mercoledì 27 maggio 2020

[Recensione] QUESTO NON E' IL MIO CORPO

Recensione Questo non è il mio corpo, Moyoco Anno (copertina)
Titolo originale: Shibou to Iu Na no Fuku o Kite (Dentro a un vestito chiamato grasso)
Genere: Josei
Testi e Disegni: Moyoco Anno
Volumi: 1 (completo)
Edizione italiana: Kappa Edizioni – Collana MANGA SAN
Anno: 2006


CONFESSIONE
Al momento di dare un voto a questo Josei (tipologia di manga rivolta alle donne adulte) io che di solito ho le idee così chiare e non mi pongo problemi nello stroncare persino opere stra-osannate che parlano di tematiche importanti nel momento in cui lo facciano in maniera irrispettosa o banale, mi sono trovata in grande difficoltà.
Non credo sia un’opera facile da giudicare.
Non è perfetta, non ha un finale, non contiene percorsi di crescita.
Ma dato il tema, e soprattutto il modo in cui lo affronta alla fine dei giochi si rivela comunque un pugno allo stomaco che lascia in un modo o nell’altro l’amaro in bocca. Alla fine mentre sto scrivendo non ho ancora le idee chiarissime, quindi a questo giro più che una recensione il mio sarà un libero flusso di coscienza.

TRAMA:
Questo non è il mio corpo è la storia di Noko Hanazawa, una giovane office lady giapponese con qualche chilo di troppo addosso. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l’adorabile serie animata Aggretsuko sa a grandi linee chi sono le Office Ladies.


Ragazze che hanno terminato gli studi ma ancora non maritate, spesso single, che lavorano negli uffici delle grandi aziende giapponesi. Sottopagate, sfruttate all’inverosimile, relegate a compiti noiosi e poco soddisfacenti quando non addirittura semplici pallette antistress di capiufficio isterici, con possibilità di carriera nulle.
Non stupisce quindi che il sogno di molte di queste ragazze sia sposarsi con un buon partito e lasciare il lavoro.
Si può immaginare il livello di stress cui sono sottoposte, quanto sia spietata la concorrenza, quanta poca comprensione e amicizia si possa trovare tra quelle scrivanie, specie se si è insicure e in sovrappeso.

Eppure all’inizio di questo racconto sembra non esserci nulla che non vada nella vita di Noko, la sua vita scorre in modo abbastanza placido, per certi versi addirittura invidiabile: Noko ha un lavoro, colleghe con cui ha rapporti abbastanza cortesi, da nove anni è fidanzata con Saito, un ragazzo che la ama anche se cicciottella.
Quindi va tutto bene in fondo, no?
No, perché quei chili di troppo che Noko si porta addosso non sono un simpatico vezzo, non sono dettati da pigrizia o noia, ma rappresentano uno “spesso vestito di carne” con la quale questa ragazza si difende dal mondo.


Noko si ritrova incastrata in una spirale da cui non riesce uscire: mangiando si sente felice ma già alla fine del pasto quando vede la quantità di piatti vuoti e comprende l’entità delle calorie assimilate si sente infelice e angosciata al pensiero di mettere su altri chili, chili che la rendono una persona da disprezzare, un’indesiderabile nel mondo esterno.
Noko è un’invisibile nella crudele e competitiva società giapponese, una persona molto sola, il caprio espiatorio dei colleghi maschi e dei superiori (anche in virtù del suo carattere molto remissivo) e l’oggetto preferito di lazzi e battute crudeli da parte delle colleghe più magre e carine. In particolare una sembra averla presa di mira per tirarsi dietro tutte le altre, la bella (almeno esteriormente) Mayumi.
Mayumi sembra avere come unico scopo quello di rovinarle la vita per dispetto, arrivando al punto da cominciare una relazione proprio con Saito e facendo in modo che lei lo sappia.
Noko, come al solito, è grata anche solo del fatto che Saito si degni ogni tanto di andare a casa sua e le conceda le briciole del suo affetto e non ha la forza di imporsi, ma dà la colpa al suo peso.
Se fosse bella e magra come Mayumi, tutto si risolverebbe.


Quando la vita di Noko comincia ad andare davvero a scatafascio, perché non solo sentirà Saito sfuggirle tra le dita ma sarà anche oggetto di mobbing sempre a causa di Mayuko (e verrà ridicolizzata e disprezzata anche dagli altri “sfigati” dell’ufficio), a un certo punto si rivolgerà a un costoso centro dimagrante per diventare magra, ma ecco il punto focale, non lo farà per piacere a sé stessa o abbracciare uno stile di vita più sano e volersi più bene ma perché la società ti vuole magra (quindi bella) e ti tratta meglio se lo sei, e perché crede che siano i chili di troppo a spingere Saito tra le braccia di Mayumi. 
Ancora una volta Noko identifica l’essere magra con l’essere felice.


Perdere peso però è molto più difficile di quanto sembri.
Specie se ti fai solo qualche massaggino e a casa continui a ingozzarti.
E Noko, che continua a identificare ogni suo problema con il grasso che le ricopre il corpo, troverà la soluzione nel continuare a mangiare senza ritegno per poi procurarsi il vomito.
Le cose però non vanno come sperava.
La sua vita tutto fa fuorchè rimettersi in carreggiata.
E quindi Noko continua a dimagrire, e dimagrire, fino a che non basterà.
Nel rendersi conto che Noko sta perdendo peso Saito perde la testa e arriva a ingozzarla a forza perché recuperi i chili persi, perché lo stesso Saito è vittima (e carnefice) di una società che impone standard crudeli. E’ un uomo debole e meschino a cui va di lusso solo perché fortunatamente per lui vive in una società maschilista e ha qualcuno sotto su cui rivalersi, un fallito che vuole accanto Noko solo perché è una ragazza timida e sottomessa che non lo contraddice mai, a differenza di quanto fa sua madre a casa, o le colleghe al lavoro. Nel corso degli anni non ha mai presentato Noko agli amici, di fatto isolandola completamente.
Non tenta mai di giustificarsi o negare la relazione con Mayuko, che non manca di umiliarlo anche sessualmente e dargli del fallito.
Del resto è proprio Noko la prima a non chiedergli nulla in merito.
Almeno fino al momento in cui l’idea che Noko possa prendere in mano la propria vita e raggiungere un obiettivo per sé stessa lo fa fuggire a gambe levate per trovare un’altra ragazza in sovrappeso e timida quanto lei a sostituirla.
Mayuko viene cacciata dal lavoro perché viene scoperto un suo tentativo di truffare l’azienda incolpando Noko, ma sempre in virtù delle loro differenza sociale Mayuko cade in piedi e ha già uno stuolo di amanti e amici pronti ad aiutarla, mentre Noko viene cortesemente invitata a presentare le dimissioni perché il fatto di aver subito false accuse mette l’azienda in imbarazzo.

Di chilo in chilo, Noko arriva a perderne fin troppi e in troppo poco tempo.
A livello grafico la differenza con quanto visto fino a quel momento è inquietante: anche se è magra esattamente come le sue colleghe, anche se ora può permettersi begli abiti che a detta delle commesse “le donano molto” e tagli alla moda, se Mayuko e le altre ragazze dell’ufficio sono dipinte con tratti tipici da shojo manga (ciglia lunghe, gambe sottili, riccioli lucidi e occhioni brillanti) Noko ha le occhiaie, caviglie e polsi ossuti su cui la Anno si sofferma crudelmente a più riprese.
Eppure tutti i problemi che Noko aveva all’inizio di questa storia sono in un modo o nell’altro scomparsi: Saito ha sposato un’altra povera infelice, Mayuko starà sfarfalleggiando altrove, via il lavoro di merda, via il grasso.
Noko però continua a non essere felice.
Perché il problema è dentro di lei.
Il problema è lei.


Alla fine, dopo aver fatto raggiungere al suo corpo il massimo della soglia di sopportazione, Noko deciderà di tornare a indossare la sua corazza di sempre, il suo abito di grasso. Moyoco Anno decide di non dare alla sua protagonista alcun percorso di crescita, nessun lieto fine, nessuna risoluzione dei problemi che si porta dentro.
Noko può solo continuare a vivere.

*

IMPRESSIONI SPARSE
Questo non è il mio corpo è un manga frustrante.
Vuole e non vuole essere realistico.
E’ altalenante.

Ed è pure un po’ pubblicizzato male in realtà visto che nelle varie sinossi trovate sul web ci si concentrava sui problemi alimentari quando in realtà il disturbo alimentare di Noko è un punto d’arrivo (tant’è che non lo si analizzerà mai nel dettaglio), la fine di un percorso a cui si è giunti per tutta una serie di fattori molto complessi: una relazione tossica, un lavoro frustrante, una generale mancanza di autostima che la porta a scomparire (si noti che i capitoli sono scanditi da nudi femminili che non sono Noko. Praticamente anche in una storia che parla di lei Noko tende a scomparire), una società crudele, competitiva e disumanizzante.
Forse Noko è depressa.
Di sicuro non si vuole bene.
Ma la Anno non si prende mai la briga di essere chiara in merito, né di metterci di fronte a uno sviluppo del suo personaggio. Alla fine della storia forse Noko è più incasinata di quanto non fosse all’inizio.
Il che non è un problema, non per forza deve esserci un percorso di crescita.

Dei personaggi secondari ne avrei fatto volentieri a meno, invece, perché le pagine sono troppo poche per approfondire decentemente questioni psicologiche tanto complesse. Se si fosse deciso concentrare tutta la narrazione sulla figura della protagonista senza siparietti sulla mamma di Saito cattiva e lamentona o sui soliloqui da Queen Bitch malvagia odia-ciccioni della mistress sadomaso Mayuko l’opera ne avrebbe giovato non poco.

A mettermi maggiormente in crisi su come giudicare questo manga è il fatto che non capisca se alla fine dei giochi voglia essere tutto un viaggio metaforico nella mente di una persona ossessionata dal proprio aspetto fisico come Noko, e allora i personaggi bidimensionali e a tratti macchiettistici che la attorniano (il vecchio zozzone ricco e la dietologa lesbica uber alles, ma anche le due ragazze bruttine contro cui si scaglia una magrissima e incattivissima Noko ritratte con tratti veramente deformi, quasi delle caricature) e che vivono la loro vita in funzione del fatto che Noko perda o prenda peso hanno un senso, o la Anno vuole fare una cosa realista e nichilista in cui vuole dirmi che al mondo tutti sono persone che combattono battaglie personali che li rendono stronzi e cattivi quindi alla fine nessuno lo è per davvero e allora questa è una storia che così breve e sbrigativa è da buttare nel water.
Nel dubbio, a ‘sto giro mi tengo nella media.

Giudizio finale:
Lettura non facile, angosciante ma non perfetta.


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