mercoledì 19 agosto 2020

[Recensione] IL COLOSSO DI RODI (1961)

Paese: 
Italia/Spagna/Francia
Anno: 1961
Regia: Sergio Leone
Soggetto e sceneggiaturaEnnio De Concini, Sergio Leone, Cesare Seccia, Luciano Martino, Ageo Savioli, Luciano Chitarrini, Carlo Gualtieri, Duccio Tessari
Cast: Rory Calhoun, Lea Massari, Georges Marchal, Conrado San Martin

C'era una volta il peplum...
Tra gli anni '50 e i '60 agli Stati uniti, in preda al delirio postbellico di propagandarsi per il mondo come "gli eroi", venne il pallino della ricostruzione storica di stampo greco-romano, dove per storico intendiamo uomini pompati e unti come polli allo spiedo che indossano tuniche striminzite che girano tra le povere genti di Grecia, Egitto e Asia Minore conquistando figa ed esportando democrazia a schiaffoni. 
Insomma, il classico panorama yankee.
La caterva di dollari che piove nelle tasche dei registi americani permette di vedere la nascita di blockbuster immortali come Quo Vadis (1951), I Dieci Comandamenti (1956) Ben Hur (1959) e Spartacus (1960), film visivamente spettacolari e che soprattutto fanno molta presa anche da questa parte dell'Atlantico, in quella che fu la culla di questi grandi imperi, l'Italia.
I registi nostrani colgono la palla al balzo.
Mancando dei capitali americani, ma non di fantasia, il nostro cinema dà vita alla risposta italiana allo sword and sandal statunitense, i peplum (letteralmente, la tunica greca fissata sulle spalle): film a basso costo con effetti speciali posticci, star straniere e comparse rubate alle palestre di culturismo, chili di polistirolo espanso a invadere le scenografie, trucco eccessivo e opulente, doppiaggio vistosamente fuori sincrono e attenzione alla verosimiglianza storica prossima allo zero, per risultare più appetibili alle grandi masse.
Anche un quasi esordiente (c'era già stata la parentesi di Gli ultimi giorni di Pompei, in cui sostituì all'ultimo Mario Bonnard) come Sergio Leone, lungi dall'essere già qui l'ultimo degli stronzi essendosi fatto le ossa persino al fianco di Kubrick nel succitato Ben-Hur, non resiste al richiamo da sirena del guadagno facile (anche perché, diciamola tutta, senza le pecionate che incassano i dindini per finanziare i film d'autore non si fanno) e dona al mondo un'opera in linea col genere, acerba per gli standard del regista, ma che riesce comunque a distinguersi e ad essere apprezzata da una persona come la sottoscritta che con le avventure semi erotiche di Ercole e Maciste si è sempre fatta un po' due coglioni.
DUE RIGHE DI TRAMA
Isola di Rodi, III-IV a.C, non si sa, fidamose.
L'ateniese Dario (Rory Calhoun), eroe di guerra che ha recentemente combattuto al fianco di Alessandro nella battaglia di Isso, per riprendersi dalle fatiche del conflitto si trova in visita presso lo zio Lisippo (George Rigaud) a Rodi, dove il tiranno Serse ha fatto edificare dall'architetto Carete il famoso Colosso, meraviglia del mondo antico mai giunta a noi.
Nel film il Colosso è una statua alta 32 metri in bronzo dorato raffigurante il dio Helios, dotata di letali marchingegni di difesa comandati dall'interno e situata all'imboccatura del porto, col compito di tenere sotto controllo le navi in arrivo e in partenza dal ricco porto commerciale, con particolare attenzione riservata ai Fenici, che bramano di conquistare un territorio tanto ricco e geograficamente strategico.
Ma non solo dai nemici esterni tocca guardarsi.
A Rodi infatti serpeggia il 
malcontento tra la povera gente a causa degli sperperi scellerati e dissoluti del tiranno, e gruppi di rivoltosi guidati da Peliocle (Georges Marchal, francese nonché l'unico biondo dell'isola, perché salti meno all'occhio come capo di un gruppo bombarolo) e i suoi fratelli tentano a più riprese di attentare alla vita di Serse, ma senza successo. 
A questo punto si decide di coinvolgere Dario nella battaglia, 'ché essendo un eroe di guerra e in più ateniese, come un Emiliano Zapata di ritorno dall'estetista di certo correrà a impugnare la spada al fianco del popolo per portare la democrazia. 
Appurate le loro buone intenzioni, e smesso per un secondo di fare il filo alla bella e ambiziosa figlia dell'architetto, Diala (Lea Massari), Dario abbraccia la loro causa e ca bordo di una nave pilotata dallo stesso Peliocle cerca di raggiungere di nascosto la democratica e potente Atene per chiedere aiuto, ma mentre si trovano sotto al colosso ne viene azionato il meccanismo di difesa: l'imbarcazione va a fuoco, Dario e i ribelli catturati e torturati dal fido consigliere di Serse, Tireo (
Conrado San Martin, che è spagnolo quindi giocoforza fa il perfido), che con un effetto speciale pezzotto ma devo ammettere discretamente figo getta loro addosso metallo fuso.
Nel frattempo anche i Fenici non stanno a girarsi i pollici.
Il loro piano è infiltrarsi un po' alla volta a Rodi come schiavi (importati in gran numero proprio a causa della politica delle grandi opere di Serse) grazie alla complicità di Tireo e, una volta raggiunto un numero consistente di uomini, scatenare l'inferno. Ma il fratello più giovane di Peliocle, che ha assistito per caso alla scena dello spiegone del piano malvagio a prova di sciura del circolo parrocchiale©, organizza un assalto per liberare i prigionieri prima che vengano sacrificati al dio Baal.
Mentre i ribelli cavalcano fino al loro nascondiglio in modo molto poco greco per studiare il da farsi (infiltrarsi all'interno del Colosso e attraverso una leva lì contenuta liberare i prigionieri perché facciano da sacca di resistenza contro l'invasore straniero), Dario torna di nascosto da Diala (incombendole addosso mentre dorme, ed torno subito al cringe alla Twilight con un flashback tipo Vietnam) e, ancora una volta, le racconta tutto facendosi condurre da lei fino al Colosso. 
Peccato che, sorpresa sorpresa, Diala sia in combutta con Tireo per rovesciare Serse e diventare regina di Rodi, e lì lo aspetti un agguato da parte di Tireo e dei suoi. 
Dario anche a questo giro la scampa per miracolo, facendosi strada a colpi di spada in una scena di battaglia al cardiopalma (ma che al tempo stesso regala momenti involontariamente comici, vedi lato) che si svolge sulle spallone possenti di Helios che termina in un tuffo elegante dalla cima della statua, ma la traditrice Diala pagherà cara la sua avidità: il padre Carete, che assiste casualmente alla scena e troppo idealista per seguire la figlia nei suoi intrighi, verrà ucciso senza pietà dagli uomini del consigliere. Impotente vittima di un gioco a cui lei stessa ha deciso di partecipare, non potrà neanche versare una lacrima per lui.
Dario torna al nascondiglio dei ribelli ma lo attende un'amara sorpresa: sono quasi tutti morti per mano del solito Tireo, i pochi sopravvissuti sono stati condotti al circo dove saranno presto messi a morte, e Mirte (inutile sorella di Peliocle che serve giusto come quota fighino vanilla) lo accusa di averli traditi.
Dario fugge verso la città, nel tentativo di salvare i ribelli, e il suo arrivo coincide con l'attacco dei Fenici: nel caos che segue Serse viene ucciso, i ribelli salvati, i prigionieri liberati grazie al meccanismo all'interno del Colosso, e come se tutto questo non bastasse si scatena a caso un cazzo di terremoto che semina morte e distruzione senza fare distinzioni tra buoni e cattivi.
I fenici fuggono in preda al terrore, Tireo viene ucciso da Ares, altro fratello di Peliocle, Diala libera Dario e il cielo la premia facendola finire sotto a una trave neanche un secondo dopo e il nostro eroe si consola neanche due minuti dopo con l'inutile Mirte, cavalcando con lei in maniera sempre molto poco greca verso il tramonto e un nuovo futuro insieme a Rodi, dove dopo la tragedia tutto è da ricostruire da zero.
PENSIERI SPARSI
Il film è un divertissement e non se ne vergogna.
Leone è alle prime armi quindi non ci sono grandi sprazzi di genio.
Cionondimeno risulta essere una pellicola abbastanza atipica nel genere peplum, anche se gli elementi distintivi li abbiamo praticamente tutti: 
 Uamericano piacione per strizzare l'occhio al mercato estero (Rory Calhoun, volto noto del genere western e subentrato a un riottoso John Derek, che voleva prendere in mano le redini del film essendo al tempo Leone un emerito signor nessuno con poca esperienza).
✔ Casting sciolto e disinvolto, con lo spagnolo peloso per forza di cose cattivo e l'unico biondo di Rodi a fare il capo dei ribelli.
 Femmes fatales riottose contrapposte a fighine languide.
✔ Calamità naturale "divina" che interviene dall'alto a punire la hybris umana.
 Povertà di mezzi con bonus pietra a effetto polistirolo e spadini che a malapena si toccano.
 Libertà storiche svergognate, ancora oggi marchio di fabbrica delle produzioni yankee: basti pensare che il terremoto di Rodi che distrusse il famoso colosso (costruito verso il 301) ci fu nel 226 a.C, ma la battaglia di Isso a cui Dario dice di aver appena partecipato è del 333 a.C. Si fa ancora riferimento allo splendore e alla forza di Atene, gioiello della Grecia, quando quel treno è passato dal 404 a.C.
✔ Eccessi opulenti che fanno il verso ai grandi kolossal d'oltreoceano: pettinature gonfie e ricciolute, vestiti intessuti di gioielli, eleganti e sensuali numeri coreografici di danza; nonché decine, decine e poi ancora decine di controfigure.
Dai, rega, che l'ultimo che arriva non acchiappa il cestino del pranzo!
Però Leone ci mette anche molto del suo, permettendoci di scorgere già qui, tra le tuniche davvero troppo corte per poter essere prese sul serio e le divinità pagane, i primi germogli del suo genio: solo tre anni dopo a vedere la luce sarà Per un Pugno di dollari (1964), il film che reinventerà il western dandogli quel tocco sporco, ironico e decadente.
Perché a noi l'eroe trionfante americano ha rotto il cazzo.

► CRUDEZZA
Il colosso di Rodi è un film che indulge spesso, crudelmente, nel sadismo: basti pensare alla scena della tortura di Peliocle e i suoi uomini, dove viene loro gettato del metallo fuso sulla pelle perché confessino dove si trova il loro covo. La telecamera resta a lungo sulle gocce roventi che sfrigolano sulla pelle, e per secondi interminabili nelle orecchie udiamo i gemiti e le urla di uomini in preda all'agonia.
Durante il terremoto che devasta Rodi non vengono risparmiati né colpevoli né innocenti; vediamo morire madri e bambini, anziani e neonati, ladri ed eroi; gente che si tuffa dai tetti per salvarsi dalle fiamme che, realisticamente, viene trascinata via zoppicando; non ci viene risparmiato nemmeno il dolore di chi dopo, al ritorno della calma, resta a piangere i defunti.
E per quanto alla Massari non si sbavi neanche il mascara, la scena della sua morte (dove per la prima volta stringendo la mano di Dario si abbandona al pianto, lusso che non aveva avuto nemmeno alla morte del padre, e a un tenero ricordo d'infanzia) non manca di colpire e addirittura commuovere per la sua crudeltà di fondo: punita da un destino beffardo proprio nel momento della sincera redenzione.
"Vedi? Volevo avere tutto e muoio senza aver avuto niente..."
"E non ti ho ancora detto che tra neanche due minuti mi getterò tra le braccine di Mirte, manco il tempo di far raffreddare il tuo cadavere."
"... Come scusa?"
"No, niente, aaaaah tu non sei una donna comune, addio!"

 IRONIA
Penso che nelle intenzioni del regista il sottotitolo di questo film avrebbe dovuto essere: scusate, l'ho fatta per mangiare 'sta cacata ma almeno mi ci diverto un po'. Il film infatti è (volutamente) pieno di scene che mi hanno fatto fare a più riprese grasse risate.
Tappi per le orecchie e mutande con
le frange... Lisippo maestro di vita
e di eleganza.
Ti si vuol bene...
 💙
Per esempio, verso l'inizio della pellicola il trio di compadres Peliocle, Ares e Creonte pensa di chiedere aiuto all'ateniese Dario, perché li aiuti nella loro causa a sostegno del Fronte Popolare di Rodi (e qui chi la coglie è bravo). 
Il metodo migliore che trovano queste menti geniali per dimostrargli che non sono brutali assassini votati alla violenza ma ribelli votati alla causa del popolo è aggredirlo mentre è in camera sua, lo zio che dorme a due passi con tanto di tappi per le orecchie per non sentire i rumori dei tuoni. Ogni volta che la scena di lotta rischia di diventare troppo seria Leone decide di inquadrare lo zio addormentato che fa delle faccette.
Dopo due minuti finisce tutto a tarallucci e vino.
Forse è così che si testava l'amicizia virile nell'antica Grecia.
Nulla si salva, nemmeno la tragedia
: durante il terremoto facciamo il pieno di scene demenziali, da persone avide che fermandosi a rubare coppe e gioielli vengono investiti da una pioggia di detriti che sembra tirata loro addosso a secchiate (ripreso uguale identico da Gli ultimi giorni di Pompei) alle pareti di cartapesta che cadono a ogni piè sospinto, fino a un cavallo che in barba a qualsiasi istinto di autopreservazione durante l'ennesima scossa resta tranquillo e immobile rivelando l'artificio registico della telecamera in movimento. E' come se il regista in maniera polemica volesse togliere gravitas all'accadimento che in questo genere di film popolari viene tenuto in maggior considerazione, la punizione ad opera del divino: questo non avviene a caso, visto che non solo la DC metteva parecchio il naso all'interno della produzione cinematografica (quindi piazzarci dentro qualche prete bontempone o un Dio castigatore ripagava sempre), ma soprattutto che all'epoca le grandi sale erano presenti solo in poche città e i circuiti di distribuzione veri, quelli che andavano davvero a toccare capillarmente la nostra penisola, erano quelli parrocchiali.
E' il caso a plasmare la storia.
Lo stesso protagonista è la parodia dell'eroe di un peplum (che sarebbe incarnato molto meglio da Peliocle, qui lasciato volutamente in secondo piano perché, lo ribadiamo, gli eroi americani vecchio stampo hanno rotto il cazzo a Leone da quel bel po'): descritto come un eroe di guerra (ma tocca fidarsi perché non lo dimostra mai), Dario è ben lungi dall'essere il solito invincibile forzuto uscito direttamente dal mito, amato dalle donne e temuto dai malvagi. E' venuto a Rodi, terra delle rose e della pace, per tenersi alla larga dai conflitti, riposare, prendere il sole e cercar figa. E' trascinato suo malgrado nella guerra di qualcun altro non perché combatta in prima persona ma perché chieda aiuto ad altri, e a causa della sistematica fiducia che ripone in Diala sono più i guai che combina che l'effettiva utilità alla causa. 
► LIBERTA' STORICHE
Leone non si limita a prendersi piccole libertà qui e lì come d'uso comune in questo genere di film per risultare più appetibili al pubblico contemporaneo (donne che possono permettersi di rispondere a tono in un'epoca in cui valevano meno degli asini, fatti storici piegati alle esigenze narrative, mutande sotto ai micro-gonnellini e altre amenità): lui caga direttamente in testa alla verosimiglianza storica, come quando ficca i circhi coi leoni e le gare di bighe nella Rodi pre-dominazione romana.
Manco ci prova per sbaglio, fregacazzi.
Sfora a più riprese nel vero e proprio anacronismo
: non mancano scene attinte a piene mani al western (cavalcate di gran carriera tra paesaggi brulli e rocce polverose; covi segreti di ribelli a cui manca solo la mandria rubata al ricco ranchero coi baffi e i cappelli da cowboy; gente che con fare molto poco greco passa le briglie a Dario con uno sbrigativo: "Monta, i convenevoli a dopo!" e altre delizie in cui riesci già a vedere la cazzimma di un giovane Clint Eastwood) 
e al medioevo cinematografico (catapulte che lanciano olio rovente sugli assalitori; botole, leve, ponti levatoi e passaggi segreti; la struttura interna del colosso che ricorda una torre medievale, con una ripida scala a chiocciola e strette feritoie). Personalmente è una cosa che apprezzo: se devi buttarla di fuori, almeno che sia memorabile.
Ninjaaaa...
IN CONCLUSIONE...
Ne Il colosso di Rodi troviamo già gran parte del cinema di Sergio Leone, bello nascosto ma non troppo sotto la patina di un genere che oggi è un eufemismo definire stantio.
Ironia e cinismo mescolate insieme.
Giochi di sguardi che dicono più di mille dialoghi fighettini.
Un eroe che di classico ha poco (nei suoi successivi lavori l'eroe tenderà proprio a sparire): spinto ad agire dal fato beffardo e indifferente, fallibile, umano, che cerca la pace ma in questo mondo (sia l'antica Grecia o le distese polverose del selvaggio West) può ottenerla solo combattendo. 
Un attenzione particolare agli ultimi e agli umili che in corso di pellicola pur rimanendo in secondo piano (non si sfugge a certe regole del peplum) finiscono quasi col rubare la scena agli eroi: a conti fatti non solo Dario ma anche i ribelli comandati da Peliocle che lo spingono a lottare per la libertà di Rodi sono inutili, perché gli alti ideali sono molto belli ma alla fine dei giochi devono scontrarsi contro la dura realtà. E la realtà è che il popolo tutto deve ergersi contro la tirannia perché le cose possano sperare vagamente di muoversi (e ancora ancora). Ed è incredibilmente cinico da parte di Leone, nonché attuale, che il popolo muova il culo non di fronte alle bassezze immorali di Serse, non di fronte alle masse di schiavi stranieri importanti a Rodi ma di fronte allo straniero fenicio che va a bussargli alla porta per rubare la loro ricchezza.
E infine, la presenza del caso indifferente e beffardo, vera entità plasmante della storia insieme al Tempo: perché non è l'eroe, non sono i ribelli e non è il popolo a mettere fine alla tirannia di Rodi e offrire loro l'occasione di ricominciare da capo, ma un terremoto che non ha nulla di divino (ne viene addirittura rivelata a più riprese la natura fittizia, un vero e proprio strappo nel cielo di carta di pirandelliana memoria). Non c'è punizione né redenzione che segua una logica o una morale di qualche tipo: nulla frega che alla fine la villain, Diala, si sia redenta, muore come una stronza esattamente come il tiranno e il suo consigliere, come i fratelli di Peliocle e come una pletora di poveri stronzi schiacciati dalle macerie o arsi vivi. Non si sa neanche se effettivamente la nuova Rodi sarà un faro di democrazia o diventerà l'ennesima tirannide decadente. 
Si può solo provare e vedere come andrà.

Giudizio finale:
Sotto il peplum non solo slippini in tinta ma cinismo e ironia.

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