venerdì 8 maggio 2020

[Recensione] QUATTRO AMICHE E UN PAIO DI JEANS

quattro amiche e un paio di jeans libro recensione
Autore: Ann Brashares
Traduzione: F. Giorgi
Ed. Italiana: BUR, copertina flessibile, 302 pagine,
Anno (Italia): 2017
Euro: 12,00

Sono giunta ai placidi lidi di questo libro pur essendo decisamente fuori target grazie al caso, e alla programmazione pigra di Sky che per riempire buchi nel palinsesto ha deciso di trasmettere l’omonimo film del 2005 con Alexis Bledel, America Ferrera, Blake Lively e Amber Tamblyn: convinta di gustarmi un filmetto che mi avrebbe fatto passare un paio d’orette divertenti, mi sono ritrovata a piangere come una deficiente.
Il che sembra normale ma non lo è.
Un giorno vi parlerò di tutti i film per cui avrei dovuto piangere e invece quasi mi sono strozzata dalle risate rischiando in alcuni casi il linciaggio in sala, tra cui Titanic e una particolare scena di Harry Potter e L’Ordine della Fenice che tutti i fan di Harry Potter hanno dolorosamente chiara. Tutti tranne me evidentemente perché mentre cercavo una gif di riferimento per la scena in questione ho riso di nuovo, non ce la faccio a prenderlo sul “sirius”.
*ba-dum-pss*


LA TRAMA IN DUE RIGHE
Carmen, Bridget, Lena e Tibby sono amiche da prima ancora di nascere: le loro madri infatti si sono conosciute a un corso di ginnastica preparto e sono diventate sodali perché accomunate dai loro pancioni ma soprattutto dalla voglia di sparlare alle spalle della sadica che le faceva sudare come cammelli col miraggio di tornare alla forma precedente alla gravidanza.
Col tempo, la vita di mamme impegnate e le loro differenze di ceto, carattere e interessi le hanno allontanate sempre più fino a farle diventare quasi estranee. Le figlie invece hanno continuato a frequentarsi assiduamente nonostante, come le madri, abbiano vite e personalità molto diverse, una cricca in simbiosi fino all’estate dei loro 16 anni, quando i loro cammini si divideranno per la prima volta.

C’è Carmen, caustica e formosa adolescente di origini portoricane da parte di madre, che trascorrerà l’estate con suo padre anche se le cose non andranno decisamente come previsto.
Bridget, alta bionda e filiforme, star del pallone con talento da vendere e una dose inesauribile di energia, che trascorrerà le vacanze in un campo sportivo in Messico, dove incontrerà un ragazzo, un allenatore di qualche anno più grande di lei, che le farà battere il cuore e la farà lottare con le unghie e con i denti con la testardaggine tipica delle ragazze sicure di sé per un amore proibito.
Lena minuta, bellissima e timida fanciulla di origini greche, che trascorrerà le vacanze insieme alla sorella minore Effie dai nonni a Oia, villaggio costiero situato all’estremità settentrionale di Santorini.
Ultima, ma non per importanza, Tibby, la cinica, l’alternativa, l’unica che trascorrerà l’estate a casa sua insieme all’adorato criceto Mimì, a lavorare parti-time in un centro commerciale e con in testa l’idea di dar vita a un documentario su quelli che definisce i falliti di Bathesda, Maryland.

A tenerle unite per questi due mesi di separazione ci sono un paio di jeans trovati per caso da Carmen in un negozio dell’usato, e sempre per caso saltati fuori dal suo armadio durante l’ultimo incontro delle quattro amiche prima della partenza: jeans come tanti, vissuti ma non troppo, carini ma semplici al punto da restare inosservati, e soprattutto magici perché riescono a calzare a meraviglia a tutte e quattro le ragazze nonostante le loro corporature siano molto diverse. Da qui l’idea di farli diventare il loro paio di jeans magici, spedirseli l’un l’altra in giro per il mondo nel corso della loro vacanza, e farne un simbolo di quell’estate speciale che cambierà forse per sempre le loro vite.


Messa così, sembra la classica storia di bassa lega per ragazzine intelligenti e sognatrici uscita da un film prodotto da Disney Channel direttamente per l’home video: amiche del cuore con un futuro brillante, giovani e piene di talento tra cui non può mancare la sportiva, la bella timida, la ragazza esotica e caliente dalla battuta caustica e la cinica alternativa, per non lasciare indietro nessuna potenziale fangirl.
Ragazze che si arrovellano per giorni su pensieri semplici e problemi semplici che però a quell’età sembrano insormontabili, tragedie da spezzare il cuore e far venire voglia di piangere fino a prosciugarsi da ragazzine, ma a cui si può solo guardare con divertito e bonario paternalismo una volta raggiunta l’età del lavoro, dei figli e del mutuo da pagare. Le prime cotte, i problemi con mamma e papà, i litigi con le amiche, la perdita di un animale domestico, i lavoretti frustranti e le estati passate ad annoiarsi.
Se si limitasse a questo sarei la prima a vomitare sopra questo libro.

La Brashares però dietro questa trama semplice e lineare riesce a parlare anche al cuore di chi ragazza non è più da qualche anno (e potrebbe parlare anche a molti maschietti, visto che siamo nel 2020 e le protagoniste femminili in un libro non devono impedirci di gustarci un bel racconto di formazione, anche se abbiamo il pisellino) e ad affrontare tematiche intime e molto importanti con una toccante, incredibile delicatezza, senza forzature.
Ovvero senza piazzarsi dietro a chi legge facendoti l’occhiolino perché tu noti quanto l’ha buttata giù tragica, e quanto saresti un mostro disumano se ora tu non piangessi tutte le tue lacrime di ragazza sensibile.

Grazie Leo, rendi sempre l'idea... 
Carmen infatti scoprirà solo una volta arrivata a destinazione che il suo padre caucasico ha intenzione di risposarsi con una bella signora caucasica quanto lui uscita da un catalogo di Barbie, madre di due ragazzi caucasici che ad aggiungere il danno alla beffa hanno la sua età.
Carmen affronterà la diversità, il pregiudizio e il rancore.
Carmen non solo è diversa rispetto a quella che sente già come la nuova e vera famiglia di suo padre (figli che gli somigliano al punto da far cogliere negli estranei una somiglianza biologica, a differenza di quanto accade con l’esotica Carmen che sembra sempre fuori posto), non solo si sente giudicata da una pletora di borghesucci stronzi, non solo si sente invisibile e tagliata fuori da una quotidianità familiare ormai assodata, ma è lei stessa a giudicare e disprezzare il diverso con una certa superficialità, senza prendersi nemmeno un secondo per conoscerla questa nuova famiglia nonostante questa cerchi (con gesti anche maldestri e decisamente poco opportuni) di farla sentire a casa.
La superficialità del resto ha caratterizzato per tutta la sua vita il rapporto col padre: abbandonata da piccola, mantenendo con lui rapporti sporadici, ha cercato di tenerlo ancorato a sé con le unghie e con i denti diventando per lui una figlia perfetta che non si lamenta mai, che non lo assilla con brutti voti e delusioni amorose, che sceglie sempre il ristorante che piace più a lui salvo poi storcere il naso di nascosto di fronte a cibo che proprio non tollera.
Bloccata in uno status quo che dura da anni, incapace di dirigere la rabbia che prova verso i veri colpevoli di questa situazione, suo padre ma anche se stessa (entrambi non riescono mai ad essere sinceri l’uno con l’altra per costruire un rapporto autentico, anche se questo significa litigare per poi riappacificarsi), Carmen esplode e brucia tutto ciò che tocca: odia la nuova moglie che ha imposto al padre i suoi capricci, come vivere in periferia e scialacquare centinaia di dollari nel matrimonio dei suoi sogni; odia la nuova sorella che non ha problemi a farsi vedere incapace di risolvere esercizi semplicissimi di geometria mentre lei non parla dei brutti voti in ginnastica; odia il nuovo fratello che ha la colpa di avere la stessa corporatura di suo padre e di sembrare un po’ troppo il suo figlio biologico. Arriverà a odiare persino Tibby, che le farà notare che forse il problema sta in lei.
E’ lei a dover chiarire le cose col vero colpevole.
E’ lei a dover fare quel passo in più verso suo padre se lui proprio non ci arriva.

Lena è una ragazza bellissima, e questo la porta ad affrontare tutta una serie di problematiche che nei prodotti destinati ai ragazzi si affrontano poco, perché le belle gnocche o sono persone che in casa non hanno gli specchi quindi non sanno di essere bellissime finchè non glielo rivela il maschio, o non hanno altro scopo nella vita che quello di essere amate e apprezzate per il loro aspetto, quindi la bellezza è per loro una benedizione.
Lena invece sa di essere bella ma per lei è un fastidio.
E’ una persona molto chiusa e introversa (che è diverso dall’essere un gattino appeso allo scroto, una cosa che andrebbe compresa ancora da molta gente nel 2020), che prospera nel silenzio invece che nella vuota conversazione di circostanza, che ha bisogno dei suoi spazi e ama passare il tempo a dipingere. Ma essendo bella per tutta la vita ha subito avances (dal suo punto di vista) molto aggressive e approcci molto fastidiosi che l’hanno messa a disagio, portandola di conseguenza ad essere molto fredda e prevenuta nei confronti dell’altro sesso.
E quindi, quando a Oia farà la conoscenza di Kostos, il ragazzo più amato dalle nonne di Santorini, esattamente come gli altri fanno in continuazione con lei si ritroverà a giudicarlo superficialmente: è molto bello quindi interessato solo alla sua bellezza, è un uomo quindi ci proverà con lei nel modo sbagliato e non perderà l’occasione di metterla a disagio, o di spiarla mentre fa il bagno nuda in un laghetto isolato in mezzo a un oliveto (un fraintendimento che causerà non pochi guai a questo poveretto).
Ergo, meglio tenersi a distanza.
Chiudere la porta a qualsiasi gesto o parola amichevole, che potrebbero venir male interpretati.
Il viaggio di Lena sarà quello più introspettivo di tutti: sarà un percorso che affronterà da sola, confidandosi un poco solo con la sorella, e dovrà arrivare ad aprirsi, capire che rendersi totalmente inaccessibile non è la risposta e non la renderà felice né la proteggerà dal mondo, mentre potrebbe non far male uscire un po’ dal guscio, senza forzarsi a essere ciò che non è. Smetterla di essere superficiale e presuntuosa e provare a dare una possibilità a quello che sembra un bravo ragazzo col timbro di approvazione di una nonna greca, scusarsi con lui nonostante la cosa non sia facile e ricominciare tutto daccapo.

“Era triste per quello che era succeso a Kostos. E da qualche parte era triste perché gente come Bee e Kostos, che avevano perso tutto, erano ancora aperti all’amore, e lei che non aveva perso nulla non lo era.”

Cuore di introversa, la prendo sul personale...
Bridget affronta non soltanto una cotta non proprio corrisposta verso un ragazzo di qualche anno più grande e molto ligio alle regole che secondo le disposizioni del campo non può intrattenere una relazione con lei, ma soprattutto la depressione.
Non verrà mai spiegato esplicitamente ma la madre di Bridget si è suicidata proprio a causa di questa condizione: Bridget non ne parla mai volentieri e la mette profondamente a disagio che l’argomento salti fuori. Per quasi tutto il libro vediamo questa ragazza come una riserva inesauribile di energia, sempre pronta a correre più veloce, più lontano, a calciare la palla con più energia e a sforzarsi più di tutte per ghermire il cuore dell’allenatore più bello del campo.
Poi, il tracollo di fronte a una notte d’amore per cui forse non era pronta.
La delusione e l’angoscia che a un certo punto, senza preavviso, la invadono di fronte a una conversazione davvero intima fatta col ragazzo per cui ha lottato per tutta l’estate, al suo rifiuto che non è davvero un rifiuto (ma che forse avrebbe fatto meno male di un “cresci bene che forse ripasso”).

La Brashares non dirà mai esplicitamente quella parola, non farà mai riferimenti clinici al problema che affligge Bridget e nessuno la userà mai per descrivere ciò che sta passando perché la stessa Bee non l’affronta come dovrebbe (e forse è anche il percorso che l’autrice affronta più superficialmente visto che ne esce a mio avviso un po’ troppo in fretta e senza strascichi, ma voglio pensare che nei successivi libri l’argomento ritornerà), ma è lì che aleggia nell’improvvisa apatia di Bridget, nel suo rifiuto di alzarsi dal letto e di mangiare nonostante sia sempre allegra e piena di appetito. Nella fretta con cui Lena, che sta tornando a casa e sta facendo scalo a Washington, decide di comprare un biglietto aereo e andare da lei a offrirle non giudizi o consigli, ma solo la sua presenza e amicizia. E vediamo ancora una volta come la ragazza introspettiva, quella che si reputa più egoista e supponente, è forse quella che comprende meglio come stare vicino alla sua amica nel momento del bisogno.


Infine c’è Tibby.
Tibby, rimasta intrappolata nella “vita di prima”.
Nata quando i genitori erano due giovanissimi alternativi senza un soldo e la voglia di cambiare il mondo, che a un certo punto hanno deciso che era arrivato il momento di fare le cose per bene, mettere la testa a posto e “volere davvero dei figli”. Ed ecco quindi che Tibby si ritrova isolata all’interno della sua famiglia diventata di botto uno spaccato di borghesia americana da film, con due bambini piccoli da accudire e il padre in camicia e ventiquattrore che passa fuori casa una sera su due.
Tibby, come tutte le sue amche, mette una barriera tra sé è il mondo, ed è legata anima e cuore all’unica cosa rimasta del suo passato, un vecchio porcellino d’india di nome Mimì, che all’epoca le pareva “il nome migliore del mondo”.
Tibby ha una visione disincantata e cinica del mondo, e tanta voglia di rimestare nel torbido e nello squallore, pure con una certa supponenza. Questo almeno finchè non incontrerà per caso la piccola Bailey, malata di leucemia. Bailey è una ragazzina piena di voglia di vivere, e la paura del tempo che passa. Se Tibby infatti è musona e sarcastica Bailey è caustica e diretta.
Se Tibby sta bene da sola, Bailey è socievole.
Se Tibby guarda la gente dall’alto in basso e non è parca di giudizi superficiali, Bailey vuole conoscerla ed è dotata di colpo d’occhio, grande intuito e sensibilità.

Grazie a lei Tibby si ritroverà a rimettersi in prospettiva e a capire che nella vita si deve vivere, giocare e fare cose grandiose, che ci sono cose molto più importanti per cui arrabbiarsi col mondo (ma che si ha comunque il diritto di essere arrabbiati se le cose non vanno o non sono giuste) di una bella casa, un lavoro frustrante in un centro commerciale sotto l’egida di un superiore stronzo o passare l’estate da sola mentre tutte le tue amiche vivono avventure fantastiche. Ed è bello che non si cerchi di rendere la cosa patetica a tutti i costi, perché Bailey è una bambina simpatica ma non è adorabile. E’ caustica, diretta, le piace mettere alla prova le persone ed essere davvero esasperante per ottenere quello che vuole. Fa leva sulla sua malattia per farsi amica una riottosa Tibby ma al tempo stesso non vuole essere trattata come un’ammalata.
E’ sincera e sa colpire dove fa più male, ma non per cattiveria.
Bailey lascia un vuoto anche nel nostro cuore…

*

Insomma, per farla breve anche se ormai non ci crede più nessuno al fatto che io sappia parlare brevemente di qualcosa, Quattro amiche e un paio di jeans è una storia semplice e sincera che sa colpire al cuore e poi atterrarti con un uppercut alla mandibola, anche dopo i 16 anni. Se tutti gli YA fossero così, sarebbero un genere che verrebbe preso molto più sul serio e non si sentirebbe il bisogno di scriverli male e tradurli peggio perché tanto molti fan si ingoiano la qualunque.

Giudizio finale:
Un colpo al cuore a tradimento


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