domenica 29 maggio 2022

[Recensione] LA CITTA' DEI VIVI di Nicola Lagioia

Autore: 
Nicola Lagioia 
Edizione: Einaudi, copertina flessibile
Pagine: 472
Anno: 2020
Euro: 22,00 | Ebook: 10,99


Si può essere boomer senza essere nati per forza negli anni del boom economico? Sembra impossibile ma Lagioia ci dimostra che sì, si può. Così come si può vincere un premio Strega con un volume in cui l'autore, con rara empatia e rispetto, usa la cornice di un delitto efferato per, sostanzialmente, autoincensarsi, ma anche per guardare dall'alto in basso questi giovani pigri, senza valori, a cui se gli dici che vincendo un concorso nella pubblica amministrazione guadagneranno 1800 euro al mese rispondono sprezzanti "E io che ci faccio con 1800 euro?".
Ovviamente non sono parole sue ma di un suo interlocutore, Francesco Scavo. Ma Lagioia ci tiene comunque a ribadire che questi giovani debosciati Scavo, da persona intelligente, non si sognava di disprezzarli. Provava pena e dispiacere, un dispiacere profondo. Però poi due pagine dopo questa persona intelligente deve fare uno sforzo per non sentirsi offeso se questi ragazzetti ricchi e annoiati chiamano trascinapoveri i mezzi pubblici che lui umilmente, come uno di noi, prende ancora. Ma quale sarebbe esattamente la cosa per cui offendersi, viene da chiedersi, essere accomunato ai poveri? Rimarrà un interrogativo inevaso.
Magari può rispondermi qualche boomer altoborghese.

*

La città dei vivi vorrebbe essere una cronaca romanzata dell'omicidio Varani, e già da queste premesse immaginiamo che il cattivo gusto regnerà sovrano perché cosa ci sia da romanzare in una storia del genere lo sanno solo Barbara D'Urso e i pari suoi. 
La vicenda è nota.
Roma, 2016. In un anonimo appartamento del quartiere Collatino, in via Iginio Giordani, due ragazzi di buona famiglia dediti a uno spasmodico uso di alcolici e sostanze stupefacenti, Marco Prato e Manuel Foffo, torturano per ore e poi uccidono con più di 100 martellate e coltellate (nessuna delle quali mortale, risultandone in una lenta e agonizzante dipartita per dissanguamento) Luca Varani, un meccanico di 23 anni che i due conoscevano a malapena. 
Non c'è nemmeno un movente, quindi. 
Sostanzialmente la vittima è stata scelta a caso per provare il brivido dell'omicidio. Se a questo aggiungiamo l'immancabile provenienza alto-borghese dei criminali, il fatto che i due fossero legati all'ambiente gay e g-g-giovane della capitale e che la stessa vittima ricorresse occasionalmente alla prostituzione con gli uomini per denaro se ne conclude che il giornalismo italiano non poteva proprio esimersi dal farne uno show mediatico imbarazzante, sviscerando per settimane, mesi, anni ogni sordido e morboso particolare della vicenda. Visto che non ci facciamo mancare nulla oltre a questo libro di fiction-non-fiction pare sia in progetto pure una serie tv prodotta da Sky.
E avanti così.

Giornalismo italiano davanti
all'omicidio Varani.
 
Lanciatosi nella mischia come un paperotto nello stagno, Lagioia dall'alto della sua superiorità intellettuale ci tiene a specificare che lui non lo fa spinto dall'interesse morboso che muove gli altri o dalla voglia di lucrare sul morboso e rimestare nel torbido come una Barbara d'Urso qualunque.
Lui è diverso.
E' speciale perché ci tiene a dipanare il mistero per mero amor di cronaca, o forse (ci dice in altri punti del romanzo) è più un qualcosa che lo colpisce nel profondo perché legato al suo passato da scavezzacollo in cerca di limiti da superare proprio come i due assassini (e che ha rischiato di finire a prostituirsi come Varani, una cosa che sarebbe stata profondamente degradante ma per fortuna ha trovato lavoro pochi giorni dopo arrivare alla vera disperazione e non ci ha pensato più. E beato te...), o forse ancora si tratta solo di motivazioni puramente intellettuali, legate alla sua voglia di interrogarsi sulla banalità del male, con riflessioni di questa profondità:
"L'omicidio getta su vittima e carnefice la sua luce, ed è sempre una luce parziale, una luce perversa, l'omicidio è il male e il male è il narratore della storia. L'omicidio getta luce su se stesso pere lasciare in ombra il resto, affinché vittima e carnefice si confondano nell'eccezionalità dell'accaduto."
Quindi non è che per 500 pagine sarai incapace di trattare la vittima da vittima e il carnefice da carnefice indulgendo nella solita apologia stronza del killer, è la natura dell'omicidio a sfumare i contorni.
Profondo zi', fate organizzare un salone del libro a quest'uomo...

Cosa ne risulta?
'Na cacata, sostanzialmente.
E non saprei come altro metterla visto che nel corso di queste quasi 500 pagine Lagioia riesce a farmi sperimentare tutte le 50 sfumature del cringe, non solo per il fatto che mi tocca constatare quanto si possa pensare e agire da boomer a 45 anni ma anche perché con un cattivo gusto raro l'autore si inserisce nell'indagine di un omicidio brutale togliendo a più riprese la scena ai protagonisti del racconto al punto che a una certa pare un memoir sul suo addio ai colli de Roma. Persino Sherlock Holmes restava umile e gli serviva Watson come cronachista.

La cosiddetta cronaca dell'omicidio, rigorosa quanto si vuole visto che non metto in dubbio che l'autore i compiti a casa li abbia fatti ma filtrata attraverso il solito patetismo paternalista di un servizio di Pomeriggio Cinque, si risolve a conti fatti nel solito elogio del mostro tanto caro alla stampa nostrana piena di "illustri professori", "padri di famiglia", "goliardi", "giganti buoni" in preda all'immancabile "raptus", con pagine e pagine in cui Lagioia con la scusa del non fare l'errore di ridurre in maniera semplicistica l'assassino a un mostro si spertica nel trovare attenuanti, motivazioni freudiane e giustificazioni su giustificazioni per l'omicidio perpetrato da Foffo e Prato.
Si incomincia con una descrizione di Prato da parte di chi lo conosceva da vicino stile "salutava sempre": era un tipo eccentrico, un affabulatore brillante (la parola manipolatore compare saltuariamente, verso la fine, bontà sua) e persuasivo, in generale benvoluto e intelligente che lavorava nel mondo delle PR. Foffo invece risulta una persona tranquilla, umile, con tanti sogni nel cassetto irrealizzati a causa di varie vicissitudini della vita.
L'unica critica che gli si può muovere è che un fuoricorso.
Ma perché il volitivo papy lo aveva costretto a fare giurisprudenza, secondo lui più utile per l'azienda di famiglia, mentre la vera passione di Foffo era l'economia: questo bravo guaglione legge tante riviste di economia, ha tante idee geniali che nessuno prende sul serio al punto che a una certa viene allontanato anche dall'attività di famiglia, e last but not least ha pure l'intenzione di svoltare con una app di calcio.
Si continua nel territorio del "povero ragazzo ricco".
Prato era gay (ma soffriva anche per una condizione di disforia di genere, parrebbe) ma la mamma non lo aveva mai accettato e questo lo aveva fatto tanto soffrire. Nulla avevano potuto i viaggi, le esperienze di studio nelle università private, gli erasmus, per curare questa profonda insoddisfazione interiore e il male di vivere che sentiva dentro, e che lo portava a manipolare il prossimo e sfondarsi di coca, alcolici e canzoni di Dalida. 
Idem Foffo, che al di là di ipotetiche pulsioni perlomeno bisessuali represse si ipotizza sia spinto agli eccessi dal rancore nei confronti del padre, che a un certo punto aveva regalato il suo motorino a un dipendente del ristorante di sua proprietà e si era persino rifiutato allo scoccare dei 18 anni di comprargli una macchina umile.
"Mi ero fatto un programma su come avrei dovuto vivere. Per esempio, avrei dovuto avere una macchina tranquilla. La Yaris era perfetta. Comoda, piccoletta, adatta a uno che ha appena preso la patente. Mio padre invece diceva che serviva una macchina robusta, in caso di incidente. Mi ha comprato un Maggiolone. Questo maggiolone mi ha causato un sacco di problemi, subito dopo averlo avuto ho cominciato a bere, ho cominciato a drogarmi, sono stato costretto a lasciare il calcio, ho rotto con la ragazza."
Dannate macchine senza umiltè...
Ma qual è la colpa di questo Maggiolone poco umile a differenza della Yaris,  nota auto amica del proletariato?
"Molti ragazzi, specie quelli che vengono da famiglie benestanti, è meglio che non abbiano da subito una macchina grossa, perché le donne... le ragazze, a quell'età, non vanno appresso ai soldi... ci pensano dopo ai soldi... da giovane le ragazze le conquisti invece in altro modo.... così, se hai la macchina grossa, fai la figura di quello pieno di soldi che però i soldi non se li ì fatti da sé. Capito come?"
Cristallino, giovane, per forza poi sbrocchi e ti metti a dare coltellate ai meccanici.

Ora, intendiamoci, anche se la storia dell'umile Yaris mi ha fatto ridere due ore non è che voglia sminuire questo malessere solo perché questa è gente che i soldi li caga e si può permettere quei 250-500 euro di cocaina a sera senza battere ciglio, ma vorrei capire in che modo avere questi problemi dovrebbe avere un qualche tipo di peso nel momento in cui prendi a martellate e coltellate un povero stronzo che conosci a malapena e quando ti beccano non sei nemmeno in grado di spiegare razionalmente il perché senza metterti a frignare sul fatto che hai i problemi e il male di vivere e poi ti ha costretto l'altro perché tu sei solo una fragile fogliolina nel vento. Ma allora capiamoci, tutta la gente che vive quotidianamente questi malesseri e non ammazza nessuno è fessa? Lagioia non poteva raccontare i fatti nudi e crudi invece di scrivere una soap opera di 500 pagine?
Glielo ha vietato il dottore?

E sulla vittima, che si dice?
Tanto per cambiare, salta fuori un ritratto molto meno apologetico.
Come da manuale infatti l'attenzione pruriginosetta di Lagioia e del giornalismo nostrano (che a detta di questo libro appare serio e rigoroso e non rincorre assolutamente il facile scoop morboso a differenza dei social brutti e cattivi), la sua simpatia, sono praticamente tutte rivolte ai poveri ragazzi ricchi gay repressi e impasticcati con i genitori e le macchine poco umili che gli hanno rovinato la vita. D'altronde Varani è morto e non è che si possa giustificare più di tanto tra le lacrime di coccodrillo.
Qualche cosa però Lagioia ce la dice, sempre per amor di cronaca.
Un breve memento
che potrebbe tornare utile a Lagioia
nel corso della sua prossima fatica editoriale
E non importa che a questo giro quello massacrato non sia una donna e il carnefice non sia il suo compagno, il
victim blaming sottile come un tronco di Baobab non può mancare. 
Varani, ci segnala l'autore col solito piglio da giornalista integro e per nulla interessato allo scandalo, era un ragazzo dalla natura un po' schiva che poteva sparire anche per giorni facendo preoccupare a morte la ragazza. Beveva e si drogava con amichetti che alla fidanzata non piacevano e che lui giurava di non frequentare. Conduceva una vera e propria doppia vita all'insaputa della famiglia (venditori ambulanti di dolciumi) ma soprattutto all'insaputa di questa figura angelicata a cui Lagioia regala un po' di spazio, ovvero la fidanzata Marta Gaia, ingenuamente convinta che il fidanzato non avesse nessuno scheletro nell'armadio.
Anche se i fatti dicono tutt'altro, piccola anciola dal cuore innoZiente.
Luca Varani infatti non disdegnava di prostituirsi con gli uomini in cambio di denaro, spiccioli che comunque si sputtanava puntualmente alle slot machines e in occasionali cene e regaletti per Marta Gaia.

Non lo si dice mai apertamente perché farebbe brutto, anzi a un certo punto Lagioia, bontà sua, si premura anche di dirci che il fatto che la vita di Luca non fosse irreprensibile non giustifica in alcun modo quanto subito (e meno male),  ma nemmeno troppo tra le righe aleggia sempre quel senso irritante e giudicante di "però un po' se l'è cercata" (lui e il suo padre facile agli scoppi di rabbia - strano visto che gli hanno massacrato male il figliolo e i giornalisti fanno a gara a dire che persone infelici fossero i suoi carnefici, chissà perché è così incazzato. Forse perché non è alto borghese e si sa quanto siano incazzati, poco obiettivi e rancorosi i poveri). Perché se fosse stato a casa sua, non avesse detto le bugie, se avesse studiato diligentemente, non avesse giocato alle macchinette e non si fosse prostituito non si sarebbe trovato lì.
Capito, bimbi?

Per non farci mancare nulla Lagioia ci dice pure che il profilo social di Luca era pieno di citazioni e foto del Duce, da cui trasparivano spiccate simpatie di destra (e guai da parte di Lagioia, che diceva di voler fare delle analisi sulla natura del male, provare a indagare almeno per sbaglio sul perché una persona di classe popolare avesse questo tipo di simpatie, no, toh, eccovi una vittima fascia. Brutto che sia stato massacrato così eh, però ti butto lì che era fascio, poi fai te), cosa che secondo la sua fine analisi di esperto potrebbe aver triggerato il Prato, che in quanto gay dichiarato odiava profondamente gli omofobi. Ma se per mezzo libro mi dici che la vittima è stata praticamente scelta a caso, cosa minchia mi giustifichi per l'ennesima volta le presunte motivazioni di un malato di mente tirando in ballo l'omofobia?

Ancora una volta questo libro si fa portavoce delle tipiche preoccupazioni dei boomer agiati di sinistra con il filtro parental control perennemente settato sulla realtà che forse rappresentano il pubblico di riferimento dell'autore e gli abituali frequentatori del salone del libro, senza preoccuparsi di scavare oltre una superficie fatta di giovani scapestrati che rifuggono i problemi nell'alcool e nella droga, social brutti e cattivi e amministrazioni comunali inette che provocano invasioni di cinghiali per le strade e incendi di autobus di linea dovuti all'incuria. Tra parentesi, davvero molto coraggioso e serio da parte di Lagioia non fare mai esplicitamente il nome di Virginiona e del suo partito di riferimento (forse per evitare beghe legali) ma ritenerli poco tra le righe gli unici responsabili dello sfascio di Roma.
Non pago della filippica politica a caso, nel mezzo della cronaca noir Mr. Coraggio ficca pure due parolette autoincensanti che mirano a scatenare in chi legge simpatia nei suoi confronti: anche lui da giovane ha fatto il matto (ma senza mai superare i limiti, forse per coscienza, forse per culo) ma ora ci tiene a prendere le distanze da quel mondo che proprio non riesce a capire manco se ci si impegna, mannaggia ai pescetti. Ora è un tipo a posto, le sue amicizie sono tipi a posto, niente a che vedere con il giro di Foffo, Prato e Varani (tutti mischiati nello stesso calderone debosciato). "Il giro di Stefano e di Marco Prato, a differenza del mio, così prudente e castigato, era composto da persone che provavano  a giocare almeno un po' d'azzardo."
Anche meno dai, non sei a un comizio di Italia Viva.

La piaggeria alto borghese che trasuda dietro la finta umiltà dell'autore raggiunge le vette del meme nel momento in cui parla di Porta a Porta, il talk show più noto del paese
"A Porta a porta succedevano cose che non erano possibili altrove. Era lì che Silvio Berlusconi aveva firmato il suo patto con gli italiani. Era a Porta a porta che - spiazzando persino il suo navigato conduttore - il papa in persona aveva deciso di intervenire in diretta telefonica. Sempre lì erano stati ospitati i parenti del boss Vittorio Casamonica, così come, nel giro di poche settimane, sarebbe arrivato il figlio di Totò Riina per raccontare la storia della famiglia."
Un curriculum in cui si possono vantare Berlusconi, il Papa e la Mafia, mentre poi in seguito poco ci manca che definisca la Franca Leosini la Me contro Te del giornalismo italiano, una tipa che fa cose non meglio precisate con una schiera di fedelissimi groupie esagitati.
Che dire? 
Visto che il libro si riproponeva anche di fare delle analisi più ampie rispetto alla vicenda di cronaca io mi sarei come minimo chiesta il perché certi personaggi vadano lì a dire cagate senza timore del contradditorio, tra una leccata di terga e l'altra, ma a me non affidano il salone del libro più importante d'Italia quindi che ne so?
A farmi parlare così sarà senza dubbio la stessa invidia sociale che trasuda da quella che Lagioia identifica come la massa animalesca con la bava alla bocca che infesta le strade ma soprattutto i social (il luogo in cui immancabilmente la disapprovazione diventa una slavina). 
Gente cattiva, ignorante, che da un lato fa a gare per avere quei due sparuti minuti di notorietà facendo a gara per chi aveva più amici in comune con Foffo e Prato, dall'altro si abbandona alle peggio bestialità ai danni dei carnefici e delle loro famiglie.
E i genitori li hanno educati male.
E gli dovrebbero dare la sedia elettrica a questi fetenti.
Maledetti radical chic figli di papà che la faranno sicuramente franca perché in Italia funziona così e se hai le amicizie giuste non ti fai un giorno di galera.
Inserire altre frasi cliché
In tutto questo continuo dire peste e corna dei social (vero postribolo di nefandezze, non dico di no) non una parola contro il giornalismo morboso, i talk show più importanti del paese e certa letteratura che macina premi che di questa rabbiosa indignazione popolare letteralmente ci campa, ovviamente. Livello dell'analisi dei mezzi di comunicazione in questo libro: meme.
Giornalismo = buono
Social = cattivo
Nel mezzo di questo capolavoro di indagine sociologica e criminologica, così de botto senza senso, Lagioia non ci fa mancare nemmeno la parentesi di un non meglio precisato turista olandese che, scopriremo verso la fine di questa avvincente opera di letteratura crime, viene apposta in italia per trombarsi i minorenni.
La domanda sorge spontanea: ma perché?
Serve a qualcosa a livello narrativo o cronachistico? Spoiler: No.

*

IN CONCLUSIONE. . .

Questo libro dovrebbe essere una cronaca di un omicidio efferato sullo sfondo di una città unica, nel bene e nel male, piena di ombre e contraddizioni. Risulta a voler essere gentili una cronaca dell'onanismo intellettuale di Lagioia, che indulge sì nell'orrore ma con un piglio che rimesta nel morboso e comunque da fuori, al sicuro nel suo guscio alto borghese e intellettuale, con la pietas tipica del boomer rivolta a queste tristi anime sole mentre ci racconta quanto è bravo, bello e splendente.
Si parla genericamente di giovani con la crisi dei valori.
Ci fosse anche per sbaglio una critica seria delle responsabilità politiche, generazionali, economiche che hanno portato a questa fantomatica crisi dei valori dei giovani, a questo deragliamento a destra delle classi più disagiate, alla generale sfiducia nella giustizia. No, che schifo i social e l'amministrazione di Roma, maledetti giovani senza valori che disdegnano il posto fisso a 1800 euro al mese e i mezzi pubblici, per fortuna che io non mi sono ridotto a prostituirmi con gli uomini, se no chissà che fine avrebbe fatto la mia autostima (sic!).

Il culmine di questa prosa inutilmente pruriginosa e fuori dalla grazia divina forse si raggiunge nel momento in cui l'autore cerca, ahinoi, di descrivere il raptus (aridaje) che avrebbe colto Foffo e Prato poco prima dell'arrivo di Varani, il momento in cui avrebbe cominciato a prendere sostanza il piano di porre fine a una vita umana. Il magnetismo, lo chiama. E lo descrive come un'onda bianca e luninosa durante la quale si capirono di nuovoE giù di nuovo a bere e pippare come se non ci fosse un domani.
In pratica a una certa questo libro diventa uno yaoi.
Questo piglio pruriginosetto e morboso è forse ancora più divertente se arriva da una persona che, con l'umiltà che lo contraddistingue, anni addietro invitò la collega Melissa Panarello a infilarsi nel sedere pagine del Lolita di Nabokov per aver osato scrivere "100 colpi di spazzola prima di andare a dormire", che a differenza di questa sinfonia di percosse alle gonadi almeno aveva dalla sua una schietta semplicità. 
Qui invece si va poco oltre i luoghi comuni e brutte frasi a effetto, con l'aggravante di una certa spocchia intellettuale. E se questa è la letteratura italiana contemporanea pregiata che macina i premi prestigiosi, figurarsi quella nella media che monnezzaio deve essere.

Giudizio finale:
Una stella in più rispetto a quanto avrei voluto dargli solo per
rispetto verso l'impegno documentaristico

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