sabato 27 febbraio 2021

[Recensione] LEGAMI DI SANGUE, di Octavia E. Butler

Recensione | Legami di sangue (Kindred) di Octavia E. Butler
Titolo originale:
 Kindred
Autore: Octavia E. Butler
Traduttore: V. Raimo
Edizione: Sur, copertina flessibile, 357 pagine
Anno: 2020
Euro: 18,00 | Ebook: 9,99

Premesse:
Octavia Estelle Butler non è esattamente la prima cretina che passa ma un nome molto importante della fantascienza del Novecento (nonché, com'è ovvio, abbastanza snobbato nel panorama nostrano o pubblicato in ordine criminale su Urania, anche se recentemente si sta cercando di porre rimedio mi pare), anche solo perché offre al lettore un punto di vista che non si vede tutti i giorni e di cui lei stessa come lettrice ha avvertito la mancanza in tenera età: quello di una donna afroamericana. Nel corso della sua lunga carriera la Butler ha preso una falcidiata di premi Nebula, Hugo, ed è stata la prima autrice di fantascienza insignita, nel 1995, del prestigioso Premio McArthur.
La Butler ha dedicato la vita offrire il suo punto di vista all'interno di un genere, quello fantascientifico, che al tempo era ma ancora oggi tende ad essere (almeno se parliamo dei lavori considerati di pregio) il territorio dei maschi bianchi etero in cui raramente si consente a persone esterne alla cerchia della salsiccia di marcare il territorio. Le sue protagoniste sono spesso donne afroamericane che se non vivono ai margini della società sono comunque in condizioni di precarietà o di ceto medio basso, quindi discriminate su più livelli, perché il lettore possa sperimentare con forza tutta e la violenza e l'odio che nascono da un sistema di stratificazione sociale, che la Butler identifica come causa primaria di tutti i mali del mondo.
Secondo la Butler è la dominazione del più forte sul più debole (che siano alieni, vampiri o ricchi possidenti bianchi degli States del Sud del XIX secolo) a condurre l'umanità all'intolleranza, al sessismo, al razzismo e ad ogni forma di violenza: è una sorta di parassitismo autodistruttivo contro cui si battono i suoi protagonisti, che incarnano l'inclusività e la diversità. Insomma, la chiave per un'eventuale salvezza dell'umanità starebbe in una totale ricostruzione dell'uomo, in una vera e propria ibridazione di geni (tra etnie o addirittura specie diverse, visto che siamo nel regno della fantascienza dove tutto è possibile) che può essere considerato positivo anche se avviene attraverso metodi violenti come lo stupro o ricostruzioni geniche in laboratorio.
Insomma, facendola semplice per la Butler faremo schifo proprio a livello endemico finché ci ostineremo a restare diversi.

Quindi alla fine di tutto questo pippone voglio dire che sono perfettamente consapevole di che importante autrice io abbia davanti e ho la chiara percezione delle tematiche letterarie che porta avanti nei suoi romanzi e di tutto il suo complesso percorso ideologico, e che magari gli altri suoi libri sono anche belli ma questo in particolare è riuscito a starmi sugli zebedei come poche cose al mondo.
Andiamo a vedere il perché.

*

TRAMA

E' il 9 giugno del 1976, giorno del 26esimo compleanno della nostra protagonista, Dana Franklin, una ragazza di colore che vive in California insieme al marito Kevin. Improvvisamente e in maniera del tutto inaspettata ha un senso di vertigine, tutto intorno a lei si fa confuso per poi sparire. Dana si ritrova senza sapersi dare una spiegazione in un bosco, vicino a un fiume dove un bambino sta annegando. Ovviamente Dana accantona le perplessità e si getta in acqua per salvare questo pikkolo anciolo ma una volta portatolo a riva, si vede aggredire prima dalla madre di quello che scopre chiamarsi Rufus Weylin e poi dal marito di questa isterica cacacazzi, che addirittura le punta contro un fucile come ringraziamento. Quando arriveremo a conoscere meglio questo bambino capiremo che quella dei genitori è una reazione dettata probabilmente dalla delusione più che dal becero razzismo dal momento che anche io ci avrei contato sulla sua dipartita.
Dramatization
Ma così come è arrivata Dana scompare e torna a casa dove l'aspetta un marito un cicinin confuso: capiamolo, ha visto sparire la moglie sotto ai suoi occhi per poi vederla ricomparire pochi secondi dopo coperta di fango. I due daranno mostra di un aplomb raro, cosa che caratterizzerà qualsiasi personaggio per tutto il romanzo.

Kevin: Cos'è successo?
Dana: Boh?
Kevin: Ah, ok.

Senonché l'episodio si verifica di nuovo neanche mezz'ora dopo. A questo giro si ritrova in camera dello stesso ragazzino di prima, Rufus, anche se sembra un po' più grande, che ha dato fuoco alle tende per vendicarsi del padre che lo ha picchiato per avergli rubato un dollaro. Dopo aver salvato questo giovane equilibrato e per nulla inquietante o stupido per la seconda volta Dana riesce a dipanare qualche mistero se non altro a livello di coordinate spazio-temporali. 

Dana: Dove sono?
Rufus: Sei in Maryland nel 1815.
Dana: Ah, ok.

Decisamente non il tempo e il luogo più adatti a una giovane donna di colore, ma lei sembra prendere la cosa con uno spirito molto zen, tranne quando Rufus nel mezzo della conversazione e con tutta l'innocenza del mondo la chiama neⒷra, lì le parte il momento Aretha Franklin ed esige R-E-S-P-E-C-T finché Rufus per sfinimento non accetta di chiamarla donna di colore. Capisco dia fastidio ma non mi sembra la cosa più urgente su cui concentrarsi quando sei una nera e stai parlando con un ricco bianco nel Sud rurale degli States di inizio Ottocento. A una certa se ne ricorda, e le viene in mente che forse, anche se ha appena evitato un incendio, non è il caso che il padre di Rufus la becchi in camera di suo figlio in piena notte.
Rufus l'aiuta a uscire di casa e la indirizza dalla sua amica Alice Greenwood e da sua madre, due nere libere che vivono in una cascina ai confini della piantagione dei Weylin per stare vicine al marito, uno schiavo al soldo del padre di Rufus. Mentre si reca alla cascina in cerca di aiuto immersa nei suoi pensieri arriva a una rivelazione di stampo soap-operistico che come al solito viene presa da Dana con la stessa sorpresa e meraviglia riservata alla presenza delle zucchine scure dall'ortolano.

Dana: Ma io ho un'antenata di nome Alice Greenwood, da parte di madre. Era la mamma della mia bisnonna Hagar, una bambina che Alice aveva avuto con un bianco di nome Rufus...
Sempre Dana: Ah, ok.

Incappata in una pattuglia di bianchi che la scambia per una schiava fuggitiva e mentre sta per rischiare uno stupro, Dana avverte di nuovo quel senso di stordimento e torna a casa, dove il marito sempre con molta calma e compostezza le rivela che mentre per lei è trascorsa qualche ora per lui sono passati solo pochi minuti.
Dana si comporta come avrebbe fatto qualunque donna che abbia scoperto di poter venire sbalzata chissà come 150 anni in un passato dove quelle come lei sono considerate meno di un bovino e che ha appena rischiato la morte e uno stupro: prepara una borsa da viaggio piena di sapone, aspirine, cambi d'abito (rigorosamente jeans e camicie) e altre cose utili nel caso in cui dovesse accadere di nuovo e ci si ritrovasse incastrata per più tempo.
Da brava Giovane Marmotta fa anche qualche ricerca sulla vita degli schiavi dell'epoca (spoiler: faceva schifo), ma nonostante anche Alice e sua madre le abbiano detto esplicitamente che ai neri liberi serve un lasciapassare che ne attesti lo stato di non schiavitù e lei abbia anche trovato dei fac simile nel suoi testi si guarderà bene dal falsificarne uno prima ancora di farsi la valigia (deve aspettare che ci pensi Kevin a farsi venire l'idea) perché boh, forse ha visto Via col Vento e sogna di fare la Mami. A una certa la sentiremo affermare che è facile abituarsi alla schiavitù ma questa pare non ci provi proprio a fare la nera libera (la madre di Alice è libera e nessuno va a romperle gli zebedei nonostante abiti a due passi dalla piantagione). Mentre Kevin cerca il modo di copiare uno di quei lasciapassare però Dana sente che sta per accadere di nuovo, ma stavolta il marito le si abbarbica addosso e torna indietro con lei.

A questo giro Rufus, che sembra non averne mai abbastanza e a questo punto è chiaro essere oltre che un masochista stupido come una zappa anche l'agente catalizzante che fa tornare Dana indietro nel tempo, è caduto da un albero e si è rotto la gamba. Mentre il suo compagno di giochi di colore Nigel corre a casa in cerca di aiuto Kevin e Dana fanno due chiacchiere con Rufus, rivelandogli col solito aplomb il fatto di essere sposati nonostante Kevin sia bianco e lei nera.
Lui impazzisce per circa 3 secondi: 

Rufus: Bianchi e neri non si possono sposare!
Dana e Kevin: Ma noi veniamo dal futuro.
Rufus: Ma non dite cazzate!
Kevin: Te lo posso provare. Guarda, ho in tasca delle monete americane con una data del futuro incisa sopra.
Rufus: Ah, ok.

Dana e Kevin passeranno a casa dei Weylin parecchie settimane, Kevin farà da tutore a Rufus e Dana, la quale passerà per la sua schiava, farà lavoro di cucina insieme a Sarah e a sua figlia Carrie, l'unica che le è rimasta dopo che tutti gli altri suoi figli erano stati venduti, perché muta e quindi di minor valore. Kevin e Dana sperimenteranno le torture e le vessazioni che i Weylin infliggono agli schiavi: non si arriva a veri e propri episodi di sadismo e crudeltà, a parte l'occasionale minaccia della frusta sembra quasi un a normale esperienza lavorativa italiana, ma arriva comunque la percezione che queste persone siano trattate come suppellettili da poco.
Intanto giusto per non farci mancare il teatrino alla Beautiful la signora Margaret, che è gelosa delle attenzioni che Rufus riserva a Dana, vorrebbe riservare delle attenzioni speciali a Kevin, che si tiene Dana in camera come cane da guardia per evitare che la donna bianca arrapata attenti alla sua virtù.
Il trovarsela in biblioteca a sfogliare un libro sembra scatenare in Tom Weylin più orrore del vedersela girare per tutto il giorno in casa con i pantaloni ad avere i suoi momenti Aretha che mettono idee strane in testa ai suoi schiavi: il signor Weylin la trascina in cortile per frustarla a sangue e lei in preda al dolore torna nel 1976 lasciandosi indietro il marito.

A casa le tocca chiedere aiuto per occuparsi degli squarci che ha sulla schiena a causa della frusta: la tipa come è ovvio che sia incolpa Kevin. Dana, che scrive i libri, è sveglia, fa i pipponi ai bianchi del 1800 perché pippippi, ci devi chiamare gente di colore, non è che si inventa anche solo la scusa più stupida del mondo per fare in modo che non venga incolpato un innocente, ma le dice solo di non dire niente a nessuno.
Ovviamente tempo mezz'ora e tutti i vicini sanno tutto ma nessuno muove un dito. Proprio come in Italia.

Ci vogliono otto giorni perché Dana torni indietro nel tempo. 
Si ritrova ai confini della proprietà Weylin, davanti casa dei Greenwood: ha davanti il solito Rufus, sbronzo marcio, che sta per prenderle di brutto da Isaac, uno dei suoi schiavi, mentre una giovane donna se ne sta tremante da parte. Interrogata la ragazza scopre che Rufus ha appena cercato di violentare la moglie di Isaac, che è nientemeno che Alice Greenwood, la sua vecchia compagna di giochi e amica. Sembra che Rufus non abbia preso sportivamente il fatto che lei abbia rifiutato il suo cortese corteggiamento e le tenera prospettiva di diventare un'amante senza diritti. Né che abbia deciso di sposare un nero che amava col benestare di suo padre, che ha addirittura chiamato un sacerdote per far finta di ufficializzare la cosa.
Così ha deciso di corteggiarla in maniera molto meno gentile. Succede.
Dana ovviamente, da brava donna del 1976 che scrive i libri, è sveglia, fa i pipponi ai bianchi del 1800 perché pippippi, ci devi chiamare gente di colore, sicuramente si lancerà in un altro momento Aretha contro la violenza che riempirà il giovane bianco ubriaco di vergogna e lo spingerà a dare R-E-S-P-E-C-T alla donna che dice di amare, proprio come lo ha convinto a chiamarla donna di colore a inizio libro... No, deve preservare il proprio corredo genetico visto che la bisnonna Hagar ancora non è nata, quindi fa di tutto per proteggere questo gentleman dalla comprensibile furia di Isaac salvo poi offendersi se dopo gli altri neri la considereranno un Moretto (nera fuori e bianca dentro) quando ehi, come osano, lei ha fatto pure promettere a Rufus di non dire niente del tentato omicidio ai suoi danni e ha spinto Isaac e Alice alla fuga verso la libertà.
Naturalmente verranno presi in tipo sei secondi.
Lui viene mutilato, venduto e spedito lontano; lei assalita dai cani, picchiata, schiavizzata nonostante sia libera e comprata da Rufus, che se la piazza ferita e incosciente in camera, accanto al suo letto. Naturalmente va tutto bene per Dana quando verrà messa al corrente della cosa, cosa vuoi che ci faccia se è svenuta? Non paga di ciò aggiunge: "Tutto perché il nostro piccolo stupido qui aveva bevuto troppo e ha deciso di violentare qualcuno"
Stupratore = piccolo stupido.
Disse la donna che impazzisce se la chiami neⒷra.
Visto che ormai Dana e la sua magica borsa di sapone e aspirine si sono fatte la nomea di grande medico (principalmente perché padron Tom è troppo tirchio per pagare il medico vero) Rufus le ordina di curare Alice e salvarle la vita, altrimenti non scriverà a Kevin, che è andato lontano, verso nord.
Dana è indignata del fatto che Rufus osi minacciarla e ricattarla dopo tutto quello che lei ha fatto per lui, così come sarà indignata dal fatto che Alice dopo tutte le sue amorevoli cure invece di esserle grata e di vedere in lei un'amica la accuserà di non averla fatta morire e incolperà lei del destino ingrato a cui ha condannato lei e Isaac (e direi che non ha nemmeno tutti i torti). Sarà però molto meno indignata quando Rufus le chiederà di convincere Alice a entrargli nel letto con le buone.
Tanto mica è la sua.
E l'importante è che Alice sopravviva e faccia nascere Hagar.
Dana però si indigna di nuovo quando scopre proprio grazie ad Alice che ha trovato per caso delle lettere nel cassetto di Rufus che il suo fido alleato (il violento, il ladro, il vigliacco, il debole, lo stupratore) le ha mentito e non ha affatto scritto a Kevin per avvisarlo del suo ritorno. Ancora sconvolta per questa rivelazione inaspettata Dana decide di pianificare la sua fuga, ma viene beccata in tre minuti a causa di una schiava gelosa che fa la spia, frustata a sangue ma è comunque tutto ok visto che Tom venuto a sapere del patto tra Rufus e Dana decide di scrivere a Kevin. Perché le promesse vanno mantenute (anche se fatte a una nera nel 1800. Va bene...). Però una frustatina bisogna dargliela comunque, se no gli altri neri non imparano.
Si penserebbe che a questo punto tra Dana e Rufus sia storia chiusa, invece no: porellino, lui ha agito per amore. "Era il suo tipico amore, egoista e distruttivo. Mi voleva bene. Non nel modo in cui amava Alice, per fortuna." 
Sia mai che le tocchi fare quello che ha consigliato di fare ad Alice.
Al ritorno di Kevin, lo psicodramma. Mentre stanno per andare via insieme Rufus punta loro contro il fucile, a caso, intimando a Kevin di non portargliela via. La paura per la propria vita spinge Dana a tornare finalmente a casa col marito.

Il ritorno dei due nel 1976 sembra un film di Antonioni sull'incomunicabilità (ma in realtà tutti i dialoghi di questo libro sono scambiati tra inutili pupazzi senz'anima): per Kevin sono passati 5 anni, anni in cui ha assistito ad orribili atrocità ai danni degli schiavi, ha lavorato per un po' come insegnante e poi è diventato una specie di fuorilegge per aver aiutato neri fuggitivi a raggiungere il Nord.
Pare che per nascondersi gli sia bastata una barba.
Si spiega perché gli Americani non capiscano mai che Clark Kent è Superman...
La rimpatriata tra i due si conclude con lui che si spaventa per un aereo e la tv e si chiude in un mutismo rancoroso, mentre Dana prepara di nuovo la valigia perché ormai affronta 'sti sbalzi temporali col piglio di un pendolare che deve prendere il regionale per Bologna.

Al suo ritorno dai Weylin trova Rufus sbronzo marcio riverso a faccia in giù in una pozza di pioggia e vomito. A questo punto chiunque con un minimo di orgoglio personale farebbe morire questo pazzo imbecille, se ne fregherebbe del proprio corredo genetico e gli spingerebbe la testa nel fango per porre fine alla sua vita inutile. 
Lei ovviamente no.
"Non mi aspettavo che mi importasse ancora di lui, se non in funzione di me stessa e della mia famiglia. Non volevo che me ne importasse."
Lo porta a casa e lo cura per settimane nonostante lui continui a ricordarle quanto la sua opinione qui non conti un cazzo e quanto a questo giro sia veramente sola visto che Kevin è tornato a casa, quindi deve abbassare la cresta se non vuole fare una brutta fine.
Lei ovviamente continua a curarlo con pazienza.
"Fissai fuori dalla finestra sentendomi in colpa, sentendo che avrei dovuto somigliare di più ad Alice. Lei non gli perdonava nulla, non dimenticava nulla, lo odiava tanto profondamente quanto amava Isaac. Non la biasimavo. Ma a cosa serviva odiare tanto? Non riusciva a trovare il coraggio per fuggire di nuovo, per ucciderlo e accettare anche la propria morte. Non riusciva a fare nulla se non sentirsi sempre più miserabile."
Qui è un po' colpa di quella che LEI ha convinto a farsi violentare, perché perde tempo a odiare ma non ha neanche il coraggio di ribellarsi e fuggire (comodo fare l'Aretha quando puoi tornare nel tuo tempo appena ti caghi addosso per la paura) mica come lei che non odia e sopporta ogni umiliazione perché se no Alice non può dare alla luce la sua bisnonna. Ma vai a fanculo, va'.
Tom Weylin ha un infarto e Dottor Dana non riesce a salvargli la vita, quindi Rufus, semper grato per tutto li lavoro fatto da lei fino a quel momento, si incazza e la manda a sperimentare il lavoro nei campi per qualche ora: qui la nostra protagonista, miss "odiare chi distrugge la tua vita è inutile" "prendi lo stupro sportivamente" e "pippippi, ci devi chiamare gente di colore" passa il tempo a lamentarsi per la fatica.
Si lamenta, eccezionalmente, anche con Rufus:

Dana: Mi hai fatta lavorare per MEZZA giornata nei campi, infame.
Rufus: Scusa, ero arrabbiato per la morte di mio padre.
Dana: Ah, ok.

Dana finisce a fare da badante gioiosa alla madre pazza di Rufus, salvo poi scatenarsi con la forza di diecimila MegaAretha quando Alice osa insinuare che il lavoro nei campi l'avrebbe resa più docile (cosa che è falsa dal momento che lei è docile e compiacente dal primo giorno) mentre Rufus cerca di prendere in mano le redini della piantagione e come prima mossa vende una pletora di schiavi tra cui una donna chiamata Tess, che è stata l'amante ufficiale di suo padre. Dana ha un altro momento di dignità etnica che dura 2 secondi.

Dana: Non dovevi vendere quegli schiavi.
Rufus: Ma aveva deciso di venderli già mio padre, nonostante egli sia sempre stato un uomo molto oculato la schiavitù non rende come si pensa e abbiamo dei debiti.
Dana: Ah, ok.
Rufus: Visto che sai leggere e scrivere potresti farmi da segretaria e darmi una mano con l'amministrazione della tenuta così evitiamo di venderne altri e di separare famiglie innoZienti.
Dana: Ma io odio fare la segretaria, i miei zii volevano farmi fare la segretaria e pure Kevin che era uno scrittore affermato ogni tanto mi chiedeva di scrivergli a macchina i manoscritti, come osi chiedermi questo? A questo punto rimandami nei campi!
Rufus: Vuoi tornare nei campi?
Dana: Ma no, si scherzava... 
 
Finalmente questa povera crista di Alice dà alla luce la tanto agognata Hagar e confida a Dana che appena sarà in salute ha tutta l'intenzione di provare a fuggire coi suoi bambini ma ovviamente Dana non può permetterlo perché se poi le ammazzano Hagar come fa lei a nascere poveri bimbi, potrebbe accader loro qualcosa di terribile, deve pensarci bene e studiare bene la fuga, è pericoloso, qui in fondo non gli manca nulla e lei potrebbe anche lisciare un po' il pelo a Rufus per far affrancare i suoi figli.
Poi è Alice che non ha il coraggio di scappare.
Si scatena un altro psicodramma da telenovela argentina (ormai si è perso il conto) quando uno schiavo di nome Sam cerca di scambiare qualche parola con Dana per chiederle di insegnare a leggere alle sue sorelle ma Rufus che crede che costui voglia portarle via la contabile decide di venderlo in fretta e furia. Dana cerca di farlo ragionare e Rufus le tira uno sberlone. Naturalmente, come tutte le volte, Dana è sorpresa che il ricco possidente bianco del 1800 la tratti come tratterebbe qualsiasi persona di colore, e a quel punto la donna che ha convinto Alice a farsi stuprare senza ribellarsi per anni ma non regge a mezza giornata di lavoro contadino non può più reggere oltre, prende il coltello che nascondeva nella sua borsa delle meraviglie (borsa che nessuno ha mai controllato ovviamente) e si taglia i polsi sperando che questo possa riportarla a casa.
Purtroppo funziona.

Kevin: Cosa ti ha fatto quel maledetto di Rufus, che ti sei tagliata i polsi?
Dana: Tranquillo, non mi ha stuprata. Se mi stuprasse lo ucciderei.
Kevin: Ah, ok

A questo giro ci vogliono 15 giorni perché Dana sia chiamata nuovamente a casa di Rufus (è il 4 luglio 1976, il bicentenario della stesura della Dichiarazione d'Indipendenza - che metafora sottile come un tronco di Baobab...), dove scopre che Alice si è tolta la vita.
In un breve recap ci viene raccontato che dopo la scomparsa di Dana Alice ha finalmente cercato di fuggire dal suo aguzzino ma viene catturata e riportata indietro: Rufus nella sua sempiterna gloria prima la frusta a sangue poi finge di aver venduto i suoi bambini per darle una lezione, quando in realtà li ha solo mandati a stare temporaneamente da sua zia a Baltimora. Quindi osserva quello che dovrebbe essere l'amore della sua vita (pensa se le stava sul cazzo) soffrire e spegnersi lentamente fino al compimento dell'insano gesto. 
Poi frigna.
Dana prende la cosa abbastanza sportivamente, come un'occasione per strappare a questo coglione la promessa di educare e affrancare i figli della morta (perché dovrebbe fidarsi quando si è già mostrato che la sua parola non conta un piffero e pure fosse un uomo d'onore quanto può contare una promessa fatta a una nera lo sa solo lei).
Magari tutti gli schiavi della piantagione.
E perché no, magari direttamente tutti quelli del Maryland...
Da questo momento in poi Rufus non la molla un secondo, trascorrendo quasi ogni momento della giornata insieme a lei, finché un giorno (sorpresa sorpresa) le confida che vuole che prenda il posto di Alice anche come amante. Non appena cerca di metterle le mani addosso Dana non regge all'orrore di dover perdonare anche questa violenza a Rufus e sbattendosene altamente della sua missione, dell'affrancatura degli schiavi di tutto il Maryland o del fatto che senza un padrone tutti quelli che sono diventati suoi amici saranno venduti qui e lì per il paese con intere famiglie separate per sempre, al grido di "tanto Hagar sarà ancora abbastanza giovane per godersi la libertà alla fine della Guerra Civile" prende il coltello e fa quello che andava fatto da quando ha cercato di affogarsi nel fiume da bambino.
Mentre Rufus sta morendo e il loro legame viene spezzato per sempre, Dana torna nel 1976 ma a questo giro trova un muro di cemento proprio nel punto in cui Rufus la sta trattenendo per il braccio, con ovvie conseguenze. Che potrebbero essere più ovvie se da prosa si capisse esattamente cosa cappero stia succedendo.
Comunque non ha più il braccio.
Dana a questo giro non se la può cavare con una telefonata alla cugina e un po' di bende e disinfettante quindi le tocca andare all'ospedale, dove tra lei e i solerti poliziotti incaricati di indagare sul caso avviene un dialogo quasi felliniano nel suo surrealismo:

Poliziotto: Salve, è stato suo marito a farle questo?
Dana: Mi sta chiedendo se mio marito ha letteralmente cementato il mio braccio all'interno di un muro?
Poliziotto: Sì.
Dana: ... No.
Poliziotto: Ah, ok.

Nell'epilogo finale i due arrivano fino al Maryland per darci un paio di spiegoni sul destino della piantagione Weylin dopo la morte di Rufus: dalle fonti dell'epoca si sa solo che la tenuta ha preso fuoco (Dana ipotizza che sia stato Nigel a coprire l'omicidio per evitare problemi) e che tutti gli schiavi sono stati venduti anche se tra i nomi non figurano Nigel, Carrie, e i figli di Alice Joe e Hagar.

Dana: Potrebbero essere stati liberati come aveva promesso Rufus, oppure sono fuggiti.
Kevin: Beh non è che il passato si possa cambiare, e ora che Rufus si è definitivamente levato di culo e non ti ha stuprata possiamo vivere la nostra vita serena di prima.
Dana: Ah, ok.

*

IMPRESSIONI SPARSE

Come già detto come premessa all'inizio di questa recensione, di fondo capisco che grande traguardo sia stato per una donna di colore come Octavia Butler farsi strada nel genere fantascientifico nella seconda metà del Novecento, ma spero che gli altri libri di fantascienza che ha scritto siano migliori di questo perché per quel che riguarda Legami di sangue non basta sbalzare una tipa avanti e indietro nel tempo per fare della fantascienza.
A malapena riesco a considerarla fantascienza visto che non c'è neppure il minimo cenno alla scienza, neanche a vaga fuffo-scienza: tutti accettano quello che sta accadendo a Dana, che sia il 1815 o il 1976, con una semplicità irritante, nessuno che esca di senno al pensiero di una persona che di punto in bianco scompare, nessuno che spiega niente sul legame tra Rufus e Dana (che non sia quello di sangue, ma a quel punto perché non è Alice a chiamarla e succede proprio allo scoccare dei 26 anni? Boh, chi se ne frega, guarda come fanno tenerezza i piccoli di colore che giocano a fare gli schiavi come mamma e papà, già plagiati dal potere bianco), e in linea generale trovo molto difficile credere che la donna coi jeans che cura le malattie con sapone e aspirina faccia tanta soggezione ai Weyling da permetterle di rispondere a tono ai padroni, fare pipponi sul fatto che quelle come lei vadano chiamate persone di colore e leggere ma non abbastanza da evitarle a più riprese lavoro di cucina, ceffoni, frustate e qualsiasi altra cosa le ricordi quale sia il suo posto.

Non è tanto semplice capire quale sia questo posto, però.
Dana non è certo una dei tanti oppressi che lavorano alla tenuta dei Weyling visto che fa mezzo giornata di fatica nei campi in tutto il libro e si lamenta più di quando la frustavano, poi la tengono in cucina come nera domestica, come dama di compagnia, come baby-sitter e lettrice, occasionalmente come mezzana (ma guai a pretendere da lei quello che ha imposto ad Alice per anni col potere della logica); se si fa male le danno quasi sempre i giorni di riposo o le fanno fare lavori leggeri, e spesso e volentieri si scusano per averle fatto del male. Pfff, ma va' a cagare.
Dana rappresenta l'autrice.
Difficile non cogliere la cosa dal momento che come una qualsiasi scrittrice di fanfiction alle prime armi la Butler ha inserito nel racconto la sua versione con un tocco di Mary Sue: Dana, proprio come l'autrice, viene da una famiglia povera e ha perso i genitori in giovane età. Gli zii, molto tradizionalisti, avrebbero voluto vederla impiegata come segretaria o insegnante ma lei ha mollato tutto per fare la scrittrice, preferendo piccoli lavori precari mentre si dava al grande romanzo afroamericano nei momenti liberi. 
Mentre la sua vita sentimentale è stata molto poco interessante, nel romanzo forse per dare ai lettori il contentino editoriale proprio nel corso di uno di questi squallidi lavoretti part-time Dana incontra Kevin, che ha appena dato alle stampe il suo primo romanzo e quella vita di lavoretti di merda sta per lasciarla.
I due si conoscono, si piacciono quasi subito in quanto hanno molte cose in comune essendo praticamente colleghi, e come coppia devono affrontare tutta una serie di problematiche sia esterne (le rispettive famiglie che, sorpresa sorpresa, non prendono bene una coppia mista. Tranne gli zii di Dana, che sono contenti solo alla prospettiva che i loro figli saranno più bianchi della protagonista - un aspetto interessante e molto presente in certa vecchia cultura afroamericana che sarebbe valsa la pena approfondire) che interne (il fatto che nessuno dei due voglia cedere sui libri da buttare quando e se andranno a convivere, che Kevin si incazzi come un animale perché lei non vuole copiare a macchina i suoi manoscritti e altre cosuzze). 
Ora, è chiaro che l'intento dell'autrice vorrebbe essere quello di mostrarci come la gerarchia e la prevaricazione sia ovunque, anche all'interno del rapporto di coppia e anche negli uomini più benintenzionati e innamorati come Kevin, ma questo non giustifica dialoghi freddi e sterili e questa continua interazione artificiale e monosillabica tra due fantocci.

Kevin è un pupazzo caratterialmente costruito con l'ano.
Prima è il fidanzato migliore del mondo, poi sbrocca se la fidanzata non vuole fargli da segretaria (con lei che alla prospettiva di essere lasciata fa spallucce); prima non crede che Dana abbia vissuto qualcosa di decisamente poco normale nonostante se la sia vista sparire letteralmente davanti agli occhi per poi tornare bagnata fradicia e sporca di fango, dopodiché non capisce perché sia spaventata (io mi cagherei letteralmente addosso ma evidentemente nel 1976 gli americani erano forgiati dalla presidenza Ford e la prendevano in modo più sbarazzino). Prima dice che non gli sembra che gli schiavi dei Weyling siano trattati così male (con Dana che ovviamente sbrocca e a 'sto giro le si potrebbe pure dare ragione se non fosse che la odio follemente), poi capisce che essere schiavi è brutto e diventa il paladino della Underground Railroad. Lo lasciamo traumatizzato, scontroso e depresso dalla sua esperienza nel passato e nella scena successiva cura Dana con amore.

Dana non è da meno.
Di nuovo capisco che l'intenzione dell'autrice (anche perché ce lo dice esplicitamente a più riprese) fosse farci capire com'è facile, anche quando certe libertà le si danno per assodate, tornare schiavi dal momento che siamo già tutti quotidianamente schiavi di una società composta da gerarchie e rapporti di potere
Di nuovo, la resa è ignobile.
Dana va molto oltre l'adattarsi alla sua vita da schiava domestica nella tenuta dei Weylin, ma minimizza, perdona e giustifica in continuazione dei veri e propri atteggiamenti abusanti nei suoi confronti specie da parte di questa macchietta bidimensionale che è Rufus. 
"Era spiacente. Era sempre spiacente. E  si sarebbe stupito, senza comprendere, se mi fossi rifiutata di perdonarlo. Mi venne improvvisamente in mente il modo in cui si rivolgeva a sua madre. Se non riusciva a ottenere quello che voleva con la gentilezza, smetteva di essere gentile. E perché no? Tanto lei lo perdonava sempre."
Invece Dana ha il pugno di ferro, s'è visto.
E se l'autrice (e la stessa Dana) vorrebbe convincerci che questo suo perdonare sistematicamente questo cretino altro non è che un meccanismo di difesa per sopravvivere in un ambiente ostile, meccanismo di difesa che la porta tra le altre cose a convincere una persona a sopportare di farsi stuprare con gioviale buonumore da chi chiamava amico e che per mera brama di possesso ha fatto menomare e mandato lontano l'uomo che amava quando lei no, lei non si potrebbe mai abbassare a tanto e se Rufus le mette le mani addosso lo ammazza, poi non ce la deve far indignare a caso contro Kevin che non capisce appieno l'orrore che subisce la sua gente, i piccoli schiavi che fanno giochi per imitare i genitori e chi usa la parola neⒷro. La Butler arriva al punto da fare la paladina dell'ubi major con l'utero altrui e poi appena Rufus osa metterle una mano addosso i buoni propositi del bene della sua gente e pippippi suka Lincoln, sarò io a liberare tutti gli schiavi del Sud volano dalla finestra.
Buoni tutti a fare i compromessi col culo degli altri.
La questione dello stupro si lega a uno dei temi cari alla letteratura della Butler, quello legato alla biodiversità: se il problema (la strada verso l'autodistruzione della specie umana) è la prevaricazione, e la prevaricazione nasce dalla diversità, la risposta è mescolarsi anche a costo di usare mezzi violenti come, in questo caso, lo stupro. 
Manco la commento questa cagata.
Il tutto è condito da uno stile dai dialoghi improbabili (specie tra Dana e Kevin, dove manca non solo l'intimità ma proprio il realismo. Altro che sembrare sposati, questi paiono a malapena conoscersi), scarno e cronachistico, che manca di qualsivoglia profondità caratteriale ed emozionale e mira solo a portare avanti il suo messaggio, importante quanto vuoi non lo metto in dubbio ma a quel punto scrivi un saggio. 
Forse lo stile vuole riflettere il fatto che Dana veda se stessa come nulla più che un'osservatrice esterna (certo, si è visto...) ma oggi come oggi risulta solo una didascalica incudine appesa allo scroto a meno di non essere già molto sensibili all'argomento. Ma a quel punto basta anche un libro di storia per commuoversi, senza stare a scomodare la fantascienza.

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IN CONCLUSIONE. . .

Legami di Sangue è stato un'agonia.
L'aspetto fantascientifico è mera facciata (giustamente visto che di solito il tema del viaggio nel tempo richiede molto ragionamento e 9 volte su 10 salta fuori una mezza cacata la Butler ha tagliato la testa al toro e non ha spiegato proprio niente), quello emotivo è superficiale e tutto votato alla tesi di fondo che per quanto lodevole sovrasta la trama che risulta campata per aria e a più riprese surreale, specie nei dialoghi.

La protagonista è un'ipocrita insopportabile che continua a giustificare un amore tossico e violento e ad appoggiare uno stupro sistematico solo perché da questa violenza nascerà la sua bisnonna (e si permette anche di trattare Alice come una persona che spreca tempo a odiare e poi non ha il coraggio di scappare, mica come lei che ha capito tutto sulla schiavitù in due mesi che sta comoda e calda in cucina. Ha più coraggio e integrità Alice nel suo dito mignolo che te e tutta la tua progenie di donne coi jeans, stronza). 
E' un pupazzo che si muove in mezzo ad altri pupazzi su uno sfondo di cartapesta che a volte s'indigna, a volte subisce, più spesso perdona chi la tratta come una pezza da piedi purché sia caucasico ma se a trattarla male è una nera come lei apriti cielo.

Tecnicamente ci sarebbe di che riflettere proprio in questo senso, a livello metanarrativo: un'autrice di colore come Octavia Butler che si fa strada in un genere dominato dai maschi bianchi etero con un libro che risulta essere proiezione della succubanza mentale prima che fisica nei confronti di un maschio bianco etero proprio perché anche la Butler, così come Dana, era immersa in quella stessa mentalità tossica che ha denunciato per tutta la sua carriera. Una cosa che rende la lettura interessante dal punto di vista storico, ma nel pratico queste 357 pagine che dovrebbero aprirmi un mondo sulla schiavitù femminile ma in cui si passa più tempo a giustificare l'amore malato dello schiavista bianco che a provare empatia verso la schiava stuprata mi son sembrate 7000 e quando l'ho finito sì che mi sono sentita libera.
Un Mao Mao ballerino finale, per avere qualcosa di bello
a consolare il mio cuore stanco.

Giudizio Finale:

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