domenica 8 novembre 2020

[Recensione] LA TRILOGIA DEI RE

Autore
: Zhong Acheng
Traduzione: M.R.Masci
Ed. Italiana: Ed. Theoria collana Linea D'ombra, copertina flessibile, 215 pagine,
Anno (Italia): 2018
Euro: 18,00

A questo giro, un flusso di coscienza ad mentula, perché sarebbe impossibile fare qualcosa di ordinato:
Tra il 1927 e il 1950 nazionalisti e comunisti combatterono in una sanguinosa guerra civile che vide trionfare il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong, il quale nel corso del primo piano quinquennale (1953-1958) consolidò il suo potere e attuò una politica di collettivizzazione agricola (sterminando di fatto quell'abbozzo di pre-capitalismo composto da grandi e piccoli proprietari terrieri in nome del "bene comune").
Seguì quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un secondo piano quinquennale più libero dal giogo della Russia ormai destalinizzata, ovvero il "Grande balzo in avanti": un tentativo così confuso, frettoloso e disorganizzato di far sviluppare rapidamente e in parallelo agricoltura e industria da gettare il paese in una crisi nera in 2 anni.
E' in questo periodo che nascono le Comuni Popolarienormi unità economiche e amministrative regolate da un organo elettivo autonomo (che operava secondo le direttive di Partito), che col tempo andranno a comprendere non solo la gestione della produzione ma anche di sanità e istruzione.
Appurato il fallimento della politica del Balzo in avanti, Mao "rinunciò" alla carica di Presidente della Repubblica nel 1959 e venne sostituito dal più moderato Liu Shaoqi, che tentò di rimettere in piedi un'economia al collasso con politiche meno radicali di quelle precedenti, mentre il mito di Mao come simbolo ideologico e morale di questa nuova Cina "del popolo e per il popolo" continuò a serpeggiare incontrastato nell'ombra fino ad esplodere nel 1966 con la "Rivoluzione culturale" portata avanti "spontaneamente" dagli studenti di scuole superiori e università cresciuti a pane e libretti rossi di Mao contro un Partito che senza la guida del suo vero leader stava perdendo la via.
Quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una lotta portata avanti dai giovani contro il vecchio, un cambio di mentalità collettivo e un primo passo di un'autentica rivoluzione comunista, si trasformò nei fatti in una guerra sanguinosa contro politici, professori, letterati, intellettuali e pensatori blandamente critici o apertamente ostili a Mao, che non di rado furono internati in appositi "campi di rieducazione". 
I danni a livello culturale furono incalcolabili: dalla distruzione del patrimonio culturale considerato retaggio borghese alla cancellazione di tradizioni millenarie bollate come superstizioni stantie, passando per un imbavagliamento letterario e intellettuale pressoché totale.
Si poté solo aspettare gli anni '80, quando alla morte di Mao prenderà le redini del paese Deng Xiaoping (fautore di quella politica della "porta aperta" che libererà la Cina dal suo isolamento culturale ed economico), per avere i primi rigurgiti di pensiero individuale e libertà di espressione, cosa che portò a un vero e proprio rinascimento letterario che si concretizzò in due correnti di pensiero non sempre antitetiche, come lo Yin e lo Yang che convivono in un'unica entità
La Letteratura delle radici rispose (e risponde ancora) al bisogno di raccontare e ritrovare un passato che la Rivoluzione culturale aveva cercato di spazzare via, non solo come reazione alle politiche censorie di regime ma anche e soprattutto come forma di resistenza ad una modernità alienante e consumistica che corrompe ogni cosa. 
Fa appello a una concezione daoista della vita, dove il saggio "agisce ma senza combattere, senza mettersi in mostra, sa che la via della semplicità è difficile, conosce per intuizione ciò che la vita naturale richiede al corpo e allo spirito dell'uomo". Insomma, è la ricerca continua di un legame con la storia, la natura e con il mondo, un modo di sopravvivere ad una modernità frenetica in cui tutto si smarrisce.
La Letteratura d'avanguardia prese piede in Cina alla fine degli anni '80, nel pieno del boom economico: fece i conti coi mutamenti globali, abbracciò la perdita dei valori e del sé portata dal capitalismo e la progressiva crisi del ruolo dell'intellettuale come guida del popolo e promotore di quegli ideali perduti. 
Paradossalmente se nel corso della rivoluzione culturale l'intellettuale costretto al silenzio vede in se stesso l'unico baluardo di resistenza al regime ed è al centro della propria produzione  artistica, nel momento in cui è davvero libero di parlare non c'è più nessuno che lo ascolti. Relegato ai margini della società si concentrerà sul "come" più che sul "cosa" raccontare, optando per uno stile in cui l'io narrante andrà sfumando fino a scomparire del tutto.
Si avverte nella letteratura cinese un doppio bisogno solo apparentemente antitetico: quello di fare i conti con la perdita della propria identità culturale e della propria storia (per la Rivoluzione culturale prima e per la globalizzazione capitalista poi) e al tempo stesso di sopravvivere a questa perdita proprio attraverso di esse.

Acheng stesso è un figlio della Rivoluzione culturale: fece infatti parte della massa di "giovani istruiti", studenti figli del libretto rosso di Mao che venivano mandati nelle campagne a disboscare foreste e arare i campi, e nel corso degli anni '70 fece la propria parte per lo sviluppo del paese. I tre racconti di questa raccolta (Il re degli alberi, Il re dei bambini, Il re degli scacchi) sono proprio il frutto dell'esperienza di quegli anni, opere in cui non il protagonista (la cui voce narrante va a perdersi sistematicamente nel racconto) ma i personaggi che incontra sul suo cammino vanno a scontrarsi contro il cieco fanatismo di regime e irrimediabilmente è destinato al fallimento, ma un fallimento che viene affrontato con serena dignità, come parte intrinseca dell'esistenza: in questo siamo ben lontani dalla narrativa occidentale dove a uno ammazzano il cane e per tutta risposta fa una strage.
Giustamente.
Il re degli alberi si potrebbe descrivere come un racconto che parla della lotta tra la natura e il progresso, rappresentati rispettivamente da Lao Xiao detto in modo spregiativo Grumo (un burbero boscaiolo che per il suo troppo amore per gli alberi è stato condannato a fare il contadino dopo la Rivoluzione culturale) e Li Li (studente particolarmente fanatico della parola di Mao): nel mezzo sta il protagonista, uno dei "giovani istruiti" spediti in montagna attuare una "politica di disboscamento" che farà da voce narrante e si avvicinerà pian piano a quello strano custode della natura e alla sua famiglia, e un enorme albero che domina l'intera valle.
Mononoke Hime (H. Miyazaki) 
spiriti della foresta

Lao Xiao in quell'albero maestoso vede la bellezza della natura e una prova dell'esistenza del divino, Li Li null'altro che un fastidio e espressione di antiche superstizioni ignoranti che devono scomparire: la sua esistenza non segue nessuna logica in quanto non è utile e la sua ombra potrebbe togliere la luce a tutte le colture. Per Lao Xiao invece l'albero è utile, ma a causa della sua scarsa istruzione non sa spiegare il perché: è così e basta e per esso è disposto a lottare da solo e con dignità, arrivando a pararsi fisicamente davanti al gigantesco tronco e a fermare la mano di Li Li mentre questi sta per sferrare il primo colpo d'accetta, ma con altrettanta dignità e pacatezza è disposto a farsi indietro di fronte all'avanzare del nuovo, legando però a tal punto la propria esistenza a quella dell'albero da spegnersi e morire una volta abbattuto. 

Il re dei bambini si potrebbe riassumere invece come la lotta tra il sapere e la propaganda di regime, e vede come protagonista un giovane istruito a cui dopo 7 anni di lavoro manuale viene chiesto di insegnare ai bambini delle medie alla scuola della Comune, lavoro per il quale non è che si senta particolarmente predisposto visto che a scuola non brillava come studente. 
Questo non sarà un problema dal momento che i suoi studenti non è che finora siano stati educati in modo particolarmente attento o ispirato (tranne il giovane Wang Fu, che ha imparato tutti i tremila e passa ideogrammi che sono stati insegnati loro ma deve tutto alla determinazione personale): tutto andrà bene almeno finché il giovane insegnante, ispirato proprio dalla passione e dalla determinazione di Wang Fu, non comincerà ad interessarsi seriamente del bagaglio di esperienze e di nozioni che andranno ad arricchire quei bambini e ad abbandonare un libro di testo fondamentalmente inutile in favore di componimenti liberi. A quel punto sarà rispedito a zappare la terra e il nostro giovane Re dei Bambini obbedirà senza discutere con serena dignità, proprio come Grumo, nella segreta speranza di aver fatto germogliare qualcosa nel cuore di quei ragazzi.

In questo racconto, il mio preferito dei tre, tocchiamo con mano una scuola ben lontana dalla propaganda di regime tutta lotta all'analfabetismo e amore di Mao verso i pikkoli ancioli futuro della Cina: vediamo una piccola e povera realtà montana in cui gli studenti, anche quelli relativamente più benestanti, non riescono ad accedere a libri di testo o dizionari perché non c'è modo di stamparli per tutti (mentre coi pamphlet di regime ci tappezzano le case, contraddizione che il nostro giovane Re dei bambini non manca di notare, prendendosi in cambio dello sporco disfattista). Nonostante su carta uno degli scopi della rivoluzione maoista fosse proprio quella di debellare l'analfabetismo, in realtà a nessuno importa che traggano o meno giovamento dalla loro esperienza scolastica e men che meno dalla conoscenza del cinese: c'è solo una legge che impone di tenere i bambini lontani dal lavoro fino al termine delle scuole medie, se poi per tutto il percorso scolastico i bambini non combinano un piffero niente di male.
Se sanno leggere qualche slogan, tanto basta.
Dopo probabilmente molti andranno comunque a zappare la terra.
Fulcro del racconto però è soprattutto l'amore per la lingua cinese come veicolo attraverso il quale trasmettere i propri pensieri, autentici per quanto semplici, un amore incarnato da un vecchio dizionario che diventa oggetto di invidia e contesa da parte di bambini che grazie al giovane insegnante si appassionano sempre di più allo studio: si avverte da parte del protagonista un poco velato disprezzo nei confronti della lingua artificiale piegata alla propaganda di regime, quella affettata e piena di formule fisse dei libri di testo, quella vuota e arida della burocrazia. L'unica lingua che valga la pena di imparare è quella che permette di dar voce ai propri pensieri, quella che nessuno può portarti via e che spinge a interrogarsi sul mondo e su quanto accada attorno a sé.

Il re degli scacchi invece è forse non solo un racconto che ci mostra le profonde ipocrisie di un regime comunista che voleva abbattere le barriere di ceto e invece non ha abbattuto proprio un cazzo, con le persone benestanti che pur non essendo più benestanti come un tempo continuano a mantenere certi privilegi e a ottenere favori, ma soprattutto la lotta eterna tra il sognatore e la dura realtà materialista che fin dalla culla spinge all'impegno solo nelle cose utili, quelle che danno da mangiare. 
Protagonista della vicenda è un altro giovane istruito che sul treno diretto verso il suo nuovo posto di lavoro presso un'azienda agricola incontrerà un suo vecchio compagno di scuola, Wang Yishang detto il Topo degli Scacchi: nato da una famiglia molto povera e perseguitata dal regime della Rivoluzione culturale, ha sempre avuto una grande passione per il gioco degli scacchi cinesi, lo Xiangqi. Passione che lo ha sempre distratto dai morsi dalla fame e dai problemi, una passione che lo fa sentire vivo e che nessuno gli potrà mai portare via.
In questa commovente ricerca della felicità, questa storia è anche una metafora della lotta degli intellettuali come Acheng contro le imposizioni di regime: a un certo punto infatti il protagonista chiederà a Wang Yishang come farebbe se un giorno gli impedissero di giocare a scacchi, e persino di pensare di giocare a scacchi.
Wang Yishang è perplesso: "Non è possibile, come farebbero? Io so giocare a mente, dovrebbero scavarmi nel cervello. Dici delle assurdità." 
Gli scacchi (cioè la passione, ciò che rende la vita degna di essere vissuta al posto di quell'arido produrre in nome prima del bene comune e poi della realizzazione personale), come il pensiero dell'intellettuale, sono una cosa che nessuno può portarti via, anche nei momenti più bui. 

*

IN CONCLUSIONE...
La trilogia dei re è uno spaccato di racconti delicatissimi e amari, una testimonianza  in prima persona del periodo della Rivoluzione culturale che non si concentra sulla violenza, la morte, la povertà, ma sulla riscoperta di sé e della propria voce (di uomo ma soprattutto di artista), di una contemplazione serena della vita, dei piaceri semplici

Giudizio Finale:

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