Anno: 1933
Regia: Ernest Lubitsch
Soggetto: Noël Coward
Sceneggiatura: Ben Hecht
Cast: Gary Cooper, Fredric March, Miriam Hopkins, Edward Everett Horton
(Non) C'era una volta il Codice Hays...
Si è già parlato a più riprese in questi ameni lidi del Codice Hays, vale a dire quella serie di linee guida che Hollywood si auto-impose dal 1934 al 1967 per stabilire cosa fosse moralmente lecito e cosa no, prima che fosse introdotto il moderno sistema di rating MPAA.
3 erano i Principi generali del Codice:
● Non abbassare gli standard morali del pubblico rendendo appetibili il male, la devianza o il peccato
● Mostrare solo stili di vita consoni
● Mai ridicolizzare la legge umana o divina
Principi che si concretizzavano con restrizioni incredibilmente specifiche e abbastanza assurde: non solo il totale divieto di mostrare esplicitamente effusioni, devianze sessuali, turpiloquio o atti criminali ma anche di ridicolizzare i preti, mancare di rispetto alla bandiera degli Stati Uniti o scoprire le tette a Betty Boop.
Who framed Roger Rabbit, 1988 |
Ma tra film di politici corrotti, gangster e criminali vittime del sistema a interessarci qui sono i film pruriginosetti: film che sfidavano l'istituzione del matrimonio e la morale borghese con battute lascive e una sessualità più esplicita (attenzione, si parla comunque di film degli anni '30: ça va sans dire, gay e lesbiche erano poco più che macchiette e le sirene lascive puntualmente erano donne perché sia mai che una spettatrice avesse pulsioni ormonali e desiderasse bearsi dei pettorali granitici di qualche bonone dell'epoca, al limite poteva galvanizzarsi con gli atteggiamenti sconvenienti di una sensuale maliarda che entro fine pellicola quasi sempre veniva punita per le sue trasgressioni morali). Partita a quattro infatti affronta il tema del menage-a-trois.
*
DUE RIGHE DI TRAMA
Ad accoglierci prima dell'inizio del film è il simpatico facciotto dell'aquila blu della NRA (National Recovery Act), un provvedimento presidenziale preso in seno al New Deal che prevedeva la protezione sindacale per i lavoratori e la concorrenza leale tra le imprese. Molti affiggevano questo simbolo come "bollino di qualità", anche se si guardavano bene dal seguirne i dettami.
La storia vera invece comincia con una lunga scena muta ed è ambientata in Francia, alla stazione di Ribes, dove vediamo due uomini addormentati in un vagone. Entra una giovane donna bionda accompagnata dal controllore che si siede loro di fronte e tirato fuori un album da disegno comincia a ritrarli, anche se i due non sembrano voler proprio collaborare: cambiano espressione, si muovono, fanno smorfie e la costringono a cancellare il lavoro più volte.
Una volta terminato il lavoro anche lei si appisola.
I due uomini si svegliano, vedono la donna che sta loro di fronte e notano l'album da disegno, cominciando a sfogliarlo e a osservare divertiti il suo lavoro (una serie di ritratti di Napoleone in mutande) finché l'occhio non cade sulle loro caricature.
A quel punto si accorgono che la ragazza è sveglia: comincia una concitata e divertente conversazione in francese in cui loro si sentono lesi nell'onore perché lei non li ha ritratti rispettando le proporzioni dei loro visi e lei gli fa notare che essendo caricature e non fotografie le proporzioni vanno esagerate, è voluto. Alla fine volta loro le spalle e frustrata sbuffa un sonoro "Ma senti questi!" in americano perfetto.
I due uomini restano basiti.
Anche loro sono americani: questo dà il via al primo dialogo doppiato (a 4:53 da inizio pellicola) e alle presentazioni: sono George (Gary Cooper), Thomas (Fredric March) e Gilda (Miriam Hopkins): George e Thomas sono amici e conviventi, uno fa l'artista e uno il commediografo ma entrambi con poche soddisfazioni.
Anche Gilda disegna ma per le pubblicità, e disprezza l'arte di George, cosa che si premura di dire senza preoccuparsi di essere scortese: si fa riferimento a un suo quadro esposto in una galleria, Lady Godiva in bicicletta, che lei definisce "di cattivo gusto" e non originale. Thomas ci mette il carico da novanta e aggiunge: "Non ha tutti i torti. Il sellino di un velocipede è un po' duro per lo storico didietro di Lady Godiva".
Dopo quello che si presume essere stato un vivace e memorabile scambio di improperi che ha rischiato di sfociare in rissa, tra i tre scatta la simpatia. A Parigi però li aspetta un'amara sorpresa: Gilda corre tra le braccia di un uomo di nome Max Plunkett (Edward Everett Horton), che scopriamo solo dopo essere null'altro che il suo datore di lavoro (anche se vorrebbe essere qualcosa di più).
Scopriamo anche che i tre si sono presi fin troppo in simpatia: Gilda infatti frequenta entrambi di nascosto, e i due per un po' si convincono che lei sia ritrosa nelle manifestazioni d'affetto perché infastidita da Max, che non manca di presentarsi nel loro appartamento e scrivere lettere per dissuaderli dal frequentare la sua dipendente e "amica", ma solo perché tiene alla sua felicità e non vorrebbe mai vederla invischiata a degli sfaccendati senza un soldo.
Ma piantala, cazzaro.
"Lei è un pezzente, sir." "E lei un ridicolo bigotto. Finito il giochino di rimarcare l'ovvio?" |
"Mi è capitata una cosa che di solito capita agli uomini: un uomo può conoscere due, tre o magari quattro donne che gli piacciono tutte, e poi attraverso un interessante "processo di eliminazione" può decidere con calma quale gli piace di più. Invece una donna deve decidere sull'istinto, al volo, se vuol essere considerata perbene. Oh, è più che naturale che provi cento cappelli prima di sceglierne uno, ma quando..."
"Oh, è più che naturale, ma lei quale cappello vuole, madame?"
"... Tutti e due."
A questo punto invece di battersi il petto come bravi maschi alfa per attirare le preferenze della femmina della specie, Gilda fa sedere entrambi i cappelli e decide di metterla giù razionalmente, "come a una conferenza per il disarmo": un rapporto a tre (senza sesso però, con Gilda che ricoprirà in soldoni il ruolo della "madre delle belle arti") può funzionare molto meglio di un rapporto a due che vedrà uno dei due uomini escluso, un'amicizia di lungo corso rovinata e la ragazza soffrire per la mancanza di uno dei due.
Sembra una soluzione ragionevole: George e Thomas accettano.
Gilda va a convivere con loro (la cosa non viene mai esplicitata ma resa in maniera chiara dalla scena in cui Max va a trovare Gilda a casa sua ma trova solo dei facchini che stanno portando via mobili e materasso) e inizialmente tutto sembra filare liscio, con l'influenza della severa Gilda che porta i due artisti a dare il meglio di sé finché un giorno questo triangolo perfetto si sbilancia: Gilda porta la commedia di Thomas a Mr. Douglas, un famoso produttore inglese, che resta entusiasta dal lavoro e propone a Thomas di seguirlo a Londra finché la commedia avrà successo.
Thomas non vorrebbe lasciar soli Gilda e George, ma è l'occasione della sua vita e Gilda lo rassicura più volte sulla forza dei suoi sentimenti. In più non sarà poi un periodo di separazione tanto lungo, quanto vuoi che possa restarci una commedia, per quanto buona, nei teatri di Londra? Ci resterà dieci mesi, durante i quali tra Gilda e George è scoccata nuovamente una passione divorante. Senza il terzo lato del triangolo George si convince (e convince Gilda, che per la prima volta gli confessa d'amarlo) di quanto loro tre siano stati dei pazzi a cercare per tutto questo tempo "di ingannare la natura".
Thomas viene a saperlo solo qualche mese dopo, con una lettera e a seguito di un casuale incontro con Max (che ha preso abbastanza sportivamente il fatto di non aver fatto meta con Gilda, dal momento che la scelta della donna è caduta su un uomo rispettabile) in quel di Londra, e la notizia lo devasta al punto che non solo non riesce più a gioire del suo successo ma torna in fretta e furia al loro vecchio appartamento a Parigi, dove scopre che George (ormai diventato artista di fama) si è trasferito con Gilda in un attico del centro.
Qui scopre che George è a Nizza per affari, ma c'è Gilda ad accoglierlo.
Con il triangolo sbilanciato in senso opposto i vecchi sentimenti nei confronti dell'altro cappello tornano a galla e la scena si ripete come da copione: Gilda e Thomas intraprendono una passionale liaison fino al ritorno anticipato di George (che li coglie in flagrante al tavolo della colazione vestiti tutti da fighettini, i maialoni): la bomba alla fine esplode.
L'ego di George non è più disposto a tollerare questa situazione: scaccia Gilda e Thomas dalla sua vita, e Thomas è già convinto che gli si prospetti una vita serena e agiata con la donna che ama, quando a colpirlo è (oltre che un papagno alla mascella) una doccia fredda. Gilda ha lasciato la casa ed è andata da Max: ha deciso di "fare la brava ragazza", accettare la sua corte e di sposarlo per non essere costretta a fare una scelta che non vuole fare ma soprattutto per non rappresentare ulteriore fonte di sofferenza per tutti.
Il finale sembra essere la classica "giusta" punizione inflitta alla bella maliarda che non sapendo decidersi tra due uomini divertenti e affascinanti alla fine li ha persi entrambi: la ritroviamo fin da subito a tollerare il suo nuovo marito (che dal canto suo è talmente preso dalla passione da tenere il certificato di nozze archiviato tra le carte di lavoro) e tremendamente annoiata e infelice, intrappolata al fianco di Max nella routine borghese più soffocante che si possa concepire, tra cene zeppe di vecchi e leccate di culo ai ricchi proprietari d'industria.
A una di queste feste si presentano non invitate le due nostre vecchie conoscenze, ora più complici che mai e determinati a non rinunciare a una donna tanto straordinaria. Da bravi lazzaroni arrivano a portare il caos nella vita di Max e della sua mesta sposa: si infilano in camera di Gilda per due chiacchiere facendosi trovare dal marito mentre ridono e scherzano seduti sul letto insieme alla sua consorte; non paghi di questo affronto all'intimità matrimoniale borghese ammodino vanno a disturbare la festa e prendono a cazzotti l'ospite d'onore. Per Max potrebbe essere la rovina ma Gilda, come al solito, si prende la responsabilità del comportamento increscioso dei suoi amici e ha la soluzione.
"Max, farò un grande sacrificio per il bene dei tuoi affari: ho deciso di lasciarti.""Lasciarmi? Ma tu sei pazza. E a che servirebbe?""A che servirebbe? Servirà a moltissimo. Senti: domani ti metterai la tua migliore bombetta, andrai da tutti i tuoi clienti e gli dirai che ti sei separato da me per via della mia amicizia con quei due squilibrati. Ti garantisco che sarai considerato il più grande martire della storia del cemento."
La pellicola si chiude con Thomas, Gilda e George sul retro di un taxi, a pianificare la loro vita: torneranno agli esordi, nella loro vecchia soffitta a lavorare e divertirsi, ma la regola per far funzionare le cose, e stavolta davvero, è sempre la stessa.
Possiamo immaginare quale.
IMPRESSIONI SPARSE
Per quanto ovviamente non si possa annoverare come opera che ad oggi farebbe cadere il monocolo di qualche benpensante nel suo té delle cinque (stiamo pur sempre parlando di una pellicola degli Anni '30), Partita a Quattro è un film divertente, elegante e non solo tipicamente pre-Code ma per alcuni aspetti anche incredibilmente moderno.
Per quanto ovviamente non si possa annoverare come opera che ad oggi farebbe cadere il monocolo di qualche benpensante nel suo té delle cinque (stiamo pur sempre parlando di una pellicola degli Anni '30), Partita a Quattro è un film divertente, elegante e non solo tipicamente pre-Code ma per alcuni aspetti anche incredibilmente moderno.
► Il tema centrale della pellicola infatti non è tanto un "semplice" ménage-a-trois (dal momento che di sesso tra i tre ce n'è pochino, e anzi quando le cose potrebbero evolversi in tal senso si decide di abolire proprio il sesso dal loro triangolo), quanto piuttosto un rapporto poliamoroso, un rapporto d'amore tra più parti in gioco, tutte consenzienti.
I tre protagonisti infatti devono fare i conti non tanto con il fatto di dover condividere la stessa donna, che addirittura smette di farsi femmina per diventare la loro intoccabile "Musa delle Belle Arti" (talmente intoccabile che nemmeno Max tuccia il biscotto la prima notte di nozze non appena lei ritrova se stessa nel vedere i fiori che le hanno regalato in occasione del matrimonio), ma con l'affetto che inequivocabilmente provano gli uni per l'altra.
E per far funzionare questo strano triangolo non si deve venire a patti solo l'ego di due scimmie alfa e con l'affetto che entrambi provano per una donna intelligente e di carattere come Gilda ma bisogna anche e soprattutto ritrovare l'antico cameratismo e complicità tra Thomas e George, conviventi e amici di lunga data, il cui rapporto è talmente intimo che a più riprese sfocia nell'omosessualità (la cosa non stupisce neanche un po' dal momento che Noel Coward, autore dell'opera teatrale da cui è tratto questo film, era notoriamente omosessuale ma mai dichiarato a causa della morale dell'epoca).
La loro storia è anche presentata con incredibile leggerezza e semplicità, senza drammi o inutili complicazioni: Gilda, Thomas e George si piacciono, basta mettersi a un tavolo e dettare qualche regola, eliminare il sesso se questo è causa di contrasti (segno che, notizia flash, non tutte le persone sono incapaci di vivere, divertirsi o amare in assenza di sesso), limare i dissapori e può funzionare. Certo c'è da lavorarci molto dal momento che in una società borghese rigidamente monogama nessuno ti ha insegnato a fare i conti con un rapporto del genere, ma l'importante è che non manchi mai l'allegria e l'affetto.
Non è scontato scegliere un approccio così allegro e leggero e non è un modo di sminuire o ridicolizzare la cosa, tutt'altro. Trovo anzi che anche alle pellicole moderne servirebbe abbandonare per un po' lo scudiscio di pelle con cui lo sceneggiatore si fustiga i maroni prima di scrivere storie d'amore che non seguono pedissequamente i dettami borghesi classici (sto guardando te, The Dreamers di Bertolucci). Così, tanto per dimostrare che una relazione meno convenzionale del normale non deve essere per forza un'enorme incudine appesa alle palle.
► Gilda è un personaggio straordinariamente femminista.
Gilda non salva il mondo coi suoi straordinari poteri cosmici e non è la prescelta di alcunché, ma è una ragazza normale dall'incredibile carisma che non stupisce abbia rubato il cuore di tutti gli uomini che la circondano.
Giovane, molto carina, intelligente e allegra che sa quello che vuole e non ha paura di pretenderlo. Vuole bene (non dirà mai che li ama fino a fine film a differenza di Thomas e George che usano quella parola in continuazione, altra cosa piuttosto insolita in una commedia romantica vintage) due uomini con eguale intensità, non sa scegliere e nel frattempo li frequenta entrambi. Non ha niente di cui vergognarsi (nè nessuno la giudica in tal senso, a parte Max che si sentirà in dovere di "perdonarla" per il suo passato libertino. Lei ribadirà a più riprese di non dover essere perdonata di alcunché), visto che è una cosa che agli uomini è concessa da sempre, e se questo la rende una ragazza non a modo, beh tanti saluti.
Proprio come nel lavoro è una donna molto pragmatica: così come ha piegato la sua arte al servizio di mutande e cemento (lavora nella pubblicità), ha piegato alla razionalità e all'egoismo personale anche l'amore, trovando con gli uomini della sua vita un accordo politico.
Il suo è un egoismo che però non supera mai la linea dell'affetto che prova per entrambi. Se ne andrà e si arrenderà a un destino che per lei è peggiore della morte (diventare una brava ragazza ammodino rispettosa della legge) quando capirà che rimanere lì vorrebbe dire distruggere per sempre l'amicizia tra George e Thomas. E ci voleva una pellicola del 1933 per ritrovarsi davanti un personaggio così moderno...
► La morale borghese è continuamente messa alla berlina.
Il personaggio che rappresenta il perno morale della storia, l'unico che fin dal principio giudica sconveniente quanto accade tra Gilda, George e Thomas (ma anche solo tra Gilda e George, o tra Gilda e Thomas in quanto due spiantati che non possono dare a Gilda la serenità economica che ogni brava ragazza di quegli anni in cuor suo desiderava), nonché prototipo del borghesotto ben inserito nella società perbene del tempo è Max.
Max è la linea comica del film.
Paradossalmente è il personaggio più responsabile, più indefesso lavoratore, più attento a non superare mai i limiti imposti a un gentiluomo, eppure risulta sempre il più ridicolo del pollaio. Quando si presenta a Thomas nel tentativo di dissuadere la sua liaison con Gilda ci tiene immediatamente a non essere frainteso:
"Non sono nè il marito di Miss Farrell né un fidanzato di qualsiasi genere."
"Ma certo, è solo un devoto amico."
"Sì. Da 5 anni."
"Una guida immagino, un consigliere."
"Ecco."
"Un tutore."
"Esatto."
"In altre parole lei non è mai entrato nella sua area di rigore" (in originale: non è mai andato oltre la prima base)
"Appunto. ... Ignorerò l'insinuazione."
Max insomma ci si presenta da subito come un ipocrita che sa di non essere nulla per Gilda e di non aver nessun diritto di parlare in suo nome, ciononostante deve agire per "proteggerne la virtù" (ovvero, come insinua Thomas togliendogli immediatamente la maschera della convenzione sociale, per infilarsi nelle sue mutandine).
La sua catchphase è "L'immoralità può essere piacevole, ma non al punto da poter prendere il posto di una vita intemerata e tre buoni pasti al giorno": frase che verrà puntualmente ridicolizzata a turno dai tre protagonisti della pellicola prima, e da mezza Londra poi (Thomas la inserirà nella sua commedia, scatenando grasse risate a teatro), e che sta ad indicare le priorità di un borghese dell'epoca (e che il paese stremato dalla depressione poteva solo sognare), priorità che torneranno prepotentemente nelle commedie romantiche post-Code, dove happy ending significa puntualmente sposare un cicisbeo con abbastanza denaro da poter permettere alla fanciulla una vita agiata.
Frigido e ossessionato dal lavoro e dal guadagno, arriva al punto paradossale di rappresentare non la salvezza, il bravo guaglione che ti porta via al tramonto in sella al suo cavallo bianco ma la punizione di Gilda per la sua condotta scandalosa, l'uomo da cui lei corre per castigare se stessa per come ha rovinato l'amicizia meravigliosa tra George e Thomas: è forse l'unica pellicola mai vista in cui il matrimonio borghese rappresenta l'inferno, l'infelicità e la minaccia al vero amore e alla libertà.
► Gli ammiccamenti pruriginosi abbondano fin dalla locandina.
Non particolarmente scabrosa a confronto di altre locandine del periodo come Venere bionda (1932), cionondimeno è impossibile non notare l'ampia scollatura della Hopkins e il fatto che lo sguardo dei suoi due compagni in arme stia puntando proprio lì.
Ma il film in generale è pieno di queste chicche.
- Nei primi minuti della pellicola, durante la lunga sequenza muta sul vagone del treno, la telecamera indugia con fare vouyeristico e sensuale sulla mano di Cooper che mentre dorme, senza volere, sfiora la caviglia nuda di Gilda.
- C'è il succitato riferimento alle storiche terga della Godiva (ritratta nientemeno che in bicicletta dal nostro wannabe artista George: il quadro non verrà mai mostrato ma stimola l'immaginazione).
- George afferma di voler sedurre una vecchia camiciaia coi baffi per rimediare una camicia che non sia piena di buchi: la seduzione non verrà mai mostrata su schermo, ma il fatto che pochi minuti dopo Cooper si stia facendo stirare una camicia nuova di pacca in occasione dell'appuntamento con Gilda ci fa immaginare che sia riuscito nell'intento di vendersi per un capo di vestiario (se ci si pensa anche in Colazione da Tiffany, film del 1961, Paul Varjak è un gigolo ma nel film se ne parlerà in modo molto più elegante e sfumato).
- Mentre Gilda spiega a Max cos'è che la spinge a frequentare due uomini contemporaneamente lascia scivolare le mani sul corpo a mimare quella frenesia che la coglie (e un'indecisione "tipicamente maschile", nientemeno) quando si trova in loro compagnia e viene colta dalla passione.
- Si usa senza mezzi termini la parola "sesso" a più riprese e anche se non viene mostrato si dà a intendere la natura sessuale dei rendez-vous tra Gilda e gli altri due (al punto da dover specificare che non ci sarebbe stato sesso una volta raggiunto il loro accordo a tre).
- L'eroina fuma e beve senza ritegno, al diavolo le buone maniere.
- Max e Gilda condividono un letto matrimoniale (un grosso no-no del periodo post-Code), letto che Gilda al momento dell'acquisto ha preteso fosse il più largo possibile di modo da non essere costretta a star troppo vicina al suo tenero consorte.
- A fine pellicola, quando sono tutti e tre sul sedile posteriore del taxi in attesa di ricominciare la loro vita da peccatori bohémiene a coronare il tutto la protagonista bacia sulla bocca entrambi i suoi partner. Peccato che non limonino anche Cooper e March, ma non si poteva pretendere tanta modernità nel 1933.
Partita a Quattro è un tram che si è schiantato contro mio cuore.
In corso di visione non riuscivo a credere di avere di fronte una pellicola americana vecchia di quasi 90 anni tanto moderna nelle tematiche e nelle caratterizzazioni, che non solo affronta con leggerezza il tema del poliamore ma lo eleva a forma di relazione più pura e sincera rispetto alla monogamia borghese.
I tre attori interagiscono che è una delizia.
Tra i tre forse il più debole è proprio Gary Cooper che risulta un po' fuori contesto nel clima generale: troppo serioso con la sua voglia continua di fare la scimmia alfa e urinare contro Gilda perché gli altri maschi non avanzassero pretese, e la tendenza a menare le mani; non ha nemmeno una scena memorabile che lo veda protagonista, e questo è grave in una pellicola in cui è fondamentale che i tre lati del triangolo siano in perfetta armonia. Fredric March è molto più brillante e disinvolto, ma regala anche momenti di profonda tenerezza e sensibilità. In generale è quello che riesce a star meglio dietro all'affascinante e incredibilmente divertente Miriam Hopkins, il fulcro attorno al quale ruota tutta la pellicola.
Il film però non è perfetto.
Le scene a volte sembrano separate male tra loro e troncate sbrigativamente (ma arrivo a pensare sia in parte colpa della solita delicatissima mannaia italiana del tempo), cosa che impedisce alla pellicola di diventare un tutt'uno coerente nel suo passaggio al cinema, si continua invece ad avere più l'idea di vari atti teatrali appiccicati col Vinavil. Qualcosa qui e lì sembra messo in scena al ribasso, col freno a mano tirato, forse per esigenze di censura dal momento che in America anche se non era ancora entrato in vigore con forza il codice Hays c'erano comunque comitati di controllo locali a cui rendere conto, gente che poteva tenere un film lontano dalle sale e far perdere migliaia di dollari a una major.
Ma noi delle finezze come al solito ce ne sbattiamo la ciolla e per il voto a questo giro ci lasciamo guidare dal cuore.
Giudizio finale:
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