venerdì 11 dicembre 2020

[Recensione] L'IMPREVEDIBILE DESTINO DI EMILY FOX-SETON, di Frances H. Burnett

Titolo originale:
Emily Fox-Seton
Autore: Frances H. Burnett
Traduttore: A. Ribolini
Edizione: Astoria, copertina flessibile, 275 pagine
Anno: 2016
Euro: 17,00
 
Premesse:
La vita privata di Frances H. Burnett (autrice di Il giardino segreto, La piccola principessa, Il piccolo Lord) risulta essere molto più interessante di questo manualetto di buon comportamento della moglie-oggetto vittoriana che mi sono ritrovata tra le mani.
Frances Hodgson nasce nel 1849 a Manchester, in Inghilterra, ma in giovane età la sua famiglia deve affrontare la morte del padre e difficoltà economiche tali da spingere l'intera famiglia a trasferirsi in America, con la prospettiva di ricevere aiuto economico dallo zio materno. Queste speranze vengono ben presto disilluse, un po' perché dei parenti ti puoi fidare come di uno scorpione che ti sale sulla schiena per attraversare il fiume e un po' perché la Guerra di Secessione in quel periodo rendeva le cose difficili anche ai parenti più benintenzionati. La giovane Frances comincia a scrivere per contribuire alle spese di famiglia e nel 1873 sposa Swan Burnett, un dottore inglese.
Il successo arriva nel 1886 con Il piccolo Lord, un romanzetto morale che vede come protagonista un pastore battista in miniatura pettinato da Nino D'Angelo  che converte un vecchio conte bisbetico alla bontà e alla joie de vivre (libro destinato ai giovani dell'epoca ma amato principalmente dalle madri per ovvi motivi), bissato nel 1905 con La piccola principessa, dove una ricca rampolla di nobili natali impara che se non hai i soldi i titoli te li ficchi dove non batte il sole, ma nella sua vita da piccola Cenerentola riesce comunque a convertire altre giovani rampolle alla bontà e alla joie de vivre. E a tornare ricca senza fare assolutamente nulla.
Desta grande scandalo all'epoca il suo divorzio seguito dal secondo matrimonio con Stephen Townsend nel 1900, da cui divorzierà nuovamente dopo soli due anni (è in questo periodo, nel 1901, che vede la luce Emily Fox-Seton): come da una personalità così forte e indipendente siano nate delle insopportabili e stolide piagnine di cui Emily Fox-Seton è forse la peggiore esponente nel panierino della Burnett si può giustificare solo con le esigenze di mercato, perché lei col suo lavoro ci doveva vivere e cosa ci si poteva aspettare che scrivesse una donna anglo-americana a inizio secolo scorso per farsi pubblicare (l'evoluzione del personaggio di Jo March in Piccole Donne, da ragazza forte e indipendente a moglie di un cretino, è emblematico di questi obblighi editoriali dell'epoca)?
DUE RIGHE DI TRAMA
Il romanzo è diviso in due parti.
La prima, "Formazione di una marchesa", ha il tono fiabesco alla Cenerentola e ci introduce da subito al personaggio di Emily Fox-Seton, una donna di 34 anni graziosa, alta e ben piantata ma non particolarmente avvenente o arguta: non ha tratti distintivi particolari se non un'incrollabile etica lavorativa e una bontà che rasenta l'idiozia.
Emily vive a Londra, South Audley Street.
Ha abbandonato da tempo le speranze di accasarsi con qualcuno che possa provvedere dignitosamente ai suoi bisogni e si arrabatta come può vivendo una vita povera ma dignitosa: rimasta orfana in giovane età vive in una stanzetta a pensione, sistema con cura e gusto i suoi abiti (gonne che in strada solleva "con sobrietà e decoro" per evitare il fango) perché durino quanto più possibile senza risultare smessi o fuori moda; ha una piccola rendita di 20 sterline frutto della regalia di un'anziana nobildonna che l'ha presa in simpatia e sopperisce al resto lavorando come aiuto insegnante e "in cambio di una modesta remunerazione" rendendosi utile "in infiniti modi pratici", facendo commissioni e lavori di cura e assistenza per le signori benestanti del posto.
E' facile per chi le sta intorno e gode dei suoi servigi prendere in simpatia questa piccola ape operaia sempre allegra e compiacente. Un po' meno facile per chi già da queste prime righe comincia a sudare freddo di fronte a un personaggio che si gloria del suo essere priva di carattere e spessore.
Di imprevedibile da questo punto in poi ci sarà ben poco.
Lady Maria Bayne, "l'anziana più intelligente ed elegante di Londra"(considerando che in confronto a Emily anche un paraspifferi risulta Stephen Hawking), è tra le persone che trova Emily una presenza rinfrancante e indispensabile nella sua vita di ricca donna annoiata, perché la ragazza sa essere industriosa e competente senza perdere il sorriso e devota e compiacente mancando totalmente di quell'arguzia che mette a disagio gli spiriti più estroversi. Decide quindi di invitarla a trascorrere la prima settimana di agosto a Mallow Court, una delle dimore più belle del paese.
La invita forse come ospite, per sfuggire al caldo soffocante della città, per gentilezza e amicizia nei confronti di una brava ragazza che ha vissuto un rovescio di sfortuna immeritato e che per una volta merita una gioia? No, naturalmente no, che razza di pretese: la invita per fare le veci di sguattera, animatrice, party planner e piccione viaggiatore per rendere la sua festa indimenticabile.
E mentre Emily sempre con l'immancabile sorriso sulle labbra e gioendo di ogni piccolezza le sia permesso di godere nei pochi momenti di respiro (principalmente il panorama e la gioia altrui) pulisce, cuce, organizza feste indimenticabili e prepara regali per i bambini, sferruzza sciarpe per i pescatori d'altura, fa pure da psicologa a una giovane bellezza di nobili natali ma scarse finanze, Lady Agatha, si macina miglia e miglia a piedi perché a tavola non manchi il pesce fresco (un dramma!) e manca solo che nel mentre si faccia infilare in culo un rastrello per spianare la terra del sentiero, si affaccia sullo sfondo l'inevitabile cicisbeo.
E quando te sbagli?
Trattasi di Lord James Waldenhurst, cugino di Lady Mary: la vera attrazione di Mallow Court, il Mr. Darcy dell'età vittoriana, il più papabile del paniere, quello che "quando entrava in una stanza le donne iniziavano ad agitarsi, ad andare in deliquio e a struggersi". Lord Waldenhurst è un uomo che attira inevitabilmente su di sé gli sguardi femminili e tutte usano le armi che la natura ha dato loro a disposizione per conquistarsi la sua attenzione.
E' forse un uomo di una bellezza disarmante? Ti conquista con l'arguzia e l'ironia?
No: è un vedovo di mezza età con un gigantesco palo ficcato su per il culo che passa la maggior parte del tempo a fissare il vuoto "con sguardo inespressivo" come gli asini e che di fronte alle giovani di buona famiglia che si sforzano di entrare nel suo cuore sbuffa e alza gli occhi al cielo, rendendo difficoltoso qualsiasi tentativo di corteggiamento.  Ma è ricco da far schifo, geloso dei propri spazi e rispettabile, e a una donna del tempo tanto basta per fare jackpot. 
Sostanzialmente di risposarsi codesto Waldenhurst non ha nemmeno tanta voglia, sono le convenzioni sociali a spingerlo a trovare una buona compagna che rompa poco i coglioni (quindi quelle troppo giovani sono fuori discussione) e gli metta al mondo un erede perché le proprietà di famiglia non vadano perse (quindi anche le coetanee sono off limits). 
Mi domando proprio chi sceglierà alla fine.
La dichiarazione d'amore più cringe della letteratura mette la parola fine alla prima parte di questo imprevedibile libro. 
La seconda, intitolata I metodi di Lady Walderhurst, ci mostra la nuova vita di Emily nel suo ruolo di moglie di un marchese, e riesce ad essere se possibile ancora peggio della prima: la Burnett in preda a un delirio sensazionalistico degno di Barbara D'Urso la butta totalmente di fuori e il lettore viene scaraventato così de botto senza senso in un melodramma ottocentesco, con Lord Walderhurst (sempre più affezionato a una donna soprammobile semper grata et compiacente) partito alla volta dell'India per impegni di lavoro e Emily che per pietà cristiana decide di mettersi in casa una coppia di disturbati mentali da cui praticamente chiunque l'aveva messa in guardia.
Questo perché è intelligente, pensa se era imbecille.
Il marito, sveglio quanto lei, la asseconda in questo capriccio e la lascia sola.
Queste presenze oscure nella vita della neo-marchesa sono il capitano Alex Osborn, un lontano nipote del marito (ubriacone, biscazziere, amorale) il quale avrebbe dovuto ereditare l'enorme fortuna di Lord Walderhurst se fosse morto senza moglie né eredi, e sua moglie Hester, una meticcia anglo-indiana piccola e scura che in quanto tale non è buona come Emily ma tende ad essere meschina e rancorosa oltre che legata in maniera indissolubile a quella terra di mistero e magia che le ha dato i natali e che al tempo stesso odia perché è umida e puzza (invece la campagna inglese sono le Maiorche). I due si accompagnano a una cameriera di colore che pratica la magia oscura, fa finta di non parlare la loro lingua quando non le conviene come quelli che vengono beccati sul treno senza biglietto e non vogliono dare le generalità al controllore e ha l'hobby di uccidere la gente facendolo passare per incidente, Ameerah
La coppia vive nell'indigenza più totale a causa degli stravizi di lui che gettano discredito sulla famiglia e impediscono a Walderhurst, che non li sopporta e non taglia i rapporti con loro solo per mera convenzione sociale, di passargli una rendita dignitosa, ma non prendono sportivamente la povertà come la Emily di inizio romanzo.
Emily li prende in simpatia per bontà di cuore.
Loro cominciano a odiarla a tal punto da pianificare il suo omicidio.
In questo, noi lettori li dovremmo odiare perché sono delle macchiette imbarazzanti da soap opera e perché di fatto arrivano a pianificare con fredda premeditazione la morte di una brava persona che vuole loro sinceramente bene per mera avidità ma in realtà sono i personaggi con le motivazioni più sensate di tutta la storia: ha senso che fin dall'inizio trovino irritante Emily (che sta parecchio sui coglioni pure a me), che non sopportino le sue continue sciocchezze, la sua gentilezza e la sua ingenuità, ma soprattutto ha senso che nel momento in cui si scoprirà che Emily aspetta un bambino anche Hester, che fino a quel momento non è riuscita a odiare totalmente quella persona così gentile e amichevole, al pensiero di perdere ogni possibilità di diventare marchesa e offrire a suo figlio un futuro dignitoso alla morte di Walderhurst con l'arrivo di un erede legittimo perda la testa e comincia a sperare che il piano del marito e della fidata Ameerah vada a buon fine. Persino la collera di Ameerah nel momento in cui le viene regalata una Bibbia per civilizzare questa persona "con modi abbastanza garbati per essere una nera") è giustificata:
"La donna vecchia e grassa con gli occhi sporgenti mi ha donato questo. Ha detto che è il libro del suo Dio. Ne ha solo uno. Vuole che lo onori anch'io. Sono forse una bambina che deve onorare il Dio che vuole lei? E' vecchia ed è fuori di testa."
Emily è così scema che di tutto questo nemmeno si accorge.
Per fortuna la fedele cameriera di Emily, Jane Cupp, vigila sulla sua padrona. 
Jane: Emily, non voglio allarmarti ma potrebbe esserci
una donna nera o donne nere in questa casa...
Emily: AAAAAAAAAH!
E pure quando alla fine, dio grazie, Emily si accorge che qualcosa non va (principalmente grazie a Jane e a Hester, che da brava meticcia viene redenta dalla bontà della donna bianca), si guarda bene dal disturbare il marito lontano spiegandogli la situazione e chiedendogli di ritornare. Fortunatamente sembra che per evitare altri attentati basti andare a Londra, nell'appartamento di città del marito, e tenere un profilo basso per due o tre mesi, mentre la narrazione viene affidata per qualche capitolo a quello che diventerà (com'è naturale che sia in questo romanzo dove la bontà paga sempre...) un altro sostenitore di Emily, il dottor Warren, nella forma di insopportabili pettegolezzi che il buon cerusico col pallino dell'indagine alla Sherlock Holmes scambia con la moglie per dipanare l'insondabile mistero di quella ragazza incinta dai modi tanto distinti.
Ma farsi un paiolino di cazzi propri?
Quando però Lord Walderhurst riesce finalmente a tornare a casa, non può mancare il finto-drama finale, stavo in pensiero: scopre infatti che la sua adorata (e da quando?) Emily, che a inizio romanzo era alta, ben piantata, il ritratto della salute e della tempra fisica, ora è in fin di vita a causa di un parto difficile in cui ha preferito per l'ennesima volta pensare al benessere del bambino prima che al proprio. 
Fortunatamente James Walderhurst è pure re taumaturgo e guarisce la moribonda con la sola imposizione delle mani e chiamandola più volte come un fottuto pappagallo. La gioia di riabbracciare la sua sposa perfetta è tale da farlo prorompere in dolci parole d'amore:
"In particolare mi sono sempre piaciuti i tuoi occhi grandi e limpidi. Ricordo che facevo fatica a delinearli nella mia mente. Sembravano essere a metà strada tra quelli di una bambina graziosa e quelli di un magnifico cane da pastore."
Tipo così:
Nel sentire queste parole Emily ha il primo orgasmo mai registrato da moglie vittoriana fuori dallo studio di uno psichiatra. Nel frattempo scopriamo anche del destino riservato agli Osborn: Hester ha partorito un'inutile femmina "gracile e bruttina" e i tre sono tornati in India dove Alex è caduto sempre più in profondità nel baratro dell'alcolismo, arrivando ad alzare a più riprese le mani sulla moglie (ormai irrimediabilmente ingiallita e imbruttita, ci tiene a dirci la Burnett) fino al giorno in cui per uno strano incidente si spara in faccia con un fucile che credeva scarico. Emily fa tornare Hester e la bambina a vivere insieme a lei, e qui la ragazza le confiderà di sospettare di Ameerah.
Perché in fondo è questo il modo di agire dei nativi.
"E mentre Lady Walderhurst se ne stava seduta a osservarla con il volto impallidito, Hester iniziò con calma a mangiare il piccolo scone imburrato".

*

IMPRESSIONI SPARSE
L'imprevedibile-ma-non-troppo destino di Emily Fox-Seton viene studiato nei corsi di letteratura inglese accanto a Orgoglio e Pregiudizio e Jane Eyre: da un punto di vista meramente accademico la cosa non sconvolge dal momento che il libro è poco più di un manualetto ad uso e consumo della brava moglie vittoriana.
Un'impietosa finestra su quel mondo spietato.

Abbiamo una protagonista che fin dalle prime righe oltrepassa la linea della semplice stomachevole bontà, diventando l'equivalente di una gradevole e dignitosa figurina di carta igienica (d'altronde la madre di Cedric ne Il piccolo Lord dà la stessa identica impressione, ma se non altro ha il buon gusto di restare sullo sfondo mentre quell'altro fenomeno del figlio compie la sua magia sul nonno), carina a vedersi e con cui all'occorrenza ti ci puoi anche pulire il culo: Emily è talmente buona che tutti intorno a lei si sentono in diritto di sfruttarla all'inverosimile per le più assurde cazzate salvo poi ammirarla per la sua bontà, ignorarla, abbandonarla a se stessa, darla per scontata. Se Emily desidera qualcosa per sé, come un bel vestito o un figlio (rigorosamente maschio, perché Lord Walderhurst sia contento), è solo per compiacere il prossimo e per questo è disposta letteralmente a morire. 
Questo atteggiamento servizievole e la totale mancanza di carattere e arguzia (perché le persone troppo spiritose possono infastidire le persone che amano annusare proverbialmente l'aroma dei propri peti) potevano essere ampiamente giustificati nella prima parte del libro, quando è il bisogno a spingerla a stringere i denti e mostrarsi sempre gentile e sorridente col prossimo dal momento che, ed è una lezione che a tutt'oggi vale la pena di tenere a mente:
"Alle persone non piacciono i problemi altrui. E quando qualcuno, come nel mio caso, si deve guadagnare da vivere deve essere gradevole, sa. Non conviene mai sembrare noiosi."
Dopo che Emily diventa marchesa di Walderhurst e non ha tecnicamente più bisogno di essere tanto pura di spirito e vacua di cervello e carattere lo stesso identico atteggiamento che in povertà significava la sopravvivenza diventa forzato, moralista e un insopportabile dito nel culo, ma di fatto è il modo in cui Emily (e attraverso di lei una brava moglie dell'epoca) è riuscita a far breccia nel cuore del marito.
Mimetizzandosi con la tappezzeria.
Lord Walderhurst è un personaggio altrettanto vacuo, noioso, irritante, ma rappresenta altrettanto bene il prototipo del bravo marito inglese dell'epoca senza tutti gli infiocchettamenti romantici a cui siamo solitamente abituati leggendo i romanzi del periodo.
Non ha nell'aspetto o nel carattere nulla che in un lettore del XXI secolo ispiri la benché minima simpatia ma per le ospiti di Mallow Court è davvero il massimo a cui si possa ambire perché è ricco, rispettabile e di fondo un brav'uomo: subisce passivamente e con fastidio le avances delle dame più ardimentose in cerca di status o denaro, e nel frattempo anche lui si fa i suoi bravi calcoli di convenienza senza premurarsi di nasconderlo.
 E' un secondo matrimonio quindi non è legato al decoro e non deve sposare una donna che sia socialmente alla sua altezza (il che spiana molto la strada al matrimonio tra lui e Emily, di ceto molto inferiore al suo). 
● E' abbastanza ricco da non dover cercare una moglie con una dote consistente e da poter attuare un processo di scrematura, evitando così una donna troppo giovane (perché troppo impegnativa e problematica) ma anche troppo vecchia (perché è socialmente obbligato a scegliere una compagna che possa potenzialmente dargli un erede). Scarta al tempo stesso una donna troppo bella e civettuola che brami le sue attenzioni con l'arma della gelosia e una troppo intelligente e sagace che dimostri di avere un carattere troppo forte e idee poco ragionevoli.
Esige i suoi spazi e può permettersi di scartare anche una moglie che sia una seccatura. In questo Emily è perfetta, anche se da questa descrizione sembra più la badante che la moglie: 
"Se fosse stata una ragazza, le avrebbe dovuto organizzare una sorta di nursery; ma questa creature fine, disponibile e sensibile sapeva badare a se stessa. Bastava esprimere un desiderio e lei non solo sapeva come esaudirlo ma era pronta a farlo senza discussioni. Per quando lo riguardava, era disposto ad affidare tutto al suo gusto. Era un gusto così ragionevole."
Non stupisce che il matrimonio di questi due soggetti molto pragmatici e ben consapevoli del mondo in cui vivono (come la Burnett, che ha visto da fuori e al tempo stesso toccato con mano il rigido classismo della vecchia Inghilterra) risulti dettato dal fatto che lui fosse "importante e imponente, lei indifesa e bisognosa". Emily con quella dichiarazione d'amore impacciata e demenziale di fatto si vede strappare a una situazione disperata (al di là delle sue condizioni sfortunate lui le si dichiara mentre lei è in lacrime sul ciglio di una strada, e tra le mani ha una lettera in cui la signora Cupp e sua figlia Jane le scrivono che venderanno la pensione e che al suo ritorno a casa sarà senza dimora) e a un futuro incerto da una persona perbene che vuole garantirle pure lo status onorevole di moglie. 
"Può darle una bella casa, farle sfoggiare i diamanti di famiglia, procurarle una donna matura e decorosa come dama di compagnia e tenere a freno i capricci nei limiti del decoro. I suoi spazi sono sacri per lui. Frequenta club e ha i propri interessi personali Al giorno d'oggi mariti e mogli si danno davvero poco fastidio. La vita coniugale è diventata relativamente dignitosa."
"Penso che la moglie sarebbe molto felice", commentò Emily. "Sembra molto gentile"
"Non so se sia gentile. Non ho mai avuto bisogno di prendere in prestito dei soldi da lui."
La Burnett, in maniera molto pratica, non le manda a dire ai suoi lettori. E' questa la natura più profonda e sincera di un matrimonio riuscito: ognuno ha i suoi spazi, non ci si rompe i maroni e se si è proprio brave si dà al marito un erede maschio con cui continuare la stirpe. Se queste erano le premesse di un matrimonio felice che una persona dal carattere così forte e schietto invece fosse reduce da due divorzi non è strano...

*

Tolti gli innegabili meriti di questo libro dal punto di vista storico e culturale e il profondo cinismo di fondo che io da brava persona dal cuore arido apprezzo sempre, dal punto di vista meramente narrativo la storia risulta una gigantesca incudine appesa allo scroto, complice una protagonista priva di qualsiasi qualità esterna alla sfera della morale, e che quindi manca dei mezzi pratici per capire la situazione e mettersi al sicuro dai pericoli con le sue sole forze. Questa sensazione si fa particolarmente pressante nella seconda parte del romanzo laddove sono un inutile e irritante drama da telenovela argentina e quel bell'aroma di razzismo paternalistico vecchio stile a farla da padroni. Il tutto è condito da un modo di scrivere pesante, noioso, moraleggiante e ripetitivo senza nemmeno uno straccio di ironia a rendere la lettura piacevole.
La storia non si fa mancare niente.

✔ La bontà paga sempre.
✔ Le serve vivono per servire.
L'india fa schifo:
da quel paese di mistero e colera arrivano persone scure di pelle incattivite dalla vita e invidiose della protagonista buona-e-brava, i nativi di colore (povere creature) senza dio praticano abitualmente la magia nera e l'omicidio, e ai bravi mariti che vi si recano per affari viene un turbo-cagotto che dura dei mesi (sic!) o diventano violenti alcolizzati nel disinteresse generale.
Ma ci ha donato anche il Superman bollywodiano. 💙
I neri non sono come noi!!!
 I neri (che non sono come noi) si possono convertire solo con l'intervento della salvatrice biancaⒸ più santa di Gesù.
✔ L'erede maschio è la soluzione di tutti i problemi.
✔ Se sei stronzo sei brutto e muori male.

*

IN CONCLUSIONE...
L'imprevedibile destino di Emily Fox-Seton è indiscutibilmente un libro figlio del suo tempo: interessante dal punto di visto storico e culturale, ma veramente poco godibile dal punto di vista narrativo a meno che non si sia grandi appassionati di telenovelas argentine. 
Con protagonisti freddi e distanti (ma in questo figli del loro tempo), l'intreccio moraleggiante, ripetitivo e stantio nonché contraddittorio nel suo voler essere sia cinico e ferocemente critico nei confronti dei rapporti amorosi dell'epoca che facilone e stupido con un lieto fine ficcato dentro a martellate, dà l'idea di essere stato palesemente scritto per soldi. Perché la Burnett ha sempre dovuto portarci il pane il tavola coi suoi lavori quindi non si è mai potuta permettere permettere il lusso di fare l'artista; perché da una scrittrice donna si pretendeva (e ancora si pretende) una certa narrativa e un certo tipo di protagonista.
L'impressione generale però è che in quel ritratto "edificante" dell'angelo del focolare ottocentesco "più fesso che buono" che con dignità, umiltà, bontà e modestia (cioè lavorando come una bestia e annullando se stessa) si guadagna l'affetto e le simpatie di chi la circonda e trionfa sul male Frances H. Burnett non ci creda neanche un po'.
Giudizio finale:

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