domenica 17 maggio 2020

[Recensione] I RAGAZZI DELLA NICKEL

recensioni i ragazzi della nickel colson Whitehead
Autore: Colson Whitehead
Traduzione: S. Pareschi
Ed. italiana: Mondadori, copertina rigida, 213 pagine
Anno (Italia): 2019
Euro: 18,50

Elenco delle cose più imbarazzanti che mi hanno commosso in età adulta, a dimostrazione che non sono un mostro privo di empatia:
1) Tarzan della Disney: tutto, dal primo fotogramma in cui la nave dei genitori affonda ai titoli di coda. Mi rifiuto di guardare quel film in compagnia per non rischiare il perculo a vita.
2) Il film dei Puffi su Puffetta
3) Qualsiasi cosa al mondo con i cuccioli
4) Non questo libro.


QUALCHE DOVEROSA RIGA DI TRAMA

Romanzo ambientato nella Tallahassee (Florida) degli anni ’60 e che vede come protagonista Elwood Curtis, un giovane di colore che vive con la nonna e dopo la scuola lavora in un negozietto del quartiere: serio e giudizioso al punto da attirarsi le antipatie dei monelli di strada (da cui ovviamente si tiene alla larga), invaso dallo spirito di giustizia e uguaglianza di Martin Luther King e amante dello studio, ha davanti a sé quello che per un afroamericano del sud degli States di quegli anni voleva dire un futuro radioso.
Arrivare al college, trovare un lavoro dignitoso, uscire dal ghetto.
Peccato che il destino infame abbia in mente altri piani per questo ragazzo.
Ingiustamente accusato di furto d’auto verrà spedito alla Nickel Academy, il riformatorio giovanile di Eleanor. Qui il giovane fa amicizia con un coetaneo, il disincantato Jack Turner, convinto che la loro nazione sia stata fondata su violenza, odio razziale e genocidi e non abbia alcuna possibilità di cambiare nonostante le belle parole del dottor King: Elwood invece ha tutta l’intenzione di rigare dritto, evitare guai e guadagnarsi la libertà nel minor tempo possibile, per tornare alla sua vita di sempre.
Si tratta solo di pochi mesi, a dir tanto.
Le cose però, ancora una volta, non vanno come previsto.

E' proprio la rettitudine di Elwood a metterlo nei pasticci in un luogo in cui, vedremo ben presto, non c’è posto per la giustizia: che siano bianchi o neri non importa (anche se, se sei nero, non importa un po' di più). Sono ragazzi poveri e senza speranza, abbandonati a loro stessi, e questo è il crimine più grave ancora oggi nella Terra dei liberi.
Liberi solo se si hanno i soldi per esserlo.
Elwood finirà nei guai salvando un compagno di sventura dalla violenza di branco e cercando addirittura di denunciare gli abusi perpetrati dalle guardie all’interno dell’istituto: per tutta risposta verrà preso a cinghiate dai solerti tutori dell’ordine tanto forte da ficcargli le fibre del jeans nella carne e tenerlo bloccato in infermeria per giorni, ma evidentemente questo non basta.

Jack viene casualmente a conoscenza del piano per uccidere Elwood ordito dal direttore della prigione con la complicità delle guardie, e decide di organizzare una fuga insieme al suo amico, che già lo ha convertito sulla via dell'onestà e degli alti ideali, anche se essere catturati può voler dire anche per lui fare una brutta fine.



Quando negli anni ’10 del 2000 si comincerà finalmente a investigare sugli abusi perpetrati alla Nickel, deciderà di tornare in Florida al fine di testimoniare contro i responsabili e fare, finalmente, giustizia.

*

La vicenda, seppur romanzata, è tratta da una storia vera.
La Nickel Academy è ispirata al riformatorio di Dozier situato a Marianna (Florida), fondato a inizio XX secolo e che ha praticato una rigida separazione tra ragazzi bianchi e di colore fino al 1966. La cosa nel romanzo è riportata (fin troppo) fedelmente, insieme a molte altre: Elwood nel libro parlerà a più riprese dell’impossibilità di interagire con ragazzi caucasici a meno che non si fosse in infermeria o a collaborare per lo spettacolo di natale (l’unico momento in cui persino a questi ragazzi veniva concessa un po’ di umanità). Solo nel 2008 si comincia a indagare seriamente sugli abusi perpetrati ai danni dei ragazzi tra quelle mura.
La storia di questo carcere è lunga e triste.
Concentrandoci sui soli anni ’60, periodo scelto da Whitehead sia per la sua importanza dal punto di vista dei diritti civili sia perché sono gli ultimi anni in cui questo istituto pratica ufficialmente le punizioni corporali, la Dozier ospitava 564 ragazzi dai 10 ai 16 anni per reati che andavano dal crimine violento all’essere degli incorreggibili fumatori; violenza e abusi erano all’ordine del giorno e a qualche sfortunato capitavano incidenti su cui ancora oggi non è stata fatta luce.

Detto questo, e appurato che la vera storia di questo carcere minorile è una delle tante ferite che sfregiano il volto del paese che oggi vuole esportare la Democrazia, il romanzo è un’incudine fredda, asettica e senz'anima appesa ai coglioni.
Whitehead è talmente sicuro (e a ragione) che basti parlare di una vicenda oggettivamente tristissima per turbare e commuovere il lettore (e vincere un altro premio Pulitzer) da non sforzarsi nemmeno di metterci del suo, emozionare con le parole, di staccarsi dalla realtà cronachistica dei fatti per raccontare qualcosa di vivo e vibrante che possa restare veramente nel cuore anche al di là della tragedia storica. Ma se avessi voluto leggere le cronache della Dozier avrei letto un saggio o la pagina di Wikipedia dedicata alla vicenda, non un romanzo. L’effetto finale per quel che mi riguarda è più o meno lo stesso della pagina di Wikipedia, con la differenza che nella pagina di Wikipedia fortunatamente manca Elwood.

Elwood è la quintessenza della vuota retorica.
Un ragazzino di colore praticamente perfetto, studioso e giudizioso, che ascolta i discorsi di King, pieno di ideali ed educato, con un futuro radioso davanti (talmente perfetto da spingere sulla via della rettitudine col suo esempio anche un cinico come Jack), Grifondoro nello spirito: il sogno di ogni nonna, a conti fatti un personaggio odiosamente bidimensionale.
Praticamente è come un bambino concepirebbe l’eroe del suo racconto.


Il processo creativo che ha portato alla nascita di Elwood e Jack...
A livello narrativo Elwood è un personaggio che a un corso di scrittura creativa si sarebbe preso l'insufficienza: fa tenerezza a chi legge non perché scritto bene o perché ci si possa empatizzare, ma solo perché è agnello sacrificale dell’ingiustizia di stato (mentre chi ha rubato o fuma le sigarette evidentemente non è altrettanto meritevole di avere una voce narrante, a meno che non si converta alla via di Elwood), la via facilona per far commuovere il lettore sensibile che poi, anche se non si ritroverà ad apprezzare pienamente questo romanzo per i motivi di cui sopra (che sono gravi per un romanzo), nella maggior parte dei casi non se la sentirà di dare meno della sufficienza o di essere davvero critico per non passare da membro onorario del KKK.

Io la tragedia la comprendo benissimo, la vera storia di quei ragazzi è da stringere il cuore e da incazzarcisi duro, così come è importante che proprio oggi (e non solo in America) sia fondamentale ricordare quanto la "giustizia" dei privilegiati possa accanirsi proprio verso chi più ne ha bisogno, ma una roba così furbetta e poraccia che sembra uscita da una versione ripulita de La capanna dello zio Tom non me la voglio trovare davanti in un romanzo del 2019 che ha vinto un Pulitzer.

*

Per essere definito tale un romanzo deve prima di tutto emozionare grazie allo stile dell'autore e alla costruzione dei suoi personaggi, personaggi che devono catturare il cuore di chi legge coi loro pregi ma soprattutto coi loro difetti (la storia ci insegna che il Topolino "amico delle guardie" non piace a nessuno).  Qui questo non accade, di conseguenza a mio modesto avviso I ragazzi della Nickel come romanzo, a dispetto dei validi messaggi che vuole veicolare, non vale praticamente nulla.


Giudizio finale:
Se volessi leggere un saggio leggerei un saggio.


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