Autore: Janne Teller
Genere: Ragazzi, filosofico.
Traduzione: M. V. D'Avino
Edizione: Feltrinelli, copertina flessibile
Pagine: 128
Anno: 2014
Niente è un libro abbastanza particolare nel panorama della letteratura per ragazzi e non stupisce abbia destato un certo scandalo in Europa, al punto che alcune librerie si sono rifiutate persino di renderlo disponibile alla vendita: considerato letteratura per giovini, è scritto con uno stile semplice e colloquiale e ha per protagonisti dei pre-adolescenti che però man mano che la lettura avanza si riveleranno essere un po' Turgeven e un po' Dexter Morgan.
Insomma, tutto fuorché ragazzini normali.
Nulla che non sia stato già affrontato ai tempi ne Il signore delle mosche, ma con un piglio postmoderno e nichilista che è la morte sua.
"Nichilisti? Mi venga un colpo. Allora è meglio la dottrina nazional-socialista, Drugo. Se non altro, ha alla base l'ethos."
DUE RIGHE DI TRAMA
"Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena far niente, lo vedo solo adesso"
E' quanto dichiara un giorno il tredicenne Pierre Anthon, che dopo aver proferito queste parole esce dalla classe nel totale disinteresse delle autorità scolastiche, dei professori, dei suoi genitori, sale su un albero di susino e decide di non schiodare da lì per mesi.
A che pro sbattersi per inseguire traguardi scolastici o professionali se nulla ha un senso, tutto porta a insoddisfazione e infelicità e il traguardo inevitabile è la morte? Meglio godersela tra le susine.
Io sarei stata anche d'accordo o perlomeno me ne sarei sbattuta i coglioni di Pierre Anthon e il libro sarebbe finito a pagina due, ma i suoi compagni di classe proprio non ci stanno a lasciar correre questa verità sconvolgente. Si incaponiscono quindi a dimostrare che Pierre Anthon sbaglia accumulando in una vecchia segheria in disuso oggetti che per loro abbiano un significato, per dimostrare al novello Barone Rampante che la vita non è priva di senso, che non è "una commedia basata sulla finzione in cui si tratta di vedere chi è il più bravo a far finta".
Inizialmente si tratta di raccogliere oggetti di poco conto.
Canne da pesca, palloni, un paio di scarpe che si è desiderato tanto.
Ma più si va avanti più questo mucchio di cose preziose sembra misero, qualcosa che non convincerebbe mai Pierre Anthon (e quasi verrebbe da rispondere graziarcazzo, ma manteniamoci propositivi). Quindi incalzati dal gruppo, forse spinti dalla vendetta di chi ha dovuto rinunciare per primo alle cose a cui tenevano di più, i bambini alzano l'asticella, con richieste sempre più estreme a cui nessuno può esimersi per andare ad arricchire il mucchio del significato. I propri capelli, l'adorato animaletto domestico, un certificato di adozione, la fede, il patriottismo, l'innocenza, la vita.
Si arriva persino a riesumare i cadaveri.
In tutto questo delirio, coinvolgere gli adulti è fuori questione.
"Se ci lamentiamo di Pierre Anthon sul susino, dovremo anche spiegare perché ci lamentiamo. Saremo costretti a raccontare quello che dice Pierre Anthon. E questo è impossibile, perché gli adulti non vorranno sentire che sappiamo che niente ha davvero un senso e tutti fanno solo finta." Non fa una piega, frate'...
La situazione se possibile riesce a degenerare ancora di più quando la notizia arriva ai media e il significato diventa un tutt'uno con la fama (per definizione effimera). I ragazzi arriveranno a vendere quella che ormai è considerata un'opera d'arte, rendendo vani tutti i sacrifici fatti fino a quel momento. Perché se lo scopo di ammonticchiare tutta quella roba era trovare un senso alla vita, il senso lo si è perso nel momento in cui si è deciso di piazzarlo sotto ai riflettori, darlo in pasto ai media e svenderlo.
Dramatization |
Pierre Anthon finalmente viene menato a sangue. Poi come unica conclusione logica al delirio generale viene dato fuoco alla segheria, a Pierre Anthon e al mucchio di ciarpame, e gli sveglioni ci perdono pure i soldi.
"Era stato lui a toglierci la catasta del significato, come ci aveva già portato via il senso delle cose. Era colpa sua, tutto quanto.
Per colpa sua avevamo perso la voglia di vivere e la speranza nel futuro, e tutte le nostre sicurezze. Di una cosa eravamo sicuri, che era tutta colpa di Pierre Anthon, e che dovevamo fargliela pagare."
Non fa una piega 2...
*
IMPRESSIONI SPARSE
Niente ha senso, nella vita e in questo libro.
Il messaggio di fondo, che è banalotto ma non è nemmeno così peregrino, è che la percezione dell'assenza di scopo e di valori tipico della contemporaneità invece di portare alla pace dei sensi come nel caso di Pierre Anthon conduca persino chi è tradizionalmente considerato più innocente (ovvero i ragazzi) a un climax crescente di paura, rabbia, follia e cieca violenza.
Il punto che si manca per amor di drama è che anche se Pierre Anthon ha ragione da vendere e nulla nella vita ha un significato valido per tutti, cosa che porta effettivamente a una generazione di individui soli e incapaci di aggregarsi in vera socializzazione, si resta comunque individui pieni di interessi, passioni, desiderosi di amare, essere amati e in generale di dare un senso per quanto piccolo alla nostra vita e dipanare il caos dell'esistenza. Pierre Anthon insomma per quel che mi riguarda si poteva mandare tranquillamente a fanculo a pagina due. O perlomeno quei ragazzini potevano prendere un'accetta dal garage di qualcuno e buttare giù l'albero di susino visto che in seguito riescono persino a organizzare una riesumazione di gruppo.
Ma pure volessimo dare per buona e appoggiare la tesi nichilista-pessimista della Teller per buona volontà, il libro è talmente subordinato al messaggio degli adolescenti persi in un mondo privo di senso con cui l'autrice vuole martellarci incessantemente i coglioni che ne peccano inevitabilmente la trama e la costruzione dei personaggi.
I protagonisti dovrebbero avere 13 anni ma nel corso della lettura questo non si capisce se non dal fatto che bontà loro si premurano di dirci che frequentano la classe 7A.
La voce narrante interna, affidata a uno dei compagni di classe di Pierre Anthon, Agnes, risulta sotto ogni punto di vista troppo infantile per appartenere a un'adolescente e in generale tutti i personaggi del libro si comportano in maniera incoerente nel modo in cui parlano e interagiscono tra loro: tutti, nessuno escluso, sono alternativamente bambini dell'asilo e filosofi di mezza età, a convenienza di trama laddove non proprio figure di cartapesta sullo sfondo, come tutti gli adulti di questo insopportabile raccontino edgy.
Con la scusa di essere una fiaba e di voler portare avanti principalmente il suo messaggio nichilista sconvolgente (cosa ci sia poi di così sconvolgente a parte la bruttezza del libro lo sa solo chi si è sconvolto del fatto che gli adolescenti possano essere stronzi come la merda e che i genitori sono entità assenti che falliscono nel loro ruolo educativo) poi la Teller ci scatena contro un bombardamento impietoso di cliché e bidimensionalità: dal chiesarolo pavido e ipocrita al ragazzino musulmano che ha come valore principale la sua identità religiosa e viene sistematicamente pestato a sangue dal padre al punto da avere un letto prenotato all'ospedale del paesello; dall'alternativa che si stravolge solo perché le tagliano gli immancabili capelli di colore paXXerello alla ragazzina che perde in maniera non proprio consensuale la verginità prima degli altri e sembra irradiare chissà che luce di maturità rispetto ai coetanei sentendosi stocazzo.
La trama poi riesce ad essere ripetitiva alla nausea nonostante il libro rasenti le 130 pagine, e l'autrice a un certo punto sembra che alzi (con un certo gusto morboso) l'asticella della follia di questi ragazzi non tanto per mostrarci come agisca l'influenza di un gruppo spinto dalla mancanza di valori, di regole e di solidità, ma solo per tenere sveglio il lettore con le cose più trasgry che le venivano in mente. Ma guardi una stagione di Criminal Minds e questo livello di trasgry lo hai abbondantemente superato, con buona pace del caso editoriale scandaloso.
*
IN CONCLUSIONE. . .
Niente è senz'altro un libro particolare come lo dipingono nel panorama della letteratura per ragazzi, un libro che può anche far discutere se si è boomer con lo spirito sensibile di Helen Lovejoy, ma è una particolarità che per quel che mi riguarda è sterile, costruita a tavolino per far parlare di sé e sconvolgere quando il messaggio di fondo non è nemmeno così originale se non per una questione di target di riferimento.
Il piglio della narrazione è inutilmente morboso nei punti più trasgry e il drama talmente eccessivo che fa il giro e diventa una comica, il messaggio talmente martellante per assicurarci che lo capisca anche il meno sveglio della cucciolata da sovrastare la godibilità della storia; i personaggi sono incoerenti, poco realistici e non possono nemmeno essere annoverati come archetipi favolistici. Sono solo costruiti di merda.
Il libro vuole essere sia favolistico che filosofico che brutalmente realistico nel suo indulgere sugli effetti della violenza, il tutto mischiato artificialmente giusto per creare il mix più sconvolgente. Un gabbiano Jonathan Livingstone mischiato a Die Hard in cui se alla fine non ti senti turbato e sconvolto magari sei pure un po' cretino, o al più insensibile, ed è meglio che ci si vada a guardare al massimo i cinepanettoni.
Aridatece la buonanima di William Golding.
Nessun commento:
Posta un commento
La tua opinione è importante anche se non sei d'accordo con quello che ho scritto e mi fa sempre piacere scambiare due parole con chi si prende la briga di leggere quello che scrivo.