Paese: UK
Genere: Spionistico, avventura
Regia: Terence Young
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Johanna Harwood, Richard Maibaum
Cast: Sean Connery, Daniela Bianchi,
Robert Shaw, Pedro Armendàriz, Lotte Lenya
Prosegue
il mio recupero in ordine cronologico dei film della spia che amava decisamente troppo con una delle pellicole forse più
amate dai fan, e quella che sancisce ufficialmente la nascita del franchise di
James Bond (con tanto di avviso che sa di minaccia, James Bond tornerà, in chiusa). Se Licenza di uccidere è
stata la rampa di lancio, Dalla Russia
con amore è stato l’Apollo 11 che ha portato la serie sulla luna.
Se
ne accorge Ian Fleming, che
nonostante le prime perplessità è talmente entusiasta della scelta di Connery
nel ruolo di Bond da dare al personaggio degli avi scozzesi negli ultimi
romanzi della serie, e talmente entusiasta del film in sé da presenziare con un
cammeo a bordo dell’Orient Express.
Se
ne accorge Sean Connery che chiede il doppio del compenso (100.000 dollari).
Se
ne accorge il regista Terence Young
che in preda a una febbre spenderecca tipica di chi ha in mano soldi non suoi inserisce
mete esotiche rigorosamente filmate in loco, combattimenti improbabili,
abiti firmati, i primi gadget da spia. Con un budget raddoppiato rispetto al
primo episodio (2 milioni di dollari), e con una produzione che si rivelerà abbastanza
tormentata e baciata in fronte dalla sfiga, ne incasserà quasi 80.
DUE RIGHE DI TRAMA:
Il
film comincia con una sequenza che precede i titoli di testa, trovata che
diventerà ricorrente. Vediamo un uomo di nome Donald “Red” Grant (Robert Shaw) che
uccide James Bond: il senso di straniamento che lo spettatore prova nello star
guardando un film che si chiama James Bond in cui il protagonista gli è appena
morto davanti fa presto a scemare quando scopriamo che l’uomo a terra non è
James Bond, ma qualcuno che indossa una maschera per somigliargli.
Donald
Grant infatti è un sicario che si allena a uccidere il nostro eroe per conto
della S.P.E.C.T.R.E uccidendo finti James Bond.
Fin
qui tutto logico.
A
questo punto facciamo la conoscenza della S.P.E.C.T.R.E, che ci dimostra subito
le dimensioni della sua temibilità con del mobilio uscito dal catalogo Ikea, un
gatto bianco dallo sguardo carico di disprezzo felino (e che in questo film fa le veci di un Ernst Stavro Blofeld ancora senza nome né volto ma che già mi smuove l'ormone per via della sua elegante malvagità e le manine sinuose), una vecchia russa e un giocatore
di scacchi polacco accomunati dal fatto di morire con la faccia/posa più stupida del loro repertorio di attori, seguendo i precetti della
linea comica.
Le faccette, vogliamo le faccette! |
Oh James, ti hanno inquadrato subito.
A
questo giro la carrellata di donne straniere chiamate a interpretare personaggi
di un’altra etnia si arricchisce con la bionda Tatiana Romanova, una delle più amate Bond Girl di sempre, interpretata
dalla nostra bellissima Daniela Bianchi (quasi-Miss Universo 1960).
Italiana,
interpreta un’impiegata di cifratura russa che lavora all’ambasciata di
Istambul, o per meglio dire parte di una impiegata russa visto che la poverina,
nonostante gli sforzi per recitare in inglese, per non passare per una
pizzaiola russa suonatrice di mandolino si vedrà comunque doppiata da Barbara
Jefford, e per unire umiliazione a umiliazione verrà usata una controfigura non
solo nella scena in cui si infila tra le coperte del letto di Bond e noi
possiamo scorgerle le forme adamitiche attraverso tendine semitrasparenti, ma
anche in quella d’esordio in cui ancora non le vediamo il volto ma Bond le studia a lungo e maliziosamente i polpacci
attraverso uno spioncino da periscopio montato sotto l’ufficio dei servizi
segreti bulgari.
Il
regista, parrebbe, trovava orribili le sue gambe.
Infatti
non è che nel corso della pellicola gliele inquadreranno moltissimo.
Poi non so, sarò io, ma le gambe della Bianchi non mi sembrano esattamente due scopini del water... |
…
e poi richiamato di gran lena all’MI6, vestito come accadeva anche nel primo
episodio nientemeno che da Anthony
Sinclair, che provvederà in questo caso a rifornirlo di ben 8 completi da
2000 dollari cadauno. Qui, dopo aver gigioneggiato un po’ con la bella segretaria Moneypenny come da contratto, gli verrà rivelato che una spia russa di stanza
in Turchia ha intenzione di disertare e passare al blocco occidentale portando
con sé in segno di buona fede un apparecchio decrittografante, il Lektor, ma chiede
esplicitamente che le venga mandato James Bond, di cui si è innamorata perdutamente vedendolo in foto.
Nemmeno
James Bond e l’MI6 cascano nel tranello, subodorano subito l’inghippo,
cionondimeno possedere uno di quegli apparecchi sovietici è un’occasione troppo
golosa per farsela scappare in tempi di Guerra Fredda e Bond viene mandato
comunque a Istambul, dove si mette
in contatto con il capo della sezione turca dell’MI6, Ali Karim Bey (ovvero come da standard il messicano Pedro Armendàriz, qui alla sua ultima
interpretazione prima di togliersi la vita in corso di riprese a causa di una
malattia in fase terminale).
Ali
condivide la passione di Bond per l’alcool e le belle donne, passione che ha
portato a un livello superiore dal momento che, come spiegherà al collega
britannico, tutti i membri dell’MI6 della sede di Istambul sono suoi figli (per
garantirsi la fedeltà dei sottoposti). Ma quella che sembra essere una
tranquilla settimana di vacanza esotica per Bond si tramuta in un disastro
quando la S.P.E.C.T.R.E, che aveva previsto che Bond non se la sarebbe bevuta,
porta avanti il suo piano facendo in modo di inasprire i rapporti
fondamentalmente pacifici tra l’MI6 turco e la controparte del blocco
sovietico, cosa che porta a un crescendo di tensione che culmina in una
sparatoria all’interno del campo gitano
più stereotipato mai visto in vita mia, proprio mentre Bond si stava godendo
una catfight tra due donne in mutande per stabilire chi tra le due
dovesse sposare il figlio del capo.
Una
scena infinita dal realismo che rivaleggia con quello delle scazzottate di Bud
Spencer e Terence Hill: una roba talmente sfibrante che quando finalmente
entrano in scena i sovietici a massacrare tutti anche se non hai niente contro
i gitani e non sei religioso levi alti canti di giubilo al cielo.
A
questo punto il piano della S.P.E.C.T.R.E per motivi ignoti non si può
interrompere e vediamo quindi nel corso della violenta
sparatoria che segue (in cui James Bond va in giro a dare spallate e buttare la
gente in acqua come se fosse a un piscina party) una nostra vecchia conoscenza:
Donald “Red” Grant, che se ne sta appostato con un fucile di precisione in una
posizione ottima per piantare un proiettile in fronte a Bond e porre fine al
problema. Grant non solo non gli spara ma addirittura secca due sovietici che stavano
per attaccarlo alle spalle.
Sempre
tutto molto logico nelle scene che riguardano quest’uomo, dev’essere la linea
comica del film.
Dopo
la ritirata dei russi Bond entra nelle grazie del capo gitano per il coraggio
dimostrato e per avergli salvato la vita durante la battaglia, chiedendogli in
cambio qualunque cosa desideri il suo cuoricino.
Essendo
Bond un sofisticato uomo dell’occidente, chiede che le donne smettano di combattere (grazie
James, non avrei retto un fotogramma di più) e per tutta risposta
la decisione della scelta amorosa viene rimessa a lui. Tempo qualche ora di faticoso processo decisionale e le due bellezze esotiche hanno completamente
dimenticato il figlio del capo e si dedicano anima e corpo al piacere dell’uomo
bianco fino alla sua partenza.
Risolta
la questione sovietica con un paio di omicidi, finalmente Bond e Tatiana si
incontrano.
O
meglio, lei incontra lui facendosi trovare completamente ignuda nel letto della
sua stanza l’albergo mentre lui si sta preparando al doccino serale coperto
solo da un asciugamano (e a questo proposito non ricordo che abbia chiuso
l’acqua prima di dar via all’accoppiamento, maledetto nemico dell’ambiente).
Dopo
averla rodata Bond recupera ragazza e apparecchio e i due salgono sull’Orient Express diretti alla volta di
Venezia (e da lì a Londra) fingendosi una coppia di sposini novelli, espediente
che offre la scusa per vedere la Bianchi volteggiare leggiadra in una
scollatissima sottoveste azzurra mentre sogna un futuro con Bond.
In tutto questo delizioso teatrino ci dimentichiamo sempre la solita Sylvia Trench che lo aspetta a casa e comincia già a incontrare le prime serie difficoltà a passare per le porte di casa. |
Ma
non la si fa al più sofisticato agente segreto del mondo, specie se ordini vino
rosso col pesce.
"Srly, man?" |
Voglio
pensare che sia questo, e non il vino, a fare da campanello d’allarme
permettendo a James Bond di prepararsi all’attacco della S.P.E.C.T.R.E e
liberarsi con la solita maestria dell’assassino, anche se continuo a non capire
perché non potesse uccidere James Bond al campo gitano, contattare la Romanova
(che mi sembra una bimba in grado di prendere un treno) e proteggerla da eventuali ripercussioni dell’MI6.
Ma
ho smesso da tempo di farmi domande dettate dalla logica quando guardo un film
di James Bond, già sono felice che non abbiano ancora buttato tutto di fuori rendendo quest’uomo l’equivalente
spionistico di Batman.
Anche
se negli ultimi 30 minuti il film si rivela una sequela di scene d’azione
decisamente sopra le righe rispetto al resto.
Abbiamo,
nell’ordine:
-
La fuga da un furgoncino della Chevrolet giallo limone causa attacco elicottero
-
Elicottero in tinta col suddetto furgoncino versus James Bond a piedi (scena in
cui il povero Connery ha quasi rischiato la decapitazione)
-
Inseguimento in motoscafo sul mare di Venezia con esplosioni, cattivo che imita
la Torcia Umana e oceano di fuoco finale
-
L’iconica scena del combattimento in camera d’albergo contro Rosa Klebb (numero 3 della
S.P.E.C.T.R.E.) vestita da cameriera e col punteruolo avvelenato nella suola
della scarpa. Che nel pratico diventa un imbarazzante incontro tra un uomo
adulto nel pieno della virilità che si prende a spintoni con una vecchia dalle
gambe corte, scena a cui fortunatamente una Tatiana ormai davvero innamorata di
Bond metterà fine con un colpo di pistola.
Salvata
ancora una volta la situa, Bond e Tatiana potranno finalmente godersi le
bellezze di Venezia come due innamorati insieme al prezioso Lektor mentre la
S.P.E.C.T.R.E. se la prenderà per la seconda volta in saccoccia.
*
“Dalla Russia con Amore” è il film che finisce di sedimentare
elementi che diventeranno parte integrante della lore bondiana nei film più
mainstream dei decenni a venire: la canzone dedicata di apertura (qui presente
nella chiusa, “From Russia with Love”
cantata da Matt Monro), le rocambolesche scene d’azione, la libido sfrenata di
Bond, l’eleganza e il lusso.
E’
anche il film che ci introduce la S.P.E.C.T.R.E.
e anche se ancora non conosciamo il suo aspetto o il suo nome il suo diabolico
capo Ernst Stavro Blofield insieme
all’iconico felino malvagio (trovata che ha fatto scuola, persino il perfido
Dottor Artiglio di Inspector Gadget
richiama molto questo personaggio).
Compaiono
per la prima volta Q (Desmond
Llewelyn, che interpreterà il personaggio in tutti i film successivi tranne uno
fino alla sua morte, nel 1999) e i suoi gadget
da spia, anche se in questo film l’unico degno di nota è l’ingegnoso sistema di
apertura della valigetta di Bond dal momento che il resto dell’armamentario
sono armi e denaro nascosti in vani segreti, bombolette di gas che sembrano
flaconi di borotalco e fucili smontabili.
E’
però al tempo stesso un film serio, che per la maggior parte del tempo
(escludendo le acrobazie dell’ultima mezz’ora) si tiene molto ancorato a terra,
con delle tinte fosche che devono più al thriller spionistico a la Le Carré che a un baraccone pirotecnico,
arrivando a concedersi persino scene ricche di finezza
psicologica, laddove non addirittura intime.
Si
pensi ad esempio al modo sottile in cui la S.P.E.C.T.R.E.
agisce, cercando di seminare zizzania tra i due blocchi per prosperare e fare
la propria mossa (con una strizzata d’occhi anti-ideologica – comunista secondo
i canoni dell’epoca? – rappresentata dal
modo rilassato, decisamente easy, con
a Istambul gestiscono gli avversari del blocco sovietico prima dell’intervento di
una forza esterna, quasi a ridicolizzare tra le righe l’intera idea alla base
della Guerra Fredda), o al personaggio di Donald
Grant.
Donald
Grant sappresenta in questo film una sorta di doppio di James Bond: non
è un caso che finchè non rivela la sua identità irlandese quello che vediamo di
lui è un letale ed elegante uomo dall’accento
inglese che non lesina l’uso della violenza né disprezza l’omicidio per
giungere ai propri scopi.
La
descrizione calza a pennello anche per Bond.
Lo
stesso recupero del dispositivo Lektor,
la scusa che mette in moto l’azione, non è mai dipinto come una lotta tra il
bene e il male, perché la verità è che nulla ci fa intendere che la MI6 sia
meglio del KGB o della stessa S.P.E.C.T.R.E. e nulla ci dà a intendere che tra
Bond e Grant ci sia tutta questa differenza sia in termini di intelligenza che
di crudeltà. Proprio come accade nella partita a scacchi che fa da apertura al
film, e nella vita vera, a vincere è il migliore e non il più buono o
moralmente retto.
E’
anche un film inaspettatamente pieno di temi sessuali in
maniera sia esplicita che tra le righe, cosa che stupisce non poco anche perché
stiamo parlando di un film degli anni ’60, e al tempo la censura menava duro
anche oltralpi (al punto da aver creato qualche problema la scena in cui Bond e
Tatiana al loro primo incontro fanno l’amore mentre dietro l’enorme specchio
della camera d’albergo si nascondono uomini della S.P.E.C.T.R.E. intenti a
filmare tutto).
Tralascianto
le scene in cui la telecamera indugia molto, con occhio quasi voyeuristico,
sulle forme della pletora di belle donne discinte che affollano la pellicola, o
i sussurri sensuali che Bond rivolge alla segretaria Moneypenny, stupisce
notare che il regista non si premura di nasconderci tra le altre cose le preferenze
sessuali saffiche della sadica Rosa Klebb.
E’
un attimo ma è lì su pellicola davanti agli occhi di tutti, il momento in cui
mentre sta informando la giovane e bella Tatiana sulla sua missione la Klebb le
pianta una mano sul ginocchio con intenzioni inequivocabili. La toglierà subito
dopo quando lo sguardo della Romanova si abbasserà in maniera tutt’altro che
interessata, ma le dinamiche di potere e sesso ci sono tutte.
Tutto molto appropriato... |
Continuiamo
poi con degli accenni a una concezione di possesso e sottomissione (della
donna, quando te sbagli) decisamente erotica per i canoni dell'epoca: al di là della suddetta scena con
la Klebb con le sue dinamiche squilibrate
di potere (Weinstein, anybody?), ci sono altre due scene in cui queste vibes si fanno prepotenti.
Una
è la scena al campo gitano in cui le due zingare
si inchinano ai piedi di Bond pronte a servirlo e riverirlo in tutto e per
tutto con sguardo adorante, ma la più emblematica è la scena del collare di Tatiana.
Nella
prima scena in cui la incontriamo Tatiana è completamente nuda, eccezion fatta
per un nastro di stoffa nera che le cinge il collo come un collare: questo è
incredibilmente simbolico dal momento che in questo momento Tatiana non è altro
che una marionetta senza volontà, una pedina fedele alla S.P.E.C.T.R.E. che è
stata addirittura costretta a sedurre Bond con la sua bellezza e a finirci a
letto per guadagnarsi la sua fiducia e poi recuperare il Lektor.
In
seguito, sull’Orient Express, i due si avvicinano.
Il
momento in cui tra i due sembra scattare qualcosa di più del mero dovere è
suggellato dal momento in cui è Bond a legare intorno al collo di Tatiana lo
stesso collare che indossava durante il loro primo incontro.
E’
Bond ora a legarla a sé come schiava d'amore.
*
Naturalmente
facciamo i conti con le inevitabili conseguenze dell’essere un film del suo
tempo, vale a dire una discreta dose di razzismo e maschilismo che non ci possiamo certo far mancare:
non si lesina un occhio di bonaria tolleranza dell’uomo bianco di fronte alle
barbare usanze gitane o a uomini Turchi che figliano come conigli, né una
battuta sulle donne che non tengono mai
chiusa la bocca, un catfighting fatto per l'unico motivo per cui due donne possono volersi cavare gli occhi (l'attenzione di un uomo) o un bello schiaffone dato al momento giusto alla femmina
che pensi ti abbia tradito.
Che
però poi ti ama lo stesso e forse anche di più visto quanto sei maschio.
Ma
non essendo mia intenzione giudicare un film di quei tempi con la sensibilità
odierna concludo dicendo che pur con tutti i suoi difetti ho amato alla follia questo Dalla Russia con Amore, lo ritengo forse il film in cui la
filosofia del franchise raggiunge il suo culmine: un film dalla trama sì complessa
ma non inutilmente arzigogolata, in cui predomina la parte thriller e l’eleganza
vecchio stile e che non è ancora diventato il Fast and Furious della
generazione dei Boomers, che non lesina qui e lì spunti di riflessione intelligenti e tematiche forti.
Giudizio finale:
Ti si vuol sempre bene, diavolo fascinoso di un Bond... |
Progetto Bond, James Bond - Licenza di recensire
★ Parte 1 - Licenza di Uccidere
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