lunedì 14 dicembre 2020

[Recensione] LA CASA NELLA PRATERIA (LA CASA NELLA PRATERIA #1)

Recensione del libro "La casa nella prateria", di Laura Elizabeth Ingalls Wilder.
Titolo originale:
 Little House on the Prairie (Little House on the Prairie #3)
Autore: Laura Elizabeth Ingalls Wilder
Traduttore: C. Porta
Edizione: Gallucci, copertina flessibile, 196 pagine
Anno: 2020
Euro: 13,50 | Ebook: 8,99

Molti ricorderanno l'omonima serie televisiva prodotta dalla NBC tra il 1974 e il 1983 per la bellezza di nove stagioni che affrontava le vicissitudini della sfigatissima ma amorevole famiglia Ingalls.
Se l'è ricordato anche la casa editrice Galucci, che per questioni presumibilmente di marketing nel 2015 comincia a proporre al pubblico italiano la serie di libri scritti da Laura Elizabeth Ingalls Wilder (1867-1957) facendo un po' di confusione nella numerazione e facendomi uscire scema nel tentativo di decidere l'ordine di lettura: La casa nella prateria infatti sarebbe il terzo volume della saga, scritto nel 1935 dopo Little house in big woods (La piccola casa nei grandi boschi, 1932) e Farmer Boy (La storia di Almanzo, 1933): per noi italiani invece La casa nella prateria è il primo della serie, con i due volumi "prequel" stampati solo tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019, come aggiunte alla saga canonica.

Due premesse storiche in croce:
Siamo in America nel 1935, nel pieno del New Deal, in un paese ancora stremato dopo il crollo della Borsa del 1929 che aveva ridotto sul lastrico milioni di famiglie.
Roosevelt stava cercando di risollevare il paese con una serie di drastiche manovre interventiste (controllo statale delle banche, taglio della spesa pubblica, impiego massiccio di disoccupati in grandi opere, controllo della produzione industriale e agricola per evitare sovrapproduzione, aliquote progressive che arrivano a tassare fino al 79% i ceti più abbienti), manovre che non avevano mancato di scontentare molti (tra cui la stessa Ingalls-Wilder, che maltollerava questa limitazione della libertà individuale da parte dello stato) costringendolo a ridimensionare di molto queste sue pazze velleità "comuniste".
Proprio nel 1935 comincia la seconda fase del New Deal: si prevedevano (piccoli) contributi finanziati dai datori di lavoro, dai lavoratori e da fondi federali in supporto ai disoccupati e ai disabili, il diritto di istituire sindacati liberi e indipendenti, un controllo capillare da parte dello Stato nei processi economici e politici del paese (manovre poco omogenee ed efficaci che non risolveranno granché a conti fatti: si dovrà aspettare la Seconda Guerra Mondiale perché quella massa di disoccupati venga assorbita in Europa). Ma soprattutto è il periodo in cui si fa più forte quella propaganda statale (coadiuvata da Hollywood) che mirava a creare nell'uomo americano un sentimento di orgoglio nei confronti del proprio lavoro, per quanto faticoso e senza prospettive fosse, di ottimismo e di fiducia nel futuro.

Non è un caso che questi romanzi della Ingalls-Wilder, sorta di autobiografia della scrittrice opportunamente romanzata ed edulcorata affinché fosse accessibile a un pubblico di giovanissimi, abbiano fatto immediatamente breccia nel cuore degli americani dell'epocaLa gente povera e disperata ha trovato nelle avventure di frontiera della povera ma orgogliosa e determinata famiglia Ingalls e nel suo capofamiglia Charles un esempio: agli americani dell'epoca (ma anche a quelli di oggi dal momento che è una retorica dura a morire) in fondo si richiedevano lo stesso coraggio, ardimento e duro lavoro che ha trasformato il volto dell'America ai tempi della frontiera.
DUE RIGHE DI TRAMA
Siamo in America, attorno al 1870.
La famiglia Ingalls, composta dal capofamiglia Charles, dalla moglie Caroline e dalle figlie Mary, Laura e Carrie, a causa della recente sovrappopolazione nella zona che ha ormai reso impossibile procacciarsi legna e selvaggina, abbandona La piccola casa nei grandi boschi del Wisconsin, i nonni e i parenti per andare verso Ovest, in Kansas, dove lo Stato aveva deciso di regalare terre fertili ai pionieri. Qui, trovato un posto adatto nei pressi di un accampamento indiano, l'uomo costruisce una casetta piccola e accogliente grazie all'aiuto del suo nuovo vicino, Isaiah Edwards.
Considerando che ci verrà raccontato ogni microscopico, infinitesimale particolare del viaggio e della costruzione della casetta, solo con questo pezzo siamo arrivati circa a un terzo delle 196 pagine.
Una volta costruita la casetta, la stalla per i due piccoli Mustang Pet e Patty e una porta senza chiodi, gli Ingalls si adatteranno alla dura vita di frontiera tra (pochi) alti e (molti) bassi: affronteranno enormi lupi selvatici che arrivano fino alle porte della loro casa senza porta, indiani poco amichevoli (e graziarca') che irrompono a più riprese in casa in cerca di cibo e qualche pelle d'animale, un incendio che rischia di distruggere la loro casa e uccidere loro, una febbre malarica (che all'epoca, come sottolinea la stessa autrice, si credette dovuta a delle angurie guaste e non alle zanzare), la minaccia di una mattanza da parte di indiani incazzati a cui le focaccine, stranamente, sembrano non bastare più.

Recensione del libro "La casa nella prateria", di Laura Elizabeth Ingalls Wilder.
La vita bella e semplice di una volta...
E come se tutto questo non fosse sufficiente a primavera, quando gli Ingalls possono finalmente coltivare la loro terra grazie a semi tenuti da conto nella brutta stagione, un aratro nuovo nuovo e un tempo clemente, arriva la batosta finale, che qualche infame potrebbe chiamare karma: la tribù della zona, gli Osage, ha presentato a Washington una petizione spingendo il governo a modificare i confini del territorio indiano, quindi i coloni che ora si trovano all'interno di quel confine devono sloggiare.
Ingalls la prende bene:
"Non rimarrò qui per farmi cacciare dai soldati come un fuorilegge! Se quei maledetti politici di Washington non avessero detto che sarebbe stato possibile stabilirsi qui non mi sarei insediato a tre chilometri dal confine del territorio indiano. Ma non aspetterò che vengano i soldati a mandarci via. Ce ne andiamo adesso!"
"Cosa succede Charles? Dove andiamo?" chiese mamma.
"Magari lo sapessi! Ma ce ne andiamo! Partiamo da qui!" disse papà. "Scott e Edwards dicono che il governo sta mandando i soldati a cacciar via tutti noi coloni dal territorio indiano"
Il suo volto era rosso e gli occhi sembravano fiamme blu. Laura era spaventata, non aveva mai visto papà in quello stato.
Considerando che qualche decina di pagine prima facevi tutto il filosofo sul fatto che gli Indiani non dovevano prendersela tanto se il governo li faceva spostare tante volte per lasciare il posto ai coloni e che gli Osage ti hanno salvato le chiappine impedendo alle altre tribù di massacrare te e la tua famiglia, io direi grazie e mi incazzerei di meno.
Ad ogni modo alla fine del volume gli Ingalls non si lasciano abbattere dall'ennesima sfiga che si è abbattuta su di loro: lasciano la loro casetta e partono alla volta di Independence, la vicina città, per dirigersi poi verso il Minnesota e nuove fantasmagoriche avventure nella prateria.
IMPRESSIONI SPARSE
Tra i libri della saga non è il più riuscito nè quello invecchiato meglio. Consider

Considerando che circa metà del tomo è dedicato alla costruzione della casetta nella prateria la trama non decolla e sul fronte PERSONAGGI a questo giro non c'è nulla di memorabile o degno di nota: in questo libro la famiglia Ingalls si ritrova isolata nel bel mezzo del Kansas (e Dorothy Gale insegna che in questa regione non è esattamente tutto coca e movida) e ha la sola compagnia di se stessa, ma essendo praticamente tutti bravi buoni e belli (a parte Laura che qualche volta disobbedisce ma è sempre pronta a pentirsi e chiedere scusa prima ancora che lo scoprano i genitori, a differenza di Mary che sta aspirando alla santità prima di arrivare all'adolescenza) e sempre pronti a fare la cosa giusta e a sperare nella protezione del buon dio non è che la narrazione decolli.
Viene giusto il dubbio che Charles o sia un coglione o stia cercando di liberarsi della famiglia per rifarsi una vita nel civilizzato nord in compagnia di un'avvenente ballerina di saloon, in quanto nel corso della storia:

 Trascina tutta la famiglia nel mezzo del nulla in pieno inverno perché in primavera è impensabile attraversare il lago Pepin, e solo un colpo di culo gli impedisce di finire affogati come poveri stronzi dal momento che un attimo dopo averlo attraversato il ghiaccio comincia a spaccarsi.
 In Indiana attraversano un torrente in un punto che non ci si è premurati di controllare prima di passare col carro e per poco non fa affogare tutta la famiglia: ma si dimentica di far salire il cane. 
 Il cane, un bulldog di nome Jack, non è quel fighetta del cane di John Wick e non è tipo da farsi fregare così facilmente dalle mire omicide di quel coglione del capofamiglia. Riesce a raggiungere il carro e Charles quasi gli spara scambiandolo per un lupo.
 Durante la costruzione della casa nella prateria Charles per poco non scianca la moglie Caroline buttandole addosso un tronco: la povera donna salva il piede dalla maciullazione giusto perché nel terreno c'è un buchino...
 ... Non pago questo mago delle costruzioni tira su una canna fumaria che va a fuoco due secondi dopo...
 ... E farà quasi morire soffocato un vicino di casa venuto ad aiutarlo a costruire un pozzo, il signor Scott, perché non ha buttato una candela sul fondo per eliminare qualsiasi residuo di gas sotterraneo.
 Devo specificare che la casa è costruita vicino a un acquitrino infestato di zanzare malariche?
 Va in giro in un territorio selvaggio e inesplorato pieno di lupi senza fucile, perché gli è sembrato molto più utile lasciarlo a casa alla moglie...
 ... Fucile che invece si porta dietro quando la signora rimasta da sola con tre bambine si trova in casa a più riprese dei selvaggi nudi e puzzolenti che grazie a dio vogliono fregargli solo il cibo e qualche pellicciotto. In tutto questo ovviamente meglio legare il cane per non avere problemi, così casomai arrivasse uno di quei giganteschi lupi alti più della figlia di mezzo Caroline lo allontana con un colpo di parola di Cristo.
 Alla fine di tutto questo non stupisce che dal momento che Charles dice che gli indiani sono pacifici tempo qualche mese e si riuniranno tutti in gran consiglio per decidere di massacrare gli invasori bianchi.
E' tutto bellissimo.

*

Un po' meno bellissimo, inutile che ci si giri intorno, è il RAZZISMO: in questo libro la famiglia Ingalls costruirà la sua casetta della morte a pochi chilometri da un insediamento indiano e avrà a che fare per tutto il tempo con i nativi, che possono essere alternativamente mostri puzzolenti assetati di sangue (e affamati di pane di mais) che parlano con strani suoni gutturali e versi spaventosi, macchiette fiere e silenziose (se sono gli indiani Osage che parlano francese e gli salvano le chiappe di fronte alle altre tribù) o teneri cucciolini dagli occhi neri che a una certa Laura vuole adottare a tutti i costi.
Viene ribadito a più riprese, come da tradizione del tempo, che "l'unico indiano buono è un indiano morto", ma il signor Ingalls, che è BBravo, non è mica tanto d'accordo: "Supponeva che gli indiani sarebbero stati pacifici come chiunque altro se li avessero lasciati in pace. D'altra parte erano stati spinti a Ovest così tante volte che era comprensibile odiassero i bianchi. Ma un indiano doveva avere abbastanza buonsenso da capire quando non c'era più niente da fare." ... Disse l'uomo che alla fine del libro sbrocca come una bitch perché il governo cattivo di Washington li fa spostare UNA volta, a dimostrazione che quando lo subisci tu un trasferimento forzato è un po' normale che ti roda il culo. 
Peccato che gli Ingalls non colgano l'ironia di fondo.

Ma è inutile e controproducente da parte di noi sensibili esseri umani del 2020 indignarsi con un libro ambientato nel 1800 e scritto nel 1935 dal momento che, piaccia o meno, era questa la mentalità dell'epoca, ciò che pensava la maggior parte dei coraggiosi e tosti coloni americani nei confronti di quei barbari dei nativi e che la Ingalls-Wilder ci fa toccare con mano con brutale semplicità attraverso gli occhi della sua piccola protagonista.
D'altronde i pregiudizi sui nativi americani (o sui neri, o sugli ebrei, o su chiunque non fosse bianco, biondo e protestante) erano ancora all'ordine del giorno negli anni '30, anche se agli Americani da qualche tempo a questa parte piace far finta che non sia così. Si pensi anche solo alla serie tv degli anni '70, dove la questione indiana non viene toccata di striscio e si è tutti un volemosebbene con i cari amici di colore (con l'unica eccezione della signora Oleson che incarnando tutti i mali del mondo deve essere l'unica a trattare la gente di colore nel modo in cui tutti, compresi gli Ingalls, li avrebbero trattati).
E non è invecchiato benissimo neanche il telefilm, a voler essere proprio pignoli...
IN CONCLUSIONE...
Il sentimento preponderante durante la lettura di questo libro è stato il cringe. Letto con la sensibilità del 2020 risulta razzista e arretrato, letto da adulti risulta troppo semplice e breve (lo stile però è giustificato qui dal fatto che anche se viene usata la terza persona il narratore è di fatto Laura, una bambina di 8 anni a cui non si può richiedere chissà che profondità di pensiero e che giustamente preferisce parlarci degli animaletti del ruscello e delle perline colorate più che delle teorie del Destino Manifesto).

La trama è piatta rispetto ad altri volumi della saga (tra le altre cose la costruzione della casa occupa quasi mezzo libro e a una certa ho tifato per il fuoco), i personaggi davvero troppo buoni-e-cari per risultare simpatici, ed essendo rivolto ai ragazzini è un po' troppo edulcorato per toccare davvero con mano la vita dura dell'epoca.
Per fare un esempio all'epoca dei fatti narrati in questo libro alla Ingalls-Wilder era già morto un fratellino ma su questo e altri accadimenti ben più tragici dell'indiano che ti ruba il pane verranno sempre allegramente glissati, perché da brave liberiste lei e la figlia (a detta di alcuni studiosi una vera e propria ghostwriter) ci hanno tenuto a vendere all'America del tempo l'immagine idilliaca della famiglia perfetta (dove la donna sa che il suo ruolo è la casa e il padre adempie al suo ruolo di breadwinner con stolida benevolenza) che non si arrende mai e nonostante le avversità della vita riesce comunque a tenersi in piedi e a provvedere ai suoi bisogni grazie al duro lavoro, all'amore, alla solidarietà tra vicini e soprattutto al fatto che il governo di Washington si tenga lontano dai maroniInfatti a questo giro lo Stato centrale addirittura interviene solo per rendere inutile il lavoro di un anno degli Ingalls e mandarli via da casa.

Una lettura figlia del suo tempo e da contestualizzare con criterio che mi sento comunque di consigliare come punto di partenza per analisi e discussioni critiche.
Se no, guardatevi il telefilm.
Giudizio finale:
Project: La saga nella Prateria
Segue:

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