Autore: Leigh Bardugo
Traduzione: M.C. Scotto di Santillo
Ed. Italiana: Fabbri, copertina rigida, 466 pagine,
Anno (Italia): 2017
Euro: 19,00
Traduzione: M.C. Scotto di Santillo
Ed. Italiana: Fabbri, copertina rigida, 466 pagine,
Anno (Italia): 2017
Euro: 19,00
Dopo essere rimasta stregata
dalla dualogia di Sei di Corvi (QUI
e QUI ne parlo in maniera logorr…. approfondita e molto professionale)
ho deciso di non poter ignorare il soave richiamo di sirena di un altro volume
scritto dalla nostra carissima Leigh Bardugo per la serie DC Icons (Ovvero: i personaggi DC incontrano autori che per un motivo o per l’altro vendono
molti libri nella vana speranza che questo porti al cinema anche gente che non
muore dietro ai sodi pettorali di Jason Momoa...), anche se di solito quando a
un autore viene chiesto di incatenare la propria creatività e scrivere una
fanfiction su personaggi altrui viene fuori una mediocre cagata.
Ero quindi piuttosto scettica
su questo volume.
Ora, a lettura ultimata, posso
affermare che se non raggiungiamo le alte vette di altre opere della Bardugo né
mi sento di annoverare questo volume tra i capolavori della letteratura
mondiale per ragazzi, non ci ritroviamo nemmeno tra le mani una cagata. Andiamo
senza ulteriori indugi a spiegare il perché.
*
DUE RIGHE DI TRAMA – Diana è una principessa guerriera forgiata dal fuoco di mille battaglie amazzone,
figlia della regina Ippolita. Vive con le sue sorelle guerriere sull’isola di Themiscyra:
non solo si sente diversa dalle altre (ma dai?), ma lo è (ma dai??): nata dal
fango per volere degli dei invece che dal fuoco di mille battaglie,
giovanissima rispetto alle sue compagne, oggetto di un non troppo velato
disprezzo da parte delle fasce più estremiste delle Amazzoni, Diana è tutto
fuorchè la Wonder Woman di film e fumetti: ha solo 17 anni, è debole rispetto alle altre anche
in virtù della sua giovane età, non eccelle nel combattimento e nella corsa, e
nonostante tutto è destinata a diventare regina di questo popolo di donne
guerriere.
Diana vive sempre un passo
indietro.
Rispetto alla madre, algida e
benevola sovrana, rispetto alle sue compagne.
Si sforza di tenere il passo
con le altre amazzoni senza riuscirci, e sente di deludere tutti.
Un giorno però accade qualcosa
di davvero inaspettato, e vediamo Diana coinvolta in un espediente davvero originale
nella saga di Wonder Woman, proprio mai usato nei fumetti e nei film anche
recenti dedicati a questa eroina, vale a dire il salvataggio di una persona che
si ritrova in pericolo di vita a poca distanza da Themyshira dopo l’esplosione
della sua nave. Diana, che a furia di salvare gente che le annega vicino casa è
stata insignita del titolo di Baywatch onoraria, evoca il potere di Ariel la
sirenetta e affronta il mare burrascoso per portare in salvo questa giovane
mortale, nonostante l’accesso a Themiscyra sia proibito agli stranieri. Questa ragazza
di nome Alia Keralis, si rivelerà ben
presto essere una Warbringer. Discese
dal sangue di Elena di Troia, figlia di Nemesi, nel corso dei secoli le
Warbringer hanno recato in sé la capacità di generare conflitti, creare
dissapori e violenze, scatenare devastazioni a livello globale. La sua sola presenza
a Themiscyra, isola consacrata alla pace dalle dee dell’Olimpo, scatena su di
essa una pestilenza che va a colpire alcune amazzoni, tra cui la più cara amica
di Diana.
Anche Alia, di contro, viene avvelenata
dal potere benefico di Themiscyra.
Diana, interrogato l’Oracolo
in cerca di risposte, viene posta di fronte a una scelta che cambierà la sua
vita, e non solo: aiutare Alia a spezzare la maledizione delle Warbringer o non
fare nulla, semplicemente, e lasciarla morire.
*
DUE SPUNTI DI RIFLESSIONE – Tanto per
cominciare questo libro si regge su una tematica che qualsiasi buona storia di
Wonder Woman dovrebbe avere, ovvero parla
di donne. Parla di Diana,
così paradossalmente umana nel suo desiderio di fare la cosa giusta ma anche di
inseguire sogni di gloria che ritiene di dover rivendicare per sentirsi davvero
un tutt’uno con le sue sorelle. La sentiamo riflettere sul motivo di accettare
o meno l’occasione di abbandonare la sua casa che le viene proposta: vuole
salvare le amazzoni e la sua isola, non vuole lasciar morire un’innocente anche
se potrebbe distruggere il mondo, ma è anche il desiderio di imbarcarsi in un’impresa
gloriosa che la renda un’eroina a spingerla lontana da Themiscyra. Diana non
riesce a emergere tra le amazzoni, nel tentativo di salvare Alia ha perso l’ennesima
gara di corsa contro le sue sorelle.
Diana ha un grande desiderio
di sentirsi come le altre.
Di sentirsi una sorella, ma
anche una futura regina a cui la madre possa guardare con orgoglio.
Non avendo mai abbandonato
Themiscyra non conosce il mondo degli uomini e la sua confusione è a più
riprese palpabile (forse a volte persino troppo e in modo confuso, perché sembra
che Diana conosca o non conosca elementi del mondo moderno in maniera
assolutamete casuale a volte, sembrano forzature per creare questa o quella gag
comica. Non sa cosa sia una supermodella ma sa cos’è un fumetto? Via…): ha
letto molti libri per tenersi al passo con gli avvenimenti del mondo esterno ma
fatica ad afferrare ciò che concretamente significa trovarsi in una
metropolitana di New York sotto gli sguardi lascivi di qualcuno che apprezza
fin troppo il suo modo di vestire, o in un centro commerciale, o a una festa.
Fatica a comprendere la visione del mondo di quelle ragazze mortali con cui
stringerà un legame indissolubile, ma al tempo stesso le ammira per la loro straordinaria
capacità di vivere, nonostante il poco tempo concesso loro su questa terra.
Diana non è Wonder Woman, è solo Diana. Che sbaglia, pecca di ingenuità,
scherza come una ragazzina ma ha su di sé il peso del mondo.
Parla di Alia, una ragazzina nerd appassionata di biologia che reca su di sé
una responsabilità forse ancora maggiore di quella di Diana: è sempre stata
controllata un po’ troppo dalla sua famiglia, cosa che ora la rende un po’
insicura, è votata anima e corpo alla scienza e quindi faticherà a credere alle
parole della forzuta straniera dagli occhi color del cielo, inizialmente (in
modo del tutto plausibile) la asseconderà per farsi portare a casa ma pian
piano, dopo aver appurato che non è né il membro di una setta hippie né una
pazza pericolosa comincerà a credere seriamente alla storia della Warbringer, e
alla necessità di spezzare questa catena di violenza. Intorno ad Alia infatti
si sono sempre scatenati conflitti, cosa che l’ha portata ad avere pochissimi
amici. Arriverà a sentire con violenza la responsabilità personale di quell’odio,
a provare disprezzo per quello che è anche se il fatto di essere una Warbringer
non dipende certo da lei, ma non per questo arriverà a negare se stessa.
Parla di Nim, la sua migliore amica: bassina, rotondetta, con un gran gusto
per la moda e una disperata voglia di emergere, farsi notare ed essere davvero se
stessa amando chi vuole senza subire giudizi: Nim è infatti gay, o bisex (non
ha ancora deciso), e nonostante venga da una famiglia amorevole e incoraggiante
ha comunque il terrore di portare loro a casa una fidanzata.
Paura che non approvino.
Come se non bastasse questo
libro parla di donne (anzi, di
personaggi) “diversamente bianche”, e la questione non ha solo lo scopo di
trasformare questo libro in un’enorme cartellone pubblicitario della Benetton
senza asiatici: Alia ha una madre
creola e un padre greco (morti qualche anno prima in un incidente), litiga coi
suoi capelli afro e la prima cosa che fa una volta tornata a New York è tornare
dalla sua parrucchiera di fiducia a farsi sistemare le treccine (talmente
strette da far male), il che non è una cosa dettata dalla vanità. Alia lo dirà
chiaramente a Diana, non può permettersi di andare in giro vestita come una
barbona perché la gente la giudicherà severamente a causa del colore della sua
pelle. Ha un fratello più grande di qualche anno di nome Jason, un paranoico maniaco del controllo che sente di dover fare
di più e meglio degli altri anche in virtù, forse, del colore della sua pelle,
e un amico (*wink wink*) di nome Theo,
anche lui di colore, che non gioca a basket ma è un genio dell’informatica.
Nim è indiana, e forse anche da quello deriva la paura apparentemente
infondata di confidarsi totalmente con la sua famiglia perfetta e incoraggiante.
Le circostanze in cui queste due ragazze diventano amiche non è casuale: durante
una recita scolastica in cui si metteva in scena il MacBeth, casualmente alle
uniche tre non caucasiche (loro due e una ragazza filippina. Toh, in effetti l’Asia
non mancava!) fu affidato il ruolo delle streghe. Prendendola con ironia senza
lasciarsi abbattere dalle prese in giro, si è suggellata un’amicizia che è
riuscita a resistere persino agli influssi nefasti del suo sangue di
Warbringer. La stessa Diana è fieramente greca, e una marcantonia di due metri.
Tra le stesse amazzoni c’è un’interessante
crogiolo di etnie.
Tekmessa, la più fidata consigliera e amica di Ippolita, è una
donna di colore. Maeve è vissuta ai
tempi della guerra d’indipendenza irlandese. Ma nulla è lasciato al caso e come
al solito la loro presenza non fa quota Benetton: Themiscyra, ci insegna uno
dei miti legati all’isola delle amazzoni, è un santuario in cui trovano rifugio
tutte le donne morte con onore in battaglia, che abbiano rivolto gli ultimi
pensieri alla loro dea. Sia essa Hera, Atena, Artemide, Afrodite, ma anche Oya,
Rani, Yael e la vergine Maria, a Themiscyra c’è posto per tutte e tutte sono
sorelle, condividendo anche a livello somatico gioie e affanni, perseguendo la
pace e preparandosi con coraggio per la guerra.
Persino a Elena viene risparmiato il solito ruolo di mitologica baldracca,
lasciando spazio a una ragazzina vittima di un potere su cui non aveva il controllo,
che da giovane, prima di diventare sposa, rideva, cantava e si divertiva a
correre sulle bighe.
Ma anche se questo libro mette
al centro della sua narrazione delle ragazze i temi che affronta sono per tutti coloro che avranno il coraggio
di abbandonare qualche piccolo pregiudizio e leggere con la dovuta attenzione
un libro scritto da una donna con protagoniste delle ragazze: la guerra è per l’uomo
un richiamo irresistibile dettato dalla sua natura o qualcosa che può rifuggire?
E’ la nostra mortalità o il
semplice desiderio di rivalsa sul prossimo (anche in nome di ingiustizie subite
per il colore della pelle o le nostre preferenze sessuali) a portare alcuni di
noi a desiderare ardentemente di lasciare un segno nel mondo, nel bene e nel
male?
Chi scrive le storie dei
grandi eroi (Teseo, un rapitore; Ercole, un ladro, dirà Diana a cui hanno
raccontato il mito in modo diverso), ma in generale chi ha il privilegio di narrare
il mondo, persegue la verità o imprime il proprio pensiero alla massa?
*
Ma in tutto questo allora perché
non dare a questo libro il massimo della valutazione ma limitarsi a un giudizio nella media? Perché questo libro tutto sommato, e nonostante la bravura dell’autrice quando non la mettono di corvée a scrivere fanfiction su commissione,
non riesce a spiccare il volo dall’oceano melmoso degli young adult.
Perché Warbringer è uno young adult fatto e finito, in cui mancano i veri sprazzi di
genialità della Bardugo, con le tematiche interessanti di cui sopra affrontate in maniera molto superficiale e zeppo di tutti i clichè del genere, compresa la scena immancabile fin dagli albori del teen movie in cui la protagonista deve essere ficcata a forza in un vestito figo per far vedere quanto è belliXXima.
Ormai mi sono convinta che se non ci fosse questa scena in uno young adult qualunque tutti i lettori si domanderebbero: “ma dov’è la scena in cui la protagonista diventa belliXXima?” e chiederebbero in massa la testa dell'autrice per questa deplorevole mancanza.
Ormai mi sono convinta che se non ci fosse questa scena in uno young adult qualunque tutti i lettori si domanderebbero: “ma dov’è la scena in cui la protagonista diventa belliXXima?” e chiederebbero in massa la testa dell'autrice per questa deplorevole mancanza.
Poi, la protagonista dovrebbe essere Diana mentre alla fine ti ritrovi più affezionato ai personaggi secondari: questo è personalmente una delle cose di Leigh Bardugo che più mi emoziona, la capacità di dare vita a dei personaggi veramente vividi e umani.
Peccato che la serie voglia
parlare degli eroi DC e Diana sparisca risultando a conti fatti la più piatta,
in una piroetta di ingenuità sul mondo moderno e una di retorica pacifista a
tratti inutilmente martellante (abbiamo capito, la guerra è brutta): ma almeno non è tutto costruito sul fatto che è
un’amazzone ma in fondo non disegna la salsiccia, visto che di solito sembra
che Wonder Woman non si sposti di un centimetro se non le si smuove l’ormone, e
di questo ti rendiamo grazie, Leigh.
In terzo luogo, il sollievo comico: dovrebbero abolire
per legge il sollievo comico da film Marvel (che da qualche anno è andato
invadendo anche lo spazio DC, la maggior parte delle volte con effetti
imbarazzanti), per intenderci lo stronzo che deve sparare a forza la battuta
ironica a sproposito anche se la situazione è a dir poco tragica.
Nella Justice League il ruolo di buffone è ricoperto da Flash, in Warbringer da Theo, a cui avrei dato volentieri una martellata nelle gengive, è più forte di me (è un problema che ho avuto anche con Jesper in Sei di Corvi, comunque). Poi certo, la Bardugo prova a dargli una profondità caratteriale e ti sorprende pure con un pezzo toccante che ti farebbe quasi provare tenerezza, se il tuo odio per la linea comica non fosse così totalizzante.
Nella Justice League il ruolo di buffone è ricoperto da Flash, in Warbringer da Theo, a cui avrei dato volentieri una martellata nelle gengive, è più forte di me (è un problema che ho avuto anche con Jesper in Sei di Corvi, comunque). Poi certo, la Bardugo prova a dargli una profondità caratteriale e ti sorprende pure con un pezzo toccante che ti farebbe quasi provare tenerezza, se il tuo odio per la linea comica non fosse così totalizzante.
Inoltre i cattivi scompaiono come per magia o diventano improvvisamente incapaci di adempiere al loro ruolo: Diana, Alia e il
resto della gang del bosco dovrebbero essere inseguiti non soltanto da folli
divinità della guerra e del caos ma anche da
persone seriamente intenzionate a liberare il mondo dalla presenza della
Warbringer. Sono quelli che fanno saltare in aria la nave su cui si trova Alia al
largo di Theriscyma, che irrompono a una serata di gala in onore dei Keralis terrorizzando a morte gli ospiti, che lanciano loro contro dei razzi sul
jet che li sta portando in Grecia.
Poi, non pervenuti.
E dove diamine sta Ares
in tutto questo?
Nel mondo sta per sguinzagliarsi il potere di una cavolo di Warbringer, potresti vivere di guerra per i decenni a venire e al solo pensiero dovresti avere tanti
di quegli orgasmi da far vergognare Rocco Siffredi… E invece ritroviamo solo divinità
minori come Eris, Phobos, Deimos a mettere i bastoni tra le ruote ai protagonisti (smettendo poi di essere una reale minaccia in dirittura d'arrivo. Boh)? Neanche un vago accenno al dio della guerra
in un libro che parla di guerra? E non si può nemmeno obiettare che per esigenze di trama le divinità
superiori non intervengono nelle vicende mortali altrimenti sarebbe una lotta impari, perché intervengono. Eccome se intervengono.
Si può dire che senza di loro proprio non si muova foglia.
Infine, mi rompi le scatole
per tutto un libro sulla scienza e la biologia, i protagonisti sono dei nerd e uno è il giovane capo di un'impresa che si occupa di miracoli biologici e poi basta iniettarsi il sangue di Wonder Woman (prelevato PRIMA
che rinasca come amazzone e quindi usi i suoi poteri al massimo, tra l’altro)
per diventare un’amazzone? Se proprio non avevi voglia di fare qualcosa di più
sensato logicamente per risolvere la situa almeno potevi tirare in ballo un mago, Leigh.
Insomma, una lettura gradevole con dei bei messaggi di fondo e dei bei personaggi ad uso e
consumo dei più giovani o di chi ha nel cuore proprio il genere YA con tutti i suoi
clichè.
Giudizio finale:
YA nella media con sprazzi apprezzabili |
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