venerdì 25 febbraio 2022

[Recensione] LA VEGETARIANA, di Han Kang

Titolo originale:
 Chaesikjuuija
Autore: Han Kang
Traduzione: M.Z. Ciccimarra
Edizione: Adelphi, copertina flessibile
Pagine: 176
Anno: 2016
Euro: 18,00 |

Premesse:
Ogni volta che mi metto a leggere qualcosa di orientale (che sia cinese, giapponese o come in questo caso coreano), l'impressione è quella di avere davanti l'ennesimo libro di Banana Yoshimoto.
Libri, e non fa eccezione La vegetariana della figlia (e sorella) d'arte Han Kang, che vivono di piccole e poetiche sensazioni quotidiane più che di una trama e si costruiscono attorno a personaggi evanescenti che si muovono sullo sfondo della solitudine e dell'incomunicabilità umana.
A la Antonioni, insomma.
Libri che non vogliono andare da nessuna parte e soprattutto non si prendono mai la briga di spiegare nulla di quello che mettono sul piatto. Ci si ritrova davanti tante belle immaginette aesthetic una dietro l'altra e il bandolo della matassa te lo devi trovare te, povero stronzo, perché è colpa tua se non ci arrivi a tutti i significati nascosti e i simbolismi, il libro è profondo. Qui i casi sono due, o è una precisa linea politica editoriale nostrana portare in Italia solo libri di un certo tipo o tutto l'Oriente scrive così e devo approcciarmi a uno dei loro autori solo quando ho una voglia adolescenziale di Banana Yoshimoto.

*

La trama di questo libro si può riassumere, come al solito, in poche righe: un uomo ordinario e senza particolari ambizioni, il signor Cheong, sposa una donna insignificante, Yeong-hye, che ci viene descritta come:
"Nè alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po' sporgenti: quella sua aria timida e giallognola mi disse tutto quello che mi occorreva sapere di lei. Mentre si avvicinava al tavolo dove la aspettavo, non potei fare a meno di notare le sue scarpe: un paio di scarpe nere, le più banali che si possano immaginare. E quel suo modo di camminare, né veloce né lento, a passi né grandi né piccoli.
Tuttavia, pur non avendo attrattive speciali, non presentava nemmeno particolari difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci. La personalità passiva di quella donna in cui non intravedevo né freschezza né fascino, e nemmeno una singolare raffinatezza, faceva perfettamente al caso mio."
Il signor Cheong è un uomo pragmatico, materialista, votato a una gretta carnalità e senza particolari ambizioni (nel lavoro e nella vita), che trasferisce la sua mediocrità non solo alla scelta della sposa ma anche alla narrazione. Suo è il compito di descriverci "l'idilliaca" vita matrimoniale dei Cheong, e dal suo punto di vista tutto appare noioso e ripetitivo, ma anche solido nella sua immutabilità. I due non comunicano né trascorrono del tempo insieme, se non per condividere il pasto. Lui è un impiegato di basso livello con orari che lo tengono fuori casa fino a notte fonda, lei contribuisce alle spese familiari lavorando come assistente in una scuola di computer grafica. Yeong-hye, sappiamo, legge molto: apparentemente tomi difficili ma al marito non interessa molto la lettura né ciò che tiene sua moglie chiusa per ore nella sua stanza, se all'ora di cena si ricorda di preparargli da mangiare.
Non sapremo mai cosa le occupa le giornate o a cosa pensi quando è sola. Di lei conosciamo solo un'unica strana peculiarità, che non indossa praticamente mai il reggiseno, e anche quando il marito la obbliga a indossarlo finisce con lo sganciarlo dopo pochi passi fuori dalla porta.

E' un momento della vita dei coniugi Cheong in cui le cose a livello professionale cominciano a ingranare e quindi si incomincia a parlare di fare un figlio, non per amore (sia mai!) ma per obbligo sociale: di nuovo non sappiamo cosa ne pensa a riguardo Yeong-hye, che non si nega mai agli approcci del marito ma non ne è nemmeno entusiasta (non che il signor Cheong si ponga il problema, beninteso). Sappiamo solo che un giorno, di punto in bianco, Yeong-hye decide di diventare vegetariana.
Dopo un sogno violento e spaventoso, la donna si decide a non "prendere più parte alla distruzione della vita" e di gettare tutta la carne, le uova e il latte che ha in casa. Arriverà anche a rifiutare il contatto fisico col marito perché persino l'odore della carne viva la disgusta, o questi sarebbero i suoi desideri se lui la lasciasse fare.
Dopo aver tollerato per mesi il nuovo regime alimentare, più per pigrizia che per rispetto nei confronti della sua scelta, il signor Cheong decide di mettere al corrente la famiglia di lei per far fronte comune e convincerla con le buone o con le cattive a metter giudizio, perché lui di mangiare riso in bianco e patate lesse si è rotto il cazzo. 
Mica di vedere la moglie triste e deperita, no no.
A una cena di famiglia il padre, veterano di guerra del Vietnam, opta per le cattive prendendola a ceffoni e forzandola a ingoiare di prepotenza della carne quando lei si rifiuta ostinatamente di obbedire alle grida e alle minacce. La reazione di Yeong-hye è talmente violenta da stupire persino l'apatico signor Cheong: Yeong-hye prende un coltello da frutta e si taglia il polso.

*

La seconda parte del romanzo vede come protagonista il cognato di Yeong-hye, di cui non sappiamo il nome e che il signor Cheong ci aveva descritto come un fannullone e un fallito: è un artista, veniamo a sapere lavora con gli audiovisivi, vi si dedica con passione e grande dispiego di tempo ed energie, dal momento che la moglie non solo garantisce ingenti entrate economiche grazie alla sua attività commerciale di successo ma si occupa a tempo pieno anche della casa e del figlio Ji-woo, senza mai un lamento.
Eppure, nemmeno il loro matrimonio è sereno:
"Sin dall'inizio c'era stato qualcosa in lei che gli aveva lasciato un vago senso di insoddisfazione. La sua faccia, la sua figura e la sua indole premurosa contribuivano tutte a formare il ritratto perfetto della donna che aveva a lungo cercato: tuttavia aveva l'impressione che le mancasse qualcosa, ma non riuscendo a identificare che cosa di preciso, alla fine aveva deciso di sposarla comunque. Di fatto, solo quando era stato presentato a sua sorella aveva capito di cosa si trattasse.
Tutto in lei gli era piaciuto: gli occhi con la palpebra singola, il suo modo di parlare che non aveva l'inflessione lievemente nasale della moglie ed era così schietto da risultare quasi rude, i suoi vestiti scialbi, gli zigomi sporgenti che le davano un aspetto androgino. A paragone di sua moglie la si sarebbe potuta definire brutta ma per lui irradiava energia, come n albero cresciuto ne deserto, spoglio e solitario."
Tutte queste infinite pugnette servono a farci capire che è arrapato e se la vuole fare con la scusa di un filmino artistico dei suoi, nonostante chiaramente questa poveretta non sia in sé e non irradi né passione né desiderio né voglia di vivere, e nonostante la situazione sia andata molto oltre una semplice scelta alimentare e sia tutto fuorché migliorata dal giorno di quella tragica cena di famiglia, a seguito della quale il signor Cheong ha deciso di lasciarla, bollandola come caso irrecuperabile.
La moglie però scopre il filmino ed esaurisce la premura.
Qualcuno ha detto "fiori dipinti sulle tette"?
Questa seconda parte (la meno tollerabile del romanzo per quel che mi riguarda, credo volutamente) ci mostra il punto di vista disgustoso e ipocrita di un uomo che si atteggia ad artista di concetto, fa i video da fighettino con dei corpi nudi pieni di fiori dipinti (fiori che lasciano su Yeong-hye una profonda impressione che inizialmente non comprendiamo) che alla fine solo solo dei porno che ci hanno creduto abbastanza, e che parla di tutta una serie di cazzate finto-intellettuali per darsi un tono quando in realtà vuole solo scoparsi la cognata (che probabilmente le sembra più fragile e compiacente della moglie che ha una carriera solida, a differenza sua). Strigni strigni questo idiota è patetico, frustrato e in preda a bassi istinti, pigrizia e a calcoli di convenienza esattamente come il signor Cheong, che almeno a differenza sua è pienamente (e coerentemente) soddisfatto della vita abitudinaria e noiosa che si era costruito. Perché la moglie che porta i soldi a casa e si occupa di tutto permettendoti di fare l'artistoide a tempo pieno fa comodo solo finché non subentra la routine, a quel punto sei giustificato a trarre un tornaconto personale dal desiderio di liberazione di tua cognata.
Povera stellina senza cielo.

*

E' In-hye la protagonista della terza parte del romanzo, l'unica voce femminile del romanzo (visto che quella della persona attorno a cui ruota tutta la vicenda continua a venir silenziata senza pietà), la persona che finora più si è tenuta in disparte e paradossalmente (ma non troppo) quella che più di tutti forse può arrivare a comprendere il motivo che ha portato la sorella minore a spegnersi giorno dopo giorno, in preda a un lento e inesorabile male di vivere.
Ritroviamo la nostra Yeong-hye ricoverata in ospedale psichiatrico, ridotta al fantasma di se stessa: rifiuta il cibo perché vuole vivere di luce e terra come i fiori che il cognato le aveva dipinto sul corpo; non parla più perché nessuno ha interessa a capire ciò che ha da dire ma solo di attaccare e giudicare. In famiglia è scoppiato uno scandalo, i genitori e il marito hanno abbandonato Yeong-hye per la vergogna, e a restarle accanto è rimasta solo lei:
"Qualcuno doveva pur pagare le fatture dell'ospedale. Qualcuno doveva farsi carico di lei.
E In-hye tirava avanti, come aveva sempre fatto. Malgrado lo scandalo che le gravava addosso si era rifiutata fermamente di sparire, facendo in modo che il negozio rimanesse aperto. Il tempo era un'onda, quasi crudele nella sua inesorabilità, mentre trascinava la sua vita con sé, una vita che In-hye riusciva a tenere assieme solo a prezzo di sforzi incessanti."
Ma non è il dovere né l'amore a tenere In-hye accanto a sua sorella fino all'ultimo, quanto piuttosto il senso di colpa, o forse l'invidia nei confronti di Yeong-hye che sola ha avuto il coraggio di liberarsi del dolore, delle costrizioni sociali e della vita con
 meravigliosa irresponsabilità.
"Nessuno mi capisce... I medici, gli infermieri, sono tutti uguali... Non ci provano nemmeno a capire... Mi costringono solo a prendere medicine, e mi infilzano con gli aghi."
"Se faccio così, è perché ho paura che tu muoia!"
Yeong-hye si era voltata, fissandola con uno sguardo inespressivo, come se non fosse sua sorella ma una perfetta estranea. Dopo un po' era arrivata la domanda.
"Perché, è così terribile morire?"
Attraverso Yeong-hye, In-hye deve convenire che no, non sarebbe così terribile, non quanto andare avanti giorno dopo giorno col peso delle responsabilità e delle consuetudini sociali. Ripensa alla sua vita, un abisso di prevaricazione sul prossimo, indifferenza, solitudine, abitudine e banalità; ripensa alla sua infanzia, quando per difendersi dagli abusi del padre violento e alcolizzato ha indossato la maschera della figlia maggiore coscienziosa sacrificando la sorella minore, più docile e ingenua, che ha assorbito per anni tutto il dolore fino a raggiungere il punto di saturazione e ad annullarsi e mortificare il proprio corpo nel tentativo di liberare se stessa. 
Si vive, conclude In-hye, solo per dei brevi e rari momenti di gioia.

*

La vegetariana sta alla letteratura come un post di Fusaro sta alla filosofia. E' banalotto nei contenuti (perché col male di vivere è da inizio secolo scorso che ci martellano le gonadi: la vita fa schifo, messaggio ricevuto), indulge in parti apparentemente belle ma che a un ragionamento ulteriore lascia perplessi, ma è scritto in maniera abbastanza furba da risultare profondo e poetico.
Nello specifico, a un certo punto passa il messaggio che Yeong-hye rifiuti di mangiare carne e mortifichi il proprio corpo scegliendo di nutrirsi di sole e terra non perché voglia morire ma perché, come le piant
e, a un certo punto si rifiuta di sopravvivere a spese della vita altrui.
Tutto bellissimo se non fosse che la pianta non avrà bisogno di uccidere fisicamente qualcosa di vivo per nutrirsi ma non è che si nutra solo di sole e acqua cristallina come vuole far passare il libro, da qualche parte per dare nutrimento alla terra un cadavere deve essersi decomposto. Se basta non concorrere direttamente all'uccisione di quello che ti fornisce nutrimento poteva continuare tranquillamente a cucinare la carne comprata dal macellaio ed evitare tutta questa pugnetta.
Tutto è fumoso al punto da risultare irritante.
La Han è talmente impegnata a portare avanti il suo pistolotto filosofico sul male di vivere e i sogni di sangue da non prendersi la briga di scavare nemmeno per sbaglio nell'intimità psicologica o nelle ragioni pratiche del crollo emotivo della sua protagonista preferendo limitarsi a immagini, visioni, sogni di una mente spezzata e in chiusa vaghe ipotesi. Il che non è un male in sé, anzi è interessante vedere il modo in cui nessuno degli altri personaggi che rappresentano la nostra finestra sulla storia di Yeong-hye arrivi non solo a comprenderla ma nemmeno a rispettarla come essere umano, sempre dal momento che è la vita stessa ad essere prevaricazione e violenza. Al più sarà usata come agnello sacrificale per la pace della vita familiare come farà sua sorella, o sarà soppesata in base alla sua utilità come compagna di vita, come fa suo marito, o verrà sfruttata la sua debolezza e la sua voglia di liberazione per soddisfare i desideri carnali altrui, come fa suo cognato. Il problema che mi ha reso un po' indigesta la lettura per quel che mi riguarda è che, come ho già detto nelle premesse, devo ancora trovare un romanzo orientale pubblicato in Italia che non si abbandoni per tutto il tempo alle fusarate intimiste messe in scena da personaggi di Antonioni con gli occhi a mandorla, con buona pace della trama.
Per inciso, Antonioni ci riusciva meglio.

Giudizio finale:

2 commenti:

  1. Le tue recensioni mi fanno sempre piangere dal ridere. Anch'io ho la stessa impressione, riguardo alla letteratura orientale, e la parola "aesthetic" la descrive benissimo. È per questo che non mi avvicinerò a Murakami nemmanco se mi sparassero a bruciapelo. Una curiosità: hai letto "Non lasciarmi" di Ishiguro?

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    1. Son contenta due volte, per il tuo commento qui e per il fatto che la recensione ti faccia ridere quando, siamo onesti, il materiale permette poca ironia, di base! 😂
      Mi tocca passare per la solita bestia.
      Comunque, per rispondere alla tua domanda no, "Non lasciarmi" è in lista ma non l'ho ancora letto perché... Non c'è un motivo, non mi chiama e con la letteratura orientale in generale sono molto guardinga e la centellino, come i passerotti che cercano briciole sul balcone, proprio per la natura del materiale che arriva in Italia (ho in testa la parola aesthetic fin dalla copertina di questo libro, che manco c'entra un piffero con la storia. Io boh, più leggo questa roba più capisco perché Cannarsi passi per uno che adatta in italiano aulico. Il niente infiocchettato di paroloni, o in questo caso di poesia. Il principio è lo stesso.). Murakami ci ho provato io pure un paio di volte ma niente, però mi scoccia mollare perché almeno alla fine di un libro per capire perché fa venire a me voglia di praticare seppuku ci vorrei arrivare. 👀

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