martedì 14 febbraio 2023

[Recensione] L'ABBAZIA DI NORTHANGER, di Jane Austen

Titolo originale:
 Northanger Abbey
Autore: Jane Austen
Traduzione: S. Fiorini
Edizione: Rusconi Libri
Pagine: 272
Anno: 2015

Premesse:
A dispetto della copertina in cui è difficile stabilire cosa sia peggio tra il castello photoshoppato con la motosega, la testa volante della Austen e la citazione tagliata a mezzo dal titolo, Rusconi confeziona un volume tutto sommato carino (preceduto da una bella introduzione di Sara Poledrelli) a prezzo contenuto.
In più la citazione con castello e testa volante rappresenta comunque un miglioramento rispetto alla copertina del 2008, dove Northanger Abbey nella testa del grafico o chi per lui è diventata Westminster, con tanto di Big Ben.
Tanto 'ste case da magnapudding so' tutte uguali.

Per lungo tempo Northanger Abbey viene erroneamente considerato il primo romanzo scritto da Jane Austen quando in realtà al momento della prima stesura nel 1798 l'autrice ha già dato alla luce Elinor e Marianne (Ragione e Sentimento, di cui si è già parlato su questi lidi) e First Impressions (che diventerà Orgoglio e Pregiudizio).
L'equivoco nasce dal fatto che Northanger Abbey è il primo romanzo che Jane Austen riesce a vendere a un editore: è la Crosby&Co. infatti ad acquistare il manoscritto nel 1803, per poi decidere di non darlo mai alle stampe. Questo avverrà solo dopo la morte della Austen, nel 1818, per decisione di suo fratello. Ora, le ragioni per cui una casa editrice decida di comprare un manoscritto di quella che all'epoca era una perfetta sconosciuta per poi tenerselo in un cassetto possono essere molteplici, non sempre intelligenti o razionali: in questo caso è probabile che, senza andare a infilarsi in chissà che gineprai complottisti, la Crosby&Co volesse solo tenere lontana dagli scaffali un'opera che perculava uno dei filoni più popolari (e remunerativi) del periodo, vale a dire la letteratura gotica. Nello specifico, il romanzo è la diretta parodia di uno dei "bestseller" dell'epoca, vale a dire I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (più volte citato nel testo).

Anche qui, proprio come accadeva in Ragione e Sentimento alla povera Marianne che per amore di un avvenente coglione da romanzo quasi ci aveva rimesso la ghirba, la Austen segue le vicissitudini di un'antieroina giovane, ingenua e sensibile che capirà a proprie spese quanti guai possa provocare l'abbandonarsi acriticamente alle letture d'evasione.
Di nuovo, esattamente come in Ragione e Sentimento la penna della Austen non si scaglia contro quella narrativa che oggi definiremmo di serie B (considerata anche all'epoca robetta da donne poco sveglie): va benissimo (per uomini e donne, ci dice la Austen) leggere il romanzetto d'amore o una tragica storia di intrigo e mistero ambientata tra le Alpi, purché la fantasia non vada a soppiantare quella moderata assennatezza che per la Austen è la chiave per la felicità.

*

DUE RIGHE DI TRAMA

Dramatization
Potremmo definire la giovane Catherine Morland una controeroina
, ovvero una protagonista a cui la natura non ha fornito alcuna caratteristica in grado di fare di lei un personaggio accattivante, dal punto di vista narrativo. 
Potremmo per certi aspetti paragonarla a quelle protagoniste di young adult che passano il tempo a fracassarci i maroni su quanto siano comuni, scialbe e assolutamente non amabili con quelle orribili poppe generose e l'immondo vitino da vespa, i grandi occhioni violargento e lo shatush naturale. Se non fosse che Catherine non è una ragazza proprio come noi, no, sul serio te lo ggiuro frate' quando in realtà è una fregna specialissima. Catherine è, né più né meno, la quintessenza dell'insignificanza.

Vive nei pressi di Fullerton, nel Wiltshire, un paesino di campagna abitato da una quarantina di famiglie: brava gente onesta che però non offre molte occasioni di mistero e fascino: niente orfani dai natali oscuri, nessun giovane interessante affidato alla tutela di Mr Morland, nessun antico maniero da esplorare o un danaroso baronetto su cui struggersi.
Solo passeggiate nel verde, cucito, qualche invito per il té.
Neanche la famiglia le dà la soddisfazione di un lutto, di problemi economici o di un bell'abuso parentale. Suo padre, un ecclesiastico che ha la gestione di due parrocchie ben avviate, non naviga nel denaro ma non è nemmeno indigente (non viene quindi a presentarsi l'assillo verso il matrimonio vantaggioso che in seguito toglierà il sonno alla signora Bennet: i giovani Morland, maschi o femmine che siano, possono sognare l'amore e scegliere la persona che più aggrada loro contando sull'amorevole consenso genitoriale). La madre è una donna pratica di buon senso e buon carattere, ma soprattutto dotata di una salute di ferro nonostante abbia scodellato la bellezza di 10 figli, di cui la sedicenne Catherine è la quartogenita.
Date le premesse poco incoraggianti, Catherine non può che difettare come eroina anche dal punto di vista caratteriale e del phisique du role: Catherine è appena passabile, quasi graziosa se le condizioni ambientali sono propizie, ma solo perché da bambina era un bidone dell'umido con le gambe; dotata di buon carattere e temperamento tranquillo che sfocia a più riprese nell'emotività, frutto di una vivace fantasia e dell'abuso di letture d'evasione. E' ingenua a causa della poca conoscenza delle cose del mondo, molto distratta, forse sciocca. Non ha nessuna attitudine per i racconti o gli scritti che richiedano una qualche riflessione, la musica, il ricamo e tutte le arti femminili.

Ma quando l'avventura chiama, anche una controeroina deve rispondere. 
E l'avventura si presenta nella forma di un invito a Bath (nota località termale dell'epoca) in compagnia di due cari amici della famiglia Morland, gli Allen: la giovane Miss Morland infatti, che è tanto cara alla coppia, rappresenterebbe una piacevole compagnia per la signora Allen e al tempo stesso potrebbe avere il suo primo assaggio di società e conoscere persone nuove.
I genitori non hanno nulla da obiettare.

L'esperienza a Bath dà il via a una catena di eventi che la porteranno a fare la conoscenza con una serie di pittoresche personalità: in primo luogo Henry Tilney, il nostro interesse amoroso, e sua sorella Eleanore, anche se la prima parte del romanzo verrà dominata soprattutto dalla figura di Isabel Thorpe, la figlia di una vecchia conoscenza di Miss Allen, con la quale Catherine stringerà immediatamente amicizia.
Dramatization: James e Isabel Thorpe
Anche Isabel, come Eleanore, ha un fratello, John Thorpe, che è anche intimo amico del fratello maggiore di Catherine, James.
John è quello che narrativamente parlando può definirsi un dito in culo e un accollo mastodontico: se Isabel è molto appassionata, magnetica, vivace ed esercita sulla nostra protagonista un'immediata simpatia, John le appare subito grezzo, volgare, uno spaccone che spinto com'è dal desiderio di far bella mostra di sé denigrando tutto ciò che lo circonda, si troverà persino a umiliare Catherine definendo la letteratura che tanto l'appassiona una roba da donne su cui non vale la pena perder tempo.
Mossa furba se il tuo scopo è tucciartela.
Comunque non c'è pericolo che questo avvenga dato che Catherine lo odia fin dal primo momento, è solo troppo socialmente impedita (e troppo affezionata alla sorella) per mandarcelo senza venir meno alle regole della buona cortesia.

Bisognerà aspettare un po' per vederla varcare finalmente la soglia di Northanger Abbey, la residenza padronale dei Tilney, su invito del padre di Eleanor e Henry che ha preso per qualche motivo in simpatia la giovinetta. Northanger è, come dice il nome, una vecchia abbazia convertita in residenza padronale, e questo non può far altro che far vibrare il senso di fan del brivido della nostra protagonista. Qui, in questo luogo dal nome così gotico, avrà finalmente inizio per Catherine un'avventura tutta intrigo e mistero.
Ma solo nella sua testa.

*

IMPRESSIONI SPARSE

Con Northanger Abbey ci si ritrova davanti forse il romanzo più divertente mai partorito dalla Austen: uno scritto giovanile fresco e vivace, un'esplosione di ironia e situazioni buffe e grottesche (messe in moto sì dall'ingenuità di una protagonista incapace di destreggiarsi in un mondo di persone falZe ma soprattutto dalla stupidità delle suddette persone falZe) che non ha mancato di farmi ridere di cuore a più riprese, invece di strapparmi i soliti sorrisi british a labbra strette.
Ma non dobbiamo commettere l'errore di credere che Jane Austen ci voglia far ridere a spese della povera Catherine: anche se ne sottolinea a più riprese gli errori di giudizio e l'indole sognatrice la voce narrante (una presenza molto ingombrante rispetto alla media austeniana: sorta di biografa di Catherine e al tempo stesso continuo memento del nostro ritrovarci di fronte a un'opera innocua, di fantasia, dove nessun animale è stato maltrattato per la sua realizzazione) non infierisce su di lei con un piglio da bullo. 
Il motivo è evidente, e ce lo spiega lei stessa:
"Se l'eroina di un romanzo non è sostenuta dall'eroina di un altro romanzo, da chi mai potrà aspettarsi protezione e rispetto? Non posso approvare un simile comportamento."

La Austen ha quindi molta cura della sua protagonista, la protegge, giosce del suo immancabile percorso di maturazione e ci tiene a ricordarci sempre (un leit motiv della prosa austeniana) che non è lei a risultare ridicola, ma il mondo che la circonda e le regole che lo guidano (regole che non a caso danno vita in questo romanzo a personaggi che diventano quasi maschere teatrali, individui tagliati con l'accetta). 
Catherine, è vero, pecca di eccessiva ingenuità ma solo perché è una persona generosa, di buon cuore e onesta. Tra l'altro non sarà l'unica a prendere delle discrete cantonate, con la differenza che lei lo farà in completa buonafede. E' inoltre una persona poco incline alla riflessione e allo studio, le sue uniche letture sono i romanzi drama-trash, ma la si può definire una ragazza sciocca?
Ok, non è esattamente la più sveglia della conigliata Morland ed è senza dubbio una tipa che ha bisogno degli spiegoni o di sbatterci il muso per capire l'ovvio (ma quanto questo avviene la sua reazione è talmente onesta e ). Ma la sua ingenuità è compensata da una viva immaginazione (che è una dote straordinaria, ci dice la Austen, purché non si esageri perdendo di vista la realtà) e da un discreto intuito. Catherine è poco istruita, salta spesso alle conclusioni sbagliate, ma non è una sciocca.
Nonostante tutti i suoi limiti intellettuali e le sue fantasticherie Catherine non è una Marianne che si abbandona ciecamente al sentimento amoroso: Henry Tilney le risulta subito amabile perché è un giovanotto quasi bello (non è un punto su cui si sofferma particolarmente, d'altronde anche lei è quasi graziosa), perché è divertente e sa metterla a suo agio, perché è gentile al punto da indulgere in lunghe conversazioni sulla mussola con la signora Allen. Tutte motivazioni razionali, giuste, che però la spingono a provare sentimenti d'amore prima che sia socialmente accettabile:
"Non è possibile appurare se prima di andare a letto, mentre beveva il suo vino caldo con acqua, Catherine abbia pensato a lui tanto da sognarlo durante la notte; ma spero che se ciò è avvenuto sia stato solo durante un sonno leggero o al massimo verso il mattino, perché se è vero, come ha affermato un famoso scrittore, che una fanciulla non può innamorarsi prima che il giovane le abbia dichiarato il proprio amore, deve essere estremamente sconveniente che una fanciulla sogni un uomo prima ancora di sapere se lui l'ha sognata."
Siamo a livelli di 
carineria diabetici
con questi due.

Tra l'altro anche Henry contravverrà alle buone norme sociali dell'epoca affermando di essersi innamorato di Catherine solo dopo aver preso atto dei sentimenti di lei. 
Quindi ama, ma solo dopo essersi sentito amato da una ragazza graziosa, onesta e di buon cuore, diventando in un certo senso "preda" dell'eroina (in contrapposizione alla fascinosa Isabel, che volendo irretire con l'astuzia uomini di estrazione sociale superiore al suo, quindi spinta solo da calcoli e interesse, se la piglia in saccoccia)

Naturalmente essendo Catherine quello che è, fa un grosso scivolone per una signorina accorta dell'epoca, ovvero non si premura immediatamente di sincerarsi dell'onorabilità della famiglia di lui e dell'ammontare delle sue ricchezze, ma a quello per fortuna pensa il suo amico, il signor Allen, che altrimenti mai le avrebbe permesso di frequentarlo.
Insomma, anche questa giovanissima Jane Austen ci fa notare come il sentimento sia bellissimo e l'amore sia il sale della vita, ma tutto questo deve andare per forza a scontrarsi con aride esigenze materiali.

A fare da controparte a Henry c'è John Thorpe.
John Thorpe è il Gaston di Bath: tutti giurano e sperticano che è il best compagnone da frequentare, l'anima della festa, un bravo guaglione e un ottimo amico, ma più lo si conosce più si capisce (e se ne accorge soprattutto Catherine, a dimostrazione che non è scema come ci vogliono far credere, che da lui subisce delle attenzioni a dir poco insistenti che arrivano a uno pseudo rapimento a bordo di un calessino) di avere davanti un coglione e un gigantesco dito nel culo oltre che un insopportabile accollo.
Catherine, dicevamo, è profondamente infastidita da questo buzzurro tagliato con l'accetta, e con buona ragione. Ovviamente però parliamo di Catherine, una persona giovane e inesperta della vita, poco abituata al lavorio intellettuale, che del suo giudizio non è che si fidi granché: quindi fino a una certa le prende pure il dubbio, ma magari sono io che non capisco perché sono solo una femmina e lui è simpa, magari è veramente una brava persona ed è divertente quando non mi prende per il culo perché leggo romanzetti del cazzo. Nel dubbio però lo evito perché la vita è breve e io non ho scritto Caritas in fronte.
Catherine paladina del ghosting.
Ti vogliamo bene.

Ma se Catherine ha le idee chiare e il senso di ragno che pizzica come si deve per quel che riguarda gli omini che incroceranno il suo cammino (persino quell'altro pezzo di merda del generale Tilney le causerà un'istintiva antipatia, nonostante i modi affabili e la squisita cortesia che le mostra almeno finché non scopre che è povera), con le donne la questione si fa più complicata. Con i personaggi femminili di questo romanzo infatti l'intuito di Catherine va in crisi, e nonostante gli indizi non le manchino sarà totalmente incapace di distinguere una sincera amicizia da un rapporto superficiale e falZo.
Parliamo ovviamente di Isabel Thorpe, la sorella di John.
Isabél in a nutshéll
Isabel è giovane, molto graziosa, dotata di fascino e di un forte magnetismo che rasenta la vera e propria paraculaggine che non manca di irretire Catherine ma soprattutto suo fratello James, un magnetismo frutto soprattutto della necessità: a differenza dei Morland infatti i Thorpe vessano in condizioni economiche precarie, cosa che rende la ricerca dell'amore una faccenda molto più pressante e meno legata ai sentimentalismi. Per Isabel è necessario, essendo una donna priva di mezzi e di dote, fare tutto quello che è in suo potere per ottenere un riscatto sociale, vale a dire trovare marito.
Nello specifico, un marito danaroso.
E' una missione che Isabel persegue con foga, sfoderando con sapienza tutte le proprie armi femminili a differenza dell'ingenua Catherine (che neanche comprende quelle astuzie, dando vita a dei siparietti memorabili): trova inizialmente il suo obiettivo in James, che rappresenterebbe il partito perfetto per un'eroina austeniana avendo una posizione sociale superiore alla sua, una rendita modesta ma sufficiente per vivere dignitosamente (ottenuta con la benedizione di genitori compiacenti a cui basta che i figli siano felici con la persona amata), un buon carattere, sentimenti sinceri, intenzioni nobili nei suoi confronti.
Insomma, un jackpot per chi sappia accontentarsi.
Ma Isabel non si accontenta, ovviamente.
Proprio a causa di questa eccessiva carenza di sentimento (esattamente come avveniva in Ragione e Sentimento, dove ci insegnano che è una pragmatica via di mezzo la chiave per l'autentica felicità) Isabel farà il passo più lungo della gamba, lasciando il promesso sposo per il miraggio di un'occasione più ghiotta, occasione fornitale dalle attenzioni galanti del bel Frederick Tilney, fratello maggiore di Henry ed Eleanore, una persona di mondo che a sposare una signora nessuno, per quanto graziosa, non ci pensa proprio.
E che volesse divertirsi con lei come piacevole trastullo vacanziero o semplicemente insegnarle quale fosse il suo posto nel mondo (non lo sapremo mai), Isabel (e solo lei) subirà le conseguenze del suo agire incauto e verrà punita per la propria tracotanza, perdendo sia la stima e l'amore di James che l'amicizia di Catherine.

John in quanto uomo ha la facoltà di comportarsi in modo aggressivo e arrogante, di dire cagate tutto il tempo e comportarsi in modo poco onorevole, di darsi ai vizi e agli eccessi, di ignorare bellamente i desideri della sua preda e risultare comunque un bravo ragazzo.
Frederick può divertirsi con Isabel, illuderla e portarla a rompere il fidanzamento con James per poi abbandonarla (di fatto rovinandola) senza dover nemmeno rendere conto delle sue azioni. Qualche animo troppo sensibile, tipo Catherine o la dolce Eleanore, potrebbe storcere il naso, ma a livello sociale non c'è nessuna conseguenza.
Dramatization: le priorità inglesi
secondo Jane Austen
Il generale Tilney avrà addirittura la facoltà, una volta appurato che le condizioni economiche della sua nuova amica non sono così floride come credeva, di cacciarla letteralmente via di casa nel bel mezzo della notte senza offrirle nemmeno un passaggio fino a casa (e se non fosse per la generosità di una mortificatissima Eleanore Catherine non avrebbe neppure di che pagare la carrozza).
Ma di nuovo, questo potrà indignare i genitori di Catherine, far soffrire la giovane, imbarazzare Eleanore e portare Henry a un'aperta ribellione verso il genitore spingendolo a dar voce ai propri sentimenti verso la nostra protagonista, ma a livello sociale l'onore è, ancora una volta, integro.

Il messaggio che arriva è chiaro.
Essere donne (nello specifico donne povere) è una colpa.
Una colpa che la società inglese del tempo non può perdonare, a meno che la giovane inglese in cerca di realizzazione personale non sottostia a rigidissime regole sociali, non si leghi alle persone giuste, non si destreggi con maestria nella sottile arte della dissimulazione (senza lasciarsi andare a commenti inappropriati come l'ammontare della rendita di tuo marito, dando a intendere che il tuo futuro suocero è un morto di fame) e soprattutto non osi troppo, cercando di volare troppo in là. Insomma, anche se è effettivamente una stronza non mi è così facile provare antipatia per Isabel come la provo invece per una Miss Bingley, che i soldi li ha e potrebbe anche toglierselo quel palo dal sedere per trovare sollievo, ogni tanto.

*

Al di là delle questioni sociali e delle ipocrisie borghesi, come abbiamo visto sempre impietosamente derise dalla nostra Jane Austen, L'Abbazia di Northanger è anche un finissimo esercizio metanarrativo.
Non solo perché a un certo punto, con l'arrivo di Catherine a casa Tilney e l'inizio della parte "mistery" (per modo di dire, visto che non c'è nessun mistero da risolvere), la storia si fa quasi romanzo nel romanzo, ma anche perché la Austen sia attraverso questa voce narrante così forte che tramite i suoi personaggi (nello specifico saranno i Tilney a guidare la nostra protagonista a riflettere sull'argomento) si interroga a più riprese sulla natura della narrativa e su cosa sia considerato degno di essere letto e amato.

- Cos'è un'eroina?
- Cosa vale la pena leggere?
- Bisogna vergognarsi della letteratura d'evasione?
La Austen su questo punto è categorica: non esiste personaggio che per quanto privo di attrattive non possa essere considerato un'eroina e che non possa vivere un'avventura grande o piccola, così come non esiste una letteratura che non valga la pena leggere, non esiste libro che ci si debba vergognare di aver apprezzato, o che per quanto sia apparentemente sciocco non meriti i nostri sospiri o il nostro affetto, e chi la pensa altrimenti vada a fare in culo.
O per dirla con le parole dell'autrice:
"Non adotterò quell'abitudine tanto poco diplomatica quanto meschina, così diffusa tra i romanzieri, di sminuire con la loro sprezzante censura proprio quelle pubblicazioni che loro stessi contribuiscono ad aumentare; essi si uniscono infatti ai loro più grandi avversari nel riversare gli epiteti più duri su tali opere e non permettono quasi mai che vengano lette dalla loro stessa eroina, la quale se per caso prende in mano un romanzo sicuramente ne sfoglierà le pagine insulse con disgusto. Ahimè! [...]
Lasciamo che i critici letterari sparlino a loro piacere di queste effusioni della fantasia e all'uscita di ogni nuovo romanzo esercitino i loro lieti motteggi sul ciarpame che fa gemere i torchi. Sebbene le nostre produzioni abbiano fornito piacere assai più vasto e costante di quanto non abbia fatto qualsivoglia altro genere letterario al mondo, nessun'altra composizione è stata mai altrettanto denigrata. Per superbia, ignoranza, moda, i nostri avversari sono quasi altrettanto numerosi dei nostri lettori."

Questo punto di vista è rappresentato, ovviamente, da un John Thorpe che durante uno dei primi incontri a scopo di conquista per farsi bello (una tattica brillante, tra parentesi) umilia Catherine per i suoi gusti letterari ridicoli. I misteri di Udolpho è monnezza che appartiene a un genere da cui lui, avendo altro da fare, si tiene ben alla larga.
Ne risulta ovviamente un dialogo delirante, come sempre accade quando un fesso qualunque parla con la convinzione dettata dalla mera arroganza di argomenti che non conosce:
- Udolpho è una boiata. Se proprio devo potrei leggere i romanzi di Ann Radcliffe, che mi dicono essere bravina e dotata di uno spirito ironico che potrei apprezzare.
- Ma Udolpho è di Ann Radcliffe
- Ah, sì. No, ma io intendevo un altro libro che ho letto, quello col vecchio sull'altalena che impara il latino, quello è una boiata.
- Io non l'ho letto quel libro quindi non saprei.
- Eh, ma tanto è una boiata

John Thorpe che dopo questi e altri
similari tentativi di corteggiamento
si domanda come mai Catherine
lo eviti come un prolasso anale.
Questo dialogo sulle brutte intenzioni la maleducazione si contrappone com'è giusto che sia alle posizioni del nostro eroe Henry Tilney, che al contrario di quanto non faccia il suo improbabile rivale in amore ammette di aver letto e apprezzato molti dei romanzi amati da Catherine.
"La persona, uomo o donna che sia, a cui non piaccia un buon romanzo, non può che essere incredibilmente stupida", aggiunge addirittura.

Ma allora via libera alla serie B?
Jane Austen vuol concludere che ogni genere letterario, da Ann Radcliffe a Hume, possiede la stessa identica dignità e i bacchettoni arroganti se ne debbano fare una ragione? Beh, sì ma con riserve. Il punto è che non c'è assolutamente nulla di male nell'appassionarsi alla letteratura d'evasione, o a non riuscire a staccare gli occhi da un Udolpho per l'emozione, purché non si perda la testa come Catherine e non li si prenda per più di quello che sono, ovvero mera letteratura d'evasione. Ben venga il desiderio di fantasticare, ben venga farsi venire i brividi al pensiero di dormire in una vecchia abbazia, ben venga persino appassionarsi ai romanzi di Jane Austen e farsi smuovere l'ormone da un Mr Darcy, purché la fantasia non soppianti la ragione e, anche se una bella fanciulla ignorante ha sempre il suo fascino, la propria cultura personale non inizi e finisca con la letteratura d'evasione. 
Insomma, "Per quanto le opere di Ann Radcliffe fossero affascinanti, e per quanto fossero affascinanti anche le opere dei suoi imitatori, forse non si doveva vedere in loro uno specchio della natura umana"Eh, forse.

*

IN CONCLUSIONE. . .

Northanger Abbey è un romanzo molto più fresco e vivace della media austeniana (così come era più fresca e vivace l'autrice quando l'ha scritto), più acerbo ma decisamente più spassoso delle sue opere più famose e apprezzate.
Non mancano le tematiche austeniane a cui tutti noi fan siamo affezionati: la difesa della letteratura d'evasione, il bisogno di contrarre a ogni costo un matrimonio vantaggioso (ma solo perché mancano le alternative di realizzazione personale per una donna dell'epoca), la spietata critica alla società e ai costumi contemporanei, una società mossa in larga parte dall'interesse, dall'ipocrisia, dal denaro e dal desiderio di prevaricare sull'inferiore. Un mondo in cui perseguire la propria felicità è una lotta.
Una battaglia impari, senza esclusione di colpi, non alla portata di tutte le romantiche signorine in cerca del lieto fine ma solo di chi sappia unire in perfetto equilibrio la ragione e il sentimento, la fantasia e il pragmatismo, la bontà d'animo spogliata di qualsiasi pericolosa ingenuità. 
E se Catherine e Eleanore (che resta sullo sfondo in quanto amica della protagonista pur avendo, lei sì, tutte le caratteristiche di una buona eroina classica, dall'attitudine al background tragico) nonostante gli errori, le ingenuità, i colpi di sfortuna alla fine non possono far altro che trionfare against all odds, Isabel, che guardacaso è la più povera delle tre ragazze che si muoveranno sul palcoscenico di Northanger Abbey, è l'unica che se la prende in saccoccia, che alla fine perde tutto senza poter ambire nemmeno a un percorso di crescita e redenzione. E pur trovando Catherine davvero deliziosa e augurandole tutto il bene del mondo, forse è a Isabel che alla fine va davvero la mia simpatia.

Giudizio finale:

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