mercoledì 24 giugno 2020

[Recensione] THE BREADWINNER - I RACCONTI DI PARVANA

The breadwinner, I racconti di Parvana (locandina)
Paese: Irlanda/Canada/Lussemburgo
Anno: 2017
Regia: Nora Twomey
Produzione: Cartoon Saloon
Cast: Saara Chaudry, Laara Sadiq, Shaista Latif, Ali Badshah, Noorin Gulamgaus, Kawa Ada


L’irlandese Cartoon Saloon dopo averci deliziati con opere del calibro di The secret of Kells e La canzone del mare sforna un gioiellino dal sapore mediorientale, che purtroppo si è visto fregare l’Oscar 2017 come miglior film animazione dallo splendido Coco (la maledizione dei film Cartoon Saloon: anche La canzone del mare ai tempi dovette chinare la testa di fronte a Big Hero 6, sempre a targa Disney-Pixar).

Dispiace che a fronte di un budget consistente il film non sia rientrato neanche nella metà delle spese. Dispiace perché questi tentativi coraggiosi da parte di uno studio d'animazione che non appartiene alle grandi Major di dar vita a qualcosa di diverso dal consueto “realismo” popolato da inquietanti lolite idrocefale in CGI dovrebbero essere premiati, ma onestamente almeno per quel che riguarda la distribuzione italiana non ne sono stupita.

Personalmente non ho visto The Breadwinner passare al cinema nemmeno per sbaglio, e il nostro multisala ha 12 sale. Certo se capiti nel periodo in cui te ne occupano 4 per l’ultimo live action disney e 4 per l’ultima fatica Marvel resta poco spazio per tutto il resto, lo capisco (*prego inserire sarcasmo*), già ho dovuto ringraziare le forze delle tenebre per essere riuscita a vedere Gatta Cenerentola, ai tempi. 
Era distribuito in DUE cinema in tutta la regione.
Non paghi di ciò, per questo film hanno deciso di far regnare sovrana la confusione a partire dal titolo in quanto il film in originale si chiama The Breadwinner (letteralmente "colui che vince il pane" ovvero il “sostegno della famiglia”, ruolo tradizionalmente ricoperto anche in occidente dall’uomo), tradotto in italiano al momento della "distribuzione" cinematografica come I racconti di Parvana (quando poi guardando il film si vede che il racconto è uno solo, ma ce la fate?). Non paghi di questo cambio di titolo Netflix lo acquisisce e decide a caso di ribattezzarlo Sotto il Burqa, rimandando in questo modo al titolo del l'omonimo romanzo di Deborah Ellis da cui è tratta la pellicola.
Per comodità lo chiamerò col nome originale, che è anche il titolo che ha più senso visto che la protagonista (che è il fulcro della narrazione) non solo, come ho già detto, racconta una storia sola, ma non indossa alcun burqa. Ma in italia se parli di medioriente la parola Burqa nel titolo devi mettercela per forza, sorprende che Persepolis sia riuscito a preservare la dignità e a non chiamarsi “Un Burqa tricolore” o "Un burqa e due baguette".



DUE RIGHE DI TRAMA
Parvana (Saara Chaudry) ha 11 anni e vive a Kabul, in Afghanistan.
La vediamo seduta a bordo della strada accanto a suo padre Nurullah (Ali Badshah), un ex insegnante che ha perso una gamba nel precedente conflitto russo-afghano (1979-1989) per vendere i loro pochi averi, tra cui un abito tessuto a mano che la giovane Parvana non ha mai avuto modo di indossare.  Nurullah chiede a Parvana di raccontargli tutto ciò che ricorda della storia del loro paese.
La bambina però non ricorda nulla.
Non vede il senso nel ricordare cose che le sembrano così lontane e inutili. Il padre allora decide di renderle le cose più facili e trasformare la storia dell'Afghanistan in una favola, perché un racconto resta impresso nel nostro cuore anche quando tutto il resto scompare.

Per inciso Parvana non sta indossando un burqa, soprattutto non un burqa afgano che è uno scafandro celeste con un gabbiotto al posto degli occhi, ma un hijab o più probabilmente uno Shayla visto quanto è scoperto il collo.

Purtroppo l’atteggiamento folle e sovversivo di Nurullah, che vuole acculturare sua figlia invece di farla sposare al primo stronzo che la reclami, non passano inosservati: un suo ex allievo lo denuncerà come traditore in quanto detiene in casa dei libri proibiti che usa per insegnare a leggere e scrivere alle sue figlie.
Nurullah verrà quindi trascinato in prigione, lasciando soli e senza mezzi la piccola Parvana, la madre Fatteema (Laara Sadiq), la sorella maggiore Soraya (Shaista Latif) e il suo fratellino Zaki, che ha solo 2 anni e non può ricoprire il ruolo dell’uomo di casa.
Toccherà invece a Parvana farlo.
La ragazza deciderà di tagliarsi i capelli, indossare gli abiti di suo fratello morto  Sulayman e spacciarsi per un cugino di nome Aatish (Che significa “Fuoco” anche se “non è un vero nome”, le diranno. Del resto, nemmeno Aatish è un vero uomo), per poter girare per la città a comprare del cibo, mantenere la sua famiglia con vari lavoretti di fatica e sedendo al mercato al posto che era di suo padre, con la segreta speranza di far uscire suo padre di prigione.

Nel corso della storia le si affiancheranno Shauzia (Soma Chhaya), una ex compagna di scuola che proprio come lei si finge un ragazzo per mantenere la famiglia (una famiglia molto meno idilliaca di quella di Parvana, dal poco che veniamo a sapere), col sogno di andare lontano, sulla costa, per vendere chincaglierie ai turisti, e Razaq (Kawa Ada), un soldato talebano ma di buon cuore, che si avvicinerà alla piccola Parvana dopo aver subito un grave lutto.




La vita di Parvana viene inoltre scandita da un racconto, una favola nata per caso, per far smettere di piangere il fratellino disperato, e che finirà invece per dare conforto a lei nei momenti più disperati: le avventure di un ragazzo di nome Sulayman il cui destino è salvare il suo villaggio dal malvagio Re Elefante, mentre una presenza inquietante e informe incombe su di lui...



IMPRESSIONI SPARSE

Parto dal presupposto che The Breadwinner non vuole far commuovere, ma proprio per questo per quanto mi riguarda ci riesce, e molto. Siamo ben lontani da quelle pellicole dalla tematica triste patetiche e paracule in cui avverti come un azzimato sciacallo hollywoodiano il regista o chi per lui darti di gomito per sogghignare sornione: “guarda quanto l’ho fatta triste questa scena, guarda i bambini che piangono, la violenza perpetrata ai danni dei deboli con un filtro desaturato in un crescendo di violini e tonalità grevi… Non ti viene da piangere? Non lo vuoi un kleenex?”. 
Bello, lascia che ti illumini: se mi stai parlando, tanto per dire, di ebrei rinchiusi nei campi di concentramento o di apartheid non hai bisogno di “farmela triste”, è triste anche da sola. Se calchi la mano mi sputo un polmone.
Il che spiega quella volta in cui al cinema ho rischiato il linciaggio durante la scena della morte di Sirius in Harry Potter 5. Anche meno, Yates, anche meno...



La Kabul di The Breadwinner non è l’Iran in trasformazione in cui è cresciuta la Marjane di Persepolis, ma ha già subito guerre e bombardamenti, ed è già sotto il giogo talebano, con la violenza e la prevaricazione che fanno parte della quotidianità di Parvana al punto che persino a noi tutto sembra quasi normale, persino il fatto che Parvana non possa andare a prendere l’acqua al pozzo senza temere per la sua incolumità.
Le donne nella Kabul di The Breadwinner sono già relegate dietro le mura domestiche, o nascoste allo sguardo degli uomini da scafandri azzurri, ed è proibito loro persino avventurarsi fuori casa in cerca di cibo o medicine.



La regista riesce comunque a trattare il tema con delicatezza, e un rispetto raro (che già è visibile anche solo dal fatto che in questo racconto è alle donne che è permesso raccontare la loro storia, senza filtri. Persino l'unico uomo della famiglia di Parvana, per quanto illuminato sia, esce di scena nei primi minuti della pellicola).
Se ci troviamo di fronte a una donna picchiata dai talebani per aver contravvenuto alla legge, la telecamera sposta pudicamente lo sguardo per non mostrarci esplicitamente la violenza: piuttosto ci mostra i suoi effetti, o si sofferma sul gesto amorevole di una figlia che pulisce le ferite inferte alla madre. E se in una scena intravediamo anche, alle spalle di un anziano signore che compra l’abito di Parvana al mercato, una sposa neanche adolescente, nessuno leva alte grida di sdegno o punta il dito con piglio tutto occidentale a sottolineare l'orrore.
Basta mostrarlo e il messaggio arriva. Forse anche meglio.




 Non è solo la parte di denuncia sociale o la storia della tenera bambina coraggiosa ad avermi colpita, ma anche e soprattutto la semplice quotidianità di Parvana.
The breadwinner infatti brilla per l'attenzione e il rispetto con cui si è rappresentato l'Afghanistan talebano: la vita di tutti i giorni, i piccoli gesti e i rituali domestici, i rapporti tra le persone sia all'interno di una famiglia che le interazioni sociali e sul lavoro, come si muta anche inconsapevolmente di fronte a un giovane, a una donna, o a un anziano.
Tutto è accuratissimo, nulla è superficiale o facilone o patetico al fine di scatenare la famosa lacrima strappastorie di cui al punto 1. 
Sono i piccoli gesti di tenerezza, gli sguardi d'intesa o i rimbrotti lanciati di sottecchi davanti al piatto con la cena (tipica e rigorosamente condivisa) che ci mostrano anche i rapporti che corrono all'interno della famiglia di Parvana, senza bisogno di spiegazioni didascaliche a prova di shtupide


Parvana ha 11 anni e, viene fatto notare a inizio film, a breve avrebbe già l’età per sposarsi (a un certo punto la vedremo pure una sposa bambina): ma in famiglia non solo la cosa non viene presa in considerazione (è ancora una bambina e non deve avere tutta questa fretta di crescere, le viene detto), ma persino la sorella maggiore, che di anni ne ha ben 18, non è ancora promessa (e non a caso non metterà mai il naso fuori di casa, perché se è pericoloso per una bambina andare al pozzo vicino casa a raccogliere l'acqua figurarsi come lo sarebbe per una giovane donna).


Per entrambe le figlie è rispettato il loro diritto di restare libere quanto più è possibile. Ed entrambe accudiscono la madre e il fratellino con tenerezza, alla bisogna.
Tutti si prendono cura degli altri.
Perchè è proprio la famiglia il fulcro di questo film.
Persino il defunto Sulayman, loro fratello ed eroe del racconto di Parvana.



 The Breadwinner è un racconto racchiuso in un racconto.
La storia dell’Afghanistan prima di Parvana ci viene presentata come una favola il cui inizio va perdendosi in tempi lontani (e la cui fine non ci è dato di sapere); la narrazione è scandita a ritmi regolari dalla storia di Sulayman, tutta colori vibranti e sagome che richiamano ai vecchi libri illustrati di favole e che tanto vanno a discostarsi dal grigiore monocromatico o dal color sabbia pallido in cui è immersa una Kabul sull’orlo della guerra; la stessa storia di Parvana e della sua famiglia è crudelmente realistica ma finisce con l'assumere toni vaghi, irreali, quasi favolistici man mano che si prosegue nella narrazione. Il che non sminuisce il dolore e il coraggio di queste persone ma lo rende quasi un racconto universale.
Il fatto che Parvana (e poi Shauzia) debba travestirsi da uomo ad esempio non la porta a particolari riflessioni sul ruolo della donna o sul potere patriarcale, non le crea crisi di identità o  dubbi, paradossalmente non è importante. C'è un po' di esitazione al momento di tagliarsi i capelli ma finisce. Il travestimento è, nonostante le motivazioni pragmatiche (uscire e comprare del cibo per la famiglia) un mero espediente fiabesco perché la storia prosegua, proprio come la vecchina che regala a Sulayman lo specchio brillante che lo aiuterà a sconfiggere il re elefante.

Dal punto di vista estetico, questo non stupisce, il film è delizioso e non manca di colpire, come già detto a più riprese, l'attenzione per i particolari.
A cominciare dalla protagonista, dal momento che non si può fare a meno di notare che Parvana è fisicamente ispirata a Sharbat Gula, la famosa afghan girl fotografata da Steve McCurry e comparsa sulla copertina del National Geographic del 1985.



Non è casuale che quando è ragazza Parvana spicchi sullo sfondo con i suoi colori (nonostante tecnicamente debba tenere un profilo basso, non farsi notare): i grandi occhi verdi, le sciarpe di un rosso acceso o turchese brillante, la tunica verde che si staglia sullo sfondo di una Kabul spossata in cui regnano i toni spenti, il giallo pallido, il beige, il marrone, e tutto è coperto dalla sabbia che sfoca spesso la nostra visuale permettendoci di concentrarci continuamente su Parvana. 
Quando invece Parvana diventa Aatish tutto cambia.
Nel momento in cui la ragazza entra, per sopravvivere, all'interno di quello stesso sistema che opprime quelle come lei, i suoi colori scompaiono, si spengono, e lei si mimetizza alla perfezione con la città di Kabul.


Nel mondo della fiaba invece, quando è Sulayman a farsi protagonista e ci lasciamo alle spalle l'Afghanistan, tutto si ribalta: se la realtà è grigia e polverosa o immersa nella sabbia del deserto, la fantasia è costruita su toni vivaci e colori violenti, quasi psichedelici. 




Nelle sequenze di fantasia i personaggi perdono la morbidezza e delicatezza minimale del character design, trasformandosi in rigidi burattini di carta, figure da libro (non a caso è il possesso di un libro di racconti ad aver causato l'arresto di Nurullah).
Tutto nel film sembra suggerire che è nelle storie (e nella storia) che è da ricercarsi la salvezza.

*

IN CONCLUSIONE...
The Breadwinner è un delicatissimo inno al coraggio che dà voce alle donne (ma non solo) e nel farlo ci parla di speranza e sopravvivenza, una speranza che deve costruirsi sulla cultura e la conoscenza del passato in modo da non dimenticare ciò che è stato, ma anche sulla fantasia. Perché è la fiaba a riempire The Breadwinner di colori e l’anima di Parvana e della sua famiglia di ottimismo e promesse per il futuro, un futuro in cui il giovane Sulayman, buono, intelligente e pieno di risorse, non è morto a causa di una mina abbandonata per strada ma è destinato a sconfiggere il malvagio Re elefante e riportare la pace e l’abbondanza al suo villaggio.


Perché in The Breadwinner è la gente, alla fine di tutto, ad avere nelle proprie mani gli strumenti per sconfiggere Il re Elefante: gente che sa essere sì crudele (ma che spesso agisce così perché a sua volta vive nella paura, sembra suggerirci il film, che raramente punta il dito contro le persone quanto contro le idee liberticide) ma anche gentile e disinteressata, e nel corso della pellicola darà vita a grandi slanci di coraggio e amore, o a piccoli gesti di umana compassione, senza chiedere in cambio nulla, neppure un grazie.
Perchè in fondo, come ci dice il film: "La più grande ricchezza dell'Afghanistan è la sua gente"...

Giudizio finale:
Ci ho pianto come una deficiente per tutto il tempo...


1 commento:

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