Autore: Rick Riordan
Traduzione: L. Baldinucci, L. Melosi
Ed. italiana: Mondadori, copertina flessibile, 519 pagine
Anno (Italia): 2016
Euro: 13,00
PREMESSA
Conosco approfonditamente e
in generale ho apprezzato le saghe “fantasy-mitologiche” greco-romane di
Rick Riordan: non le ritengo il dono di Zeus alla letteratura per ragazzi ma
sono buoni romanzi di intrattenimento. Mi sono emozionata con le avventure di
Percy, ho trovato molto gradevoli quelle di Jason, mi sto divertendo con la
saga di Apollo.
Mi sono sempre tenuta alla
larga sia dalla saga “egizia” di Kane che da quella “norrena” di Magnus perché,
in soldoni, nulla mi importa di quelle mitologie e dal punto di vista meramente
narrativo pensavo che l’effetto strizzamento
delle rape fosse un pericolo veramente palpabile.
Spinta dalle numerose
recensioni entusiastiche ho deciso di avvicinarmi almeno a Magnus Chase, se non
altro perché dopo aver visto qualche film Marvel ho una vaghissima idea di chi
siano almeno di nome Thor e Loki.
Uno è meglio che niente, lo dice pure Loki... |
DUE RIGHE DI TRAMA
Magnus Chase (il cognome vi farà sicuramente suonare un campanello,
o voi fan di vecchia data delle saghe di Riordan: trattasi infatti del cugino
della nostra figlia di Atena prediletta, Annabeth) è un ragazzo di Boston che
dalla morte di sua madre due anni addietro vive per strada: i due clochard Blitz e Hearth (quest’ultimo sordomuto)
lo hanno preso sotto la loro ala protettrice, diventando insieme compagni nella
sventura. Al momento di compiere i 16 anni però la vita di Magnus cambierà
radicalmente.
Verrà trovato da suo zio Randolph, da cui sua madre lo ha sempre
messo in guardia invitandolo a tenersi alla larga, mentre bighellona nei pressi
della sua villa: questi gli rivelerà delle sue origini. Magnus è infatti il
figlio di un semidio norreno.
Quale dio norreno? Ancora non si può dire.
Su di lui grava una profezia
che ne preannuncia la morte al compimento dei 16 anni e deve seguirlo per
recuperare una cosa che suo padre ha smarrito 2000 anni fa.
Che cosa deve recuperare Magnus? Niente, lasciamo suspence a caso.
I due raggiungono insieme un
molo e a quel punto lo zio gli chiede di sporgere la mano nell’acqua e trovare
qualcosa con dei poteri psionici latenti: gli volerà tra le dita una roba che
si rivelerà essere una spada. La spada di chi?
Perché è così importante?
Tutti insieme, forza: ancora non si può dire.
Improvvisamente appare il
gigante di fuoco Surt, che cerca di
uccidere Magnus e reclamare per sé la spada: nella battaglia costellata dalla solita improponibile ironia
fuoriluogo da adolescente che segue Magnus ucciderà (temporaneamente) il
malvagio Surt, ma perderà la vita. Ragnarok style, baby!
Qualcuno però non sembra così
desideroso di mettere fine alle sofferenze del ragazzo.
Una valchiria araba, Samirah-Al-Abbas, recupera la sua anima come si conviene a un eroe morto valorosamente in battaglia e lo conduce nel
Valhalla, qui dipinto come un enorme
albergo in cui altri Einerjar come
lui tra un banchetto fatto a spese del maiale immortale (con un lato convenientemente fatto di Tofu per venire incontro alla quota etnica) Saehrimnir e un calice di magico
idromele fatto col latte della capra Haidrùn
si picchiano tutti i giorni come bestie per passare il tempo in attesa del
Ragnarok, l’epica battaglia finale in cui gli Einerjar si schiereranno al fianco del Dio Odino per trovare una morte da guerriero.
Immagine di repertorio di un giorno normale all'hotel Valhalla |
Al momento di rivelare a fine
pasto le imprese eroiche che hanno condotto nel Valhalla i nuovi arrivati
scatta l’immancabile momento-drama,
comprensibile visto che già la palpebra di chi legge sta un po’ calando a causa
dell’insostenibile simpatia di Magnus: Gunilla,
capo delle valchirie, ex Einerji e figlia
di Thor (da cui ha preso l’eleganza e l'intelligenza), sembra nutrire una profonda antipatia
verso Samirah, che scopriremo essere una figlia di Loki.
Questa antipatia personale la
porta a umiliare sia lei, che è una sua diretta sottoposta quindi qualcuno di
cui dovrebbe essere responsabile, che Magnus montando ad arte il video-moviola degli ultimi istanti della sua
battaglia eroica di modo da farlo sembrare un cretino. La stessa presenza
di Magnus nel Valhalla come eroe viene messa in discussione (non possono
revocargli il titolo, ma rendergli la permanenza impossibile eccome). Samirah
cerca di difendere accoratamente la sua decisione, che sembra non provenire da
lei ma da una misteriosa entità che
le ha specificatamente chiesto di salvare Magnus, e di nuovo non si capisce
perché diamine Riordan mantenga il segreto per fare suspense visto che alla fine questa misteriosa
entità si rivelerà essere Odino.
Le Valchirie lavorano per
Odino, sono emanazione della sua volontà.
Nel mito addirittura sarebbero
le sue figlie.
Vabbè…
Si cerca di risalire alle
origini di divine di Magnus per giustificare in qualche modo la sua presenza lì
o perché il divino genitore perori in qualche modo la sua causa: intervengono
nientemeno che le Norne, le Parche
della mitologia norrena. Esse rivelano che Magnus è il figlio di Freyr, fratello di Freja, dio della bellezza e della fecondità, e
pronunciano una profezia che lo riguarda.
Tutti ridono e Samirah viene licenziata.
Magnus sembra destinato a
diventare la Lovely Sara dell’hotel Valhalla (però immortale, bionda, gonfia di
muscoli bitorzoluti come un grappolo d’uva, alta due metri e dotata di Alf
seidr, una magia elfica di guarigione), ma il destino sembra non essere
d’accordo, e meno male perché a questo punto o mi si faceva un'iniezione di
adrenalina o mi potevate dare per spacciata: la sera stessa della sua epica
figura di merda Magnus si ritroverà tra capo e collo nientemeno che i suoi
amici Blitz e Hearth, che si riveleranno essere il nano Blitzer e l’elfo (sempre sordomuto) Hearthstone mandati da lui al fine di
proteggerlo da un capo, aridaje, misterioso.
Spoiler: il capo misterioso è Mimir,
un gigante in grado di fornire per il giusto
prezzo la conoscenza suprema: a questo proposito sarebbe molto carino
smetterla di allungare la broda con tutti ‘sti finti misteri. Non li
conosce Magnus gli dei norreni, ha letto una volta per sbaglio un dizionario
mitologico per bambini: non ha simpatie o antipatie.
Non gli cambia nulla sapere i
nomi prima.
Non cambia nemmeno a noi che leggiamo, in questo caso.
Insieme, Magnus, Blitz e Heart
(con l’aiuto di Samirah ora priva dei poteri di Valchiria) fuggiranno dal
Valhalla per adempiere al destino del ragazzo, che a questo giro è: recuperare la spada di Freyr caduta nelle
reti della dea Ran, procurarsi dai nani una nuova corda che tenga imprigionato
ancora per un po’ il lupo Fenrir rimandando il Ragnarok con l’ausilio della dea
Freya e recuperare da un trio di gigantesse sexy l’arma di Thor perché gli
indichi la strada tra un rutto e una scoreggia, mentre Loki si comporta da
cretino e non frega proprio nessuno.
Signore degli inganni…
RECENSIONE
Premessa: so quello che odio, e questo libro non lo odio.
Tuttavia l’idea generale è che
Riordan voglia vivere di rendita e scappatoie facili.
Alcune delle forti iniziali
perplessità di fronte a questo libro si sono dipanate in corso di lettura ma a
mio avviso rimangono di fondo dei problemi,
specialmente a livello narrativo. Riordan sembra proporre al suo lettore la
stessa minestra riscaldata con la certezza che venderà, ficcando nel libro
situazioni davvero molto simili a quelle già incontrate da Percy.
Magnus è vittima di una profezia che prevede la sua morte a
16 anni. Degli oracoli gli daranno una missione da compiere che prevede
la salvezza del mondo, ma a differenza di Percy e Jason che se non altro si
erano allenati prima di partire, lui si è
direttamente svegliato muscoloso, agile e coi poteri di guarigione, così non si
perde tempo.
In quella che ormai è
chiaramente un’incapacità dell’autore di differenziare i propri protagonisti, Magnus è indistinguibile da Percy, Jason o Apollo. Tutti tirano
fuori nei momenti meno opportuni lo stesso identico umorismo da adolescente
stronzo, in pratica sono lo stesso personaggio pur dovendo appartenere a
contesti molto diversi tra loro (uno è addirittura un dio greco, per la
peppetta): se citassi delle frasi prive di contesto, neppure il fan più
accanito saprebbe dire chi le sta pronunciando.
Sono inoltre tutte battute di
una stupidità imbarazzante, la gag di Magnus che sbaglia a
pronunciare le parole norrene ha rotto la minchia da pagina due.
Il che però non significa che
tutto della caratterizzazione di Magnus sia da buttare dritta dritta nel cesso.
▶ Magnus vive una vita di stenti
Questo è funzionale e ha senso
nel contesto norreno.
La vita di un vichingo era
costellata di privazioni e la sua vita era una lotta continua per la
sopravvivenza: la sua mitologia riflette la crudeltà di un’esistenza vissuta
nel brullo Nord, e infatti come si vede in questo libro non c’è un luogo di
riposo nemmeno dopo la morte. C’è il Valhalla,
in cui i guerrieri morti in modo valoroso continuano a combattere e morire in
nome di Odino in attesa del Ragnarok, e il Regno
di Hel (identificato con il Regno dei ghiacci o Niflheimr), in cui chiunque
non sia morto onorevolmente patisce atroci sofferenze. Magnus ha perso sua
madre, divorata da un branco di lupi: vive per strada, di stenti, mangiando rifiuti o se gli va bene
vivendo degli avanzi giusto un poco lasciati al sole o un poco scaduti di un
furgocino di falafel.
A inizio del libro addirittura
muore a seguito di un futile atto di coraggio.
In questo, Magnus incarna
gli stessi dei norreni: per diventare quello che sono hanno conosciuto la
perdita e la sofferenza, sono legati a un destino di morte e fallibili. Non
negano la paura, la abbracciano e nonostante le probabilità siano contro di
loro o siano destinati al fallimento scelgono comunque di morire lottando.
Di contro, questa cosa è davvero
resa malissimo.
Visto il target dei libri di
Riordan, ovviamente non si poteva rendere la dura vita da clochard troppo
realistica, ma in questo caso il risultato è che non si avverte mai per davvero la sofferenza che Magnus deve affrontare
per acquisire piena consapevolezza di sé come eroe norreno: ha degli amici
al suo fianco che rendono meno dure le sue pene, persone amiche che in qualche
modo se avesse proprio la necessità potrebbero sfamarlo, una rete di emergenza
estrema formata da parenti da cui sua madre prima di morire l’ha messo in
guardia (ciononostante li ha).
Ha anche quel modo di
ironizzare continuamente sulla sua condizione, di fatto sminuendola e togliendo
solidità al suo percorso di crescita, che in questo specifico caso è
fondamentale. A questo proposito, anche Percy ha avuto la stessa vita sfigata
(la madre era legata a un vero pezzo di merda che abusava di lui e lo sminuiva
in continuazione, Gabe) fino al momento in cui non ha scoperto di essere un
figlio di Poseidone: l’idea che ne consegue è che Riordan non riesca a costruire un personaggio che possa catturare
l’interesse e le simpatie del lettore se non ne fa un derelitto.
▶ Per ottenere qualcosa deve perdere
qualcosa
Dalla morte della madre Magnus guadagna la possibilità di temprarsi con
una vita dura, e guadagnarsi una morte onorevole in battaglia esattamente
come Odino ha guadagnato la sua infinita saggezza rinunciando al suo occhio e
come Tyr ha rinunciato alla sua mano per permettere agli altri dei di legare il
gigantesco lupo Fenrir fino all’avvento del Ragnarok.
Rinunciando alla vita in
battaglia, si guadagna un posto tra gli Einerjar.
Tutti i suoi compagni di lotta
per ottenere qualcosa devono rinunciare a una vita normale e felice.
Parlando con Hel gli verrà
offerta la possibilità di tradire Odino, fuggire dalla battaglia (una scelta
forse preferibile al farsi massacrare quando no c’è speranza di vittoria, gli
verrà detto) e avvicinare l’avvento del Ragnarok, in cambio della possibilità di riabbracciare sua madre.
Si noti ancora una volta il parallelismo con Percy che ne Il ladro
di fulmini accetterà di trovare la folgore di Zeus proprio per riavere indietro
la genitrice, la cui anima è intrappolata nell’Ade (di nuovo, parliamo di una
persona specialissima che ha attirato le attenzioni di un Dio poco incline alle
scappatelle, e quando te sbagli?), ma in questo caso la piega che prende la
narrazione è del tutto diversa e più interessante: Magnus rifiuterà l’offerta di Hel non perché la ritiene la scelta
giusta per il mondo, un sacrificio da fare in nome di un bene più grande
(alla fine il Ragnarok dovrà avvenire comunque, rinunciando a sua madre Magnus non
salverebbe niente ma rimanderebbe solo l’inevitabile), ma perché apprende il valore della perdita e del sacrificio.
Onorerà allo stesso modo le
valchirie morte sull’isola di Fenrir.
▶ Magnus non è un semidio
guerriero
In una mitologia come quella
norrena dove è la forza bruta a farla da padrona e persino gli dei più
importanti sono forgiati dal fuoco di mille battaglie il nostro protagonista è
figlio di Freyr, uno dei Vani, divinità
della fertilità, dell’abbondanza e della crescita.
Alla sua morte sarebbe
tecnicamente destinato al Fólkvangr, un campo dei caduti valorosi su cui domina
la dea Freya, ma Odino lo reclama per sé al Valhalla. Fin da subito, mentre
tutti fanno a gara a chi riesce a schiantare la mazza più grossa sul cranio del
nemico più pompato, Magnus ma mostra dell’alf
seidr, una magia dei Vani.
“Di solito è una magia pacifica. Guarisce. Fa crescere le cose.
Ferma la violenza. Non si può imparare. Non è come la magia runica. O ce l’hai
nel sangue o non ce l’hai. Tu sei un figlio di Freyr. Forse hai qualcuna delle
sue capacità”
Freyr rappresenta la temperanza,
l’equilibrio tra il fuoco e il ghiaccio, e così Magnus.
In questa storia si fa un culo
così per recuperare una spada a cui suo
padre ha rinunciato per amore di una gigante (cosa che durante il Ragnarok
lo porterà ad essere ucciso da Surt, a cui tecnicamente la spada appartiene),
una spada senziente e pure parecchio irritante che preferisce farsi chiamare Jack perché a suo dire non è un nome
stupido.
Ecco cosa penso in generale della spada Jack ↴
Questa è una finezza per pochi eletti... |
Una spada che nel momento
della battaglia finale contro Fenrir non solo risulta completamente inutile ma
addirittura dannosa perché il suo destino, a cui non può opporsi, è quello di
liberare Fenrir e scatenare il Ragnarok.
Infatti Magnus vince portando l’estate.
Nello specifico, trovando un modo diverso e pacifico di vincere la battaglia contro l’oscurità.
Sempre tornando a Percy
Jackson, Magnus condivide col figlio di Poseidone un’altra scena di questo
romanzo, vale a dire l’incontro finale con il
divino genitore. Se però Percy è guardingo e pieno di rancore nei suoi
confronti, non riesce ad andare oltre la sofferenza che ha causato a lui e a
sua madre, o la sua indifferenza nei confronti del loro dolore, Magnus corre
ad abbracciare Freyr.
Perché Magnus non è Percy e
non prova rancore.
Il perchè lo spiega Freyr:
“Neppure gli dei possono durare per sempre. Non spreco le mie
energie tentando di lottare contro il cambiamento delle stagioni. Mi concentro
per far sì che i giorni che ho a disposizione e le stagioni che sovrintendo siano
il più possibile gioiosi, ricchi e abbondanti. Ma questo già lo sai. Nessun
figlio di Thor, di Odino, e neppure del nobile Tyr avrebbero resistito alle promesse
di Hel o alle parole suadenti di Loki. Tu sì. Solo un figlio di Freyr poteva
sceglire di lasciar andare, come hai fatto tu.”
*
Samirah invece è l’imbarazzante quota etnica.
E per favore, non confondiamo
la vera inclusività con questa roba.
Riordan sembra aver bisogno di
mostrare al lettore quanto è moderno (non a caso dedicherà questo libro a un’altra
regina dell’inclusività ad mentula,
Cassandra Clare) piazzando dentro a caso una figlia araba del dio Loki che si
rivela essere la sagra dello stereotipo,
ma al tempo stesso una ragazza moderna, coraggiosa e che pesta come un fabbro
ferraio con l'ascia, col sogno impossibile di fare la pilota d’aerei.
Si parte con una bella presentazione
della comunità araba.
[Dal momento che sua madre era
rimasta incinta di lei senza essere sposata] “Nella comunità locale io ero merce fallata, una bastarda. I miei
nonni sono stati fortunati, molto fortunati, ad avere la benedizione dei Fadlan
per il mio matrimonio con Amir. Io non porterò nulla in dote. Non sono né ricca
né rispettabile… “
Da qualche parte salta fuori
anche il suo essere una “ribelle motivo di
imbarazzo” per la sua comunità perché nonostante abbia ottimi voti a
scuola e sia una ragazza giudiziosa che ogni tanto ha una vita (come Batman, di
giorno è una normale ragazza araba col suo hijab e i suoi matrimoni combinati,
di notte si trasforma in supervalkiria) ed esce di casa senza telefonare come una qualunque adolescente.
Sia mai che gli ritorni a casa
incinta di qualche divinità cristiana, in effetti…
Al tempo stesso però Riordan
non si può permettere di giocarsi la fetta di lettori mediorientali, se no il
personaggio arabo e musulmano in una saga in cui le uniche divinità tangibili sono quelle pagane cosa l’ha messo a fare? Ed ecco quindi Samirah rassicurarci sul
fatto che il suo matrimonio combinato con Amir è consenziente (come se una
reietta della comunità potesse far molto la schizzinosa) e lei ne è felice, che
lei lo ama da quando aveva 12 anni (perché a 12 anni sai già che quello che hai
davanti è l’uomo della vita, ovviamente).
Amir lo vedremo in una scena,
gestisce un chiosco di falafel.
Non so, già che ci siamo vogliamo
fargli indossare il fez e i pantaloni alla Aladdin?
Lei davanti a lui fa tutta la
timida e si affretta a sistemarsi meglio il velo intorno al volto per
nascondere bene i capelli. A questo punto mi sorge spontanea una riflessione:
tra matrimonio combinato, il mestiere di famiglia legato ai falafel e questo
atteggiamento viene da pensare che la famiglia di Amir sia abbastanza
tradizionalista, o comunque religiosa. E vogliamo pensare che a Samirah sarà concesso dal futuro marito di
diventare nientemeno che una pilota?
Spoiler: sì, perché a questo proposito pare che
nel seguito i Fadlan le faranno prendere lezioni di volo.
Quanta esotica modernità, stile
Wakanda…
A differenza di Annabeth, che
in quanto figlia di Atena copriva la quota Hermione del trio di protagonisti
della saga di Percy Jackson, Samirah non
si capisce esattamente perché dovrebbe essere proprio figlia di Loki, se
non per permetterle di fare la parte di Cristina, la figlia de Mazinga di Boris
che odia papino e vuole seguire il suo destino dopo che le è stata data la
quota azionaria di famiglia.
Dovrebbe essere maestra
delle parole, al punto che nel Valhalla manco le fanno perorare la causa di
Magnus per paura che possa ingannarli tutti con le sue doti affabulatorie, e poi
la si vede dare risposte stupide, arrossire e fare scena muta davanti al tipello
che le piace, che poi è pure un suo cugino di secondo grado, e non un estraneo,
non aiuta a convincere la dea Ran a consegnar loro la spada di Freyr, non aiuta
a fare un accordo coi nani in cambio degli orecchini di Freya, non frega le
gigantesse con qualche astuzia. Potrebbe volare anche senza i poteri di
Valchiria in quanto figlia di Loki ma non vuole perché le fa schifo papino.
E’ una mutaforma, ma
praticamente idem come sopra.
Ma sul fronte personaggi in generale, che sia la
valchiria araba pilota Samirah, o il nano stilista Blitz, o l’elfo sordomuto
Hearth, si presenta quello che almeno al momento è un problema molto serio,
ovvero il fatto che in questa storia tutti questi personaggi si ribellino al
loro destino quando la religione norrena è costruita sul fatalismo.
Se c’è una profezia questa si
avvererà al 100%.
La vittoria per Magnus arriva
nel momento in cui accetta la sua natura Vani.
Ma poi abbiamo un nano che non vuole fabbricare gioielli e strumenti
meccanici ma abiti eleganti e un elfo che a costo della propria identità (in
quanto sordomuto è un reietto della società)
vuole imparare a usare la magia delle rune, un potere che la sua razza non
padroneggia più da secoli. Riordan in pratica vuole mettere nel background le
solite morali motivazionali dei romanzi per ragazzi in un contesto in cui però
stonano non poco.
In generale Riordan
sembra non aver colto in pieno il fatalismo della mitologia norrena.
Se c’era una cosa che era
stata ben colta nelle saghe precedenti era lo spirito della cultura di
riferimento: Percy era un greco, profondamente individualista nel modo di
ragionare e combattere, interagiva con divinità immortali ed eterne che non
temevano la morte e incarnavano pulsioni istintive; Jason era un romano, il suo
modo di pensare e agire incarnava quello delle sue divinità, meno
individualiste ma al tempo stesso meno presenti nella vita dei mortali, verso i
quali erano sostanzialmente indifferenti.
Il dio norreno invece vive consapevole che il suo destino all’arrivo del
Ragnarok è soccombere, cionondimeno continua a combattere non per cambiare
il suo destino ma perché morire lottando è il modo più onorevole di andarsene. Per
questo mi risulta al momento decisamente poco chiaro il motivo per cui
qualcuno voglia accelerare o rallentare un accadimento che tanto avverrà
comunque e in cui tutti troveranno la morte, anche se al momento, come
Loki, sta patendo pene indicibili, col corpo straziato dal veleno di un
serpente che gli cola sul viso.
In virtù del fatalismo norreno
dovrebbero aspettare e stop.
Su questo punto spero che andando avanti le motivazioni dei pro-Ragnarok si facciano più chiare, perché non mi basta l'ennesimo scontro tra il bene e il male. Non in questo caso, dove l'esistenza stessa del mondo è uno scontro equilibrato tra forze in contrapposizione e far avvenire il Ragnarok non vuol dire far vincere i cattivi, ma morire e dare il via a un nuovo ciclo vitale per l'universo.
Si perde anche l’ambiguità
di fondo della divinità norrena, ritrovandoci di fronte a
modernizzazioni troppo simili ai già visti dei greci.
Si dice che non tutti i giganti
sono cattivi, si fa cenno al fatto che Odino debba al gigante Mimik la propria
saggezza, ma all’atto pratico a dir bene sono menefreghisti e manipolatori, a
dir male degli imbroglioni assassini quando dovrebbero semplicemente incarnare
il caos e le forze selvagge che si contrappongono alla civiltà e all’ordine, due pulsioni opposte che contribuiscono a
mantenere l’equilibrio precario che tiene insieme l’universo: lo stesso Loki
diventerà un cattivo tagliato con l’accetta, con buona pace della complessità
originale.
Loki è il dio ambiguo per
eccellenza (anche dal punto di vista dei confini sessuali, ricordiamocelo al momento di leggere il secondo libro), che
si allea con dei e giganti a seconda della convenienza. Il suo nome deriva
dalla parola che indica il fuoco ed è una divinità legata al fuoco della casa e
della forgia ma anche al potere distruttivo della fiamma. Ha aiutato spesso
Odino e Thor a ristabilire l’equilibrio su cui si regge il mondo, ha generato non solo serpenti e lupi distruttori di mondi ma divinità benevole. Rick Riordan resetta tutto questo e lo rende il boss finale di un videogioco.
E’ incazzato per la sua punizione
e vuole il Ragnarok.
Nonostante sia destinato a
morire subito per mano di Heimdall, che morirà a sua volta.
Oookay. Tra l’altro questo
Loki è talmente stupido e fatto male che nonostante debba essere il signore
dell’inganno non frega nessuno e tutto quello che dice puzza di falso
lontano due miglia, al punto che quando a fine romanzo salternano fuori gli
altarini e i suoi piani malvagi li avevamo già intuiti almeno 50 pagine prima.
*
Insomma, che dire alla fine di
tutto il solito pippone riguardo a questo primo volume della saga di Magnus Chase e gli dei di Asgard?
Che Riordan non è proprio in
formissima a questo giro.
L’autore sta vivendo un po’ di
rendita sulle spalle delle saghe precedenti e forse i compiti non li ha fatti
bene: si fatica a distinguere le divinità greche da quelle norrene (e inserire
Annabeth come personaggio ricorrente che fa a gara con Magnus a chi lancia le rune più lontano non aiuta),
trovo che si inserisca la diversità in modo superficiale e forzato con l’effetto opposto
rispetto all’essere inclusivi, cionondimento ci sono degli spunti di
riflessione interessanti che portano a incuriosirmi quel tanto che basta da
continuare la lettura.
Giudizio finale:
Carino ma non eccezionale tuffo nella mitologia norrena |
RICK RIORDAN - Magnus Chase e Gli dei di Asgard:
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