Anno: 1950
Regia: Vincente Minnelli
Sceneggiatura: Frances Goodrich, Albert Hackett
Cast: Spencer Tracy, Joan Bennett, Elizabeth Taylor
Premesse:
Le commedie romantiche sui matrimoni hanno molto in comune; sono pallose, prevedibili, ti fanno venir voglia di accasciarti in terra e morire tra gli spasmi e si concentrano quasi esclusivamente sui patemi della biancovestita.
Essendo prodotti destinati alle fanciulle in età da marito quasi sempre la trama ruota intorno a una sposa che proprio come la spettatrice che ommioddio ma parla di me diventa isterica perché i segnaposti a forma di ornitorinco in sughero si sono bagnati o perché proprio non riesce a decidersi se i tovaglioli li vuole color lavanda odorosa o tramonto peruviano. Lo sposo nel frattempo medita la fuga fino al più vicino bar gay (In&Out insegna), o si sbatte la damigella d'onore dietro ai cigni di ghiaccio.
Se proprio regista e sceneggiatore si sentono paXXerelli la trama si sposta su testimoni, ex o invitati, che alla cerimonia nuziale a cui presenzieranno troveranno l'ammore dando il via all'ennesimo circolo vizioso di segnaposti, tovaglioli, fughe e corna. Un paio di volte JLo ha dovuto affrontare i dispetti di una suocera snob e ostile perché lei era una formosa, bella e cazzuta figlia del ghetto (*snap snap snap*). Scelte di sceneggiatura coraggiose.
Da brava figlia della bestia quale sono, di solito evito questi capolavori come la peste ma a 'sto giro non ho potuto esimermi dato innanzitutto il mio amore infinito per lo Spencer Tracy di fine carriera (se mi si vuole veder piangere come un'imbecille mettetemi davanti due minuti di Indovina chi viene a cena) e in secondo luogo per il titolo.
Chiamare un film Il padre della sposa dà già l'idea di chi sarà il protagonista: non l'ennesima ragazzina/donna scema che si eccita o si dispera per le cose più inutili insieme alle amichette e/o a una madre scema quanto lei mentre si appropinqua il giorno più bello della sua vita (quindi figurati gli altri), ma un uomo che il suo giorno felice lo ha avuto diversi lustri fa quindi l'eccitazione è bella che andata; un uomo che di fatto sta affidando la figlia un quasi estraneo quindi non è che abbia molto di cui eccitarsi (a meno che liberarsi della figlia non sia una liberazione) e che soprattutto piange, sì, ma per i denari che gli toccherà sborsare. Umorismo e amarezza si mescolano con maestria in questa pellicola del 1950 che mi ha colpita dritta al cuore diretta da Vincente Minnelli (padre di Liza) su sceneggiatura dei coniugi Frances Goodrich e Albert Hackett (Sette spose per sette fratelli, 12 metri d'amore, La vita è meravigliosa), con un cast ispiratissimo e una giovanissima Liz Taylor, qui al primo della sua cospicua schiera di matrimoni.
O per meglio dire al secondo: due giorni prima dell'uscita del film nelle sale infatti la Taylor si era sposata per davvero col suo primo marito, Nicky Hilton. Durerà un anno, giusto il tempo di far scadere la garanzia.
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DUE RIGHE DI TRAMA
Il film ruota attorno a un padre di famiglia, l'avvocato Stanley T. Banks (Spencer Tracy, in Italia Sandro) il quale scopre di punto in bianco durante una cena come tante non solo che da tempo la figlia Kay (Elizabeth Taylor, Carla) frequenta assiduamente Buckley Dunstan (Don Taylor, Poldo), ma che ha intenzione di sposarsi con lui in capo a qualche mese.
Per Stanley è una doccia fredda.
Non solo deve fare i conti col fatto che la sua bambina "con le trecce" è diventata una donna e sta per lasciarlo per chissàchi, ma presto dovrà fare letteralmente i conti con le spese faraoniche di un matrimonio borghese degli Anni '50 fatto "come si deve". Spese che saranno tutte a carico suo dal momento che "si usa così".
Secondo Buckley poi i matrimoni dei giovani vanno pagati dai genitori per poi vederne i risultati in futuro, quindi non si aspettasse un minimo contributo da parte sua.
A questo punto Stanley sa già di aver davanti un uomo che "riunisce in sé le qualità di Mosè, Seneca e Salomone", ma le convenzioni borghesi necessitano di ulteriori step prima di arrivare al grande sì.
Si fa la dovuta conoscenza col futuro sposo, durante la quale gli preme più che altro tastarne le possibilità economiche, e si scambia qualche convenevole con i genitori Doris e Herbert che terminano con uno Stanley che per il nervosismo beve troppo e si accascia sul divano dei consuoceri completamente ubriaco. Come protocollo esige si organizza poi una cerimonia di fidanzamento, che Stanley si perde perché, per risparmiare, ha deciso di pensare lui ai rinfreschi ed è rimasto bloccato in cucina a shakerare drink e aprire bottiglie di coca cola.
A quel punto la mastodontica macchina del matrimonio borghese si è già messa in moto senza che il padre della sposa possa far nulla per fermarla: i suoi piani iniziali di organizzare una cerimonia semplice, coi parenti degli sposi e pochi amici intimi, si infrangono contro la dura realtà. Non si possono invitare meno di 250 persone tra colleghi, amici e parenti di modo che nessuno si senta escluso. Ma non si possono stipare 250 ospiti in casa Banks a meno di ricorrere a professionisti, ma se si ricorre ai professionisti per il catering e la location i prezzi si alzano perché non si vorrà rinunciare alla torta, al patio e a tutte le altre cose che rendono il matrimonio un successo assicurato?
Il pover'uomo arriverà persino a suggerire a Kay una fuitina per risparmiare, e persino la moglie Ellie (Joan Bennett) comincerà a mettere da parte l'iniziale entusiasmo da matrimonio per condividere le sue ansie.
Tra alti e bassi, prove in chiesa arrangiate alla buona, maltempo, malori, finestre che non si aprono, smoking troppo piccoli e persino il rischio che tutto venga mandato a monte all'ultimo dal fatto increscioso a dire di Kay che Buckley voglia passare la luna di miele a pescare in una spelonca della Nuova Scozia, il matrimonio finalmente ha luogo, Kay è stupenda, la chiesa è stupenda, nessuno è finito i bancarotta e tutto fila liscio.
Solo che Stanley, nel marasma generale, non riuscirà nemmeno a salutare la figlia prima che parta per la luna di miele, e quando anche l'ultimo ospite sarà andato via rimarrà solo con la moglie a sistemare quel disastro prima che la donna delle pulizie decida di purificare tutto col fuoco, altalenandosi tra la gioia per la felicità di una figlia che ha preso la propria strada e la malinconia di chi si abbandona a ricordi più lieti.
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IMPRESSIONI SPARSE
► Il padre della sposa al di là del mostrarci le vicissitudini tragicomiche di un padre di famiglia bianco e borghese degli anni '50, è uno spaccato dell'America del boom economico che ci mostra con piglio tragicomico le problematiche stronze e superficiali che assillavano la middle-class consumista del tempo: i protocolli, l'apparenza, e soprattutto "fare le cose come si deve" a costo di vendersi l'anima una cambiale alla volta. Stanley è determinato a regalare a sua figlia il giorno perfetto che merita, l'abito dei sogni, la cerimonia delle favole, e nel frattempo si assicura che anche la persona che ha scelto come marito sia una persona affidabile che le darà la vita felice e agiata che merita.
Nel pieno stile dell'epoca infatti la massima preoccupazione di Stanley nel corso dell'interrogatorio cui sottopone il wannabe-sposino è che Buckley a dispetto del nome stupido (ma mai stupido quanto il nostrano Poldo) non si riveli un fannullone che ha intenzione di vivere sulle loro spalle, ed è rassicurato immediatamente dal fatto che in realtà oltre a frequentare l'università Buckley venga da una buona famiglia e sia già a capo di una piccola impresa. Certo, potrebbe seviziare gattini nel tempo libero, ma lasciamo queste preoccupazioni aggiuntive ai padri delle spose del XXI secolo.
► La pellicola riesce però al tempo stesso a non risultare stantia e figlia del suo tempo proprio attraverso il personaggio di Stanley: quale padre anche in epoca contemporanea non riesce a comprendere un uomo che tra il drammatico e il faceto si barcamena tra vestiti ormai troppo stretti, conti da pagare che si accumulano, ma che soprattutto non prova per la figlia quello che prova Stanley nei confronti di Kay?
Chi non si commuoverebbe di fronte alla figlia vestita in abito da sposa, chi non avvertirebbe dentro quel senso di vuoto e panico al pensiero di perdere la propria bambina, e chi non si sentirebbe inutile nel vedere la luce dei tuoi occhi che fino a ieri ti vedeva come un eroe ascoltare i consigli del futuro marito con fiducia ma ignorare i tuoi?
Spencer Tracy ci regala una performance magistrale, divertente ma mai eccessiva o caricaturale (come invece accadrà nel remake degli anni '90 con Steve Martin) e costruisce con la Taylor un rapporto intimo e speciale, un rapporto che qualunque buon padre può capire a dispetto del fatto oggi la middle class è defunta e il genero di 26 anni con la fabbrichetta del papi puoi trovarlo solo se tua figlia sposa un Agnelli.
► A livello di CAST raggiungiamo vette altissime: pur essendo la pellicola incentrata per la maggior parte del tempo intorno a un disorganizzato, paranoico, stressato Spencer Tracy, Joan Bennett (la Amy del Piccole donne del 1933) lo segue a ruota nell'offrirci il ritratto tragicomico di una madre borghese degli anni '50 che dopo lo shock iniziale di una figlia che le butta addosso come una bomba un fidanzamento inaspettato è lesta a farsi vincere dall'entusiasmo da cerimonia.
Accompagna la figlia a fare shopping, ha mille progetti per la testa, conserva nel cassetto riviste per spose in cui ha già segnato il modello perfetto per la sposina e in generale vuole per Kay il matrimonio più elegante, arrogante e borghese che ci sia, non solo perché è questo il compito principale di una mamma di figlia femmina in quegli anni ma anche per vivere attraverso di lei la cerimonia che non ha mai potuto avere (nel film la questione resta sottintesa, si parla genericamente di preferenze personali del marito che ha spinto per una cerimonia semplice ma è chiaro che essendoci stata la Grande Depressione e poi la Guerra, quando Stanley e Ellis erano giovani non ci siano stati i mezzi materiali per imbastire grandi cerimonie o darsi ai bagordi). Il rapporto tra i due coniugi è tenero e complice nonostante siano sposati da una vita: gli attori sono una squadra in perfetta sintonia (inizialmente Tracy aveva chiesto che a interpretare il ruolo fosse, ça va sans dire, Katharine Hepburn, ma la produzione ritenne che i due avrebbero dato via a un'intepretazione troppo passionale per l'idea di una coppia di coniugi di lunga data che voleva passare nella pellicola, così si optò per la Ellis).
A coronare il tutto, una Elizabeth Taylor deliziosa nel ruolo della giovane sposa "moderna e sbarazzina", luce degli occhi di papà, che inizialmente sembra non sentire tutto questo bisogno di grandi cerimonie "vecchie" e cene tra consuoceri ma è lesta a farsi prendere dall'entusiasmo, che pende dalle labbra del futuro marito tranne quando le prospetta una luna di miele a pescar salmoni in un tugurio. Divertente che in tutto questo pollaio Don Taylor (attore che dagli anni '60 si convertì alla regia regalandoci opere come Il dottor Kildare, Fuga dal pianeta delle scimmie, L'isola del dottor Moreau), lo sposo, sia la presenza evanescente, la parte meno importante di questo teatrino. Di Stanley si sa solo che è sostenitore del matrimonio in giovane età, è in grado di sostenere economicamente la sposa e ama pescare.
Tanto bastava in quegli anni.
► Una curiosità finale per gli amanti dell'arte: Salvador Dalì ha partecipato alla stesura del film, occupandosi della realizzazione della scena onirica in cui le paranoie di Stanley arrivano al culmine e lui si ritrova ad arrivare in ritardo al matrimonio. Mentre percorre la navata per raggiungere gli sposi il pavimento perde consistenza e lui finisce inglobato nel terreno sotto gli sguardi crudeli e accusatori dei presenti.
Anche se a conti fatti non è una scena particolarmente surrealista per i canoni dell'artista si possono comunque notare alcuni suoi marchi di fabbrica, come gli angosciosi occhi fluttuanti che incombono sul protagonista e il modo in cui la gamba di Tracy sembra sciogliersi e diventare un tutt'uno col pavimento.
Sarà l'ultima fatica hollywoodiana dell'artista.
IN CONCLUSIONE...
Il padre della sposa è una commedia deliziosa che tanto per cambiare decide di concentrarsi non sui due soliti stronzi innamorati ma su un altro tipo di amore, quello tra un genitore e sua figlia.
Un padre, nello specifico.
Ed è bello una volta tanto vedere in un film vintage un modello maschile che non sia infallibile e stronzo come la merda con le "sue" donne, ma affettuoso e fragile, un uomo che non ha timore di mostrare paura e ansia legate non soltanto alle mere questioni economiche da breadwinner del dopoguerra (questioni sì di una certa importanza ma non insormontabili nella prospettiva del film, dove i soldi vengono sempre dopo la famiglia), ma anche e soprattutto al pensiero di lasciar andare la sua bambina, o che la moglie possa essere in qualche modo infelice o provare qualche rimpianto.
Stanley pensa principalmente alla felicità dei suoi cari, che sentitamente ricambiano: Ellis confiderà al marito di aver sofferto per non aver potuto indossare un bell'abito il giorno delle sue nozze ma non sente il bisogno di averne uno adesso nonostante Stanley, appresa questa piccola confidenza, si offra immediatamente di comprargliene uno e sposarla di nuovo, se questo basterà a riparare al danno. E' solo un piccolo rimpianto di gioventù, gli dirà, ora le basta che la figlia viva il suo giorno speciale, ma sarà pronta a sgravarlo dalla responsabilità di doversi indebitare fino al collo quando lo vedrà in difficoltà, condividendo le sue ansie. Allo stesso modo anche Kay, che nel caos della cerimonia non riuscirà a salutare il padre prima di partire per il suo viaggio di nozze, gli telefonerà dalla stazione per ringraziarlo di tutto e ricordargli quanto gli vuole bene.
A me la lacrimuccia è scappata.
E quando in un film si riesce ad essere così delicati e commoventi, a descrivere un legame familiare così tenero e profondo ma a far pure ammazzare di risate lo spettatore abbiamo davanti un cazzo di capolavoro.
Giudizio finale:
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