sabato 14 novembre 2020

[Recensione] FAST FOOD NATION (2006)

Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
Titolo originale:
 Fast Food Nation
Paese: Stati Uniti
Anno: 2006
Distribuzione: Amazon Prime Video
Soggetto: Eric Schlosser
Regia: Richard Linklater
Cast: Patricia Arquette, Bobby Cannavale, Avril Lavigne, Ethan Hawke, Bruce Willis

Il film è una trasposizione in chiave romanzata dell'omonimo saggio di Eric Schlosser edito nel 2001: nella sua inchiesta l'autore ripercorre tutte le tappe dell'industria del fast food a cominciare dalla storia dei fondatori dei più noti marchi del settore come Ray Kroc, l'uomo dietro il successo planetario di McDonald's (per avere qualche notizia in più c'è l'ottimo The Founder del 2016 con Michael Keaton), o John R.Simplot, il re delle patate). 
Passava poi ad analizzare il sistema fast food nei particolari, dallo sfruttamento dei lavoratori alla lavorazione delle carni; dalle politiche non sempre oneste attuate dai fornitori per risparmiare sulle materie prime alle politiche di marketing mirate ai bambini; dall'impatto ambientale e sulla salute dei clienti (non solo in termini di obesità ma anche di infezioni batteriche dovute alle scarse condizioni igieniche in cui le carni vengono lavorate, e alla scarsa preparazione degli addetti ai lavori) alle conseguenze economiche a seguito di un'espansione così capillare sul territorio.

Nel film di Linklater invece, forse per poter colpire più a fondo e mostrare di più senza rischiare denunce di sorta da influenti colossi del settore alimentare (e ricordiamo quanto in America multinazionali e politica vadano a braccetto, specie sotto l'allora amministrazione Bush), si preferisce tenere un profilo basso, parlando di un sistema marcio fino al midollo ma senza fare nomi: ad essere "attaccata" è una catena di fast food fittizia di nome Mickey's (con quella che devono aver ritenuto essere una stoccata alla Disney, presumo), e inzeppare il film di attori noti contribuisce a creare un senso generale di irrealtà.
Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
E' Greg Kinnear che indaga su presunti illeciti compiuti da Mickey's ai danni dei suoi lavoratori (immigrati messicani che hanno varcato da poco il confine e a malapena parlano l'inglese, sfruttati e sottopagati) e si fa un giretto tra i pascoli degli States, quindi non riguarda me e la mia figliola che adora andare al Burger King la domenica. 
E' Bruce Willis a parlare in maniera molto cinica di batteri fecali nella carne degli hamburger di Mickey's ("basta cuocere la carne, problema risolto!"), quindi tutto questo non ha nulla a che vedere col mio bel panino McDonald's che costa 90 centesimi.
Insomma, l'idea generale è che si sia colpito un po' il cerchio e un po' la botte, e che ci si sia scagliati con forza contro un simulacro di paglia che rappresenta il vero bersaglio di questo docu-film.

Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
Fast Food Nation si dirama seguendo le vicende di diversi personaggi e affrontando quindi il problema da diversi punti di vista: abbiamo il maschio bianco etero di successo Don Anderson (
Greg Kinnear), direttore marketing della Mickey's Food Restaurant, che decide di indagare più a fondo di quanto non gli venga richiesto sugli impianti di macellazione della carne in Colorado, da cui pare provenga carne che presenza elevate quantità di batteri fecali.
Sylvia (Catalina Sandino Moreno), che con il marito Raoul (Wilmer Valderrama) ci mostra quegli stabilimenti dall'interno e apre una finestra sul mondo della bassa manovalanza ad opera degli immigrati clandestini negli stati di confine fatta di paghe misere (che per chi fa la fame tanto misere non sono), abusi, miseria, lavori pericolosi e malpagati con zero tutele e zero formazione. 
Infine c'è Amber (Ashley Johnson, che i più attempati ricorderanno da Genitori in Blue Jeans), adolescente americana sveglia e di belle speranze figlia di una madre single (Cindy, interpretata da Patricia Arquette) che lavora da Mickey's per due spiccioli anche se lo detesta, in attesa di cominciare il college e volare lontano.

Le varie vicende personali dei personaggi non sempre si intersecano in maniera fluida laddove non diventano addirittura distrazioni controproducenti: a volte finiscono per far perdere di vista a chi guarda il punto della situazione e il messaggio di denuncia di fondo (salvo poi sbatterti a fine film una serie di immagini crudissime a caso di bestie macellate male).
Ad esempio avrei fatto volentieri a meno di tutta la sottotrama di Amber e di suo zio fico Pete (una macchietta imbarazzante interpretata da un Ethan Hawke decisamente sopra le righe) che ritiene che lei stia sprecando il suo talento lavorando in un posto così poco etico e che qualcosa di meraviglioso la aspetti fuori dalla provincia e blablabla, inserire cliché sulle periferie proletarie, ma soprattutto ho trovato ributtante il fatto che si sia sentito il bisogno di inserire l'immancabile "love story" tra il caporeparto Mike (Bobby Cannavale) e l'operaia Coco (Ana Claudia Talancón).
Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
Mike è un molestatore seriale che palpa impunemente il culo alle ragazze (in una posizione che decisamente non permette loro di reagire) mentre lavorano e abusa del suo potere per portarsi a letto le giovani operaie carine, ingannarle e poi passare alla prossima, Coco quella trasgry che si sente specialissima ad essere la prescelta del caporeparto bianco: ma lui è giovane e bello e lei pur sapendo di questo suo vizietto lo avvicina per avere favori (in fondo è ragazzaccia pure lei, talmente ragazzaccia che arriverà a minacciare con un coltello una "rivale" davanti a tutte le altre colleghe per non farsi portare via quello che è suo), quindi è meno grave.
Ma il senso?

E' poi impregnato di un fatalismo cinico di fondo, che da un lato solletica il mio animo di persona arida perché evita della facile retorica made in states e colpisce duro alla nostra coscienza, dall'altro si perde un po' il senso generale del film-documentario-quel che è di denuncia se la morale è che tanto Mickey's è intoccabile.
Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
La vestizione dell'eroe, che ha un
piglio proprio epico con Sonya
che indossa una pure una
cotta di maglia.

Alla fine del film infatti pur toccando con mano lo schifo dei allevamenti che schiacciano i piccoli e degli stabilimenti di lavorazione carne legato alla catena di fast food Don decide di tacere su tutto per non rovinarsi la carriera; Sonya, da cameriera d'albergo che era, è costretta a lavorare proprio al reparto macellazione che ha acciaccato suo marito (che, come dirà un rappresentante legale dell'azienda, forse aveva assunto sostanze stupefacenti quindi è colpa sua e di rimborsi o aiuti proprio non se ne parla), perché "la paga è migliore" (relativamente parlando); l'unica a sviluppare una coscienza è quella più giovane e di belle speranze, Amber, l'adolescente bianca che può permettersi il lusso di abbandonare il lavoro da Mickey's e diventare un attivista anti fast-food dopo essere stata sensibilizzata da altri bianchi privilegiati e da uno zio hippie. Sembra un finale quasi paternalistico nei suoi confronti, la ragazzina ancora ingenua che lotta con i suoi bei cartelli in mano un po' per noia, e perché ancora non sa come gira il mondo, mentre dall'altro lato una nuova pletora di immigrati clandestini varca il confine, pronto a far ripartire il cerchio della vita...
Recensione del film documentario "Fast Food Nation" (2006, Linklater)
IN CONCLUSIONE...
Un bel messaggio non deve tradursi per forza in un bel film.
Fast Food nation è un docufilm confuso dove i personaggi arrivano e spariscono a caso e certe scelte sembrano campate per aria (specie nel caso di Amber) che vorrebbe colpire le coscienze su una questione ancora molto attuale in Occidente ma nel pratico non fa riflettere sulla questione più di quanto non farebbe riflettere Pocahontas riguardo alla questione dei nativi. Nel senso che se si possiede già una sensibilità sull'argomento bene, se no ti godi la storiellina dolceamara di Pocahontas e John Smith e va bene uguale.
Il film si para il sedere dietro un colosso fittizio del fast food di nome Mickey per evitare di fare nomi molto più scomodi e reali con la denuncia facile, e fa portare avanti un messaggio che pur essendo tutt'altro che finzione perde in realismo dietro una regia studiata e a una pletora di attori più o meno famosi (tra cui la Arquette e Hawk, che il regista si porterà dietro nell'acclamatissimo Boyhood, non i primi stronzi che passano). 
Forse rendendosi conto della cosa Linklater rimedia negli ultimi 5 minuti buttandoci davanti ad mentula una serie di immagini di mucche squartate e spellate vive che farebbero passare la voglia di mangiare persino la bella bisteccona in slow food, altro che messaggio contro l'industria cattiva dell'hamburger a basso costo. Il tutto mentre i protagonisti della storia (tranne la ragazzina caucasica bella e brava, che deve ancora imparare come gira il mondo) si arrendono al sistema.
Credo che il messaggio potessero farlo arrivare molto meglio di così.

Giudizio finale:

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