sabato 16 gennaio 2021

[Recensione] APPARTAMENTO 401

Recensione romanzo "Appartamento 401" di Shuichi Yoshida
Autore: 
Shuichi Yoshida
Traduttore: G. M. Follaco
Edizione: Feltrinelli, copertina flessibile, 240 pagine
Anno: 2019
Euro: 15,20 | Ebook: 6,99

Premesse:
Il mio rapporto con la letteratura giapponese non è idilliaco, lo ammetto: se già di mio non sono un'amante di quei libri in cui nulla di sostanzioso accade ma ci si deve lasciar solo trascinare dalla narrazione, con la letteratura nipponica bisogna fare i conti anche con una mentalità molto diversa da quella occidentale, una letteratura melanconica fatta tutta di moti d'animo e sfumature a cui non importa un fico che il lettore arrivi da un punto A a un punto B o che capisca cosa stia accadendo ma solo che alla fine del viaggio gli sia rimasto dentro qualcosa su cui ponderare.
A me ponderare su quello che leggo o guardo piace (è uno dei motivi per cui adoro i programmi per bambini e ragazzi), ma preferisco trarre le mie riflessioni da una trama intrigante e da bei personaggi a cui accadono cose che esulino dalle corna, e non ritrovarmi davanti l'equivalente orientale di un film di Genovese, quattro stronzi che non si parlano attorno a un tavolo.
Allora perché me lo sono letto?
Perché mi sono avvicinata a questo libro spinta sostanzialmente dall'aria thriller e misteriosa che si respirava dal riassunto, ma ho dimenticato di trovarmi davanti un libro giapponese: il thriller sta praticamente solo nella quarta di copertina! 

DUE RIGHE DI TRAMA

Nell'appartamento 401 a Setagaya (Tokyo) convivono (abusivamente) Ryosuke, uno studente di economia che arriva dalla campagna; Kotomi, una disoccupata che fa praticamente la vita dell'hikikomori; Mirai, un'illustratrice freelance che per arrotondare lo stipendio lavora in un negozio di articoli d'importazione; Naoki, maniaco del fitness che lavora in una casa di produzione cinematografica. In seguito vi si aggiungerà un quinto ragazzo portato a casa da Mirai nel corso di una delle sue frequenti capatine notturne nei gay bar della zona, Satoru, che per guadagnare qualche soldino vende il proprio corpo a Shinjuku.
Ragazzi che condividono uno spazio angusto in maniera tranquilla, senza drammi né conflitti: la loro vita scorre in maniera noiosa e placida, se non fosse per il sospetto che nell'appartamento attiguo si pratichi la prostituzione minorile e per la presenza di un maniaco che assale alle spalle le ragazze che si ritrovano a girare da sole nel quartiere alla sera...

*

IMPRESSIONI SPARSE

Il Thriller e il mistero legato alle attività dell'appartamento 402 e dell'assalitore di giovani donne ce li possiamo proprio dimenticare, se non nelle ultime pagine del libro, e anche a quel punto nulla di particolare accade.
Appartamento 401
è un romanzo che parla di alienazione e l'autore non permette a nessuno di perdere di vista il messaggio manco per un secondo, stile Cura Ludovico: i quattro (poi cinque) ragazzi che condividono il monolocale non sono amici come parrebbe a un primo sguardo ma si ritrovano soltanto a recitarne la parte.
"Se uno non si trova più a suo agio, se ne va. Se si resta, ci si diverte. Penso che anche Mirai, Naoki e Ryosuke recitino la parte delle persone felici. Il nostro è quel che si chiama rapporto di facciata. Ma per me è perfetto."
Il romanzo è composto da soli 5 capitoli, ognuno scritto dal punto di vista di uno dei ragazzi, espediente narrativo che va ad aumentare quel senso di profonda incomunicabilità: i protagonisti, vediamo nel corso della lettura, non solo non riescono a trovare un posto nel modo che li circonda ma nemmeno a costruire qualcosa di sano all'interno dell'appartamento quando sono tutti sulla stessa barca. Sostanzialmente tutti si fanno trascinare dalla vita giorno dopo giorno, senza entusiasmo, come le macchine che seguono obbedienti le indicazioni del semaforo del vicino incrocio.
Metafora che funziona solo perché è un libro giapponese, valla a fare sull'Adriatica in direzione Rimini in estate poi lo vedi tutto l'entusiasmo per la vita...
Dramatization:
"Scusi cortese buon uomo, credo che lei mi abbia tagliato la strada."
"La prego di perdonare la premura, gentile signore, si scalpita tutti per recarsi sulla battigia riminese."
Ryosuke è il figlio di un cuoco di sushi della provincia che è venuto a studiare a Tokyo. Si è preso una cotta per ragazza di un suo senpai dell'università, Kiwako, che arriverà ad accettare il suo timido corteggiamento senza che nulla sostanzialmente cambi. Kiwako non lascerà il suo fidanzato ma vedrà Ryosuke nei ritagli di tempo, senza impegno.
Ryosuke se la mette via:
"Ciò che è sicuro è che non volevo diventare l'amante di Kiwako. Allo stesso tempo non ero sicuro di amarla al punto da chiederle di lasciare lui per me. Non ce la facevo più a starmene lì senza poterla incontrare. Insomma, non sapevo come comportarmi."
Ottenuto quello che desidera insomma non sa che farsene: passivo nella vita, nell'amore e nel lavoro, riesce ad arrivare fino a Tokyo per studiare (con grandi sacrifici economici da parte dei genitori che sperano si faccia belle amicizie e viva la sua vita invece di rimanere ancorato a una realtà provinciale) ma alla fine le sue intenzioni sono comunque quelle di ritornare al paesello d'origine una volta presa la laurea, cosa che non ha sentito il bisogno di dire né ai suoi amici né alla sua bella.

► Mirai si atteggia a cinica del gruppo:
"Nel Giappone di oggi l'unico modo per conservare una dimensione etica è essere pessimi"
Non le frega se nell'appartamento di fianco le ragazzine vengono ipoteticamente costrette a prostituirsi o delle pene d'amore dei suoi coinquilini; arriva a tranquillizzare i nervi con una VHS su cui ha montato insieme scene di stupro tratte dai film (sul perché non si farà mai luce, e onestamente chi se ne frega), ma forse a conti fatti è la personalità più fragile dell'appartamento 401. 
Passa le serate ad ubriacarsi e a portarsi a casa sconosciuti (tra cui Satoru): forse ha un problema di alcolismo o forse no, perché nel suo capitolo lei ovviamente non ne parla e nessuno dei coinquilini sembra porsi il problema. A una certa potrebbe avere la possibilità di andare via, cambiare vita e andare a vivere alle Hawaii, ma non si saprà mai se accetterà o meno.
Un conto è sognare un drastico cambiamento nella propria vita, un altro viverlo.

► Kotomi vive in funzione di una telefonata del suo ragazzo, Maruyama, che si sta affermando come star dei serial televisivi, dando fondo ai pochi risparmi derivati dall'ultimo lavoro:
"Naturalmente non penso di vivere così in eterno. Le cose vanno bene e hanno un senso proprio perché sono provvisorie, credo."
E' sinceramente innamorata di Maruyama ma al tempo stesso ha paura di quello che significhi avere un'intimità vera con lui: sobbarcarsi il peso della madre di lui, molto malata, dargli un figlio, convivere, guardare il vero Maruyama al di fuori di quei pochi incontri fugaci che lui le concede tra un impegno e l'altro, al di fuori dei serial televisivi di cui è appassionata... E' emblematico che sia (apparentemente) idealista e sognatrice laddove Mirai è cinica e concreta (visioni ad ogni modo superficiali visto che a modo loro sono entrambe concentrate su loro stesse), e che se le due si parlassero e confidassero i rispettivi pensieri non sarebbero poi così amiche.

► Satoru, l'ultimo arrivato e il più giovane, si aggrega a questo allegro gruppetto senza che nessuno lo abbia davvero invitato e fa da punto di vista esterno al gruppo ed è forse il più consapevole di questo gioco di ruolo tra i coinquilini dell'appartamento 401. 
Forse è quello in grado di offrire una visuale più onesta...

"Un nuovo membro del gruppo di persone che giocano a fare gli amici". Una matta che se ne esce con "Fernando Boulevard" come nome per una strada e che, a quanto mi dicono, all'inizio viveva in quell'appartamento insieme a Naoki. Uno studente smidollato. Una disegnatrice freelance a cui piace uscire con i ragazzi gay. Un salutista fissato con il jogging. Se non li avessi incontrati lì, non avrei mai avuto niente a che fare con personaggi del genere. Anche se stare con loro si rivelò più divertente di quanto potessi immaginare"

... O lo sarebbe se gli interessasse conoscere sinceramente quelle persone e farsi conoscere da loro, cosa che ovviamente non accade. E' forse il personaggio più fumoso: dorme sul divano e non nella stanza dei ragazzi condivisa da Ryosuke e Naoki, vive alla giornata, senza programmi, e consapevole del fatto che nella vita a nessuno interessa conoscere per davvero qualcun altro né essere ammorbato di chiacchiere sui problemi altrui. E' un camaleonte che asseconda i desideri di chi si trova di fronte per risultare gradevole e racconta a ognuno dei coinquilini una storia delle origini diversa a seconda di quello che l'altro preferirebbe sentirsi raccontare. Del resto col lavoro che fa è abituato a diventare quello che vuole la gente.

► Ma se finora stiamo parlando comunque di ragazzi molto giovani in preda all'irrequietezza giovanile e alla confusione, ragazzi che non hanno ancora trovato la propria strada, lo stesso non si può dire di Naoki, il primo inquilino dell'appartamento 401, che ha 28 anni ed è una persona che si potrebbe definire pienamente realizzata.
Da sempre amante del cinema, lavora nell'ambiente cinematografico. E' stato lasciato senza grossi drammi da una fidanzata con cui le cose non andavano più ma sono rimasti amici e occasionalmente qualcosa di più (nonostante lei sia ufficialmente fidanzata con un uomo di mezza età benestante), ha accanto persone che non lo giudicano e hanno rispetto per lui, è un salutista amante del jogging e della cucina sana, gran lavoratore, pacato, sicuro di sé, riflessivo. Eppure anche lui, che di questi personaggi dovrebbe essere il più felice e che oltretutto dal punto di vista degli altri risulta il più tranquillo e affidabile, risulta annaspare nella stessa identica cacca di tutti gli altri ed essere di contro il personaggio più infelice e rancoroso col mondo, segno di un malessere sociale generalizzato.
Il libro non racconta altro.
Se qualcosa accade resta vago, in sordina, sullo sfondo.
Ogni personaggio, uno più caso umano dell'altro, si parla addosso, si perde in rimembranze malinconiche, giustifica scelte o pensieri scellerati senza farsi toccare minimamente da quello che accade agli altri coinquilini o nel mondo esterno e senza mai che la realtà esterna li spinga a cambiare quello che sono o il modo in cui vivono. E alla fine del libro, dopo 240 pagine, di fronte a rivelazioni che dovrebbero essere sconvolgenti nulla è cambiato in quell'appartamento.
La morale di fondo è chiara: non ci sono più i valori di una volta, la gente non si parla più, non ci si conosce neppure più noialtri e figurarsi il proprio coinquilino, non si ha più la voglia né il coraggio di avvicinarsi a qualcuno nonostante al tempo stesso ci si senta disperatamente soli e desiderosi d'amore
Cose mai lette o viste da nessuna parte. 👀
Intendiamoci, il libro in sé non mi è dispiaciuto e non voglio dare l'idea di ritrovarsi davanti un ciofecone perché mentirei: la storia ha un po' quel piglio intimo e malinconico alla Banana Yoshimoto (complice anche una traduzione che specialmente nei dialoghi richiama molto quelle atmosfere) ma con una sfumatura più angosciante dovuta al vago aspetto thriller, scorre agevolmente nonostante le tematiche (sono 240 pagine del resto, sarebbe preoccupante il contrario), l'autore è abbastanza bravo nel dar vita di pagina in pagina a 5 vite smarrite che si sfiorano senza mai toccarsi e a creare l'idea di quest'angoscia soffocante che permea ogni cosa.
In linea generale però mi piace:
1) Che la storia a un certo punto vada da qualche parte
2) Che se non si va proprio da nessuna parte l'autore si impegni a ficcarci dentro un po' di ironia mentre ci martella gli zebedei col milionesimo libro in cui ci ricorda che la vita moderna fa schifo, che siamo soli e non comunichiamo più col prossimo.
3) Che se proprio si deve essere seri e far vedere quanto si è profondi e amareggiati conoscitori della realtà almeno per una volta non si incentri tutto attorno alle problematiche amorose (fidanzati che non chiamano, coppie che scoppiano, corna) per poi cercare di tenerti sveglio con un paio di scene trasgry di violenza sulle donne che onestamente avrebbero avuto bisogno di più spazio (e rispetto) di quello che gli ha dedicato Yoshida.

IN CONCLUSIONE. . .

Appartamento 401 è un libro che mi sento di consigliare se siete in disaccordo con me sui 3 punti di cui sopra e vi piacciono quei libri un po' emo e malinconici che non portano da nessuna parte, libri squisitamente giapponesi nel bene e nel male: per quel che mi riguarda il libro è ben scritto, il senso di straniamento dato dal racconto è totale e non manca di lasciare confusi e pieni di domande (laddove non addirittura un po' irritati, ma è un effetto voluto), ma di fondo non racconta nulla di nuovo.
Indossiamo delle maschere.
Nessuno ci conoscerà mai per davvero.
Una lezione che almeno noi italiani si è imparato da quando a scuola si studiava il Pirandello, senza andare a scomodare i giapponesi.

Giudizio finale:

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