici appena accennati.
Oggi i fanboy della serie avrebbero dato di matto alle prime immagini dal set.
La produzione gli sarebbe andata dietro per elemosinare due spicci al botteghino e le recensioni positive degli youtuber, e sarebbe saltato fuori un mappazzone di merda, un insulto all’intelligenza dello spettatore dagli incassi favolosi.

Licenza di uccidere risulta il film di James Bond in cui ci sono meno mete esotiche (a parte Londra c'è solo la Giamaica, e la maggior parte delle sequenze sono interne), un film in cui le sequenze d'azione sono poche e invecchiate male, ma anche il film più leggero e fatto col cuore di questa prima infornata di film.
E Bond già resta nel cuore.
Ci vorrà del tempo prima che 007 si rimetta a gigioneggiare con la stessa irresistibile ironia di questa creatura di Terence Young. Ma a quel punto già la critica contemporanea gli romperà un sacco i coglioni perché “James Bond non è così”Non era così nemmeno il James Bond dei libri, statece.

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James Bond è un franchise cinematografico che va avanti da quasi 60 anni, e che più volte si è trasformato col mutare dei tempi e della sensibilità dei suoi spettatori: mai ci sogneremmo oggi di vederlo interagire con la stessa maschia brutalità con una controparte femminile (ci sono film moderni in cui addirittura Bond soffre per la perdita di un amore), mai più lo vedremo affrontare con leggerezza terroristi talmente sopra le righe da risultare macchiette.
Non dopo l'11 settembre, almeno.
E con l'attenzione che l'America riserva attualmente al mercato orientale poi ci possiamo sognare quegli sgherri ridicoli dagli occhi a mandorla che cercano di far fuori Bond vestiti con un bōgu completo e armati di shinai.

Chang affronta Bond al museo del vetro di Venezia (Moonraker, 1979)
E va benissimo così, ma non toglieteci questi vecchi film.
Lasciateci scolpito nel cuore il primo incontro con James Bond al tavolo da gioco, intento a sfidare a chemin-de-fer la bellissima Sylvia Trench: il gesto elegante e posato delle mani (solo dopo l'inquadratura ci mostrerà il suo viso), nulla fuori posto nell’aspetto e nel vestiario (anche nel momento del pericolo si concederà al massimo una camicia dalle maniche arrotolate fino ai gomiti e un velo di sudore), la sicurezza che traspare da ogni gesto, lo sguardo seducente mentre, accendendosi la sigaretta, si presenta a Sylvia e a noi spettatori come: "Bond... James Bond".
Persino noi figli degli anni ’90 gli dobbiamo molto. 

Sì, gli dobbiamo anche lui...

Giudizio finale:
Avventura, belle donne e ironia vecchio stile.

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