venerdì 10 aprile 2020

[Recensione] LA MEMORIA DI BABEL (L'ATTRAVERSASPECCHI #3)

Autore: Christelle Dabos
TraduzioneA. B. Testasecca
Ed. Italiana: E/O, copertina flessibile, 447 pagine,
Anno (Italia): 2019
Euro: 16,00

Se alla fine del romanzo precedente avevamo scoperto qualcosa che ci aveva fatto uscire dall’orticello dei piccoli patemi sentimentali tra due scemi che non si parlano nemmeno se ne va della vita (letteralmente), non interagiscono che per pochissimo eppure sono uniti da un sentimento che travalica il tempo, lo spazio, ma soprattutto la logica… Se eravamo venuti a conoscenza del boss finale di questa saga, il potentissimo Mille Facce che si fa chiamare Dio e di un’altra creatura, l’Altro, liberata dalla stessa Ofelia durante il suo primo viaggio attraverso gli specchi e quindi ingenuamente pensavamo che l’autrice a questo punto volesse imbastire una trama seria…
Beh, siamo rimasti parecchio delusi.

DUE RIGHE DI TRAMA
Avevamo lasciato la giovane Ofelia con tanta consapevolezza di sé da riempire un autotreno: decide di prendere finalmente il destino nelle proprie mani, non farsi imporre più nulla dagli altri, smettere di fare la ragazzina bullizzata da qualunque stronzo passi per caso e fare finalmente chiarezza nel suo cuore: intercede presso il sire Faruk per potersi unire in matrimonio con l’amato Thorn mentre lui è in galera in attesa dell’esecuzione (viene loro concesso addirittura di portare avanti la cerimonia ufficiale dello scambio dei poteri, cosa che mi sembra un po’ stronza visto che stiamo parlando di far acquisire nuovi poteri a un condannato a morte e a una potenziale vedova in cerca di vendetta), è in prima linea a difendere l’amato dalle mire di Dio, e nonostante alla fine del volume precedente resti sola decide di scoprire chi è Dio, sconfiggerlo, e riunirsi all’amore della sua vita.
Ma tra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo E IL.

In questo volume ritroviamo Ofelia 2 anni e 7 mesi dopo gli accadimenti di Gli scomparsi di Chiardiluna intenta a preparare cialde a una festa sulla sua Arca: bullizzata e sminuita dalla volitiva madre, tenuta d’occhio dalle ancor più volitive Decane (che ora sappiamo essere in combutta con Dio), sgridata in continuazione dalla zia Roseline, talmente goffa che nessuno osa chiederle neppure lo sciroppo per le cialde per il timore che rovesci il bottiglino (cosa che accade con una precisione matematica; perché questi momenti comici che vanno avanti da tre libri e ci ricordano quanto Ofelia sia specialissima perché è goffa come noi non stancano mai).
Praticamente si è resettata.

Si angoscia per Thorn.
Di nuovo non riesce ad attraversare gli specchi.
Si angoscia per il suo museo barbaramente epurato dei manufatti bellici.
Aspetta da brava signorina che il prozio le porti di nascosto degli indizi che la condurranno a Babel (l’arca retta da Polluce e Helena, signori dei sensi, in cui è contenuto il Memoriale, praticamente il più grande archivio storico di questo universo creato dalla Dabos: perché ci vogliono 3 anni e gli indizi dello zio a far capire a una persona che GESTIVA UN MUSEO che se vuoi scoprire qualcosa sul passato ancestrale del mondo devi andare a indagare dove ci sono gli archivi storici più antichi. 
Aspetta sempre con educazione l’arrivo di Archibald, che botta di culo vuole abbia acquisito da Ildegarda il potere di aprire passaggi segreti temporanei e viaggiare attraverso i mondi tramite le Rose dei Venti, per fuggire da lì attraverso un gabinetto e recarsi da sola a Babel per mimetizzarsi tra gli autoctoni e indagare sull’identità, ma soprattutto sui punti deboli, di questo Dio.

E’ pure “un po’ ingrassata”, ci tiene a specificare. Perché evidentemente per la Dabos è un crimine di bruttezza sia essere brune, come ci ha ricordato precedentemente a più riprese, che avere un paio di chili in più. Cosa cui non si farà mai più cenno in tutto il romanzo comunque.
Lei e il suo nuovo culo da ghetto girl comunque sono in cerca dell’amato Thorn.

Giunta su Babel (“devo andare da sola!”, aveva detto, e pareva così convinta che gli altri si sono pure fidati a mandarcela), tanto per cambiare a ennesima dimostrazione di quanto ora le cose stiano marciando in una direzione netta, precisa e solida e non si sta affatto girando in tondo per allungare la broda, Ofelia non avrà la più pallida idea di come funzionino le cose su questa Arca e farà il solito casino: 

Chiede a chiunque incontri come raggiungere la sua meta (un po' come Roger Rabbit che chiede a tutto il circondario dove si trovi la casa di Eddie Valiant finché non glielo dice il tizio del negozio di liquori)…



 Lascia la borsa che contiene tutte le sue cose compresa la fida sciarpa sul tram e si fa notare da chiunque correndo inutilmente dietro ai binari e sbracciandosi come un fagiano. Ma ora che si è tagliata i capelli e ha messo via la sciarpa è irriconoscibile, come quando Superman diventa Clark Kent.

 Si fida come al solito del primo estraneo gentile che passa, un ragazzo di nome Ambroise, anche se a questo giro sa che c'è un potente mutaforma che la cerca.
Ma la fiducia è sacra nel mondo della Dabos.
Anche i Genealogisti che vogliono spodestare Dio del resto si fidano aggratis di Thorn nonostante lui potrebbe benissimo essere una spia o l'essere che vogliono tradire sotto mentite spoglie. 

Nonostante abbia passato 2 anni e 7 mesi chiusa in camera a studiare libri su libri sulla storia e su Babel, così dice lei almeno, e nonostante sia fondamentale tenere come al solito un profilo basso, non sa che si trova su un’arca in cui, ad esempio, vige un rigido dress code che se non seguito può farle rischiare la galera.
Senza Ambroise il libro finiva a pagina 50, insomma.

Ma la nostra nuova determinata Ofelia non perde d'occhio il suo obiettivo tra una cazzata e l'altra: va a fare un colloquio per diventare aspirante bibliotecaria mistica.
E' la prima cosa intelligente che le si vede fare da un botto di tempo visto che ha senso entrare nel sistema se vuoi consultare documenti normalmente non visionabili al pubblico, ma la Dabos come al solito complica inutilmente le cose per rincoglionire chi legge con le supercazzole: visto che Ofelia ha dei documenti falsi in cui figura come Eulalia, lettrice di ottavo grado (avrebbe quindi poteri talmente diluiti da poter essere considerata una senza poteri), va al colloquio con la tunica bianca dei senza poteri addosso ma poi per tutto il tempo le fanno usare i suoi poteri, lei è una lettrice di talento anche se le manca un metodo  di lettura professionale, e nessuno lo trova un minimo sospetto.
Né nessuno le controlla mai i documenti.
All'anima della fiducia…



Seguono pagine di cose mai viste in questa saga.
Ofelia che finisce nella solita casata Serpeverde violentemente bullizzata dagli altri stagisti-schiavi verso la corsa spietata al ruolo di bibliotecario mistico con contratto a tempo indeterminato, l’indifferenza totale degli organi di controllo preposti, Ofelia che cerca inutilmente di convincerci di essere temprata dalle avversità e maturata quando è la solita figlia dell'estate che subisce all'infinito senza reagire, Ofelia che gira inutilmente in tondo come le galline decapitate per la maggior parte del tempo poi sbrocca con uno spirito di famiglia, a questo giro Helena, che a una certa le dirà che non è questo fenomeno di lettrice.


Digliene quattro, Ofelia!

E fa bene a indignarsi.
Deve esser fiera di un dono che finora le ha fatto palpare al massimo qualche arancia e un cuscino, e che le ha fatto cogliere dagli oggetti che ha toccato solo vaghe sensazioni che 9 volte su 10 l'hanno distratta più che aiutarla a risolvere la situazione. Rimettila al suo posto questa Helena.


*

IMPRESSIONI SPARSE

Questo terzo capitolo (su quattro) di L’Attraversaspecchi vorrebbe porsi, e farci porre, delle domande di una certa importanza per lo sviluppo della macro-trama che ogni tanto cicciano fuori, con calma, tra una parentesi di nonnismo da caserma e un episodio di Dawson’s Creek.
Chi è Dio? Perché il mondo sta cadendo in pezzi?
Perchè l’artefice di tutto ora sembra così propenso a distruggere quello che ha creato? Perché la via della pace è lastricata di silenzi, morte, censura e una generale condizione di asservimento e ignoranza del genere umano ad opera di una ristretta élite di fedelissimi alla divinità? Ma soprattutto: Perché non vedo Thorn tra la folla? Perché quando lo ritrovo è cattivo con me? Ma anche: "Come farà una maldestra come me ad adattarsi al modello di ordine e obbedienza che desidera Dio?" (sic!!)

E chi è Eulalia in realtà?

Perché se Ofelia è di nuovo incapace di attraversare gli specchi non è solo perché l’autrice è incapace di proporci una crescita del personaggio lineare e allora preferisce fare un reset a ogni capitolo, ma perché i ricordi del sire Faruk, trasmessi a lei tramite il potere di Memoria ereditato da Thorn, sono profondamente legati a una donna di nome Eulalia, qualcuno che sembra somigliarle molto e che ha giocato un ruolo fondamentale nel destino del mondo.
Quindi nel romanzo precedente Ofelia aveva catturato l'attenzione di Faruk non perché somigliava a una persona specialissima comune, ma alla più specialissima delle persone specialissime!
Ofelia, assumendone l’identità a scopo di spionaggio e costretta a tagliarsi i capelli per “rendersi irriconoscibile”, si ritrova a subire una profonda crisi d’identità, risolta in due secondi con la consueta e sbrigativa faciloneria cui ci ha abituati la Dabos. In pratica sbattono Ofelia in una cella d’isolamento casualmente piena di specchi e voilà.
Il più cretino dei Deus ex machina mai visto in tanti onorati anni di YA.

Tutto questo poi viene lasciato di nuovo in secondo piano rispetto alla storia d’amore tra i due protagonisti, che si sta trascinando da tre volumi e continua ad essere di una bruttezza disamante.
Se sembrava che alla fine del secondo volume questi due geni per motivi noti solo a Dio (è il caso di dirlo), visto quanto poco interagiscono, avessero scoperto il grande amore ora è tutto cancellato. Ofelia ritroverà Thorn ma sarà il solito frigido dito in culo.
Sempre col passato tristanzuolo.
E il pensiero non può che correre immediatamente a lei:


Drama, drama a caso tutto intorno.
Esce dalle fottute pareti.
Lei continuerà a non parlargli dei suoi timori, dei pericoli che sta affrontando e delle persone che le stanno rendendo la vita impossibile al Memoriale, lui nonostante affermi che ora sono complici alla pari in questa mission impossibile continuerà a trattarla come una pedina interscambiabile che o le è utile o verrà sostituita come le pile di una radiolina (furbo, considerando i poteri di lei e il fatto che sia l’unica a poterlo aiutare davvero visto che conosce le sue mire secondarie e la sua vera identità) se, e accade davvero, tarda a un appuntamento.


Thorn: "Non mi servi più, vai via."
Ofelia: "Ma ho scoperto una cosa importan..."
Thorn: "Sei in ritardo di tre ore."
Ofelia: "Ma aspetta..."
Thorn: "TRE OREEEEEEEEEE!"
Lei cerca di raggiungerlo comunque mentre lui le dà le spalle e Elsa le scatena contro gli Artigli, lasciandola ferita fisicamente e nel cuoricino. Ora, fan della saga, so che la sua è stata una difesa istintiva e non l’ha fatto apposta, posso arrivare a comprendere che entrambi hanno le reazioni psicologiche ed emotive di bambini di 5 anni, ma perché dopo questo episodio e prima dell'immancabile chiarimento lei continui a sognare le sue manone frigide sul suo corpo va oltre ogni umana comprensione.

Non è un sentimento sano quello di Ofelia. 
Non è un rapporto che voglio veder dipingere come romantico in un libro per ragazzi. Tra l’altro l’immancabile happy end, la conclusione a tutta questa freddezza e violenza di lui (tutte cose che continuano a metterla perennemente a disagio in sua presenza, che è proprio il sentimento che voglio provare per il mio partner del cuore. La paura.) è che è tutta colpa di Ofelia, perché alla fine del loro primo incontro al Memoriale dopo 3 anni che non si vedevano non gli ha detto “Ti amo anch’io…” e non si è “messa a nudo”.
Almeno finora. *Ammicco ammicco*…


*

In generale i rapporti umani tra i vari personaggi di questo libro sono imbarazzanti: al di là di Ofelia che riesce a stare simpatica a gente che fino a due minuti prima l’avrebbe volentieri buttata da una torre, o che non hanno con lei alcuna interazione che esuli dalla mera professionalità (cosa a cui ci hanno ormai abituati dal libro uno), abbiamo in questo volume l’immancabile e inutile (perché il fatto che sia gay non serve a nulla a livello di trama e non è nemmeno un personaggio così memorabile e ben scritto da far palpitare il cuore agli amanti delle tematiche LGBTQ+) quota gay a caso!


Ofelia infatti conosce Blasius, un commesso del memoriale convinto di portare sfortuna, povera stella (e visto che il destino gli reca in dono Ofelia il dubbio viene anche a noi): nonostante dovrebbe mantenere, ricordiamolo sempre, un profilo basso e nonostante il suo nemico possa assumere l’identità di chiunque se lo porta dietro in missione segretissima, in un postribolo frequentato da sobillatori del popolo dal nome boh, forse qui è colpa del traduttore (Senza Paura E Quasi Senza Controllo...). Visto che a quanto pare le protagoniste speciali non danno appuntamento a uomini single a Ofelia viene il dubbio che lui si sia fatto strane idee e gli dice “C’è un uomo nella mia vita”.
“Anche nella mia”, replica lui.
Ora Ofelia può rilassarsi e prenderlo per mano distendendo le labbra in un sorriso sereno che lui ricambia. L’amicizia è suggellata. Ragazza e uomo gay,  il rapporto di amicizia più solido delle sitcom americane. Perché fosse stato un etero che voleva semplicemente andare a bere qualcosa con un’amica senza per forza starci a provare cosa sarebbe successo esattamente, Ofelia scappava urlando?
Non scattava la scintilla d'amicizia?


Lo stile del romanzo resta infantile, e quando l'autrice costruisce capitoli interi intorno al punto di vista di una bambina di due anni la cosa si avverte in maniera ancora più fastidiosa, anche se come espediente narrativo in sé non è male.
Se non altro stacca un po' da Ofelia.
E ci fa intuire che Vittoria vittoria potrebbe rappresentare una chiave di volta molto importante nella risoluzione della situa, anche se ogni tanto dovrebbe usarlo un nome perché sentir chiamare ottocento volte Gaela "la donna con gli occhi strani" dovrebbe essere considerato attenuante nei casi di omicidio.

La Dabos poi come sempre riesce a mandare in vacca qualsiasi scena un pelo drammatica o potenzialmente toccante: quando Gaela chiede a Ofelia se madre Ildegarda si sia davvero uccisa per colpa delle mire di Dio sul mondo le reazioni dei presenti al suo lapidario sono: 
“Gaela smoccola come un camionista, Renard si solleva gli occhiali, Archibald ride (?? ... boh) e la zia Roseline si morde le labbra”.
Wow, che pathos, caspiterina.


Il worldbuilding resta pigro e sciatto.
Tutto si riduce a Ofelia che descrive cose o fa elenchi chilometrici che altro scopo non hanno che fare volume e giustificare il costo del libro.
La Dabos, ormai è chiaro, non è in grado di dar vita a un mondo fiabesco e caotico come quello in cui si muove Ofelia, e ha anche la faccia come il culo di far dire ai suoi personaggi che è lo stile dei romanzi di E.D. ad essere noioso e i suoi contenuti banali e moralisti… 


Forse anche E.D avrebbe dovuto ficcare dei gay a caso nei suoi racconti e una storia torbida tra una crocerossima e Elsa di Frozen per essere apprezzata e al passo coi tempi...

IN CONCLUSIONE...
Una saga che si sta rivelando sempre più noiosa e deludente, mal costruita, senza capo né coda e con un romance non solo banale ma anche diseducativo, perché continuo a ribadire che non basta il passato tristanzuolo di lui e la grande missione per la salvezza del mondo a giustificare il modo in cui Thorn interagisce con Ofelia, che in sua presenza cammina perennemente sulle uova.
A questo punto manca solo un romanzo alla fine, quindi potrei anche fare lo sforzo di vedere se qualcosa si salverà.
Ma ne dubito.


Giudizio finale: 
Ormai solo un miracolo può risollevare questa serie dal baratro...
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