martedì 9 gennaio 2024

[Recensione] THE HOLE, di Hye-Young Pyun

Recensione di "The Hole", di Hye-Young Pyun
Titolo originale:
 
Autore: Hye-Young Pyun
Traduzione: L. Iovenitti
Edizione: Mondadori
Pagine: 175
Anno: 2017


Suggerisco per questa recensione di saltare direttamente alle conclusioni per decidere se leggerlo o meno perché qualsiasi riflessione si voglia fare su questo romanzo contiene SPOILER, e The Hole è un romanzo che a mio avviso va scoperto da sé. Altrimenti proseguite pure ma a vostro rischio.


The Hole nasce come sorta di spin off di Caring for Plants un precedente lavoro commissionato all'autrice per una rivista letteraria, spin off reso necessario dal fatto che a detta della stessa Hye-Young Pyun Oghi e sua moglie non avessero concluso il loro arco narrativo.
Così nasce The Hole, opera dal titolo la cui sfumatura va per forza di cose a perdersi nella traduzione: il termine coreano 홀 (hol) infatti non è solo la traslitterazione dell'inglese hole, che indica un buco, ma anche un prefisso coreano che significa "solo", e va ad indicare nello specifico qualcuno che è rimasto vedovo, proprio come il nostro protagonista Oghi, che ha perso la moglie a seguito di un incidente d'auto.
Nel corso dello stesso incidente Oghi, che era al volante, subisce gravi lesioni che lo lasciano quasi del tutto paralizzato, e da uomo di successo che era (professore universitario che sulla soglia dei 40 anni è riuscito a costruirsi una solida carriera accademica a dispetto degli studi in geografia e cartografia che non ti fanno piovere esattamente addosso le occasioni) diventa un vegetale: quasi totalmente incapace di muoversi (riesce a muovere, poco e male, il braccio sinistro) e comunicare se non attraverso lo sbattere delle palpebre che gli consentirà solo di rispondere sì o no alle domande che gli vengono poste, Oghi è alla completa mercé dal prossimo.
Dopo un breve soggiorno in ospedale tornerà a casa dove sarà l'unico membro della famiglia che gli è rimasto, sua suocera, a prendersi cura di lui.

Il punto di vista di Oghi, la nostra unica voce narrante, è fin dall'inizio angosciante e claustrofobico, perfetta rappresentazione di un uomo solo, incapace di comunicare i suoi pensieri al prossimo: il romanzo è una finestra su una mente intrappolata in un corpo morto e che non riconosce più come il suo, non solo perché non risponde più ai suoi comandi ma anche dal punto di vista meramente estetico dal momento che l'incidente lo ha lasciato gravemente sfigurato. 
Persino la casa in cui ha vissuto per tanti anni gli pare estranea: il giardino che sua moglie curava quasi ossessivamente è morto tranne l'odiato rampicante che ha ormai invaso tutto il lato posteriore dell'abitazione; la camera da letto, che diventerà per questo nuovo Oghi il mondo, è trasformata nella stanza di un degente.

Inizialmente non possiamo far altro che rattristarci per Oghi e per la sua situazione, biasimare chi lo circonda per averlo abbandonato nel momento di maggior bisogno o l'atteggiamento abilista di una società che abbandona i pesi morti, senonché man mano che la narrazione prosegue e il protagonista si fa scappare di bocca qualcosa che forse non era sua intenzione condividere diventa sempre più difficile fidarsi del punto di vista del narratore o anche solo simpatizzare per lui.
Scopriremo infatti che la carriera tanto faticosamente costruita si è basata su menzogne, arrivismo e piaggeria. Il matrimonio è allo sbando da tempo e lui ci si stava aggrappando solo per pigrizia, e per il testardo attaccamento all'idea di una vita pacata di stampo alto borghese dopo un'infanzia da fallito. Non si lesinano alla tanto amata moglie critiche sul modo in cui sta perdendo tempo e sprecando la vita in attività poco proficue, abbandonando (a detta sua) alle prime difficoltà ogni progetto che la vedeva inizialmente entusiasta (tranne il suo giardino), il tutto condito da paternalismo benevolo alla "ma sì che si incapricci con le piante, tanto la mantengo io".
Eppure la colpa non è mai sua.
E' la moglie ad essere strana, che non si impegna abbastanza per la loro felicità (o per la propria, dando a intendere che sia il suo modo di vivere la renda infelice e non il comportamento di un marito assente che pensa più a fare spunte sui successi della sua vita che a tenere insieme il loro rapporto), è il collega di lavoro che ha fatto delle cose per cui Oghi ha dovuto denunciarlo ai superiori, è la sua giovane studentessa che si è fatta avanti e l'ha provocato portandolo ad allacciare una breve relazione con lei, e poi è roba vecchia, e poi lui non l'ha mai confessato quindi al momento sono solo fantasie paranoiche della moglie. 
Una cosa non sapremo mai: se l'incidente sia stato davvero un incidente e chi sia il responsabile. L'unica cosa che sappiamo è che Oghi non avrebbe mai voluto essere presente a quell'incidente, affannato com'era a inseguire il sogno di una vita tranquilla e senza scossoni.

Ci si comincia a chiedere quanta acqua stia tirando al suo mulino per suscitare la nostra compassione, quanto stia omettendo volontariamente parandosi il sedere dietro l'amnesia da shock, di modo tale che la nostra percezione cambia, la simpatia fa spazio al fastidio man mano che il buco, lo hole, una vera e propria macchia nera che apre ogni capitolo del romanzo si va ingrandendo, e persino quelli che a conti fatti sono i suoi carnefici o semplicemente persone di merda che lo abbandonano non assumono più le tinte da villain abilisti ma semplicemente di persone che non sono più tenute dalle convenzioni sociali a mostrargli simpatia e rispetto.
Oghi, se ci si riflette col senno di poi, risulta anche così egocentrico che è l'unico a possedere un nome: nemmeno la moglie, quasi che fosse una figurina di cartapesta persa nei ricordi, un personaggio di poco conto esattamente come il fisioterapista, la badante o sua suocera.

La suocera, che si tiene a specificare sia di sangue misto (per metà giapponese, etnia non particolarmente simpatica ai coreani e il sentimento è reciproco visti i poco piacevoli trascorsi storici) viene inizialmente trattata come una figura affascinante, incomprensibile e misteriosa su cui Oghi si sofferma molto poco, e solo per accantonare le sue stranezze come una caratteristica di razza, manco fosse uno Shiba Inu.
E' giapponese, per forza tiene le urne dei morti in casa.
E' giapponese, per forza parla da sola nella sua lingua ed è elegante e taciturna.

La suocera di Oghi, dapprima famiglia e poi l'aguzzina che gli ruba i soldi per darli ai santoni pseudocristiani, umilia Oghi in più occasioni, gli fa terra bruciata intorno, lo isola dal mondo e trascura i suoi bisogni, è anche una persona che ha perso l'unica cosa che amava al mondo, sua figlia. Una figlia che come ultima fatica letteraria (e con la stessa costanza riservata al suo bel giardino) aveva scritto e lasciato in bella mostra nello studio un j'accuse proprio ai danni del responsabile della sua infelicità (un'infelicità in cui forse la stessa suocera si rivede, essendo stata intrappolata in un matrimonio infelice con un fedifrago che a causa del suo tradimento ha pure perso il posto di lavoro, ma non lo sapremo mai dal momento che Oghi pensa sempre e solo a Oghi, cosa che a una certa diventa anche giustificabile). Un responsabile che ora è alla sua totale mercé.
Può definirsi un comportamento eticamente giustificabile?
No, ma è umano, proprio come quello di Oghi.

IN CONCLUSIONE. . .

Shiba finale, just 'cause.
The Hole
è un romanzo dalla tensione fortemente psicologica che può lasciare delusi se ci si aspetta una conclusione fatta e finita o anche solo comprensibile, un racconto che fa della suspence e del non detto il suo punto di forza, e che va letto con calma e attenzione a dispetto della brevità per cogliere tutti i non detti. Come buona parte della narrativa orientale si appoggia all'idea che la vita sia composta in buona parte da mistero e non si debba proprio raccontare tutto-tutto, o dividere tutto in buoni e cattivi tagliati con l'accetta. 
Frustrante ma tocca accollarselo.

Richiama a Misery di Stephen King come promette la quarta di copertina? Meh... Impossibile non fare paragoni dal momento che parliamo di una persona alla totale mercé del suo carnefice, un carnefice che lo conosce intimamente (dal punto di vista professionale in King, dal punto di vista di un defunto in Hye-Young Pyun), di un orrore che nasce dall'idea di non poter disporre del proprio corpo e di non poter comunicare. Dall'essere lasciati insomma completamente soli e in mano a una persona altrettanto sola che però ha il potere di disporre di noi a suo piacimento, senza limiti legali o morali a trattenerla.
Ma The Hole è un libro che non vuole fare orrore o improntarsi sul mistero ma concentrarsi specificatamente sull'isolamento (che non è solo l'isolamento causato dalla malattia di Oghi ma da una mancanza di comunicazione endemica e generalizzata): parla soprattutto della vita, di quanto sia effimero e vuoto quello che consideriamo successo, e di quanto in ognuno di noi (anche in Oghi, anche prima del suo incidente) ci sia un buco (o una solitudine, se vogliamo far fede al termine coreano) pronto ad espandersi e a inglobare tutto se non si fa tutto il possibile per prendersene cura, proprio come la moglie di Oghi faceva col suo giardino. Oghi insomma era solo già da prima di diventare un "peso per la società" e "l'assassino di sua moglie" e tutti i successi di cui andava così fiero (a dispetto di quelli che alla sua età facevano i conti col fallimento, sua moglie compresa) erano fuffa.
Così come sua suocera era sola da prima di perdere fisicamente sua figlia, anche se la vediamo spesso parlare tra sé e sé in giapponese, una lingua che Oghi non conosce (ancora una volta, incomunicabilità), si presume coi morti: una sorta di auto-inganno, come quello dell'Oghi di successo (o nel breve momento in cui è convinto di star muovendo le gambe).

Insomma, una lettura per gli amanti dei flussi di coscienza psicologici più che per quelli dell'orrore, che taggo nel genere horror un po' a martellate. Non gli do un voto pieno perché sono una di quelle anime belle che il finale lo vuole o si sente presa per i fondelli, con buona pace dello stile della sensibilità orientale.

Giudizio finale:

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