Autore: Matt Haig
Traduzione: P. Novaresi
Ed. Italiana: E/O, brossura, 329 pagine,
Anno (Italia): 2020
Euro: 18,00 (ebook: 11,99)
Ho una profonda idiosincrasia per i manuali di autoaiuto, ma è un mio problema che non pretendo abbiano tutti: personalmente li trovo inutili, paternalistici e zeppi di consigli che so già darmi benissimo da sola (seguirli? altro discorso).
Ti prego, scrittore milionario con una bella casa, un bel lavoro non alienante che probabilmente fai con calma ai tuoi ritmi, una famiglia amorevole e un cane, lascia che ti paghi 20-30 euro e insegnami come vivere nella precarietà e nella solitudine con luoghi comuni e fuffa filosofica imparata tra liceo e lezioni di yoga.
Per cui si può solo immaginare il mio fastidio nel momento in cui credo di ritrovarmi davanti un romanzo (intimista quanto si vuole) e mi ritrovo davanti uno di questi manuali malamente mascherato da novella allegorica: ora, a discolpa del libro, nella quarta di copertina era citato il titolo di una precedente fatica dell'autore, Ragioni per continuare a vivere (un saggio autobiografico su come superare i momenti bui della vita e intraprendere un cammino fuori dalla depressione), e sarebbe stato mio compito controllare meglio prima di accingermi a leggere. Ma se nella stessa quarta di copertina E/O mi scrive che è un romanzo, io mi fido.
Perché un saggista può scrivere un romanzo.
Qui possono esserci personaggi inventati che fanno cose ma non è un romanzo.
*
TRAMA E PROFONDI INSEGNAMENTI DI VITA
Nora Seed ha 35 anni e la sua vita non va da nessuna parte: i suoi genitori sono morti, suo fratello la ignora, si è allontanata dalla sua migliore amica emigrata in Australia, è stata licenziata dal negozio di musica in cui lavorava, la signora che la paga per dare lezioni di piano al figlio ha deciso che al ragazzo non serve più il suo aiuto e le è pure morto il gatto.
Nora Seed ha 35 anni e la sua vita non va da nessuna parte: i suoi genitori sono morti, suo fratello la ignora, si è allontanata dalla sua migliore amica emigrata in Australia, è stata licenziata dal negozio di musica in cui lavorava, la signora che la paga per dare lezioni di piano al figlio ha deciso che al ragazzo non serve più il suo aiuto e le è pure morto il gatto.
Personalmente ho smesso di provare compassione per Nora e ho cominciato ad avere dei flashback tipo Vietnam dei film di Fantozzi già da tre sfighe fa.
Anche meno, autore, anche meno, guarda che il punto arriva lo stesso anche se non esageri e non c'è bisogno di farla proprio così scoreggiona e didascalica la tua morale: una vita non deve andare proprio a rotoli sotto qualsiasi punto di vista perché una persona si senta depressa, inutile e inadeguata.
Ma senza questa esagerazione forse il lettore medio non avrebbe compreso perché a una certa Nora, piena di rimorsi e rimpianti e sentendosi completamente abbandonata dal mondo, decida di porre fine alla sua vita. Magari non avrebbe nemmeno provato la necessaria empatia nei confronti della protagonista visto che la prima cosa che si fa quando nella vita vera un poveretto si toglie la vita è puntare il dito su tutto quello che aveva e che ha gettato via stupidamente. Invece un personaggio fittizio a cui tutto va veramente così male un po' ci fa sentire meschinamente meglio perché a confronto la nostra vita non fa così schifo, un po' ci permette di capire il suo gesto.
Libro, cominciamo già malissimo per quel che mi riguarda.
Comunque, Nora non muore ma finisce in una sorta di luogo di mezzo, una biblioteca gestita dall'anziana bibliotecaria della sua scuola elementare, Mrs. Elm, in cui ogni volume rappresenta tutte le infinite realtà che avrebbero potuto rappresentare la sua vita se avesse fatto scelte diverse. Nora a questo punto comincia a viverle tutte.
In una è sposata con il fidanzato storico Dan (che nella vita "vera" ha mollato all'altare) e insieme hanno comprato un pub, che era il sogno della vita di lui e riesce comunque ad essere insoddisfatto della sua vita una volta che riesce a realizzarlo (con lei che dovrebbe solo tacere invece di guardarlo dall'alto in basso a riguardo): sogni e le aspirazioni di lei, intrappolata con un mezzo alcolizzato che la cornifica ripetutamente, non pervenuti.
In un'altra il suo gatto Voltaire viveva in casa con lei senza mai mettere il muso fuori ma è morto comunque perché non è stato investito da una macchina come credeva lei (colpevolizzandosi di una sua mancanza come padrona) ma aveva una malformazione congenita al cuore. Quindi... Il libro vuole dirmi che è ok far girovagare i gatti sulle strade trafficate perché se sei una brava padrona diventa invulnerabile ai paraurti?
In un'altra vita è una campionessa olimpionica di nuoto e il fratello le fa da manager, suo padre è ancora vivo perché grazie all'esempio della figlia atleta si è rimesso in forma evitando l'attacco di cuore che lo avrebbe seccato quando Nora era piccola... Si è rimesso talmente in forma da mollare sua madre per una strappona straniera e la madre, che per tutta la vita ha vissuto momenti di depressione, non ha retto all'abbandono.
Qui l'autore ne approfitta per farle fare, con la scusa di un'intervista, un pippone infinito sulla necessità di non considerare automaticamente la strada vincente quella migliore, perché la vita è come un albero pieno di ramoscelli che si diramano in direzioni infinite, non è una gara, il successo non è determinato da un lavoro ben pagato o una medaglia olimpica o dall'aver sfornato o meno una pletora di bebè, inserire frase motivazionale cliché.
In una è diventata famosa glaciologa e si trova insieme ad altri ricercatori in una stazione alle Svalbard (dove l'autore ne approfitta per scrivere due righe sul riscaldamento globale, già che c'è), rischiando di venir sbranata da un orso polare (e qui scopre che non vuole più morire come a inizio libro) e di subire i pipponi altrettanto infiniti di un Viandante come lei, Hugo, che le rivela che non è unica e specialissima.
Ci sono molte persone che finiscono come lei in questi mondi di mezzo (che per Hugo non è una biblioteca ma un negozio di vhs gestito da suo zio), e come lei viaggiano in mondi infiniti in cerca della vita giusta in cui restare per sempre. Lei pur di farlo tacere ci scopa aggratis per poi scomparire durante l'amplesso.
In un'altra vita è una famosa rockstar che è riuscita a superare la paura del palco e non ha abbandonato la band in cui suonava insieme al fratello come ha fatto nella sua vita vera: è tatuata e coi piercing, vive tra i tour e l'affetto dei fan, ha avuto storie burrascose con famosi attori del cinema, e dover registrare un podcast per i suoi ascoltatori le offre addirittura la golosa occasione di regalarci un altro pippone motivazionale sul fatto che non esiste una vita che renda immuni alla tristezza.
Ma suo fratello è morto di overdose, quindi nemmeno questa vita va bene.
Segue un'altra pletora di inutili esistenze, e in una è addirittura Nora Martinez, moglie di un vignaiolo messicano (Haig aveva proprio esaurito le idee), finché non arriva alla vita perfetta: sposata con Ash, un chirurgo a cui un giorno vendette uno spartito musicale che anni addietro le chiese di prendere un caffé (caffè che lei non accettò perché al tempo era fidanzata con Dan), con una figlia di nome Molly e un labrador di nome Platone.
Se non fossero inglesi sarebbe un quadretto più americano della torta di mele.
Anche la vita professionale di Nora a questo giro ha preso la svolta giusta: ha preso un dottorato a Cambridge, insegna filosofia all'università e ha preso un anno sabbatico per scrivere un romanzo sul suo filosofo preferito, Henry David Thoreau (e quando te sbagli? O era lui o Schopenhauer o Charles Bukowski, non se ne esce quando devi costruire un personaggio profondo e cupo che non si piega all'arido sistema).
Qui scopre che la risposta a tutto è l'amore, e che proprio la mancanza d'amore (dato e ricevuto) nella vita che si è lasciata alle spalle l'ha resa vulnerabile, un guscio vuoto che si è abbandonato alla disperazione fino ad arrivare a quell'insano gesto di cui si sta pentendo ogni istante di più. Ma nemmeno questa vita la soddisfa, e alla fine l'abbandona.
E allora vaffanculo, Nora.
Insomma, la lezioncina moralista finale è che nessuna vita può soddisfare appieno Nora perché ogni scelta ha i suoi pro e contro e l'unica vita davvero sua è quella che ha cercato di lasciare con il suicidio, una vita che ora può cambiare creandosi una rete d'amore che le impedisca di cadere (sic!): ecco che quindi riesce a vomitare le pillole che aveva ingerito e a trascinarsi fino alla porta del vicino a chiedere aiuto. In ospedale, mentre medita sulle nuove e infinite possibilità che le si prospettano, riceverà la visita di suo fratello che la stava ignorando solo perché anche lui aveva i suoi problemi e si stava disintossicando a causa di un problema mai risolto con la sua omosessualità, e un messaggio della sua amica Izzy che si scusa per non averle risposto subito ma era impegnata, quindi tutta la solitudine e la disperazione che provava erano solo nella sua testa, le persone veramente sole e disperate non esistono!IMPRESSIONI SPARSE...
Il rischio di fondo è che non apprezzando questo libro io diventi automaticamente la nemica delle persone depresse e ansiose, il mostro insensibile che non sa com'è sentirsi come Nora, sentirsi inadeguata, schiava dei rimpianti, sola a dispetto di ciò che si ha.
Ma il problema non è mio, è del libro.
Mi sfugge proprio il senso della sua esistenza: come manuale di auto-aiuto è un prontuario di banalità infinite (la risposta è l'amore, nessuna vita è perfetta al 100%, vivi giorno per giorno senza preoccuparti di ciò che è stato, non farti bloccare dai rimpianti), e sarebbe molto più utile che chi davvero si sente così smarrito si rivolgesse a un aiuto professionale serio invece che a queste cazzatelle da scaffale; come romanzo manca di una trama solida e avvincente (è anzi parecchio scontatella), caratterizzazione dei personaggi, senso, e qualsiasi cosa lo renda un'opera di narrativa anche solo sufficiente.
I personaggi sono delle figurine senza spessore, fantasmi in vite che Nora non può afferrare appieno perché è lì solo di passaggio: tutto ruota perennemente intorno ad una protagonista che tanto per cambiare è specialissima e piena di intelligenza e talento in ambito sportivo, intellettuale e musicale (perché noi i finti romanzi manuali di autoaiuto con le protagoniste mediocri non le vogliamo), e tutto ciò che ci viene spiattellato davanti è solo una scusa per portare il lettore a una qualche conclusione molto profonda e filosofica che strigni strigni così profonda e filosofica poi non è.
Intendiamoci, si può e si deve usare la narrativa (o un film o un videogioco, o quel che è) per parlare della depressione, dell'ansia legata alla modernità della vita, della precarietà, della solitudine, dell'amore, della speranza, ma se si evita di essere così didascalici e di riempire la narrazione di pipponi moralisti a prova di stupido è un po' meglio.
Pensiamo a La vita è meravigliosa di Frank Capra.
Lo spunto narrativo è praticamente lo stesso e il messaggio che vuole veicolare molto simile a quello di Haig: un uomo spinto sull'orlo del suicidio dalle avversità di una vita fattasi insostenibile e priva di speranza troverà un angelo a guidarlo attraverso un mondo alternativo in cui lui, che si sente inutile e disperato, non è mai esistito: questo lo porterà a comprendere che lui ha un valore, che è importante per tutte le persone che ha intorno, e che ha creato una rete d'amore indistruttibile. E questo senza relegare tutta la narrazione al messaggio finale o fare degli spiegoni continui nel timore che lo spettatore stupido possa non capire il messaggio di fondo.
La biblioteca di mezzanotte non riesce nell'intento che si era prefissato, almeno con la sottoscritta: invece di sensibilizzarmi sul problema di Nora e farmi empatizzare con lei mi ha solo resa astiosa e insofferente nei suoi confronti, perché è un personaggio troppo perfetto e talentuoso perché io mi ci possa immedesimare e perché dietro ci ho visto solo un autore che per tutto il tempo ha cercato di fare del facile paternalismo.
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