Traduzione: G. Motta
Edizione: Oscar Moderni Mondadori, copertina flessibile
Pagine: 252
Anno: 2020
Premesse
L'assassinio di Roger Ackroyd, quarto romanzo dedicato alle indagini dell'investigatore Hercule Poirot, vede la luce nel lontano 1926, è quasi universalmente acclamato come caposaldo della letteratura poliziesca anche se di fatto, paradossalmente, non risulta uno dei romanzi della Christie più noti al grande pubblico.
Il libro conta infatti due sole trasposizioni su schermo, se escludiamo il film russo del 2002 Неудача Пуаро ("Neudacha Puaro", ovvero: il fallimento di Poirot): una datata 1931, ormai introvabile, e un episodio della serie Poirot del 2000.
Io stessa ho acquistato questo volume per caso, spinta da un'offerta golosa sugli economici Mondadori, e plaudo al mio acquisto felice. Insieme a Dieci piccoli indiani infatti L'assassinio di Roger Ackroyd si è rivelata la lettura più piacevole della Christie affrontata finora.
Come già ribadito altrove non sono una grande amante dei gialli.
Di base mentre leggo non mi diverto a fare il ruolo del detective preferendo seguire passivamente le deduzioni del professionista di turno, e nel 90% dei casi tolto il mistero al libro giallo resta poco: zero attenzione alla psicologia dei personaggi, zero all'intreccio, poca o nessuna ironia a tenerti sveglio fino al momento in cui, immancabilmente, l'investigatore assicurerà il colpevole alla giustizia e l'ordine avrà la meglio sul caos. Alla Christie invece, oltre che giocare con un intreccio di caratteri grotteschi e peculiari che arricchiscono il mistero e tengono sveglio l'interesse, piace trollare il lettore su tutti i fronti con l'inaspettato e la risoluzione del mistero ha sempre un retrogusto amaro.
L'assassinio di Roger Ackroyd non fa eccezione.
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DUE RIGHE DI TRAMA
I fatti si svolgono nell'Inghilterra rurale, nel tranquillo paesino di King's Abbot. A narrarci la vicenda è un volto nuovo, il dottore del posto, James Sheppard: uno scapolo di mezza età che vive insieme alla sorella non maritata amante del pettegolezzo, Caroline, con la quale nel corso del romanzo darà vita a una serie di simpatici siparietti.
Caroline mi colpisce immediatamente al cuore.
"Secondo Kipling, il motto della famiglia delle manguste è "corri e scopri". Se Caroline dovesse mai adottare uno stemma araldico, non potrei che consigliarle una mangusta rampante. Si potrebbe benissimo omettere la prima parte del motto. Caroline ha la straordinaria abilità di svolgere qualsiasi indagine restandosene tranquillamente in casa. Non so come, ma ci riesce sempre. Ho il vago sospetto che le nostre persone di servizio e i fornitori costituiscano il suo Servizio Segreto. Quando esce infatti non è mai per raccogliere informazioni ma per diffonderle. E anche in questo dimostra un'abilità stupefacente."
Adoro.
Adoro lei e l'ironia di Sheppard.
Da spettegolare, in verità, al momento c'è pochino (a parte l'arrivo di un nuovo vicino di casa, uno strano ometto dalla testa a uovo e con dei ridicoli baffetti - chi sarà mai? Un parrucchiere in pensione? Aggiungiamolo alla lista dei misteri). Il paese è piccolo, ci si conosce un po' tutti e i segreti restano tali per poco. La vita scorre placida e tranquilla, le giornate tutte uguali, almeno fino al momento in cui la pace di King's Abbot viene interrotta dalla morte di uno dei suoi abitanti più illustri.
E già cominciano le trollate:
1) Il morto non è Roger Ackroyd;2) Roger Ackroyd non solo è vivo e in salute ma sta pure sta organizzando una cena con amici e parenti a casa sua;3) La morta è l'altra riccona della zona, la signora Ferrars;4) La signora Ferrars è morta per un'overdose accidentale di sonniferi
Caroline però pensa che di accidentale ci sia poco.
Con piglio da detective navigata la donna ipotizzerà infatti che l'overdose di Veronal sia stata intenzionale e che la signora Ferrars si sarebbe tolta la vita in preda al rimorso, e per quanto il fratello cerchi di convincerla dell'assurdità di quell'idea, di certo partorita dalla fantasia di una signora con troppo tempo libero, troviamo un'altra persona che sembra essere dello stesso avviso, vale a dire il futuro morto, Roger Ackroyd.
Che è un buon amico del dottor Sheppard, una persona onorevole, seria e affidabile, a differenza di Caroline poco incline ai voli di fantasia.
Sappiamo che è rimasto prematuramente vedovo a causa dei problemi di alcolismo della moglie, che conosce da anni la signora Ferrars e ha frequentato assiduamente la sua casa: ha avuto un debole di lungo corso per la padrona di casa, ma il suo onore di gentiluomo e il rispetto nei suoi confronti lo ha sempre portato a tenere i loro rapporti sul piano prettamente amicale.
Questo almeno fino alla morte del marito di lei, quando, sempre rispettando i tempi consoni dovuti alla vedovanza, si sarebbe finalmente fatto avanti, scoprendosi ricambiato.
Roger Ackroyd vive nella lussuosa tenuta di Fernly Park insieme alla cognata Cecil Ackroyd (moglie del suo defunto fratello) e alla nipote Flora che a breve convolerà a nozze con quello scapestrato del suo figliastro Ralph Paton, unione a cui il vecchio Roger guarda con favore certo che quella ragazza bella e assennata dal carattere forte metterà finalmente un po' di sale in zucca al suo ragazzo pigro e spendaccione.
Sulla morte della signora Ferrars Roger Ackroyd concorda con Caroline non per via di congetture e voci maligne, ma grazie a confidenze fattegli dalla stessa defunta: sembra che non solo la signora Ferrars dopo anni di infelicità e vessazioni avesse effettivamente causato la morte di suo marito, ma che fosse vittima di un ricattatore che, scoperto il delitto, le avrebbe chiesto ingenti somme di denaro per mantenere il segreto. Incapace di reggere a quella combo di rimorso e tensione (oltre che per evitare al suo corteggiatore la vergogna di impegnarsi con una persona che si era macchiata di un tale delitto) si sarebbe effettivamente tolta la vita, ma non prima di essersi liberata la coscienza rivelando il nome del ricattatore ad Ackroyd in una lettera.
Nome che però non verrà mai rivelato.
Infatti Roger Ackroyd verrà trovato morto nel suo studio proprio da Sheppard, avvisato del delitto da una telefonata da parte di un uomo che si presenta come Parker, il maggiordomo di Fernly Park (ma, scopriremo presto, non è lui. E chi è? Boh. Un altro mistero da aggiungere alla lista), e manco a farlo apposta sarà la sera di una cena tra amici e simpatizzanti in cui casa era immancabilmente piena di potenziali colpevoli, come da copione. D'altronde altrimenti il giallo te lo risolvono in tre pagine, e a che minchia serve scomodare Poirot?
Tutti i sospetti sembrano ricadere però fin da subito su Ralph Paton, da anni in cattivi rapporti col patrigno per motivi economici, e che proprio a seguito del delitto scompare dalla circolazione senza lasciare traccia. Eppure, per quanto ogni prova sembri condurre inevitabilmente a lui, c'è una persona che non riesce a credere alla colpevolezza del giovane capitano.
E' Flora Ackroyd, la sua promessa sposa.
A differenza di Roger Ackroyd lei non è mossa dalle prove ma dal cuore, peccato che la polizia tradizionale preferisca le prime. Mossa dalla disperazione, per riscattare la reputazione del ragazzo, la giovane chiederà l'aiuto di una conoscenza del suo defunto zio, nonché l'unica persona che non si farà fuorviare dalle apparenze né scoraggiare dalla mancanza di prove per arrivare, col solo ausilio dell'ingegno e della psicologia, alla verità, per quanto scomoda o dolorosa. Scopriamo a questo punto che il succitato parrucchiere in pensione che coltiva zucche senza troppo successo né pazienza, il vicino di casa del dottor Sheppard, altri non è che il nostro eroe Hercule Poirot. Una volta ripresosi dalla sorpresa, al lettore non resta che vederlo dipanare la solita ragnatela di menzogne e mezze verità, a questo giro con l'aiuto di un nuovo amico, il solido e affidabile dottor Sheppard.
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IMPRESSIONI SPARSE
L'assassinio di Roger Ackroyd a livello di trama è di una linearità esemplare, potendosi riassumere a grandi linee nel suo titolo: Poirot indaga sull'omicidio di un uomo di nome Roger Ackroyd, cercando i sospetti tra parenti, amici e domestici del defunto, ognuno con qualcosa da nascondere e motivi plausibili per finire sotto l'occhio attento del nostro eroe.
Chi fosse interessato a dipanare il mistero insieme al geniale detective sappia che avrà modo di mettere in moto le proverbiali celluline grigie, perché è vero che la Christie si diverte a trollare il lettore (figurarsi il lettore del 1926, che si trollava molto più facilmente di quello di oggi, a cui non la si fa e scova i complotti geopolitici internazionali grazie alle confidenze dell'idraulico. Un po' come fa Caroline Sheppard in questo romanzo, in effetti), ma Poirot anche se geloso delle proprie ipotesi non lascia mai il lettore all'asciutto di indizi. Anzi, in questo specifico caso visto che la Christie bara un po' diventa anche più divertente rileggere il romanzo alla luce di quanto si è scoperto, una volta arrivati all'ultima pagina, per cogliere indizi tra le righe.
Ma per chi come me non fosse per nulla interessato ad affrontare un giallo facendo il lavoro al posto del protagonista, sappia che troverà il vero punto di forza, che poi è il tratto distintivo della prosa della Christie, nei personaggi che vanno ad arricchire l'intreccio e riescono come sempre a rendersi memorabili con pochi sapienti tratteggi di penna.
Menzione di merito va ai personaggi femminili, magari non sempre pawah come piace oggi ma sempre molto vividi e divertenti, anche quando cascano con scarpe e bustini nel cliché da romanzo ottocentesco: sarà che i segreti rendono sempre più interessante una donne, e le donne della Christie di segreti ne hanno a iosa e sanno custodirli con le unghie e con i denti. Per quel che mi riguarda a questo giro, a differenza di quanto accaduto negli altri romanzi dell'autrice letti finora (cosa che ha contribuito al mio adorare questo particolare racconto rispetto ai precedenti) ho un personaggio con cui ho legato davvero molto fin dalla sua entrata in scena, e parlo di Flora Acroyd, la bella nipote del defunto e promessa sposa del presunto colpevole, colei che mette fisicamente in moto la risoluzione del mistero coinvolgendo il buon Poirot facendo appello al suo noto amore per la verità.
Perché, la avvertirà Poirot, lui scoprirà tutta la verità.
Il ritratto che ci offre attraverso il filtro dei suoi pensieri il nostro narratore ci presenta inizialmente una ragazza dal carattere ruvido ma compensato da una bellezza straordinaria.
Praticamente la Neo Queen Serenity... |
"Ci sono molte persone alle quali Flora Ackroyd non è simpatica, ma nessuno può fare a meno di ammirarla. E con i suoi amici sa essere incantevole. La prima cosa che colpisce è la sua bellezza incredibilmente bionda, quasi scandinava. I capelli sono color oro pallido, gli occhi azzurri - azzurri come le acque di un fiordo norvegese - e la carnagione sembra di latte e rose. Ha le spalle squadrate, quasi maschili, e i fianchi sottili. Per un medico vecchio e stanco come il sottoscritto, è un vero piacere contemplare un tale ritratto della salute.
Una semplice e schietta ragazza inglese: sarò all'antica ma non c'è nulla che la possa battere."
Sheppard, vecchio galletto...
Da persona che raramente risulta simpatica alla gente al primo incontro (ma anche a un secondo e a un terzo) e che riserva le proprie simpatie a pochi irriducibili (quelli che con sprezzo del pericolo ricambiano) fin da queste prime righe non molto lusinghiere non ho potuto che sentire una forte affinità nei confronti di questa ragazza giudicata da un vecchio borgese dall'animo molto tradizionalista (e con discrete punte di snobismo) ancor prima di rivolgergli la parola come una persona ruvida, poco piacevole e poco propensa a destare simpatia.
Però è figa.
L'affinità e la simpatia sono andate a crescere non appena questo efebico esemplare di fighino fish and chips apre bocca e riusciamo a capire il motivo per cui persone inquadrate e vecchio stampo al pari di Sheppard possano trovare Flora una compagnia non particolarmente piacevole.
"Flora mi raggiunse al tavolino dell'argenteria e si affrettò a manifestare i suoi dubbi sulla probabilità che Carlo I avesse davvero portato quella scarpetta.
"Ad ogni modo," continuò "mi sembra ridicolo andare in visibilio di fronte a certi vecchiumi per il semplice motivo che qualcuno li ha indossati o usati. Oggigiorno nessuno li indossa o li usa più. Prendiamo la penna con cui George Eliot scrisse Il mulino sulla Floss: dopotutto è sempre e soltanto una penna! Se ti piace George Eliot comprati Il mulino sulla Floss in edizione economica e leggilo."
"Presumo che lei non legga opere così fuori moda, vero signorina Flora?"
Al di là che si condivida o meno il suo pensiero (io personalmente sì anche se davanti a certe action figures dal costo proibitivo la mia risoluzione spartana va scemando, ma sono anche dell'idea che ognuno con i propri soldi faccia quello che gli pare e che se uno vuole sperperare denaro nella penna di George Eliot o nella foglia con cui Toreau si è pulito il sedere nel 1845 se non li chiede a me buon pro gli faccia), a quel punto l'immagine angelica di Flora è bella che defunta come suo zio, lasciando il posto a una giovane donna intelligente e pratica, che non ha paura di esprimere le sue perplessità, preferenze e le sue opinioni in modo diretto.
Non finisce qui.
Flora, come converrà poi col consueto acume Poirot da fine conoscitore della psicologia umana qual è, si rivelerà anche molto caparbia e leale quando si tratta di difendere le persone a cui vuole bene (sentimento che non deve per forza scivolare nell'amore romantico, grazie al cielo). Questo perché di base una persona che sceglie oculatamente le proprie amicizie come lei fa una scrematura alla base e le risulta improbabile che un uomo che conosce bene, di cui ha stima e con cui c'è un solido rapporto di amicizia possa macchiarsi di un tale delitto. Cioè, magari sì, ma prima di appurarlo sarebbe il caso che i professionisti mettessero in campo tutti i cannoni del loro arsenale per sincerarsene.
Con molta intelligenza e senso pratico (visto che è perfettamente consapevole del suo ruolo nella società inglese contemporanea, in quanto giovane donna di modeste condizioni economiche a dispetto delle cospicue finanze dello zio, che i cordoni della borsa li teneva belli stretti) chiederà il sostegno di un uomo di scienza e una persona perbene e fidata vicina a suo zio, vale a dire Sheppard, per convincere Poirot a prendere in mano il caso e dimostrare l'innocenza del suo promesso sposo. Ma è lei poi a sostenere quasi tutto il peso della conversazione con un personaggio di spicco come Poirot, che da signore qual è prende in seria considerazione proprio lei, la sua cliente, per quanto giovane e ingenua, mettendola in guardia su quanto sia pericoloso pretendere di conoscere la verità fino in fondo.
"Io voglio la verità" disse Flora guardandolo negli occhi."Tutta la verità?""Tutta la verità.""In tal caso accetto" rispose l'ometto sottovoce. "E spero che che lei non debba rimpiangere queste parole."
Perché, ancora una volta, è questo che preme davvero a Poirot, forse il lato più interessante e insieme irritante del suo carattere per quel che mi riguarda. Non placare i timori di una giovane donna disperata (semmai il contrario), perché se Paton fosse colpevole sarebbe il primo a sbattersene i maroni, e nemmeno far trionfare la giustizia (per quanto Poirot sia una persona mossa da un forte senso della morale), ma arrivare alla verità.
E vincere sul colpevole.
Dramatization |
A differenza di uno Sherlock Holmes che riduce al minimo le interazioni umane dal momento che a differenza della gente le prove scientifiche non mentono mai, Poirot ha un metodo d'indagine molto dialogico proprio perché tutti mentono, tutti hanno qualcosa da nascondere per un motivo o per l'altro (e non necessariamente il motivo deve essere legato al delitto), e per arrivare alla verità bisogna sbrogliare una complessa matassa di menzogne.
Avvicinarsi ai presunti colpevoli, conoscerli.
Per Poirot le prove si possono falsificare, ma se si sa leggere bene il proprio interlocutore, mettere da parte qualsiasi bias (soprattutto simpatie e antipatie personali) e mettere in moto le celluline grigie, non c'è modo di nascondere la verità.
Arrivato alla verità poi il lavoro di Poirot è finito.
Il suo bisogno di giustizia e ordine termina con la scoperta del colpevole e la sua vittoria: il suo compito è trovare la verità (anche se scomoda), non avvisare la polizia e fare in modo che chi ha sbagliato paghi per le vie legali. Se il colpevole non vuole farsi arrestare e preferisce uccidersi cazzi suoi. Anche a questo giro infatti troviamo un finale amaro, in cui la reputazione del capitano Paton è salva ma il colpevole sceglierà spontaneamente altre vie per sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni.
*
La parte più interessante e originale di questo libro (sicuramente non sconvolgente per il lettore più attento ma per me lo è stato) sta nell'inganno perpetrato dalla Christie che nel 1926 decide di sovvertire le regole del giallo rendendo l'assassino un vero insospettabile.
Se è vero che il lettore di Poirot sa di non potersi fidare di nessuno, di certo (specie nel 1926) non era pronto a non fidarsi nemmeno del narratore. Scopriremo infatti che ad uccidere Roger Ackroyd è stato nientemeno che il dottor Sheppard, il nostro Watson, la tradizionale voce narrante/spalla che segue nelle indagini il detective e che fino a quel momento ha rappresentato per la letteratura gialla l'unico porto sicuro. Questo escamotage non può far altro che sconvolgere il lettore disattento o inconsapevole in quanto rende la narrazione totalmente inattendibile (ancora più del solito, come il lettore medio di Agatha "trollina" Christie ben sa) dal momento che la nostra unica finestra sul mondo è l'unica a sapere la verità fin dall'inizio, ma ha tutte le intenzioni di tenercela nascosta (a noi e a Poirot, a cui però non la si fa).
Eppure al tempo stesso la Christie gioca lealmente col lettore.
Come tutte le persone molto sicure di sé infatti Sheppard pecca di disattenzione.
E allora a una lettura attenta (meglio se una rilettura) del romanzo, che altro non è che il manoscritto redatto di proprio pugno dallo stesso Sheppard in corso d'indagine, non si possono fare a meno di notare stranezze e ambiguità, frasi che suonano strane e sospette, precisi tentativi di sviarci che non possono far altro che far saltare la mosca al naso alla persona che sappia mettere in funzione le celluline grigie proprio di fronte all'insignificante. In pratica o affronti la lettura indossando i panni di Poirot e uscendo con maestria dagli schemi classici dell'indagine puoi essere in grado di svelare l'arcano o con L'assassinio di Roger Ackroyd, per dirla fine, ti attacchi al cazzo.
Una cosa che si può trovare irritante o divertente, a seconda di come si affronti la lettura.
La genialità del romanzo, l'inganno più incredibile ai danni del lettore, come abbiamo detto, sta nel sovvertimento ironico del cronachista.
Sheppard infatti va a sostituire nel ruolo di compagno di indagini la storica spalla di Poirot, il capitano Hastings (che ora, veniamo a sapere dallo stesso ispettore che lo ricorda con nostalgia, si è sposato e si è trasferito con la famiglia in Argentina), che a sua volta faceva il verso a un altro celebre cronachista della letteratura gialla, John Watson.
Sia Hasting che Watson sono (con le dovute differenze caratteriali) narratori attendibili nel riportare i fatti ma assolutamente inaffidabili nell'interpretarli: i due pur avendo felici/fortuite intuizioni ogni tanto per la maggior parte del tempo prendono sistematicamente cantonate e si fanno imbeccare dal geniale detective nel corso del suo onanismo intellettuale, come una specie di vagina di gomma per il cervello.
In pratica il lettore può solo sperare che il detective condivida con noi quanto più possibile delle proprie elucubrazioni, perché se dobbiamo affidarci ai narratori stiamo freschi, loro sono lì solo per trascrivere quanto accade nel modo più preciso possibile e attestare la bravura dell'amico.
In L'assassinio di Roger Ackroyd la Christie passa con naturalezza il testimone da Hastings a Sheppard (una presenza più ironica, dall'umorismo asciutto e piacevole, con meno uscite cringe rispetto al predecessore e meno desideroso di dar mostra di sé all'interno della vicenda), il quale accompagnerà il detective nel corso delle indagini su precisa richiesta di Poirot e ne riporterà spontaneamente le gesta in preda a un'irrefrenabile febbre letteraria. Tutto porta a fidarci di lui come di lui si fidano tutti i personaggi del romanzo, a vedere in Sheppard un amico, esattamente come ci siamo fidati di Hastings finora.
La questione del narratore scivola direttamente nel metanarrativo (una delle trovate più divertenti del romanzo insieme alla scena in cui il detective belga sbrocca e comincia a lanciare zucche nell'iperuranio perché non crescono abbastanza velocemente) nel momento in cui Poirot chiederà a Sheppard di visionare i suoi scritti e poi farà pure una reccy:
"En bien, mi congratulo con lei... per la sua modestia.""Oh." risposi alquanto perplesso."E per la sua reticenza", aggiunse."Oh." feci di nuovo"Hastings non scriveva così." continuò il mio amico. "In ogni pagina, quante, quante volte si leggeva la parola Io: quello che lui pensava, quello che lui faceva. Lei invece ha preferito restare nell'ombra, solo una o due volte la personalità viene a galla... In qualche scena di vita casalinga, se vogliamo chiamarla così."
Arrossii lievemente di fronte al lampo che gli notai negli occhi. "Mi dica sinceramente: che cosa ne pensa?" gli domandai con un certo nervosismo."Vuole la mia opinione spassionata?""Sì."Poirot abbandonò il tono scherzoso."Un resoconto davvero accurato e meticoloso" disse con cortesia. "Lei ha registrato tutti i fatti con precisione ed esattezza, ma riguardo al suo ruolo ha mantenuto una contegnosa reticenza."
Il senso ultimo di queste parole lo scopriremo solo alla fine, quando ci renderemo conto che la facciata di onesta rispettabilità e modestia del nuovo narratore era tutta fuffa.
E per quanto oggi un simile espediente sia considerato abbastanza comune, se non banale, per non dire una mera presa in giro o un espediente per sconvolgere il lettore con poca fatica, si deve tener conto che questo è un romanzo del 1926 e che prima d'ora il narratore era la voce onnisciente che teneva per tutto il tempo il lettore per mano guidandolo alla verità per capire la portata di un simile sovvertimento narrativo e il peso che questo romanzo ha, a buon diritto, nella storia del genere.
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IN CONCLUSIONE. . .
L'assassinio di Roger Ackroyd oltre che una lettura imprescindibile per qualsiasi amante del giallo (ma apprezzabile anche da chi come la sottoscritta non impazzisce per le indagini, gli omicidi e i misteri di sorta) è un romanzo estremamente intelligente e ben costruito, con un equilibrio perfetto tra scene buffe/ironiche e personaggi grotteschi e l'esposizione nuda e cruda di fatti e supposizioni, un dualismo rappresentato egregiamente dai repentini cambi d'umore dell'eccentrico protagonista, in grado di passare dal serio al faceto in un secondo, con naturalezza. Un romanzo che rende non solo piacevole ma necessario una o più riletture per coglierne le sfumature, e che a differenza del precedente Assassinio sull'Orient Express, che è bello ma non puoi fare a meno di pensare che un po' ti debba piacere per forza dal momento che è un super classicone, mi ha davvero stregata.
Forse il miglior romanzo della regina del giallo.
Sicuramente il suo miglior romanzo letto finora, per quanto mi riguarda.
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