Autore: Ernest
Cline
Traduzione: L.
Spini
Ed. italiana:
DeA Planeta Libri, copertina rigida, 443 pagine
Anno (Italia):
2018
Euro: 17,00
La domanda sorge spontanea:
A che
target è indirizzato questo libro?
Di solito per un processo di immedesimazione col lettore/spettatore un autore tende a
dare al protagonista l’età del suo target, perché provi istantanea simpatia verso di lui e ne condivida i pensieri, le
speranze, i problemi. Wade, il protagonista della nostra storia ha 17 anni, mi viene quindi da pensare che il libro sia uno Young Adult
destinato agli adolescenti.
Poi mi soffermo sulla
tematica: elogio nostalgico agli Anni ’80. Anzi, per essere precisi
elogio nostalgico, superficiale e
acritico degli Anni ’80 americani con una spruzzata di Giappone qui e lì che fa esotico.
Mi faccio un rapido calcolo nella
mente e concludo che la gente che condivide con Wade la stessa passione e la
stessa nostalgia canaglia per quel
preciso periodo storico il liceo lo abbia (si spera) superato da un pezzo, di anni ne abbia almeno
35 e possa arrivare fino ai 50. A questo punto arrivo alla conclusione niente
affatto lusinghiera che Ernest Cline sia un bambinone troppo cresciuto che
ha scritto questo libro per puro onanismo geek, e che Ready Player One possa
venir davvero apprezzato solo da nerd altrettanto smarriti nei meandri della
malinconia verso tempi “più semplici”, in cui mi inserisco io pure, con le dovute riserve.
Riserve dovute al fatto che questo libro fa schifo.
TRAMA
Nel 2045 la Terra è sull’orlo
del collasso: inquinamento, crisi energetiche, malattie, carestie, guerre,
iniquità sociali crescenti e chi più ne ha più ne metta hanno reso il mondo
reale talmente insopportabile che la gente è fuggita in massa su OASIS, un gigantesco MMO (massively multiplayer online)
creato dal genio informatico e super-geek James
Halliday.
Basta un visore e un paio di
guanti atpici e milioni di utenti possono vivere avventure meravigliose e
diventare tutto ciò che si vuole: si può essere versioni più attraenti o del sesso opposto, cambiare etnia o addirittura specie trasformandosi in elfi, troll
o alieni a tre seni.
Nel corso dei decenni Oasis è
diventato non solo un trastullo d’evasione, ma anche e soprattutto il più grande contenitore di sapere
condiviso del pianeta: online infatti tutti possono avere accesso
gratuitamente a programmi educativi, canzoni, serie televisive, film e opere
d’arte.
Ma l'arte, la letteratura o i film seri ce li possiamo pure mettere in saccoccia visto che tutte e 443 le pagine di questo inno sacro ai geek sono dedicate alle nerdate cazzare.
Ad ogni modo, OASIS così com'è potrebbe avere le ore contate: la compagnia sviluppatrice deve
vedersela da anni con la Innovative
Online Industries (IOI), società specializzata nelle comunicazioni globali
e più grande internet provider del pianeta, che più volte ha cercato di porre rimedio alla colpevole
mancanza di spirito imprenditoriale di Halliday per rendere Oasis una vera
macchina cagasoldi pay-to-play, con
buona pace dell’unico lusso a cui hanno accesso i meno abbienti.
Finora si è sempre riusciti a
tenere Oasis relativamente al sicuro dai pericoli del libero mercato, ma l’improvvisa morte di Halliday potrebbe cambiare
le carte in tavola: per fortuna il previdente creatore di Oasis ha lasciato un testamento virtuale secondo cui il
controllo totale su Oasis e la sua immensa fortuna verranno concessi solo a
chi riuscirà ad accedere all’Easter Egg nascosto
all’interno del gioco facendosi strada tra enigmi criptici legati, sorpresa
sorpresa, esclusivamente alla cultura geek mainstream degli anni ’80.
Non stupisce che la
possibilità di diventare ricchi e potenti da far schifo rincoglionendosi di
serie tv, film e videogiochi anni ’80 possa ingolosire chiunque, ed ecco
quindi stuoli di gunters (egg hunters) pronti a divorare bramosamente biografie
e diari dell’autore oltre a qualsiasi roba cagata fuori da quel decennio, per
provare a risolvere il mistero dei misteri e diventare i padroni di Oasis.
Tra tutti questi gunters noi
seguiremo le gesta di Wade, alias Parzival come
il leggendario cavaliere arturiano che nel mito ha trovato il Graal: vedremo la
sua ossessione per il ritrovamento dell’Easter Egg di Halliday, il suo amore
non corrisposto per la blogger e collega gunter Art3mis, la sua amicizia di lunga data col collega nerd Aech. Insieme dovranno vedersela in una
gara senza esclusione di colpi contro il perfido Nolan Sorrento, la IOI al completo e tutti gli altri gunter, ma
alla fine, sorpresa sorpresa #2 che ci fa intuire l'originalità della storia, il bene
trionferà grazie all’amicizia, all'onestà e al coraggio.
RECENSIONE
Ready Player One è del 2010.
La prima serie di The Big Bang
Theory è del 2007.
Lo dico perché questo libro
potrebbe essere nato tranquillamente da una fanfiction AU ad ambientazione
sci-fi di questo telefilm visto che hanno lo stesso scopo di fondo, ovvero
essere una gigantesca sega a due mani fatta
ai nerd nostalgici degli anni ’80. Ma perlomeno TBBT ci ricama una storia intorno alle sterili citazioni nerd.
Wade è un personaggio profondo come una pozzanghera, costruito a
tavolino per scatenare le simpatie dei passatisti che non contemplano nulla di valido dopo il 1989, anche se questo non è a conti fatti un ritratto proprio lusinghiero.
Wade infatti non è che un
cazzo di geek da clichè:
- Povero sia su Oasis che
fuori ◀
- Sfigato e verginello ◀
- Sovrappeso (ma per avere la tartaruga gli bastano 6 mesi di corsetta su tapis-roulant per un'ora al giorno prima di sfondarsi su Oasis. Bonus Eye of the Tiger +5) ◀
- Orfano vessato da parenti
crudeli ◀
- Il parente è una zia (Bonus
Harry Potter +5) ◀
Oasis per Wade rappresenta,
letteralmente, un’ancora di salvezza: grazie a Oasis può frequentare la
scuola senza venir pestato ogni giorno da bulli in carne e ossa, può imparare e acculturarsi a
costi contenuti (i programmi gratuiti per bambini di Morrow gli hanno insegnato la
logica, a leggere, a far di conto), può interagire con la gente, avere un amico
con cui scambiarsi confidenze, trovare la tipella che gli piace, dare uno scopo
alla sua esistenza attraverso la caccia all’Egg di Halliday.
Ma appena conosce Art3mis,
reset.
La forza più propulsiva che lo spinge ad andare avanti è la figa.
Arriverà a distrarsi dalla
competizione che potrebbe cambiare la sua vita, per lei.
Perché ovviamente, che sia ricco
da schifo, borghese o povero come la merda, un nerd adolescente può pensare
solo alla topa, in questo caso a una topa virtuale di cui sappiamo solo una
cosa, che è nerd quanto lui e che a
differenza delle altre ha un avatar normale e non una zozzeria
iperrealistica da Barbie. Perché sono entrambi specialissimi e incuranti
dell’apparenza, conta quello che si ha dentro, bla-bla-bla…
Basta che lei non abbia mai avuto
il pisello, ma su questa cosa voglio
tornarci dopo…
Wade dovrebbe essere poi nelle
intenzioni di chi scrive un ragazzo intelligente, nel pratico è una pagina di memini Anni '80 vivente (roba a cui tra l'altro si è appassionato solo perchè piacevano ad Halliday).
Wade cita in maniera acritica ogni prodotto mediamente mainstream partorito in quella decade magica (come se dal 1990 al 2040
nessuno abbia creato più nulla di valido sulla Terra): bene che vada fa un
bignamino dell’opera che sta citando per risparmiarci un’eventuale gitarella su
Wikipedia senza uno straccio di pensiero critico che vada oltre il “wow, ganzo, lo conosco a memoria”; mal
che vada ci tocca pupparci pagine e
pagine di elenchi sterili, un po’ come faceva Moccia con i brand da ricche
perete.
Non abbiamo idea di quali siano effettivamente i suoi gusti al di là di
quanto gli serva per conquistare l’Egg o del
perché si sia appassionato a una tal opera rispetto a un’altra. Il
suo amore per la cultura pop di quegli anni è artificiosa. Più che un ragazzo
intelligente e appassionato di vintage sembra uno di quei tipi tristi e deprimenti
che riesce a comunicare solo a meme e citazioni perché altrimenti non avrebbe nulla da dire.
Sul versante FEMMINILE le cose, se possibile, vanno peggio.
Art3mis caratterialmente parlando è un guscio vuoto che vive in
funzione del suo essere la cotta del protagonista. Persino nella scelta del
nick deve tutto a Wade, nel senso che narrativamente parlando non ha una motivazione davvero sua: entrambi hanno
optato per una versione modificata del nome che avevano scelto, già preso da un
altro utente. Alla fine resterà addirittura ad aspettarlo alla fine di un labirinto, come se fosse il tesoro che
attende l’eroe alla fine di un dungeon.
L’effetto oggettificazione è
completo.
Ci viene spiegato che Wade ha
cominciato a seguirla e ad invaghirsi di lei perché Art3mis scrive un blog-diario
molto seguito dai gunter in cui parla delle sue analisi critiche e di
interessanti curiosità sui prodotti anni ‘80, dei suoi pensieri, della sua
vita; che è divertente e ironica oltre che molto dotta (sempre in ambito nerd
anni ’80, perché qui non si contempla nessun altro tipo di cultura), ma non
ci verrà mai mostrata una riga di quello che scrive sul suo blog né dai
dialoghi salterà fuori tutta questa profonda e arguta ironia, quindi tocca solo
fidarsi.
Sembra poi che sia amore vero,
che va oltre l’aspetto fisico.
Lei non è perfetta, è
rotondetta e ha una grossa voglia sul viso che la deturpa.
A conti fatti però tutto gira comunque
intorno alla sua vagina. Wade è insistente e volgare, i suoi
tentativi di conquistare Art3mis rasentano lo stalking virtuale: nonostante lei a
un certo punto, ragionevolmente, dopo che lui le ha confessato il suo amore
gli chieda di fare un passo indietro e lasciarle spazio perché non si venga
distratti dalla caccia all’Egg che potrebbe cambiare non solo le loro vite ma
le sorti del mondo, Wade se ne strafunchia e continua a contattarla in continuazione tramite
mail, prendendo come un buon segno il fatto che lei replichi a monosillabi.
“Risponde ai miei messaggi = Le interesso, giorno
glorioso!”
Che possa provare disagio e
risponda per non far degenerare la cosa rendendolo più insistente non li sfiora proprio, né Wade né
soprattutto Cline, che a fine libro riduce
un comprensibile desiderio di spazio (o un semplice non interesse amoroso, perché potrebbe accadere che ti piaccia una tipella che proprio non ti considera visto che le donne hanno desideri e interessi propri) al fatto che Art3mis,
come tutte le altre pischelle che su Oasis si mettono l’avatar da figonza, in fondo
sia solo insicura riguardo al proprio aspetto fisico, quindi al momento del
loro fatale incontro basta solo rassicurarla sul fatto che è bellissima a
dispetto dei chiletti di troppo e della voglia gigante che ha sulla faccia, e
ogni remora di lei sul frequentarsi nella vita vera si dissolverà come neve al
sole.
Capito, ragazze geek introverse?
Aspettiamo solo che un maschietto ci dica che siamo comunque
carine.
Ultimo ma non per importanza, Wade
sembra ossessionato per tutto il tempo dal fatto che lei non sia né sia mai
stata un pisellomunito. Il che in sé non è una cosa da biasimare: non è una
colpa essere etero, e se una persona è etero è chiaro che non sarà attratto
sessualmente da un uomo (magari un vecchio inquietante che potrebbe fingere di
essere una ragazzina per avvicinare degli adolescenti) e questo potrebbe persino
rappresentare un problema nel momento in cui dovessero incontrarsi a dispetto
di tutte le belle parole sull’amare Art3mis per il suo cervello e il suo
carattere, ma dirle “Sei una donna? E
con questo intendo una femmina umana che non abbia mai subito un’operazione
di cambio di sesso” è da sprangata nei denti, sì, ma all’autore di questa
merda.
Notizia flash per Ernest Cline: una trans MtF (male to
female) è una donna ed è sempre stata donna a dispetto dei suoi genitali,
scimmia retrograda. Per non parlare del fatto che se si è sottoposta a un’operazione
di cambio di sesso la vagina lì sotto ce l’ha, imbecille.
Tanto per cambiare il nerd
maschio viene dipinto come sessista, forse
transfobico, dagli stessi nerd che si mettono a scrivere questa roba (lo stesso accade a più riprese in TBBT). E se questo ritratto non vi offende a
morte, amici nerd lì fuori, stateci: siete parte del problema.
Aech ci fa toccare il fondo e poi ci lancia una vanga
per farci cominciare a scavare nella melma puzzolente.
Aech è il migliore amico di
Wade su Oasis.
Quello con cui Wade si è
scambiato confidenze intime (specialmente su Art3mis), che nel corso degli anni
gli ha dato sostegno e amicizia, che si è offerto più volte di aiutarlo economicamente
nonostante lui stesso non navighi nell’oro. Alla fine della storia, quando si
incontreranno di persona per essere condotti da Morrow in attesa dell’epica
battaglia finale a suon di mazzate tra mecha, si rivelerà essere una ragazza lesbica di colore che la madre
ha cacciato di casa a causa delle sue preferenze sessuali, e la prima reazione
di Wade è sentirsi tradito e infuriato.
E poi lasciarsi tutto alle
spalle come se non fosse importante.
Evidentemente per l’autore non è una cosa
importante che il suo protagonista si domandi il motivo per cui la sua migliore
amica si sia sentita costretta a vivere per tutta la vita nel tuo mondo
virtuale perfetto, la tua ancora di salvezza, fingendosi un uomo bianco.
Non è importante offrire a chi ti legge uno spunto di riflessione che vada
oltre il fatto che i Monty Python e Pac-Man sono fichi. D’altronde se per lui
una donna è solo una che non ha mai avuto il cazzo in vita sua cosa voglio
aspettarmi, che sia sensibile alle problematiche affrontate dalle geek non
caucasiche?
Passiamo infine a parlare di ETNIE.
Si arriva a Shoto e Daito, la quota-clichè.
Sono giapponesi, quindi Hikikomori con la passione per i vecchi programmi di samurai, gli anime mecha e l'onore guerriero.
Come era da programma ai tempi
in cui ancora vive l’autore di questo libro dentro la sua testa, di questa
pittoresca quota esotica uno verrà ucciso per davvero dagli sgherri bidimensionali della IOI che irromperanno a casa sua con tanto di videocamera che filmerà tutto fornendo a Wade le prove di cui aveva bisogno per incastrarli, per poi lanciarlo dal balcone simulando un suicidio (invece di rapirlo e spingere gli altri a, per dirne una, collaborare o fare marcia indietro?), mentre l'altro si suiciderà virtualmente per consentire a
Wade di trionfare.
Rei Ayanami style, da bravo giapponese... |
Ora, intendiamoci, il fenomeno
degli Hikikomori (persone che decidono
di isolarsi dal mondo reale per vivere nella loro stanza ed evitare contatti
reali) è una piaga seria legata al mondo geek che ha valicato da decenni i
confini del Sol Levante. Cline non sembra rendersene conto, o lo fa davvero
malissimo, ma tutti i personaggi di questo libro sono Hikikomori che hanno
paura del contatto con un mondo reale che li delude e spaventa. Aech arriva
al punto da non poter trovare pace neppure nel mondo virtuale, e deve annullare
se stessa diventando un ragazzo caucasico.
In tutti c’è una paura folle
nel mettersi a nudo.
E non è un problema che si
risolve nel momento in cui trovi la figa vera, non funziona così. Ma tutto il libro è permeato
da questa irritante superficialità con cui vengono lasciati da parte argomenti seri per far spazio alle cazzate.
*
A livello di TRAMA le forzature
abbondano.
E se posso passare sopra l’incredibile
botta di culo rappresentata dal fatto che il labirinto che conduce alla prima
chiave sia proprio su Ludus, il pianeta-scuola, l’unico posto in cui uno
studente può teletrasportarsi gratis perché alla fine lo scopo di Halliday era proprio quello di permettere a chiunque di
diventare il suo erede, già il fatto che proprio in quel momento si stia
disputando una partita virtuale proprio nelle vicinanze dell’ingresso del
dungeon per permettergli di teletrasportarsi gratuitamente è forzato.
Per lo stesso motivo se può
essere pure logico da un certo punto di vista che la prima prova consista nel battere
un Re Lich a Joust invece di battersi con lui a duello, meno logico è che
guarda un po’ il caso proprio a quel gioco fosse un campione.
Però qualche anno fa, ci tiene
a precisare, tanto per far finta che ci sia
qualche difficoltà iniziale prima dell’immancabile vittoria al primo tentativo (laddove Art3mis ci stava provando da un mese).
Seguono avventure interattive
in cui si ritrova ad impersonare attori in film
che conosce a memoria come Wargames e I Monty Python e il Sacro Graal (e
lui si chiama Parzival come il cavaliere che ha scoperto il Graal, che
finezza!!), arcade a cui è imbattibile,
soluzioni che gli piovono dal cielo mentre cazzeggia.
A un certo punto, a convenienza
e senza che ci venga giustificato in maniera decente dal momento che non basta
sfondarsi di Casa Keaton e MMOG dalla culla e riparare pc recuperati dal pattume per trasformarsi in Gary McKinnon, diventerà un hacker e genio dell’IT in
grado di forzare il sistema di una multinazionale informatica, recuperare
informazioni top secret che pare siano a portata di qualsiasi stronzolo di tecnico aziendale per condividerle col mondo affinchè tutti i gunter (e
le autorità già che ci sono, bontà loro) scoprano e puniscano finalmente le nefandezze della IOI.
Come se tutto questo non
bastasse l’intera caccia è pure noiosa.
Ogni volta che si presenta una
sfida Wade la descrive (se si sente in vena ci spiega che è belliXXima o che a
Halliday piaceva un sacco), fa finta di essere in difficoltà, ci spiega tutti i
particolari più tediosi come le decriptazioni dei messaggi (spesso nate da un’epifania
casuale), il modo in cui si pilota un uccello in Joust o i trucchi e bug di
Pac-Man, ci descrive per filo e per segno le battaglie di Wargames, cita interi
dialoghi di film per dare volume al romanzo, e in tutto questo tu non hai
appreso assolutamente nulla del mondo creato da Ernest Cline o del suo protagonista.
Ti sei solo fatto una spanciata
di roba anni ’80 mischiata a caso.
E alla fine hai imparato che basta trovare la figa e perdi la voglia di
stare su internet. Oh, perdiana, è così facile? Presto, qualcuno avvisi tutti gli Hikikomori del mondo e regali loro delle prostitute.
Questa bella moraletta spicciola che troviamo alla
fine del libro è figlia di una concezione del mondo, degli anni ’80 e
soprattutto dell’internet filtrato attraverso gli occhi di (*infilo le
lenti da mistress nazifem*) un maschio
bianco etero nostalgico.
Una visione non sbagliata per sé
ma molto limitata.
Il mondo virtuale di Ready
Player One è un’oasi, anche nel nome.
Un mondo in cui gli unici
cattivi sono rappresentati dalla IOI (nella persona del perfido Norman Sorrento,
che ha la complessità caratteriale di un cattivo di un film con Steven Seagal e fa gli stessi errori da stronzo) e
da un bulletto che si vede giusto all’inizio e sembra il Draco Malfoy dei geek,
ma per tutto il resto si lotta in maniera onesta, si combatte in modo onorevole,
alla bisogna si collabora e ci si aiuta, si trova l’amore vero e amicizie
solide come una cotta di maglia di mithril.
Poi è vero, anche in RPO ci sono persone isolate, delle
donne di colore che si sentono al sicuro solo se si fingono maschi bianchi
etero, donne (e uomini) che avvertono una tale pressione sociale da rendere in
continuazione il proprio avatar virtuale il più avvenente possibile mentre le loro controparti fisiche si lasciano andare, in una smania di apparire e non di essere sani
per sé stessi, ma chi se ne frega, battiamoci il pugno e chiamiamoci amigo, bro…
Se l'autore avesse voluto fare solo una storia superficiale e divertente ambientata nel mondo virtuale non ci sarebbe stato assolutamente nulla di male, ma avrebbe dovuto evitare di infilare nel calderone di RPO tutte queste problematiche serie (la crisi della terra, la povertà, i pregiudizi) per poi lasciarle lì a macerare inutilmente.
Se l'autore avesse voluto fare solo una storia superficiale e divertente ambientata nel mondo virtuale non ci sarebbe stato assolutamente nulla di male, ma avrebbe dovuto evitare di infilare nel calderone di RPO tutte queste problematiche serie (la crisi della terra, la povertà, i pregiudizi) per poi lasciarle lì a macerare inutilmente.
Cline infine idealizza per tutto il tempo un ambiente,
quello virtuale, che per molte persone è orribile tanto quanto quello reale.
Ci sono ragazzi che si
suicidano per il bullismo virtuale, che subiscono molestie e minacce di morte.
Pagine razziste, omofobe e sessiste che affliggono i social e che restano
impunite nel totale disinteresse delle vittime, revenge porn, donne che nella
vita online devono fingersi uomini per essere rispettate come gamer, neri che devono
fingersi caucasici, gente che si insulta perché non conoscono il tal fumetto o
non trovano gradevole il tal videogioco, movimenti come il ComicsGate che si battono con violenza contro la “diversità forzata”
imposta dalla lobby del politically correct.
La subcultura nerd, per chi
l’ha frequentata assiduamente, può essere uno dei luoghi più tossici che esistano.
Ready
Player One sembra appoggiare una linea di pensiero non
proprio figlia del volemosebbene in
cui le donne sono trofei da tampinare finché non cedono, è ok nascondere chi si è davvero per evitare di
essere bullizzati (perché in fondo se sei nata nera e donna è colpa tua) e
molestare la tipa che ti piace nonostante lei ti abbia detto che vuole spazio, ma a parole mi sta dicendo l'esatto contrario, prendendomi forse per una babbea che non ha mai frequentato un forum di nerd su internet.
*
Alla fine dei giochi Ready
Player One non mi sta raccontando nulla che meriti la mia attenzione: propone una storia banale a suon di citazioni facendo leva su un certo tipo di
nostalgia.
Quella che prova gente come Ernest Cline.
Giudizio finale:
Enorme sterile e a tratti offensivo mappazzone anni '80 |
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