lunedì 28 settembre 2020

[Recensione] DUE CUORI IN CIELO (1943)

Titolo originale
: Cabin in The Sky
Anno: 1943
Regia: Vincente Minnelli
SceneggiaturaJoseph Schrank
SoggettoLynn Root
Cast: Ethel Waters, Eddie "Rochester" Anderson, Louis Armstrong

Premesse:
Se nel 1943 a inizio film compare il seguente disclaimer:
"Nel corso dei secoli, idee potenti e ispiratrici sono state preservate e consegnate ai posteri attraverso le leggende, il mito e la fantasia. Il folklore in america ha origine in ogni luogo, da tutte le razze di tutti i colori. Questa storia di fede e devozione trae origine da ciò e cerca di onorare questi valori."
e poi nel corso del film ci si ritrova davanti a un benevolo paternalismo e a una sequela di cliché imbarazzanti sulle persone black, non ci si indigna come ho fatto io nel 2019 quando ho sentito che quel ciofecone incipriato di Black Panther sarebbe stato candidato all'oscar come miglior film ma si analizza il contesto. E nel contesto questo film musicale nel 1943 ha rappresentato non solo l'esordio coraggioso di Vincente Minnelli (padre di Liza) nel mondo della regia, ma un inno alla diversità in seno al modello WASP americano, una pellicola con un cast interamente di colore (fatto ancora ad oggi, nel 2020, non dico raro ma abbastanza insolito) che ha fatto cadere più di un monocolo nel Sud "bene" (si pensi che la maggior parte dei cinema del Sud non consentiva fossero proiettati film con cast anche parzialmente di colore, e che a Mt. Pleasant in Tennessee il film fu interrotto a 30 minuti dall'inizio per ordine dello sceriffo locale: un gruppo di facinorosi si era appostato fuori dal cinema minacciando di aprire il fuoco).
I tempi e la sensibilità riguardo certe tematiche cambiano, ma questo film rappresenta comunque un piccolo atto di coraggio da parte di Minnelli e della MGM che ci mise i soldi, su cui vale la pena spendere due parole.

*

DUE RIGHE DI TRAMA
Petunia
(Ethel Waters) è la moglie pia e devota di "Piccolo Joe" Jackson (Eddie "Rochester" Anderson), un truffatore da poco, biscazziere e traditore che tenta di rimanere sulla retta via per amore della moglie ma con poca convinzione dal momento che puntualmente cede alla debolezza anche e soprattutto a causa delle cattive compagnie.
Durante una partita a carte Piccolo Joe viene ferito al torace da un proiettile, e nel corso di una notte trascorsa in preda ai deliri Joe riceve la visita dal Generale (Kenneh Spencer) e Lucifero Junior (Rex Ingram), in lotta per la sua anima. L'uomo sembra condannato alle fiamme eterne ma le preghiere devote di Petunia bastano a concedergli un'ultima possibilità, sei mesi nel corso dei quali Piccolo Joe dovrà mostrarsi meritevole del perdono divino.
Ma non sarà facile pur avendo accanto una donna come Petunia quando vecchi vizi e vecchi amori del passato bussano alla porta di uno spirito naturalmente debole e quando l'inferno ha tutta l'aria di un fighissimo club jazz che ospita persino l'immortale Louis Armstrong nel ruolo di sgherro trombettista di Lucifero Junior...
E il fatto che siano tutti in accappatoio dà al posto un'aria incredibilmente rilassata...
Io al posto di Joe un pensierino lo farei.
IMPRESSIONI SPARSE
Due cuori in cielo è un film molto figlio del suo tempo impregnato di moralismo spicciolo e religione (cose che notoriamente odio), ma che al tempo stesso riesce a fare dell'adorabile "black" humour sulla morte, la lotta tra bene e male per il possesso di un'anima e la dannazione eterna: cosa non da poco considerando che all'epoca c'era la guerra e molta gente combatteva e moriva lontano dalla propria casa, in Europa. Tutto è buttato in burla ma con eleganza, come sempre accadrà nel cinema di Minnelli.
Il risultato è quasi parodistico.
Cielo e Inferno combattono per un'anima come dall'alba dei tempi e senza esclusione di colpi, col piglio combattivo riservato tradizionalmente a un Faustus, ma per un uomo "piccolo", di poco conto, un delinquentello tra l'altro di colore (ma anche i diavoli e soprattutto l'emissario di Dio sono neri, il che non è così scontato da mostrare su schermo per la mentalità dell'epoca): il terrore di Joe di fronte alle prospettive dell'inferno assumono i toni leggeri e comici di un ragazzino che sta cercando di evitare la punizione per una marachella più che di un uomo perduto, e all'inferno si suona, balla e ci si diverte con la musica figa "peccaminosa" di Duke Ellington, con l'occhio di Minnelli che abbraccia con eleganza tutta la sala da ballo in delirio (proprio come avrebbe fatto con gli invitati bianchi di un galà).

Il che non significa che l'intero film si riduca a una buffonata prodotta e diretta da uomini bianchi e snob a spese di neri poveri e devoti. A farla da padrona essendo un film tratto da un musical sono anche, per l'appunto, le musiche: Ethel Waters domina la scena con la sua voce e col suo sorriso, trasmettendo a chi la ascolta tutta la gioia e l'amore che prova. Perché questo film parla principalmente di un amore che non conosce confini, e il canto di Petunia al di là del suo essere il vecchio stereotipo della donna di colore umile e devota senza ambizioni è sempre un atto d'amore nei confronti del suo Joe e di Dio.

Certo non ci si può foderare gli occhi di prosciutto e non vedere questa continua sagra dello stereotipo: sul fronte personaggi Petunia è il prototipo della donna nera tutta casa e chiesa che affronta la povertà con un sorriso, devota al suo uomo, che non ha altre aspirazioni nella vita (arrivando al punto, in maniera del tutto fuori contesto dal momento che parliamo di una persona così umile, da vestirsi sexy e andare in un night club pur di non perdere il suo amato), Joe la caricatura del nero sempliciotto e infantile con gli occhioni spalancati che non riesce a resistere alle tentazioni.
Nel pieno spirito segregazionista dell'epoca persino la loro visione dell'inferno e del paradiso diverge da quella bianca, quasi rasenta il ridicolo: il paradiso è una lunga scala di legno che porta a un "nido" celeste (perché anche nella salvezza i neri siano umili); e le preghiere di Petunia insieme a una vita di devozione sono ricompensate con un tornado che la uccide insieme a Joe all'interno del locale notturno in cui per una volta aveva deragliato dalla retta via (ma questo la rende felice dal momento che la sua vita inizia e termina con quella del marito, il quale guadagna il paradiso non attraverso il sincero pentimento ma grazie a una formalità burocratica). Ma alla fine nulla di tutto questo importa perché tutto si rivela essere un sogno di Joe.
Petunia e Joe tornano ad essere poveri e canterini.
Ma Joe, novello Scrooge, da queste visioni trae un insegnamento: chiede a Petunia di liberarsi dei suoi dadi truccati e della foto della sua amante, liberandosi di tutte le tentazioni in un impeto (si spera) di sincero pentimento.
Apparentemente sembra che nessun angelo e nessun diavolo sia interessato a spartirsi la loro anima: nessun Dio e nessun Lucifero che si smuovano grazie alle sentite preghiere di gente semplice di colore. Ci sarebbe se non altro da apprezzare il sostanziale agnosticismo di fondo. Io lo apprezzo.
IN CONCLUSIONE...
Con Due cuori in cielo la Hollywood bianca fa del suo meglio data la scarsa sensibilità in merito del periodo per celebrare l'America di colore con un cast interamente "black", ma nel farlo resta ancorata a degli inevitabili stereotipi mentre da 20 anni buoni la comunità nera, quella vera, ribolliva di vita autonoma grazie al Rinascimento di Harlem e forte di questa nascita culturale prorompente a 10 anni dall'uscita di questo film Ralph Waldo Ellison sarebbe riuscito a pubblicare l'unico romanzo della sua carriera (che gli valse il National Book Award nel 1953), Uomo Invisibile, una storia ben lontana da questa idilliaca cascina nel cielo.
Ma è un film da cestinare?
No. Innanzitutto perché resta un pezzo di storia importante, un prodotto particolare creato in anni infelici per la causa black da una grande major in anni in cui progetti del genere erano a malapena concepibili, e una pellicola in cui è possibile vedere interpreti di talento come Ethel Waters dominare la scena come protagonisti incontrastati e non come comparse. E poi perché al di là di tutto continuo a preferire queste pellicole datate, prodotte con parecchia ingenuità ma una buona dose di cuore  a una pellicola sfornata nel 2018 in cui i neri di un paese africano ultratecnologico hanno le navi spaziali e metalli rari ma scelgono ancora il loro cazzo di re a schiaffoni e sognano lo Starbucks.
Senza tralasciare l'innegabile talento registico di Minnelli.

Giudizio finale:
Pellicola invecchiata non benissimo ma diretta con garbo che offre ancora qualche spunto di riflessione allo spettatore contemporaneo.

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