venerdì 6 maggio 2022

[Recensione] LA BELLEZZA di Alcide Paolini

Autore: 
Alcide Paolini 
Edizione: Mondadori, copertina rigida
Pagine: 195
Anno: 1979

Fuori catalogo

Nel 2019 la tv commerciale ci fa dono di Adrian - la serie evento ideata e scritta da Adriano Celentano, che ha coinvolto nomi del calibro di Cerami (sceneggiatura), Piovani (musiche) e un pentitissimo Manara al character design. E se quello che n'altro po' disegna le tette anche al Coronavirus ha degli scrupoli di coscienza a far associare il proprio nome a qualcosa due domande bisogna farsele.
Di cosa parla Adrian?
Di un'Italia distopica in cui uno stato corrotto e colluso con la malavita controlla la quotidianità delle persone limitandone la libertà in nome di un non meglio precisato benessere e in cui si muove Adrian, un orologiaio ex campione di arti marziali che insieme alla compagna Gilda si adopererà per cambiare le cose e riscoprire la vera bellezza: quella umile, semplice e onesta dei bei tempi andati, quando c'erano le mezze stagioni ed era tutta campagna. 

In Adrian tutto è a misura di Boomer.
Tutto quello che è moderno e tecnologico è il diavolo. 
I grandi palazzi sono il male, la pubblicità è il male, l'arte e la musica moderna sono il male, i giovani con lo smartphone, le creste da punk e le squinzie che si ubriacano e vanno a ballare sono il male. Anche la mafia e il razzismo sembrano essere il male, ma sarebbe più chiaro se Celentano non volesse far passare il messaggio attraverso dei tristissimi cliché. Tutto quello che piace alla generazione di Celentano invece è bello e buono: le casette in mezzo al verde, il sesso (consensuale, bontà sua), la fede, il Duomo di Milano e le mele bio.

Di cosa parla La bellezza di Paolini?
Di un'Italia distopica in cui uno stato corrotto e colluso con la malavita controlla la quotidianità ma soprattutto la moralità della gente in cui si muove Giulia, una non meglio precisata ex modella che fa non si è capito cosa a parte lagnarsi e fare sesso con qualsiasi cosa gli capiti a tiro. L'impressione è che Paolini si sia preso il disturbo di dare al suo romanzo una protagonista femminile solo per titillare l'animo del lettore boomer e misogino quanto lui, lettore a cui poco o nulla frega del background distopico che fa da sfondo a questa pila fumante e maleodorante di accadimenti, di cui infatti non abbiamo che poche informazioni confuse e poco interessanti.
Peccato, perché il punto di partenza non sarebbe stato nemmeno malvagio.

Siamo in Italia.
Abbiamo un governo distopico di matrice politica non chiara, forse democristiana visto l'assillo nei confronti della morale e della pubblica decenza anche se Paolini, membro dell'intellighenzia culturale dell'epoca, col consueto italico coraggio è attento a non tirare mai in ballo un preciso orientamento politico o la religione.
Sia mai inimicarsi qualcuno che conta.
Ipotizziamo sia una dittatura portata avanti dai separatisti laici.
Tutto ciò che è arte dissidente e bellezza è il male: il teatro sperimentale, la pittura sensuale, il nudo, l'abbandono, la libertà. Tutto ciò che non è affiliato alle idee del regime, chi è fuori dal giro di conoscenze giuste, viene lasciato fuori dal paradiso e le alternative sono piegarsi al sistema o morire di fame. A dover temere per la propria incolumità sono soprattutto le belle donne (e non i begli uomini, come fa notare giustamente a un certo punto la protagonista, ma la riflessione ovviamente muore lì, non possiamo pretendere troppo da lei), dal momento che per le strade scorrazzano impunemente gruppi di facinorosi violenti che si fanno chiamare giustizieri, il cui compito è vigilare sulla moralità e punire chi non si adegua, ma soprattutto sfregiare con l'acido le donne troppo belle che si ritrovino incautamente a incrociare il loro cammino. Le sventurate figone sono costrette a ricorrere a sotterfugi come trucco e parrucche imbruttenti (qualsiasi cosa significhi) o nei casi peggiori a una sorta di chirurgia estetica al contrario.
Sapremo qualcosa di più su di loro?
No.
Li vedremo mai agire?
No, se non per sentito dire vaghi.
Servono a qualcosa che non sia dare un motivo di preoccupazione oggettivo per la propria incolumità a Giulia e quindi far sembrare l'inutile, avvenente, sensuale, lagnosa protagonista più meritevole di simpatia e protezione da parte del boomer bianco etero che con queste immagini va in brodo di giuggiole?
Di nuovo, no.
La tentazione di mettere un'immagine di Raoul
di Hokuto no Ken era forte come dramatization del
Raul di Paolini, ma il personaggio che più si avvicina
a questo disturbato dal volto androgino è Grifis. 
 

A combattere per la libertà, la bellezza e la giustizia non abbiamo un umile orologiaio di Hokuto con la sua fregnetta che semina dei motociclisti in sella a una Graziella, ma un gruppo di ribelli chiamato Organizzazione (ci si sono proprio scervellati coi nomi, si vede che nel mondo distopico creato da Paolini anche l'originalità è contraria alla morale), cui appartiene un vicino di casa di nome Raul, di professione attore insieme alla compagna Eleonora, che precetterà la nostra protagonista nella loro lotta per un breve periodo.
Sapremo qualcosa di più su di loro?
No.
Li vedremo mai agire?
No, se non per sentito dire vaghi.
Servono a qualcosa che non sia dare qualche fugace pensiero di scrupolo morale a Giulia e quindi far sembrare l'inutile, avvenente, sensuale, lagnosa protagonista più meritevole di simpatia e protezione da parte del boomer bianco etero che con queste immagini va in brodo di giuggiole?
Di nuovo, no.
Anzi, strigni strigni questa Organizzazione riesce ad essere più dannosa e disorganizzata del governo dittatoriale (che pure non scherza quanto a inutilità e disorganizzazione): va avanti a piani alla Will E. Coyote e attentati terroristici fatti a caso, manca totalmente di senso, di comunicazione e controllo sui membri (tra l'altro ne conosciamo giusto un paio, e di tutti e due sappiamo giusto che si vogliono fare Giulia, sorpresa sorpresa). Non a caso il posto in cui Giulia si sentirà più al sicuro alla fine di tutto questo gran casino (tradita proprio da Raul, poi vedremo perché), libera di essere se stessa, sarà la galera.
Alla fine il messaggio che arriva è che la dittatura sia meglio, insomma.

*

Se il background è un disastro confuso dalla morale discutibile, i personaggi sono peggio, poco più di marionette imbarazzanti in cui le donne brutte sono arpie feroci, le donne belle sono passive, vacue e vivono idealizzando l'amore tossico, mentre gli uomini sono squallidi animali egoisti che pensano ai soldi e a chiavare, anche senza il consenso dell'altra.
Se non altro si compenetrano come i pezzi di un puzzle.

Partiamo dalla protagonista, Giulia.
Giulia è una splendida donna (e consapevole di esserlo, almeno non è ipocrita), una ex modella che ora è costretta a restare chiusa in casa quasi tutto il tempo e accontentarsi di lavoretti sottopagati a cottimo, visto che come abbiamo già visto le belle donne non se la passano bene in questa distopia. Vai a capire perché.
Nello specifico però Giulia è una bella donna vista attraverso gli occhi di un boomer quindi oltre che essere bella è sensuale, passiva e sottona, il cui ciclo di riscatto passa attraverso la mistica della femminilità. Come sua nonna Mary infatti a fine romanzo Giulia si scoprirà dotata di non meglio specificate abilità magiche e profetiche, espresse in forma di cantilene e frasi sconnesse, che la renderanno una specie di celebrità all'interno dell'ambiente carcerario (tra detenuti, secondini e persino ospiti esterni). Giulia, insomma, è un'eroina alla Manara, mero materiale da masturbazione.

In una distopia in cui quelle come lei da privilegiate diventano l'ultima ruota del carro la massima delle sue preoccupazioni nel corso della storia diventa la sua relazione col marito Marcellopittore di poco conto che dipinge nudi per certi danarosi maiali del circondario (nudi che vedono la stessa Giulia come modella) e che, dirà più volte, non ha intenzione di vendere la propria integrità artistica per il denaro come altri.
Ma questo, come da copione, solo finché il successo non arriva.
Se Giulia è il prototipo della sottona sexy, Marcello è il cliché dell'artistoide egocentrico che si sente stocazzo aggratis ma in realtà è nulla più di un uomo bambino incapace di cavarsela senza l'aiuto di una femmina-badante: sembrerebbero le basi per l'idillio perfetto destinato a durare per la vita se non fosse che nell'orbita di Marcello gravita una tipa ancora più sottona di lei, vale a dire Anna, la moglie di un amico di vecchia data di Marcello, Antonio. Anna è passiva e compiacente esattamente come Giulia, no ha pensieri profondi come pozzanghere esattamente al pari di Giulia (ma almeno quelli di Anna Paolini ce li risparmia, bontà sua), in più guarda sempre Marcello con l'adorazione di una groupie e arriverà a farsi anche la famosa chirurgia estetica per non essere troppo fregna.
Giulia a un certo punto si rende conto che Anna e Marcello trombano, cosa che il lettore normodotato nota letteralmente a pagina due. La prende molto bene e approfitta della cosa per iniziare un percorso di consapevolezza di sé, crescita e maturazione:
Non so se odio più lui o me stessa, comunque devo sfogarmi, così non posso restare, mi sembra di soffocare, non può trattarmi in questo modo, non è giusto, devo procurarmi una mia indipendenza, un lavoro, dovessi farmi fare la plastica, dovessi prostituirmi, mi basta poco, una casa ce l'ho, un lavoro posso trovarlo, potrei fare la commessa, la domestica, non è giusto che continui a subire passivamente, come aveva ragione nonna Mary...
Marcello è tornato, si è applicato un cerotto sul dorso della mano, non guarda dalla mia parte, cerca i suoi vestiti, si veste, torna in bagno, sento che si pettina, si sistema, cosa vuol fare, non capisco, vuole uscire, vuole andarsene, che non si azzardi, se lo fa non gliela perdono, lo giuro su...
Poi, letteralmente due righe dopo:
"Marcello! Ti prego non andare! Marcello ascoltami... Aspetta! Un momento solo! Ti scongiuro Marcello!"
Mi sono alzata, l'ho raggiunto, mi sono attaccata a lui, ho cercato di trattenerlo, mi sono aggrappata alle sue gambe, non so cosa mi ha preso, ho paura, sono spaventata, non voglio che se ne vada, non ora, lo amo, ho bisogno di lui, sono disposta a tutto, anche a lasciarmi maltrattare, anche a lasciarlo andare con Anna, ma non deve andarsene adesso, prima parliamo, guardami, dimmi qualcosa...
"Marcello, ti supplico, per favore, Marcello aspetta, io ti amo, perdonami per quello che ti ho detto, per quello che ti ho fatto, Marcello... Parliamo..."
Ma vai a cagare, te, Paolini e i funghi porcini.
Questo libro non è un romanzo,
è un meme.
Nonostante il fatto che Marcello sia un uomo squallido, un manipolatore, un ipocrita che fa finta di essere alternativo solo finché non ottiene il tanto agognato successo, un patetico, una merda fatta e finita ("ma tanto si sa che alle donne piace quello che le tratta male!") grazie all'impegno dell'instancabile autore Giulia riesce comunque a essere peggio di lui e non perché è il cliché della fatalona fragile invischiata in una vita sentimentale squallida con un coglione, no no. 
Giulia il meglio lo riserva quando l'autore vuole farla apparire forte, integra, una testa pensante al di là di un faccino irresistibile e coraggiosa:

1) E' convinta che subire uno stupro in fondo non sarebbe una cosa così terribile visto che a lei piace pure quando il marito a letto fa un po' l'alfa, a patto che lo stupratore non fosse proprio un mostro ributtante (non paga di questa cagata aggiunge che in effetti uno per ricorrere allo stupro deve essere per forza inguardabile. Non fa una piega, le persone belle e ricche mica stuprano). 
Circa 30 pagine dopo le basta che una guardia giurata di un grande magazzino che l'ha pescata a taccheggiare la faccia spogliare e le chieda di fare un po' la carina per evitare la denuncia per farla uscire di testa perché no, è troppo, lui deve smetterla, che orrore.

2) Ripensa occasionalmente con nostalgia al periodo pre-dittatura parlando dei tempi liberi e felici in cui la nonna Mary veniva ostracizzata e disprezzata dal resto della famiglia in quanto strega (ma non alla bella maniera di Harry Potter); un tempo in cui all'interno della famiglia mancavano benessere, amore e comprensione, un tempo in cui a una zia zitella che in gioventù aveva portato in casa un corteggiatore era stato proibito per parecchio tempo pure di andare a comprare il pane senza accompagnatrice. 
Però i teatranti d'avanguardia potevano metter su i loro spettacoli, le belle donne non venivano sfregiate per strada e i pittori come Marcello potevano dipingere fregna in libertà, quindi tutto ok. Di nuovo, Paolini sembra far passare il messaggio che sotto questa fantomatica dittatura le cose vadano molto meglio di prima. 
 
3) Gli scrupoli morali mostrati da Giulia nel momento in cui Raul le rivela la vera natura di ciò che le è stato chiesto di fare per conto dell'Organizzazione (una roba di poco conto, una sciocchezzina, mettere un coso dentro uno dei cilindretti che ti danno al lavoro) fanno il giro e diventano una comica.
"Va bene, ti dirò a cosa servono le capsule che infili, pensavo avessi preferito ignorarlo perché dopo che avrai saputo ogni azione nuova ti costerà di più, ma d'altra parte è meglio così, non posso credere che cambierai idea solo perché, sai, sarebbe da vigliacchi, ti pare?"
"E' meglio che me lo dici, così vediamo che cosa sono."
"Quelle capsule che tu infili nei cilindretti sono dei minuscoli timer. Allora succede che a volte, non sempre, questi timers servono a far scoppiare delle cariche esplosive, l'ultima, se hai seguito i giornali o la televisione, è scoppiata in una caserma quel giorno che ci sono stati i rastrellamenti, e che io ti ho fatta raggiungere dal giovane biondo."
"E che cos'è successo in quella caserma?"
"Beh, ci sono stati dei feriti e dei morti."
"Quanti?"
"Che importanza può avere il numero? Uno o dieci fa lo stesso."
"Quanti?"
"Erano un corpo speciale, il peggiore, quello di coloro che torturano... dieci."
Il pensiero di aver attentato alla vita di dieci aguzzini spietati (ma a quel punto si deve dar ragione a Raul, uno o dieci cambia poco se il pensiero di troncare una vita umana ti ripugna a tal punto) in una distopia in cui lei non può nemmeno mettere il naso fuori casa senza temere ripercussioni violente per il solo fatto di essere un fregnone la getta nello sconforto più totale.
Forse si aspettava che la ribellione si facesse a suon di perfavore.
Ma questa sarebbe anche una reazione plausibile se a questo punto Giulia per una volta nella sua vita prendesse una decisione netta, tagliasse ogni ponte con Raul e l'Organizzazione, prendesse in mano le redini della sua vita ed effettivamente questa ripugnanza avesse un senso.
La riga successiva:
Non sapevo cosa fare, dove andare, chissà perché avevo la sensazione di dovermi nascondere in un luogo dove non potesse vedermi né trovarmi nessuno, Raul mi si è avvicinato, gli ho detto di no, lui ha insistito, ha cercato di abbracciarmi, ho resistito, avrei voluto picchiarlo, fargli male, mi sono alzata, gli ho intimato di lasciarmi andare, mi ha trattenuta, mi ha costretta a sedermi di nuovo, non era poi così fragile come sembrava, e quella sua faccia da bambino aveva una sua durezza, una determinazione e forse anche qualcos'altro che mi sfuggiva, mi stringeva ancora, con forza, ho cominciato a cedere, a lasciarmi sopraffare dalla pietà di me stessa, allora Raul mi ha presa tra le braccia e mi ha portata sul letto.
Tutto si chiude in due righe con l'ennesima scena di sesso.
Per tutto il resto del libro la questione, come molte altre, è chiusa così.
Giulia nonostante a parole affermi il contrario continuerà a farsi coinvolgere dall'Organizzazione (che sembra prendere bene il fatto che questa tipa sia contraria ai loro metodi violenti) e a scodinzolare dietro a Raul dopo l'abbandono di Marcello fino al momento in cui non sarà proprio lui a denunciarla alle autorità mandandola a marcire in galera (dove si troverà più a suo agio che nella mansarda di sua nonna e troverà anche l'amore saffico e tenerello), proprio come in precedenza aveva denunciato all'Organizzazione la madre connivente e al governo la sua ex, Eleonora.
Lo avrà fatto forse per motivi ideologici?
Perché era un'astuta spia del governo distopico del Burmini?
No, perché a Raul piace farlo da dietro e lei gli ha detto che gli faceva schifo (sic!)
La pacata reazione di Raul
*

IN CONCLUSIONE. . .

La bellezza è, abbastanza ironicamente, un libro di una bruttezza rara anche per i canoni del 1979, un libro in cui un vecchio bianco etero borghese benestante titilla l'immaginario erotico dei suoi consimili con la scusa di una distopia da poveretti. Di base, Giulia avrebbe potuto farla trombare ogni 5 pagine in una storia di corna ambientata a Cortina o in una storia di Camorra ambientata a Napoli e sarebbe stata la stessa cosa. 
Il sesso poi per Giulia non è nemmeno un piacere.
Giulia fa sesso per ammansire gli animi, per avere dei favori, per guadagno, per tenersi legati gli uomini della sua vita, per evitare litigi, per tenere sveglio il lettore, per glissare su certe riflessioni un po' troppo complicate o coraggiose per le capacità dell'autore, ma mai perché ne ha voglia. E questa cosa non viene mai indagata né risolta se non con l'abbandono degli uomini (che si rivelano puntualmente degli egoisti viziati pronti ad abbandonarla e ritornare a convenienza - tanto lei non manda mai a quel paese nessuno - o dei veri e propri disturbati mentali) da parte di Giulia, perché Paolini, al pari di buona parte degli uomini della sua generazione, penso non sapesse nemmeno da che parte fosse girato il piacere femminile. Forse una femmina nel 1979 non poteva nemmeno godere senza passare per poco di buono, chissà.
L'unica che si divertiva a trombare era la nonna ed è morta sbronza e sola.

A contribuire a questo lento e inesorabile stillicidio dei miei coglioni abbiamo lo stile che, coerentemente, riflette il flusso di pensieri vuoti e irritanti di questa donna di cartapesta, una marionetta che di autentico non ha nulla che si muove in mezzo a pupazzi bidimensionali quanto lei, risultando pesante, confuso, zeppo di virgole e puntini di sospensione che manco nei blogghini. Insomma, da quel che leggo da Wikipedia questo Paolini sarà stato intellettuale quanto si vuole ma se sei boomer sei boomer, c'è poco da fare.
Almeno Adrian mi aveva fatto ridere con la Mafia International.
Giudizio finale:

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