giovedì 11 giugno 2020

[Recensione] MAGNUS CHASE #3 - LA NAVE DEGLI SCOMPARSI

Magnus Chase 3 - La Nave degli scomparsi (copertina) Rick Riordan Mondadori
Autore: Rick Riordan
Traduzione: L. Melosi, L. Baldinucci
Ed. italiana: Mondadori, copertina flessibile, 444 pagine
Anno (Italia): 2018
Euro: 13,00


Innanzitutto un dubbio si insinua nella mia mente: ma se il titolo originale è The Ship of The Dead, se per tutto il romanzo, anche nella traduzione italiana, questa Naglfar viene definita una nave dei morti, fatta con le unghie dei morti, con un equipaggio composto in larga parte da (non)morti, perché il titolo italiano diventa “La nave degli scomparsi?” E’ una manovra alla Mediaset per proteggere i nostri teneri virgulti dai mali del mondo incarnati dalla parola con la M? Sto rivivendo gli episodi di Detective Conan che guardavo da bambina, quando di fronte a un tizio brutalmente assassinato si affermava seraficamente che la vittima era stata “eliminata”?

Lovejoy Simpson qualcuno pensi ai bambini

Ma lasciando da parte l’arida semantica e le discutibili scelte di Mondadori, passiamo a parlare delle mie impressioni alla fine di questa trilogia dedicata a Magnus Chase che come al solito vanno controcorrente. In un mare di recensioni entusiastiche arrivo io a fare la guastafeste, perché essere sempre la bastian contraria è un lavoro duro ma qualcuno deve pur farlo. Voglio comunque cercare di essere severa ma giusta.
Nei limiti, visto che son mie impressioni personali…

*

Loki è libero, il Ragnarok si appropinqua.
Manca solo da completare la nave Naglfar, attraccata al confine tra Helheim e Jotunheim, stiparla di giganti e nonmorti, aspettare qualche mese affinché i ghiacci si sciolgano quel tanto che basta da lasciare il punto di attracco e poi viaaa, verso l’inevitabile distruzione del mondo.
Magnus, che ha ricevuto in dono dal padre una barca giallo acceso ribattezzata in maniera per nulla ambigua Big banana (e vi ponete il problema di scrivere “nave dei morti” - o “nave dei trapassati”, che suona meglio - nel titolo?), deve aspettare che a nord i ghiacci comincino a sciogliersi se vuole sperare di raggiungerlo e sconfiggerlo, e nel frattempo decide di chiedere aiuto a una persona che l’acqua la domina, vale a dire (come avevamo già capito alla scorsa recensione grazie al nostro intuito da detective) Percy. Percy vuole insegnargli a entrare in sintonia con l’acqua tuffandosi di testa dal pennone di una nave tenendo strette le chiappe (sic!).
Magnus si ammazza malissimo e si umilia a ripetizione.
Percy, che è intelligente come lo ricordavo, arriva alla conclusione che forse è perché Magnus non è figlio di un dio dell’acqua. Sempre perché Percy è sveglio, e lo amiamo proprio per questo, dopo aver fatto scraniare male il cugino della sua bella arriva alla seguente rivelazione: “Ho provato a insegnarti come comportarti in mare. Ma quello che conta di più è usare qualunque cosa tu abbia a portata di mano: la tua squadra, il tuo ingegno, gli oggetti magici del nemico.”
“Ed è una cosa impossibile da pianificare.”
“Esatto!”, confermò Percy. “Il mio lavoro qui è finito!”

"Ma tu non hai fatto niente..."
"Non l'ho fatto, Magnus? Non l'ho fatto? ... Ehi, aspetta un momento, non l'ho fatto!"
Evocando lo spirito del succitato Milord, una volta dato vita a questo siparietto inutile ma divertente (lo ammetto, l’ho adorato, Percy mi fa sempre morire dal ridere) il nostro figlio di Poseidone e Annabeth piroettano leggiadramente fuori dalla storia, nonostante potrebbero essere discretamente utili visti l’intelligenza di lei e il talento per le robe marine di lui che le Big banana le mangia a colazione (ma pare che esista un principio di non ingerenza  tra le divinità dei diversi pantheon, e nonostante nella stessa famiglia possano convivere una figlia di Atena e un figlio di Freyr diamogliela comunque buona). Spariranno fino a dopo l’inevitabile lieto fine, momento in cui compariranno per pubblicizzare il terzo libro di Riordan della saga di Apollo con l’ultimo ennesimo momento di suspense inutile.

Annabeth: “Percy sta male, non può venire al telefono!”
Magnus (tra sé e sé): “Mhm, sembra che Annabeth abbia pianto.”
Fan: “Oooooh, Riordan, vecchio diavolo talentuoso, l’hai fatto di nuovo! Tieni, prendi i miei soldi, il mio cane, e se ancora non ti basta il mio primogenito.”


Non siamo nemmeno a pagina 30, abbiamo appena appurato quale sia la missione di Magnus e della sua gang del Valhalla, e già mi domando:

1) Perché Magnus deve seguire Loki via Mare?
Nel libro a onor del vero viene spiegato da Samirah che ci sono certi luoghi che si possono raggiungere solo via mare, come Helheim: ci sono proprio dei passaggi marini che conducono lì, e fino a lì capisco, devi attraversare quelle porte via mare.
Ma nel momento in cui sai in che punto del mare si trova questo passaggio perché hai la necessità di farti tutta la traversata via mare, visto che nessuno di voi imbecilli è figlio di una divinità marina e avete addirittura una valchiria che sa pilotare gli aerei?
- Avete una nave che si può trasformare in fazzoletto.
- State lavorando per conto di dei che possono quasi letteralmente cagare oro.
- Avete una pletora di divinità marine incazzate che potrebbero rovesciare la vostra Big Banana con una manata (ok, Magnus è imparentato con Njord, ma anche se offrirà loro protezione non sembra molto affidabile visto che lui è la divinità che si occupa solo di parte delle attività legate all’oceano, quelle pacifiche e benefiche).
- Loki si sa dov’è attraccato: non sta navigando senza meta in punti non precisati dell’oceano come faceva Luke a bordo della Princess Andromeda, cosa che rendeva necessario il viaggio per mare insieme al fatto che Percy non potesse fisicamente viaggiare per aria anche se era più veloce, pena un fulmine nel culo da parte di Zeus che mal tollera invasioni di campo.

Affittatevi un idrovolante (tanto se lo sfondate pagate la caparra in oro rosso), fatelo pilotare a Samirah, arrivate abbastanza vicini al passaggio succitato, tirate fuori il fazzoletto-nave, saltate a bordo della Big Banana e via, verso nuove mirabolanti avventure.
No? No, poi il viaggio durava troppo poco e Riordan non poteva costruire il suo solito GDR in cui Tizio deve arrivare al punto B, affrontare la prova X, passare al punto C, incontrare una difficoltà Y, deviare per il punto D e trovare l’oggetto salcazzo, e dopo tutta una serie di mirabolanti imprese arrivare finalmente al punto Z, dove nel frattempo in un mondo normale sorretto dalla logica Loki avrebbe avuto il tempo di scatenare il Ragnarok e tostarsi a mano i chicci di caffè per la colazione.
Succede di dover allungare la broda, quando non sai gestire un personaggio che non combatte.

2) Perché Loki è così smanioso di dare il via al Ragnarok?
Nei primi due libri potevi pensare che lo scopo di Loki fosse sostanzialmente quello di liberarsi da un supplizio intollerabile, e che una volta liberato si sarebbero scatenate automaticamente tutta una serie di condizioni alla fine delle quali, come profetizzato, si sarebbe arrivati al Ragnarok.
Era logico che un “poveraccio” legato per secoli a una roccia con del veleno corrosivo che gli colava in faccia volesse tirare un sospiro di sollievo, anche se questo significava scatenare un’apocalisse che sarebbe terminata con la sua morte per mano di Heimdall, il dio dei selfie.
Invece no.
Loki si libera, potrebbe farsi i fatti suoi e continuare a fare scherzoni ma decide comunque di dar vita a un avvenimento che, profezia alla mano, inevitabilmente lo ucciderà. Come Dio degli inganni e delle astute menzogne si sta rivelando sempre meno credibile.

Non lo so Rick mi sembra falso meme

3) A cosa serve la presenza di Percy al di là del mero fanservice?
Perché anche solo per un secondo si è convinti che il figlio del dio dell’estate e dell’abbondanza possa in qualche modo tuffasi di testa dal pennone di una nave, e che pure se ci riuscisse gli servirebbe a qualcosa nel corso della missione che si sta accingendo a compiere?
Conta di fare la vedetta del Big Banana?


4) Perché nessun dio norreno li aiuta a parte il padre e, limitatamente, il nonno di Magnus?
Magnus e la sua gang stanno agendo per conto degli dei norreni, che non vogliono che il Ragnarok arrivi prima del tempo.
Nello specifico, Odino sembra molto convinto della cosa.
Di contro, Freyr sembrava essere più del partito “se una cosa deve arrivare arriva, inutile combatterla”
Se mandi un gruppo di eroi alla ventura in una missione ufficiale per la salvezza del mondo (ricordiamo che è dal primo libro che ci dicono che senza un “permesso ufficiale” o una “profezia” gli Einerjar non possono schiodare dal Valhalla, anche se poi sembra che questo posto abbia le porte girevoli nel pratico) il minimo sindacale sarebbe ricevere aiuto e assistenza dalle persone che ti ci mandano in loro vece.
In Percy Jackson questo, nei limiti, accadeva: tra le divinità greche c’erano faide interne, ma chi era dalla parte di Percy faceva di tutto per fornirgli aiuto in corso di missione.
Qui al limite non li si ammazza.
O si festeggia con un banchetto a cose fatte. Ma andiamo avanti.

Non solo gli dei sembrano essere completamente disinteressati a dare sostegno fisico ai loro eroi in una faccenda che riguarda più loro che gli Einerjar volendo fare i pignoli (e no, che Magnus lo stia facendo per Annabeth, Percy e la sua nuova sorellina, gente vista per 10 pagine a dir tanto, non mi convince del contrario), ma addirittura gli indizi se li devono cercare loro da soli. Sarà a casa del defunto zio Randolph infatti che Magnus e Alex troveranno delle note in cui compare una fantomatica Cote di Bolverk.
E il motivo per cui quella che nel secondo libro era una pietra per affilare, quella che accompagnava la spada Skofnung, qui improvvisamente diventi una cote rimarrà nel cervello di chi ha tradotto. Ma ho imparato una parola nuova, il che è sempre positivo.

Dopo aver raggiunto il Valhalla e radunata la sua squadra-Benetton (Mallory Keen, Halfborn Gunderson, Thomas Jefferson Jr., la nostra sempre più esotica Samirah al-Abbas in pieno digiuno da Ramadan che si fa addirittura accompagnare al molo da Amir a cui ancora non è maritata, la sporcacciona, e Alex… Mancano Blitzen e Hearth ma non per molto, non temete) e approntata la Big Banana i nostri eroi partono alla volta dell’oceano per farsi catturare tipo 30 secondi dopo da una famiglia di giganti marini, le figlie di Aegir (marito della rincoglionita Ran pescatrice di rifiuti che abbiamo già avuto modo di conoscere nel primo capitolo della saga).
Lì trovano Blitzen e Hearth, precedentemente catturati.
Pensando di essere scaltri e non essere stati riconosciuti (cosa vera ma per poco) si appellano al diritto di ospitalità e siedono alla tavola di Aegir, dove apprendono (sempre casualmente, ci fosse uno stronzo che dà loro un indicazione, sembra Harry Potter che cerca gli Horcrux nel settimo libro della saga) che il padrone di casa nutre un profondo risentimento nei confronti di Loki, che in passato lo ha umiliato in una gara di insulti: di questo si parla nella Lokasenna, o Disputa di Loki, un poema dell’Edda poetica dove Aegir è l’ospite di un convivio in cui Loki insulta tutti finchè agli altri non gira il cazzo e non lo destinano alla punizione che ben conosciamo. Per aver salva la vita Magnus promette di vendicare anche il suo onore sfidando e battendo Loki in una gara di insulti, ed è subito 8 Miles.


Per avere una qualche possibilità contro quello che dovrebbe essere il dio dalla parlata melliflua e letale però, come gli dirà il nonno Njord che lo salva dall’ira delle figlie di Aegir, è prima necessario recuperare il magico Idromele di Kvasir, che serve a BOH. Tecnicamente a rendere poeta chiunque lo beva, ma che minchia se ne dovrebbe fare un semidio figlio dell’estate in una gara di insulti lo sa solo l’autore.
A questo punto la gang si separa: Blitz e Heart vanno in cerca della Cote di Bolverk, Magnus e gli altri si recano a York, che si poteva anche raggiungere in aereo e treno risparmiando una serie di complicazioni inutili ma lasciamo stare.

Qui abbiamo l’occasione di saperne di più sulla squadra Benetton e l’impressione è come al solito quella di un autore che magari ci tiene pure tanto e sinceramente ad essere inclusivo, ma il risultato è stronzo e superficiale:

- L’irlandese Mallory, veniamo a sapere, è morta nel corso del Bloody Friday del 1972, giorno in cui a Belfast l’IRA (Irish Republican Army, di cui nel libro non si farà mai esplicitamente cenno ma voglio dire, non è che Riordan sia esattamente sottile) ha fatto esplodere una ventina di congegni esplosivi nel giro di mezz’ora, provocando la morte di 9 persone e 130 feriti.
Loki al tempo, ci racconterà la stessa Mallory, ha insinuato nella mente sua e dei suoi compagni che sarebbe stato fico mettere delle cariche esplosive su uno scuolabus (convincendoli che a bordo ci sarebbero stati dei soldati e non dei bambini) e che poi, fingendosi una vecchia, le avrebbe consegnato due pugnali e convinta a salire sullo scuolabus a disinnescare l’ordigno.

Quindi:
Tutta la complessa concatenazione di eventi economici e politici che hanno insanguinato Irlanda e Inghilterra per trent’anni si riduce a Loki mi fa fare le cose cattive perché altrimenti vorrebbe dire che Mallory è pazza, con buona pace del Magnus che dovrebbe essere empatico, non vedere tutto bianco o nero ed è così sensibile che per difendere i diritti degli emarginati non binary usava l’espressione non eteronormativo.
Il fatto che, come poi si scoprirà, la megera non è affatto Loki come credeva Mallory ma Frigg, la moglie di Odino e sua madre divina, dovrebbe essere una gran sorpresa per noi che leggiamo. Perché giustamente questo Loki è già così scemo che non sembra per nulla strano che prima spinga una semidea a fare una strage di minori e poi le consenta di avere una morte onorevole per diventare una Einerji, donandole pure delle armi straordinarie.
Ok, girl…


- Halfborn, scopriremo non appena arriveranno dalle parti della Norvegia, è morto nei pressi di Jorvik, e ci regala un momento inizialmente di collera e vergogna e alla fine di virile commozione nel ritrovarsi a casa. Poco incisiva, sembra una cosa messa lì giusto perché Riordan non sapeva cosa inventarsi riguardo a un Berserker.

- Thomas Jefferson Jr., il nostro figlio di Tyr e veterano della guerra civile dalla pelle scura, ci rivelerà di essere stato ucciso durante l’assalto a Fort Wagner in South Carolina nel 1863. Non è una battaglia casuale quella citata da Riordan dal momento che nella seconda battaglia di Fort Wagner a guidare l’attacco dal lato dell’Unione c’era il corpo di fanteria volontario del 54esimo Massachussets, composto unicamente da soldati di colore.


La storia in breve.
Un soldato confederato, Jeffrey Toussaint, sfida TJ a un combattimento corpo a corpo. Essendo un figlio di Tyr non può rifiutare una sfida così diretta, quindi accetta. TJ riesce a uccidere Toussaint ma altri soldati confederati lo crivellano di colpi.
TJ e Toussard si guadagnano entrambi il Valhalla con una morte onorevole, e qui continuano ad ammazzarsi un giorno sì e l’altro pure per circa 50 anni, salvo poi stufarsi (in realtà è la morale dell’intera saga. Coerentemente, TJ ha lasciato perdere la vendetta e l’odio, si è lasciato alle spalle il passato ed è diventato una persona migliore)… Onestamente fatico a capire perché TJ si sia guadagnato il Valhalla dal momento che è il suo sangue divino ad averlo praticamente obbligato ad accettare quella sfida e non un atto di coraggio disinteressato e spontaneo.
Cosa che Samirah dice a Magnus al loro primo incontro.
A questo giro poi TJ rappresenta poi quello che ti rompe talmente i coglioni su quanto la schiavitù sia sbagliata senza se e senza ma dall’alto del suo essere un ricco e bianco romanziere americano un coraggioso soldato di colore che ha lottato per gli ideali di Lincoln (vabbè…) da farti rimpiangere seriamente Via col Vento. Perché passi che Riordan ti voglia insegnare che la schiavitù è brutta (grazie per questa preziosa lezione, a proposito), così come ci sta che TJ sia per ovvie ragioni sensibile all’argomento, ma sentirlo rompere i coglioni perché Mallory ha fatto uccidere tra loro un gruppo di giganti schiavi di un gigante, nemici che avevano promesso loro di ucciderli anche una volta liberati è una cosa talmente stronza che non si può sentire.
E Mallory gli dà pure corda invece di mandarlo a cagare.
Ma fossero stati giganti liberi o confederati quindi secondo TJ potevano morire?


In tutto questo Samirah tiene banco sul Ramadan e l’ateo Magnus non può far altro che invidiare la sua fede, ancora una volta.
Un va a cagare molto ateo a te, Riordan.
All’inizio del loro viaggio infatti ci tengono a farci sapere che Amir e Samirah stanno digiunando da due settimane per via del Ramadan, periodo in cui tra le altre cose si mangia solo nelle ore in cui il sole non solca il cielo, non si pratica violenza (utile, dovendo andare a combattere contro Loki) e a detta di Amir manco ci si lava.
Cosa che non mi risulta.
Non sono questa gran conoscitrice del mondo musulmano ma penso di ricordare che non ci sia alcun divieto di lavarsi durante il Ramadan: anzi, il musulmano è tenuto a rigide norme igieniche giornaliere che lo purifichino prima delle preghiere, e nel mese più santo dell’anno mi parrebbe decisamente strano, per non dire stupido, vietare al fedele di lavarsi.
Mi risulta anche che sia consentito farsi il bagno al mare, purchè pudicamente…
Essendo Samirah una brava ragazza musulmana (espressione che tornerà in maniera fastidiosamente ricorrente all’interno della saga, come se ci fossero cattive ragazze musulmane che non si sposano a 18 anni precisi col filarino combinato, abbracciano gli amici se ne hanno voglia e scoprono i capelli) rifiuta anche di interrompere il digiuno nonostante, lo dice lo stesso Amir, sia concesso in caso di forza maggiore, e a questa atea schifosa che sono io pare che la salvezza del mondo sia un motivo abbastanza valido per restare in salute e riempire la pancia quando ce n’è bisogno.
Per cui ce la pupperemo per tutto il tempo debole per la fame durante allenamenti fisici (?) massacranti per ribellarsi alla volontà di Loki che al momento opportuno, proprio come quelli di Percy, servirano a ‘sta sega visto che basta l'ok di Allah, e poi la becchiamo a mangiare i datteri secchi dopo il tramonto con la stessa compostezza di Meg Ryan in Harry ti presento Sally.

A questo punto arrivano Blitz e Hearth a interrompere questa sequenza di eventi al cardiopalma: hanno trovato la Cote di Bolverk, si trova nel mondo degli elfi ma hanno bisogno che Magnus li segua perché ci sarà bisogno del suo aiuto e di quello di Jack per permettere a Hearth di concludere la parabola con suo padre e recuperare la Cote dal signor Alderman che ora si è trasformato nel…

MOMENTO SUSPENCE A CASO  

Come al solito, non voglio imboccarvi la soluzione ma vi aiuterò a risolvere questo nuovo insondabile mistero con l'aiuto di qualche immagine e un paio di indizi. 
Pronti? Via!

Abbiamo un anello maledetto...
... che nel libro precedente aveva corrotto l'anima
di un avido accumulatore di ricchezze...
... la cui magione ora è in rovina,
bruciata fino alle fondamenta.
I nostri amici devono recarsi in una tana
poco distante scavata nella roccia...
... da cui provengono un gran calore umido
e una ributtante puzza di rane morte...
... e in cui l'avido accumulatore di tesori misterioso
di cui sopra ha portato tutto il suo oro
e i suoi cimeli antichi, tra cui la Cote.
Carramba che sorpresa!
Il signor Alderman è diventato un drago.
Un drago che parla a se stesso in terza persona come Gollum.
E per dircelo Riordan ci ha solo martellato lo scroto per due capitoli.

 Nota doverosa:  
Sto insistendo su tutta questa inutile suspense a ‘sto giro perché per la voglia di fare il misterioso sul niente e far sparare a Magnus e a Jack un altro paio di battute orribili delle loro, Riordan manda completamente in vacca una scena che trattata con maggior dignità sarebbe stata veramente commovente, vale a dire la conclusione della parabola narrativa di Hearthstone.
Hearthstone che è costretto a uccidere suo padre. Che deve fare i conti col senso di colpa che prova per aver fatto morire il fratello Andiron, che proprio come Magnus deve lasciarsi alle spalle il passato e recuperare la runa othala (l’erede) perché la sua magia sia completa e al massimo della potenza.
Lo ammetto, questa parte mi ha particolarmente toccata, e per questo mi dà tanto ai nervi che l’autore abbia sentito il bisogno di ficcarci nel mezzo i soliti intermezzi stronzi, tra cui Magnus che mentre sta cucinando il cuore del drago perché Hearthstone lo mangi e purifichi l’anima del defunto se lo fa scivolare nel fuoco e si lecca sovrappensiero il grasso che gli era colato sulle dita nel tentativo di acchiapparlo. Cosa che gli darà il potere di parlare con gli animaletti del bosco e del cielo.
Altra cosa che a conti fatti non servirà.
Magnus è solo diventato ufficialmente una principessa Disney.


Recuperato ciò che resta dell’Idromele di Kvasir a Jorvik (in Norvegia), arrivati da lì nel gelido mondo del Nord in cui è solo la relativamente generosa ospitalità della gigantessa Skadi a salvar loro la pelle nel momento in cui stanno per diventare parte del background…


… arrivano finalmente alla RAP BATTLE con Loki.
Qui come al solito, con una mossa molto coerente visto l’andazzo della saga e che francamente ho apprezzato, Magnus riuscirà a vincere contro il dio norreno non insultandolo e sminuendolo (campo in cui non potrebbe mai vincere, anche se gli insulti di Loki sono veramente da bulletto delle medie), ma al contrario lodando il coraggio e le imprese dei suoi amici, dal momento che come va ripetendo fin dall’inizio non è un combattente ma un guaritore.
Loki viene rinchiuso in una noce magica con un rumore di risucchio, tipo water.
I giganti e i non morti sono sconfitti, e il Ragnarok viene temporaneamente sventato, rendendo doveroso un festeggiamento (a cui Samirah non partecipa perché finito il Ramadan ha il suo cenone musulmano dove sfondarsi) in cui libagioni e cervogia scorrono a fiumi.


IMPRESSIONI SPARSE
Quello che mi fa veramente incazzare di questa trilogia a fine lettura è il potenziale buttato ai maiali, il numero di belle tematiche tirate fuori da Riordan in una saga destinata ai giovani rese con una superficialità irritante.

L’idea di rendere protagonista un ragazzo fondamentalmente pacifico, che a combattere è buono un cazzo perché il suo potere è guarire le persone e dare supporto ai suoi amici è splendida: abbiamo un modello maschile dalle caratteristiche solitamente legate al mondo femminile.
Magnus è sensibile, empatico, gentile.
A differenza di quanto accada con Percy, Magnus è un protagonista che tutto sembra fuorché un protagonista: si fa da parte e lascia che siano gli altri a combattere le proprie battaglie, non si impone sul prossimo né ha tutta questa voglia di stare sotto ai riflettori. In un mondo dove quello vichingo che è duro e spietato, Magnus opta sempre per la gentilezza. Nei momenti in cui il suo potere si manifesta al suo massimo disarma i nemici e porta (temporaneamente) la pace.
Persino alla fine vince non imponendosi sul prossimo ma lodando il coraggio e la forza di chi ha intorno.

“In una diatriba poetica bisogna ferire l’avversario, sminuirlo, insultarlo fino a farlo rimpicciolire nel nulla. Ma io ero un guaritore. Non ferivo gli altri, non li distruggevo. Li rimettevo in sesto. Non potevo giocare in base alle regole di Loki e sperare di vincere. Dovevo giocare in base alle mie regole.”

Eppure non riesco a togliermi dalla testa l’idea che Magnus non riesca ad emergere come personaggio tridimensionale, non mi dà l’idea di essere davvero qualcuno che nella vita ha sofferto tanto, ha subito perdite orribili ma non ha perso la sua umanità, ma sia solo l’emanazione di uno scrittore americano di mezza età che vuole imporre un moralismo paternalistico laddove non proprio ipocrita.
La guerra è brutta.
Il denaro ti rende cattivo.
Sii te stesso, volemosebbene.
Riordan ha troppa voglia di farci vedere quanto questa saga sia moderna e diversa, magari con tutte le migliori intenzioni di questo mondo, ma il risultato è un gigantesco gattino appeso allo scroto e un personaggio che non riesce davvero a diventare memorabile, e non perché il senso del suo personaggio è proprio quello di restare in disparte. Per far capire quello che intendo si prenda Melania di Via col vento: alla voce “tappezzeria” si trova la sua foto. E’ una donna mite, buona, caritatevole, una cara amica e una moglie devota, eppure resta comunque impressa dal suo angolino in ultima fila.
E come Magnus, il fatto che sia buona non significa che sia una povera imbecille.


Altro problema è che per dargli del carattere in più (e dare spazio a un seguito, probabilmente) a un certo punto Riordan prende e ne snatura un tratto fondamentale, facendogli sentire, tra le lande gelate di Helheim, le voci dei suoi cari defunti, compresa la madre.
Cosa che lo spinge per un secondo a recarsi verso quella voce, anche se il punto focale del personaggio è che si lascia alle spalle il passato senza guardarsi indietro perché la perdita è parte integrante della vita.

Allo stesso modo l’idea di lasciare in secondo piano la battaglia finale (che è comunque una battaglia verbale) in favore di una sequenza di epiloghi finali mi è piaciuta (se escludiamo lo spottone pubblicitario al terzo libro della Saga di Apollo), anche se non posso dire mi abbia esaltata, ma lo scopo era esattamente quello.
In un libro che promuove la pace, è giusto che venga dato spazio alla pace.
Ed ecco quindi gli dei e gli eroi di questa avventura pranzare insieme come una famiglia, tranne Samirah che come al solito è speciale e non una stronza che regredisce mentalmente e smolla gli amici appena si ritrova davanti il filarino. Partecipano anche Blitz e Hearth, a cui verrà concesso di entrare e uscire dal Vahlalla a piacere come ricompensa per il loro valore (Il fatto che siano partiti come scagnozzi di Mimir sembra non importare più nulla, si vede che per Riordan chiudere le sottotrame è deprimente), e i genitori meno inclini alle visite tra parenti di Freyr fanno finalmente la loro comparsa; Magnus che chiede come ricompensa a Odino non qualcosa per sé o per quelli che conosce ma per la comunità, ovvero che la villa dello zio Randolph sia trasformata in un ricovero per senzatetto. E non è un caso che, proprio come accade all’inizio del libro, il cerchio si chiuda con Alex e Magnus seduti l’uno accanto all’altro sul tetto di villa Chase, ma a questo giro si tengono per mano.
Puccetti...
Alex resta comunque il mio personaggio preferito in questa storia, quello con cui ho avvertito quel pelo di empatia in più ma che comunque presenta non pochi problemi all’interno di una storia che non decolla come vorrei e mette in mezzo tematiche molto importanti mantenendosi su un terreno abbastanza sicuro, a misura di bigotto americano medio.
Che riesce comunque a rompere i coglioni perché “Mamma li gender!!”
In questo terzo (e al momento ultimo, per il futuro non ci è dato sapere anche se il finale aperto lascia temere ulteriori sviluppi che onestamente non mi sembrano necessari se non per rimpinguare il conto in banca di Riordan) volume, assistiamo a nuovi retroscena sulla triste vita di Alex. Scopriamo che la sua passione per la ceramica arriva dal nonno, un artigiano di un certo talento, molto apprezzato per la sua arte.
Il padre di Alex manca della stessa sensibilità artistica del padre e della progenie, ma compensa col talento imprenditoriale, facendo il big money con delle ceramiche industriali che vendono come il pane grazie alla nomea del Fierro senior. Ma visto che in questa saga tutti i ricchi sono pezzi di merda, il padre di Alex non fa eccezione e lo vediamo in un flashback, intento a picchiare il figlio, scaraventarlo dalle scale e minacciarlo di diseredarlo se non la smette di essere se stesso.
Eppure il talento per il mestiere di famiglia non gli manca.
Ma visto che il denaro per Riordan sembra essere lo sterco del dimonio, Alex non vuole farne un mestiere ma un’arte, proprio come faceva suo nonno. Il padre, come sappiamo, la prende bene e Alex, proprio come Magnus, finisce per strada fino alla sua tragica dipartita per salvare un collega senzatetto.

Però, ed è un però grosso come una casa, nemmeno Alex riesce a decollare come potrebbe.
Riordan mette in gioco un personaggio genderfluid, un personaggio che può letteralmente trasformarsi in donna o uomo a seconda di come si sente appena scende dal letto o esce dalla doccia. Anche il suo carattere rispecchia questa irrequietezza: non riesce a legarsi, non riesce a essere chiaro né con se stesso né soprattutto con Magnus.
Questo si riflette anche su Magnus.
Magnus che deve interagire con una persona in continuo mutamento, sia fisico che caratteriale e la cosa non sembra turbarlo nemmeno un pochino, come se l’autore avesse paura di farlo apparire (e apparire lui stesso) insensibile. Sarebbe umano da parte di Magnus avere un piccolo dubbio, superare un pregiudizio, riflettere sulla natura del suo rapporto con Alex, invece è sempre incredibilmente passivo. Al massimo si concede, in dirittura d’arrivo: “Sarò sincero. Una piccola parte del mio cervello pensò ‘Alex è un maschio adesso. Sono appena stato baciato da un ragazzo. Come mi fa sentire questa cosa?’ Il resto del mio cervello rispose: ‘Sono appena stato baciato da Alex. Sono strafelice.”
Fine del profondo dissidio interiore.
Possibilità di avere una coppia davvero diversa e interessante buttata ai porci. 
Magnus aspetta che Alex lo baci (da donna e poi da uomo), che lo prenda per mano, ma non prende mai l’iniziativa (legittimo) né tantomeno si fa domande su eventuali complicanze che salterebbero fuori in un loro rapporto (meno legittimo). Magari semplicemente Magnus potrebbe essere pansessuale (decisamente improbabile visto che a differenza di quanto accaduto quando Alex era donna un problema seppur piccolo se lo pone al loro secondo bacio gay), e nel caso sarebbe comodo visto che non gli fregherebbe di quello che Alex ha nelle mutande, e forse sarebbe stato meglio fargli confessare questo esplicitamente in corso di narrazione piuttosto che l’ateismo, che in questo specifico contesto c’entra come il tofu alla casa della bistecca.

Forse sarebbe stato più interessante anche vedere qualcosa dal punto di vista di Alex.
Il fatto che abbia la facoltà di cambiare il proprio corpo perché segua il modo in cui la sua mente percepisce se stesso è da un lato una cosa molto comoda, ma dall’altro è un bel cazzo nel culo. Se un genderfluid del mondo reale vive un disagio interiore a causa del fatto di non sentirsi sempre in sintonia con quanto vede nello specchio, è anche vero che come meccanismo di protezione se si ritrova in un ambiente ostile può, nei limiti, nascondere quello che è.
Non ha tatuato in fronte genderfluid.
Alex sì.
Alex non può (né vuole) nascondere quello che è, e abbiamo già visto quali problemi le abbia causato l’essere fatta in questo modo a partire dalla sua stessa famiglia. Gli stessi Einerjar all’inizio, prima di riconoscerne il valore in battaglia, la chiamano Argr in senso spregiativo. Anche per questo motivo Alex è un riccio, si chiude al mondo, e questo è un problema perché la nostra finestra del mondo è Magnus, e dal suo punto di vista Alex resta per tutto il tempo un mistero.
Per esempio, quando alla fine dice a Magnus: “Ho riflettuto sulla tua dichiarazione di amore eterno o quel che era” a me sarebbe piaciuto vedere l’entità dei suoi ragionamenti. Per esempio, Alex si sente a suo agio al pensiero di iniziare una relazione potenzialmente eterna, lui che è in continuo mutamento, con un ragazzo? Ha paura del giudizio che lui potrebbe avere di quello che è, e fino a che punto questo causa preoccupazione?
E poi, viene più naturale essere uomo o donna accanto a Magnus?
Sarebbe stata una finezza, una cosa molto carina da scoprire e una sfumatura intrigante da tenere in considerazione. Ma visto che Riordan evidentemente l’intenzione di andare fino in fondo col personaggio genderfluid non ce l’ha, li fa baciare una volta da maschio e una volta da femmina e bon. Pari e patta.

A conti fatti un po’ mi dispiace e un po’ non mi dispiace che la loro relazione si risolva in qualcosa di così tenero e indefinito come una stretta di mano che viene naturale in un momento di pace, perché a questo giro Riordan fa una cosa che personalmente apprezzo molto, ovvero smontare il leit motiv del “vivere per sempre felici e contenti con il filarino del cuore.”
Qui questo non accade, nemmeno alle coppie di ferro come Halfborn e Mallory.
In quanto potenzialmente immortali, gli Einerjar che comincino una relazione hanno davanti a sé un periodo molto lungo per conoscersi, annoiarsi, litigare, ritrovarsi. I loro rapporti amorosi hanno alti e bassi, i loro rapporti di amicizia possono mutare, come accaduto a TJ e Halfborn che inizialmente si odiavano e diventano amici solo dopo, grazie all’intercessione di Mallory (cosa non casuale, in quanto lei è figlia di Frigg) e alla presenza di quel tenerone di Magnus. Lo vediamo con la stessa Alex, che inizialmente a causa di quello che è non è esattamente l’anima del 19esimo piano, ci vuole tempo perché l’opinione che gli altri hanno di lei cambi e che per esempio Halfborn la smetta di considerare Alex inferiore come combattente in quanto argr; nello stesso rapporto con Magnus non c’è questa fregola di diventare qualcosa di solido, tanto il tempo non gli manca.
In questo sono gli anti-Percy e Annabeth, i pucci pucci incollati col Bostik che hanno una sola vita da passare insieme, e potrebbero anche morire domani quindi non me la sento di giudicarli per voler stare insieme più che possono.
L'unica eccezione a questo andazzo romantico poco idealizzato è come al solito la nostra quota etnica con matrimonio combinato del cuoricino, che ancora una volta si rivela essere un vero dito nel culo.

Samirah a questo proposito resta la mia personalissima incudine appesa ai coglioni, in un contesto in cui Riordan cerca di giustificare un universo in cui possono potenzialmente convivere (nei soli Stati Uniti) non solo diversi pantheon di divinità pagane ma addirittura le divinità monoteiste (eppure il protagonista rimane ateo. Vabbè…) con risultati assurdi.
A questo giro il Ramadan diventa davvero troppo
Intendiamoci, la questione religiosa era già saltata fuori in Percy Jackson, in un dialogo tra Chirone e Percy.

“Quello che forse non sai è che nella tua vita operano grandi potenze. Gli dei, le forze che tu chiami dei dell’Olimpo, sono reali e presenti.”
“Aspetti un momento… Mi sta dicendo che Dio esiste?”
“Beh, ecco… Dio con la lettera maiuscola è tutta un’altra cosa. Non entriamo nel metafisico.”
“Metafisico? Ma se stava parlando di…”
“Di dei, al plurale. Grandi esseri che controllano le forze della natura e le imprese degli uomini: gli dei immortali dell’Olimpo.”

E finiva lì, senza che ci si andasse a tuffare a pubenda in bella mostra in un cespuglio di ortiche tirando fuori questioni sulle divinità monoteiste: anche perché va detto che gli dei greci se la legano molto più al dito, son permalosetti a differenza di Heimdall e i suoi compari.
Però io fino alla valchiria musulmana ci arrivo, e per quanto paia assurdo posso addirittura trovarlo credibile.
In fondo tu Allah non lo vedi in corso di narrazione, non arriva come il Deus ex machina del medioriente a salvare la situa coi suoi magici poteri monoteistici, vedi solo una ragazza molto devota che cerca di non impazzire e razionalizza come può cercando di unire quello che vede e quello in cui le hanno sempre detto di credere. Certo, gli dei norreni per venire incontro a questa visione astrusa sono stati trasformati in deficienti scoreggioni sposati a donne oggetto, ma è un prezzo minimo da pagare per avere tutta questa esotica diversità.

Il problema vero è che in questo libro Samirah un po’ è la parodia di una musulmana e un po’ è musulmana a intermittenza, nonostante si faccia riferimento a lei più volte come una brava ragazza musulmana (che non sa che durante il Ramadan il bagno lo puoi fare, perché non è un problema se mentre fai la doccia ti entra un po' di acqua in bocca se non l'hai fatto apposta), dando a intendere tra le righe che chi non si comporta come lei è una cattiva ragazza musulmana?
Una brava ragazza musulmana che tra parentesi non rinuncia al Ramadan nemmeno se è in gioco il destino dell’universo, che non può abbracciare un amico o il ragazzo che ama nemmeno in un momento di sincera felicità ma a un certo punto si toglierà il velo sulla Big Banana perché per lei lo squadrone Benetton sono come una famiglia.
Molto tenero, ciccia, ma non funziona così.
Non lo decide una brava ragazza musulmana chi è famiglia.
E soprattutto a fine storia non smolli la tua famiglia per andare via con Amir.
Eppure tutte le persone che ha intorno, che manco sono musulmani e alcuni manco dovrebbero sapere cos'è la religione musulmana (a meno che non abbiano un dottorato in religioni comparate, che nel caso di Halfborn è probabile), diventano inspiegabilmente più fissati di lei, gli atei invidiano la sua fede, e ci aggiungiamo sacrifici umani, cani e gatti che vivono insieme, masse isteriche per chi è bravo e coglie la citazione!
Alla fine della sua avventura, davanti all’adorato Amir, invasa da una gioia incontrollabile infatti Samirah gli dirà: “Ho una gran voglia di abbracciarti!”
Alex (maschio) però non sembra essere tanto d’accordo.
“Meglio di no. Dato che tutti qui facciamo parte della tua famiglia allargata, ci sono diverse migliaia di maschi pesantemente armati che ti fanno da chaperon”
Che bella presentazione del mondo musulmano parte #27.
Riordan, per favore basta o appena trovo una moschea mi converto.
Viene poi tirato fuori a un certo punto il Laylat al-Qadr, la Notte del destino, che tecnicamente (wiki alla mano) sarebbe una notte speciale del Ramadan, che cade in uno degli ultimi 10 giorni del mese di digiuno: una notte considerata benedetta in cui si avverte con più forza la presenza della divinità e si prega con più foga.
Nel libro possiamo riassumerla così.
Samirah: “Stasera è la 27esima notte del Ramadan, la Notte del destino. Però non è per forza la ventisettesima notte, è uno degli ultimi 10 giorni di digiuno ma nessuno sa esattamente quando. Io però dico che è stasera perché sì, ho avvertito un fremito nella Forza.”
Io dentro di me: “Ma nel libro precedente non mi hai rotto i coglioni un’ora sul fatto che Allah era più potente di Odino proprio perché non faceva niente? Com’è che mo’ si manifesta e te lo senti dentro e hai bisogno che ti metta il like sul facebook della tua anima proprio la sera prima dello scontro contro Loki, che tu hai deciso essere di tua iniziativa sto fantomatico giorno musulmano de Mazinga?”
Magnus: Uh che fico, vinceremo di certo.
Io: *facepalm*

L'Allah compagnone è con noi!
A proposito della diatriba verbale tra Loki e Magnus mi dispiace che a conti fatti la scena non sia riuscita a decollare davvero e Loki mi abbia dato più l’impressione di un bulletto della scuola che di un boss finale (anche se a sua difesa 1) lui voleva uccidere Magnus e farla finita, quindi da questo punto di vista è stato intelligente, e 2) anche nella Lokasenna non va tanto per il sottile con gli insulti e la butta parecchio nel triviale), perché nel mezzo c’erano riflessioni interessanti.
A una certa Loki dirà a Magnus:

“Io sono un gigante! Ma ecco il punto, Magnus. Gli Asi sono soltano una generazione divesa di giganti. Quindi anche loro sono giganti! Tutta questa faccenda degli dei contro i giganti è ridicola. Siamo una grande famiglia infelice. E’ una cosa che dovresti capire, piccolo umano disfunzionale che non sei altro. Dici di avere un nuovo gruppo di fratelli e sorelle nel Vahlalla, non è una cosa carina? Smettila di mentire a te stesso.
Non sei mai libero dal tuo sangue.
Tu sei esattamente come la tua famiglia. Debole e ubriaco d’amore come Freyr. Disperato e senza spina dorsale come il vecchio zio Randoph. E stupidamente ottimista e morto come tua madre.”

Il punto in questa saga è sempre quello, a conti fatti, la famiglia, il gruppo.
Non tutte le famiglie sono quelle del Mulino Bianco.
Lo dimostrano praticamente tutti i protagonisti di questo libro: Magnus ha un padre assente (a cui però ha deciso di perdonare tutto perché, come dice Loki facendolo passare per un difetto, è una persona che ama invece di perdersi nel rancore) e uno zio che per amore della sua famiglia, perché ancorato al passato invece che a chi è ancora qui e gli vuole bene, lo ha tradito e si è alleato con Loki. Alex ha un padre avido e violento, Mallory un ubriacone. I genitori morti sono i migliori ma, per l’appunto, sono morti e hanno lasciato soli dei ragazzi molto giovani.
Ma questo non è necessariamente un difetto, non è detto che da avvenimenti terribili non possano nascere cose buone e che avere dei trascorsi terribili non possa consentirci di trovare la forza di scegliercela da noi, la famiglia.
La famiglia è anche quella che sa perdonare, quella che non sempre è legata dal sangue (ma continua ad essere ridicolo che la musulmana decida da sola quando è lecito togliersi il velo: questa non gliela passo, è una stronzata) e a cui puoi appoggiarti nel momento del bisogno, che si condivida il sangue o meno. E’ chi non ti abbandona a dispetto dei difetti, chi ti accetta come sei e ti rispetta nonostante le differenze culturali, religiose o ideologiche.
Loki invece è convinto che tutto sia legato dal sangue. Che la famiglia sia una catena che opprime, da cui non ci si libera. E' questo a renderlo solo e debole, al punto da perdere qualsiasi controllo avesse sulle figlie e persino la fedele moglie Sigyn lo abbandonerà, alla fine, decretandone ufficialmente la sconfitta e l'esilio nella noce-water.

*

In conclusione di questo lungo e accidentato viaggio cosa dire della trilogia di Magnus Chase? Che è stata un’occasione abbastanza buttata ai maiali, ma non una totale ciofecona.
Riordan porta alla luce personaggi e tematiche molto interessanti rispetto a quello a cui ci ha abituati: in particolare colpisce un protagonista molto meno virile del solito, qualcuno che non vede mai la lotta e la prevaricazione come soluzione (che non a caso al momento dello scontro finale avrà accanto una persona che per suoi personali limiti religiosi non può fisicamente usare violenza sul prossimo se non per difendersi, e una spada che funziona meglio quando lui non la impugna), che pensa agli altri prima che a se stesso e che troverà nell’amicizia, nella famiglia e nel dialogo la via per ritardare, ma non evitare, il Ragnarok.
In questo non capisco chi si è ritrovato deluso dal finale, dal momento che a mio avviso questa storia non poteva concludersi in nessun altro modo. Motivo per cui rivolgerò le mie preghiere al cielo affinchè Riordan molli le avventure di Magnus Chase e non ci torni mai più.

Persino nella mitologia norrena aleggia sempre lo spettro della fine. Ce lo dice lo stesso Magnus, nell'ultimo paragrafo di questa lunga avventura:
“Il mondo finirà. Ma, nel frattempo, come ha detto una volta Loki, possiamo scegliere di modificare i dettagli. E’ così che assumiamo il controllo del nostro destino.
A volte anche Loki ha ragione.”


Giudizio finale:
Un viaggio magari non perfetto quello di Magnus, ma coerente e adatto al suo target


RICK RIORDAN - Magnus Chase e Gli dei di Asgard:

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