venerdì 22 maggio 2020

[Recensione] AGENTE 007 - DALLA RUSSIA CON AMORE

recensione james bond 1963 dalla russia con amore
Anno: 1963
Paese: UK
Genere: Spionistico, avventura
Regia: Terence Young
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Johanna Harwood, Richard Maibaum
Cast: Sean Connery, Daniela Bianchi, Robert Shaw, Pedro Armendàriz, Lotte Lenya


Prosegue il mio recupero in ordine cronologico dei film della spia che amava decisamente troppo con una delle pellicole forse più amate dai fan, e quella che sancisce ufficialmente la nascita del franchise di James Bond (con tanto di avviso che sa di minaccia, James Bond tornerà, in chiusa). Se Licenza di uccidere è stata la rampa di lancio, Dalla Russia con amore è stato l’Apollo 11 che ha portato la serie sulla luna.

Se ne accorge Ian Fleming, che nonostante le prime perplessità è talmente entusiasta della scelta di Connery nel ruolo di Bond da dare al personaggio degli avi scozzesi negli ultimi romanzi della serie, e talmente entusiasta del film in sé da presenziare con un cammeo a bordo dell’Orient Express.
Se ne accorge Sean Connery che chiede il doppio del compenso (100.000 dollari).
Se ne accorge il regista Terence Young che in preda a una febbre spenderecca tipica di chi ha in mano soldi non suoi inserisce mete esotiche rigorosamente filmate in loco, combattimenti improbabili, abiti firmati, i primi gadget da spia. Con un budget raddoppiato rispetto al primo episodio (2 milioni di dollari), e con una produzione che si rivelerà abbastanza tormentata e baciata in fronte dalla sfiga, ne incasserà quasi 80.

DUE RIGHE DI TRAMA:
Il film comincia con una sequenza che precede i titoli di testa, trovata che diventerà ricorrente. Vediamo un uomo di nome Donald “Red” Grant (Robert Shaw) che uccide James Bond: il senso di straniamento che lo spettatore prova nello star guardando un film che si chiama James Bond in cui il protagonista gli è appena morto davanti fa presto a scemare quando scopriamo che l’uomo a terra non è James Bond, ma qualcuno che indossa una maschera per somigliargli.
Donald Grant infatti è un sicario che si allena a uccidere il nostro eroe per conto della S.P.E.C.T.R.E uccidendo finti James Bond.
Fin qui tutto logico.

A questo punto facciamo la conoscenza della S.P.E.C.T.R.E, che ci dimostra subito le dimensioni della sua temibilità con del mobilio uscito dal catalogo Ikea, un gatto bianco dallo sguardo carico di disprezzo felino (e che in questo film fa le veci di un Ernst Stavro Blofeld ancora senza nome né volto ma che già mi smuove l'ormone per via della sua elegante malvagità e le manine sinuose), una vecchia russa e un giocatore di scacchi polacco accomunati dal fatto di morire con la faccia/posa più stupida del loro repertorio di attori, seguendo i precetti della linea comica.


Le faccette, vogliamo le faccette!
La S.P.E.C.T.R.E ha un conto in sospeso con l’agente Bond, che nel precedente episodio ha sventato i loro piani criminosi ed eliminato il Dottor No. Visto che a quanto pare sono convinti che James Bond venga da Krypton e non possa essere eliminato con una normale pallottola e un cecchino come un cristo qualunque, per la sua eliminazione viene architettato un piano inutilmete arzigogolato che coinvolge lo sfruttamento di una bella figliola.
Oh James, ti hanno inquadrato subito.

A questo giro la carrellata di donne straniere chiamate a interpretare personaggi di un’altra etnia si arricchisce con la bionda Tatiana Romanova, una delle più amate Bond Girl di sempre, interpretata dalla nostra bellissima Daniela Bianchi (quasi-Miss Universo 1960).


Italiana, interpreta un’impiegata di cifratura russa che lavora all’ambasciata di Istambul, o per meglio dire parte di una impiegata russa visto che la poverina, nonostante gli sforzi per recitare in inglese, per non passare per una pizzaiola russa suonatrice di mandolino si vedrà comunque doppiata da Barbara Jefford, e per unire umiliazione a umiliazione verrà usata una controfigura non solo nella scena in cui si infila tra le coperte del letto di Bond e noi possiamo scorgerle le forme adamitiche attraverso tendine semitrasparenti, ma anche in quella d’esordio in cui ancora non le vediamo il volto ma Bond le studia a lungo e maliziosamente i polpacci attraverso uno spioncino da periscopio montato sotto l’ufficio dei servizi segreti bulgari.


Il regista, parrebbe, trovava orribili le sue gambe.
Infatti non è che nel corso della pellicola gliele inquadreranno moltissimo.

Poi non so, sarò io, ma le gambe della Bianchi non mi sembrano esattamente due scopini del water...
L’azione si sposta in Inghilterra dove incontriamo il nostro James Bond originale più elegante e in forma che mai, dapprima in borghese e impegnato in una romantica gita fuori porta con quella che all’epoca avrebbe dovuto essere una sorta di fidanzata ufficiale, Sylvia Trench (poi sparita perché già alla fine di questo episodio poteva vantare un palco di corna che poteva rivaleggiare con quello dello Shishigami di Mononoke Hime)…


… e poi richiamato di gran lena all’MI6, vestito come accadeva anche nel primo episodio nientemeno che da Anthony Sinclair, che provvederà in questo caso a rifornirlo di ben 8 completi da 2000 dollari cadauno. Qui, dopo aver gigioneggiato un po’ con la bella segretaria Moneypenny come da contratto, gli verrà rivelato che una spia russa di stanza in Turchia ha intenzione di disertare e passare al blocco occidentale portando con sé in segno di buona fede un apparecchio decrittografante, il Lektor, ma chiede esplicitamente che le venga mandato James Bond, di cui si è innamorata perdutamente vedendolo in foto.

Parentesi curiosa, è esattamente nello stesso modo che nella serie animata Archer la splendida Katja Kasanova (che mantiene anche una certa somiglianza nel nome con Tatiana “Tanja” Romanova) si lega al protagonista, creando non poche perplessità ai colleghi americani che forse hanno una vaga dimestichezza con i film di James Bond e hanno colto il deja-vu
Nemmeno James Bond e l’MI6 cascano nel tranello, subodorano subito l’inghippo, cionondimeno possedere uno di quegli apparecchi sovietici è un’occasione troppo golosa per farsela scappare in tempi di Guerra Fredda e Bond viene mandato comunque a Istambul, dove si mette in contatto con il capo della sezione turca dell’MI6, Ali Karim Bey (ovvero come da standard il messicano Pedro Armendàriz, qui alla sua ultima interpretazione prima di togliersi la vita in corso di riprese a causa di una malattia in fase terminale).
Ali condivide la passione di Bond per l’alcool e le belle donne, passione che ha portato a un livello superiore dal momento che, come spiegherà al collega britannico, tutti i membri dell’MI6 della sede di Istambul sono suoi figli (per garantirsi la fedeltà dei sottoposti). Ma quella che sembra essere una tranquilla settimana di vacanza esotica per Bond si tramuta in un disastro quando la S.P.E.C.T.R.E, che aveva previsto che Bond non se la sarebbe bevuta, porta avanti il suo piano facendo in modo di inasprire i rapporti fondamentalmente pacifici tra l’MI6 turco e la controparte del blocco sovietico, cosa che porta a un crescendo di tensione che culmina in una sparatoria all’interno del campo gitano più stereotipato mai visto in vita mia, proprio mentre Bond si stava godendo una catfight tra due donne in mutande per stabilire chi tra le due dovesse sposare il figlio del capo.
Una scena infinita dal realismo che rivaleggia con quello delle scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill: una roba talmente sfibrante che quando finalmente entrano in scena i sovietici a massacrare tutti anche se non hai niente contro i gitani e non sei religioso levi alti canti di giubilo al cielo.

"Guarda la gitana, è così leggera, sembra che voli..."

A questo punto il piano della S.P.E.C.T.R.E per motivi ignoti non si può interrompere e vediamo quindi nel corso della violenta sparatoria che segue (in cui James Bond va in giro a dare spallate e buttare la gente in acqua come se fosse a un piscina party) una nostra vecchia conoscenza: Donald “Red” Grant, che se ne sta appostato con un fucile di precisione in una posizione ottima per piantare un proiettile in fronte a Bond e porre fine al problema. Grant non solo non gli spara ma addirittura secca due sovietici che stavano per attaccarlo alle spalle.
Sempre tutto molto logico nelle scene che riguardano quest’uomo, dev’essere la linea comica del film.

Dopo la ritirata dei russi Bond entra nelle grazie del capo gitano per il coraggio dimostrato e per avergli salvato la vita durante la battaglia, chiedendogli in cambio qualunque cosa desideri il suo cuoricino.
Essendo Bond un sofisticato uomo dell’occidente, chiede che le donne smettano di combattere (grazie James, non avrei retto un fotogramma di più) e per tutta risposta la decisione della scelta amorosa viene rimessa a lui. Tempo qualche ora di faticoso processo decisionale e le due bellezze esotiche hanno completamente dimenticato il figlio del capo e si dedicano anima e corpo al piacere dell’uomo bianco fino alla sua partenza.

Risolta la questione sovietica con un paio di omicidi, finalmente Bond e Tatiana si incontrano.
O meglio, lei incontra lui facendosi trovare completamente ignuda nel letto della sua stanza l’albergo mentre lui si sta preparando al doccino serale coperto solo da un asciugamano (e a questo proposito non ricordo che abbia chiuso l’acqua prima di dar via all’accoppiamento, maledetto nemico dell’ambiente).
Dopo averla rodata Bond recupera ragazza e apparecchio e i due salgono sull’Orient Express diretti alla volta di Venezia (e da lì a Londra) fingendosi una coppia di sposini novelli, espediente che offre la scusa per vedere la Bianchi volteggiare leggiadra in una scollatissima sottoveste azzurra mentre sogna un futuro con Bond.

In tutto questo delizioso teatrino ci dimentichiamo sempre la solita Sylvia Trench che lo aspetta a casa e comincia già a incontrare le prime serie difficoltà a passare per le porte di casa.
Sul treno il piano della MI6 è che Bond incontri a Zagabria il capitano Norman Nash (William Hill), agente segreto britannico di stanza in Jugoslavia, ma questo viene ucciso poco dopo il suo arrivo da Grant che si finge Bond: dopodiché assume l’identità dello stesso Nash e incontra Bond con l’idea di ucciderlo una volta rimasti soli e recuperare il Lektor per conto della S.P.E.C.T.R.E.
Ma non la si fa al più sofisticato agente segreto del mondo, specie se ordini vino rosso col pesce.

"Srly, man?"
Tralasciando la facile ironia sulla discutibile cultura alimentare degli irlandesi, voglio spezzare una lancia a favore di questa scena e andare oltre quella che, ne sono certa, fosse solo una battuta di Bond. La cosa si perde per ovvie ragioni nel doppiaggio italiano ma si deve considerare che in lingua originale l’irlandese “Red” Grant si spaccia per inglese fino a che il suo geniale travestimento non viene meno, ma fa l’errore tattico di chiamare Bond “Old man”, un termine al tempo decisamente più colloquiale di quello che sarebbe logico aspettarsi da qualcuno che non ti conosce.
Voglio pensare che sia questo, e non il vino, a fare da campanello d’allarme permettendo a James Bond di prepararsi all’attacco della S.P.E.C.T.R.E e liberarsi con la solita maestria dell’assassino, anche se continuo a non capire perché non potesse uccidere James Bond al campo gitano, contattare la Romanova (che mi sembra una bimba in grado di prendere un treno) e proteggerla da eventuali ripercussioni dell’MI6.
Ma ho smesso da tempo di farmi domande dettate dalla logica quando guardo un film di James Bond, già sono felice che non abbiano ancora buttato tutto di fuori rendendo quest’uomo l’equivalente spionistico di Batman.

Anche se negli ultimi 30 minuti il film si rivela una sequela di scene d’azione decisamente sopra le righe rispetto al resto.
Abbiamo, nell’ordine:

- La fuga da un furgoncino della Chevrolet giallo limone causa attacco elicottero


- Elicottero in tinta col suddetto furgoncino versus James Bond a piedi (scena in cui il povero Connery ha quasi rischiato la decapitazione)


- Inseguimento in motoscafo sul mare di Venezia con esplosioni, cattivo che imita la Torcia Umana e oceano di fuoco finale


- L’iconica scena del combattimento in camera d’albergo contro Rosa Klebb (numero 3 della S.P.E.C.T.R.E.) vestita da cameriera e col punteruolo avvelenato nella suola della scarpa. Che nel pratico diventa un imbarazzante incontro tra un uomo adulto nel pieno della virilità che si prende a spintoni con una vecchia dalle gambe corte, scena a cui fortunatamente una Tatiana ormai davvero innamorata di Bond metterà fine con un colpo di pistola.


Salvata ancora una volta la situa, Bond e Tatiana potranno finalmente godersi le bellezze di Venezia come due innamorati insieme al prezioso Lektor mentre la S.P.E.C.T.R.E. se la prenderà per la seconda volta in saccoccia.


*

“Dalla Russia con Amore” è il film che finisce di sedimentare elementi che diventeranno parte integrante della lore bondiana nei film più mainstream dei decenni a venire: la canzone dedicata di apertura (qui presente nella chiusa, “From Russia with Love” cantata da Matt Monro), le rocambolesche scene d’azione, la libido sfrenata di Bond, l’eleganza e il lusso.
E’ anche il film che ci introduce la S.P.E.C.T.R.E. e anche se ancora non conosciamo il suo aspetto o il suo nome il suo diabolico capo Ernst Stavro Blofield insieme all’iconico felino malvagio (trovata che ha fatto scuola, persino il perfido Dottor Artiglio di Inspector Gadget richiama molto questo personaggio).
Compaiono per la prima volta Q (Desmond Llewelyn, che interpreterà il personaggio in tutti i film successivi tranne uno fino alla sua morte, nel 1999) e i suoi gadget da spia, anche se in questo film l’unico degno di nota è l’ingegnoso sistema di apertura della valigetta di Bond dal momento che il resto dell’armamentario sono armi e denaro nascosti in vani segreti, bombolette di gas che sembrano flaconi di borotalco e fucili smontabili.


E’ però al tempo stesso un film serio, che per la maggior parte del tempo (escludendo le acrobazie dell’ultima mezz’ora) si tiene molto ancorato a terra, con delle tinte fosche che devono più al thriller spionistico a la Le Carré che a un baraccone pirotecnico, arrivando a concedersi persino scene ricche di finezza psicologica, laddove non addirittura intime.
Si pensi ad esempio al modo sottile in cui la S.P.E.C.T.R.E. agisce, cercando di seminare zizzania tra i due blocchi per prosperare e fare la propria mossa (con una strizzata d’occhi anti-ideologica – comunista secondo i canoni dell’epoca? –  rappresentata dal modo rilassato, decisamente easy, con a Istambul gestiscono gli avversari del blocco sovietico prima dell’intervento di una forza esterna, quasi a ridicolizzare tra le righe l’intera idea alla base della Guerra Fredda), o al personaggio di Donald Grant.
Donald Grant sappresenta in questo film una sorta di doppio di James Bond: non è un caso che finchè non rivela la sua identità irlandese quello che vediamo di lui è un letale ed elegante uomo dall’accento inglese che non lesina l’uso della violenza né disprezza l’omicidio per giungere ai propri scopi.
La descrizione calza a pennello anche per Bond.
Lo stesso recupero del dispositivo Lektor, la scusa che mette in moto l’azione, non è mai dipinto come una lotta tra il bene e il male, perché la verità è che nulla ci fa intendere che la MI6 sia meglio del KGB o della stessa S.P.E.C.T.R.E. e nulla ci dà a intendere che tra Bond e Grant ci sia tutta questa differenza sia in termini di intelligenza che di crudeltà. Proprio come accade nella partita a scacchi che fa da apertura al film, e nella vita vera, a vincere è il migliore e non il più buono o moralmente retto.

E’ anche un film inaspettatamente pieno di temi sessuali in maniera sia esplicita che tra le righe, cosa che stupisce non poco anche perché stiamo parlando di un film degli anni ’60, e al tempo la censura menava duro anche oltralpi (al punto da aver creato qualche problema la scena in cui Bond e Tatiana al loro primo incontro fanno l’amore mentre dietro l’enorme specchio della camera d’albergo si nascondono uomini della S.P.E.C.T.R.E. intenti a filmare tutto).
Tralascianto le scene in cui la telecamera indugia molto, con occhio quasi voyeuristico, sulle forme della pletora di belle donne discinte che affollano la pellicola, o i sussurri sensuali che Bond rivolge alla segretaria Moneypenny, stupisce notare che il regista non si premura di nasconderci tra le altre cose le preferenze sessuali saffiche della sadica Rosa Klebb.
E’ un attimo ma è lì su pellicola davanti agli occhi di tutti, il momento in cui mentre sta informando la giovane e bella Tatiana sulla sua missione la Klebb le pianta una mano sul ginocchio con intenzioni inequivocabili. La toglierà subito dopo quando lo sguardo della Romanova si abbasserà in maniera tutt’altro che interessata, ma le dinamiche di potere e sesso ci sono tutte.


Tutto molto appropriato...
Poi chiaro che la lesbica debba essere per forza una malvagia mascolina, non sto certo gridando alla modernità illuminata di questo film in cui, anzi, il femminismo non si sa proprio dove stia di casa, cionondimeno la scena compare, e non è poco, in un film del 1963.
Continuiamo poi con degli accenni a una concezione di possesso e sottomissione (della donna, quando te sbagli) decisamente erotica per i canoni dell'epoca: al di là della suddetta scena con la Klebb con le sue dinamiche squilibrate di potere (Weinstein, anybody?), ci sono altre due scene in cui queste vibes si fanno prepotenti.
Una è la scena al campo gitano in cui le due zingare si inchinano ai piedi di Bond pronte a servirlo e riverirlo in tutto e per tutto con sguardo adorante, ma la più emblematica è la scena del collare di Tatiana.



Nella prima scena in cui la incontriamo Tatiana è completamente nuda, eccezion fatta per un nastro di stoffa nera che le cinge il collo come un collare: questo è incredibilmente simbolico dal momento che in questo momento Tatiana non è altro che una marionetta senza volontà, una pedina fedele alla S.P.E.C.T.R.E. che è stata addirittura costretta a sedurre Bond con la sua bellezza e a finirci a letto per guadagnarsi la sua fiducia e poi recuperare il Lektor.
In seguito, sull’Orient Express, i due si avvicinano.
Il momento in cui tra i due sembra scattare qualcosa di più del mero dovere è suggellato dal momento in cui è Bond a legare intorno al collo di Tatiana lo stesso collare che indossava durante il loro primo incontro.
E’ Bond ora a legarla a sé come schiava d'amore.


*

Naturalmente facciamo i conti con le inevitabili conseguenze dell’essere un film del suo tempo, vale a dire una discreta dose di razzismo e maschilismo che non ci possiamo certo far mancare: non si lesina un occhio di bonaria tolleranza dell’uomo bianco di fronte alle barbare usanze gitane o a uomini Turchi che figliano come conigli, né una battuta sulle donne che non tengono mai chiusa la bocca, un catfighting fatto per l'unico motivo per cui due donne possono volersi cavare gli occhi (l'attenzione di un uomo) o un bello schiaffone dato al momento giusto alla femmina che pensi ti abbia tradito.
Che però poi ti ama lo stesso e forse anche di più visto quanto sei maschio.

Ma non essendo mia intenzione giudicare un film di quei tempi con la sensibilità odierna concludo dicendo che pur con tutti i suoi difetti ho amato alla follia questo Dalla Russia con Amore, lo ritengo forse il film in cui la filosofia del franchise raggiunge il suo culmine: un film dalla trama sì complessa ma non inutilmente arzigogolata, in cui predomina la parte thriller e l’eleganza vecchio stile e che non è ancora diventato il Fast and Furious della generazione dei Boomers, che non lesina qui e lì spunti di riflessione intelligenti e tematiche forti.


Giudizio finale:
Ti si vuol sempre bene, diavolo fascinoso di un Bond...

Progetto Bond, James Bond - Licenza di recensire
Parte 1 - Licenza di Uccidere

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