lunedì 14 settembre 2020

[Recensione] AGENTE 007 - VIVI E LASCIA MORIRE (1973)

Titolo originale
: Live and let Die
Anno: 1973
Regia: Guy Hamilton
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Tom Mankiewicz
Cast: Roger Moore, Yaphet Kotto, Jane Seymour


Si necessita a questo giro una premessa doverosa più che mai da parte della sottoscritta: l'ho ribadito più volte e non faccio mistero del non aver mai avuto una particolare predilezione per il Bond di Connery (sciagura a me): ok, è iconico, ok è il primo, ok ha presenziato a film che personalmente adoro e pure se non li adoro sono pellicole di iconicità rara, ok ha pure gettato le basi per il personaggio e portato al successo il franchise.
Nulla esisterebbe grazie a lui, tutto bello, grazie Sean ti si vuol bene.
Ma si era rotto i coglioni pure lui, via...
La produzione già dai tempi della parentesi Lazenby aveva cominciato a guardarsi in giro, oltre i confini d'Albione, arrivando a contemplare persino attori americani del calibro di Adam West (sarà per quello che a questo giro salta fuori un Bond-repellente per squali?) e Burt Reynolds prima di arrivare alla conclusione che Bond non avrebbe mai potuto essere interpretato da un attore che non fosse inglese come il pudding. Il che non significa che non si potesse fare comunque piedino sotto al tavolo agli americani, che cominciavano a scalpitare per vedere su schermo qualcuno più nelle loro corde se proprio non poteva essere il mitico Sean Connery.
Quindi addio parrucchino posticcio e petto villoso che manda in solluchero le donne giapponesi e benvenuti ceretta, mascellone virile e occhio azzurro ghiaccio carico dell'espressione smarrita di chi si è dovuto vestire elegante perché obbligato dalla madre ma la cravatta stringe, la camicia prude e quanto si preferirebbe girare tutto il giorno in pigiama con le iniziali ricamate...
Amatemi, pliZ!
Benvenuto dunque a Roger Moore, che prenderà il testimone per ben 7 film e che all'epoca della sua prima fatica bondiana aveva la bellezza di 45 anni (si consideri che Connery al tempo di Licenza di uccidere ne aveva appena 32 e viaggiava per i 41 portati malissimo a causa di quegli impietosi parrucchini all'epoca di Una cascata di diamanti): era inoltre un volto conosciuto negli States grazie alla serie tv Attenti a quei due, cosa che avrebbe garantito alla produzione quel minimo di successo ai botteghini: aride manovre commerciali figlie dell'avidità delle major che oggi associamo solo alla Disney-Marvel, prima sì che si facevano i film per passione e amore dell'arte.
Roger Moore è un Bond che non spara prima di fare le domande, non strangola le donne coi loro bikini, non si sposa e non prende a schiaffi i nemici su un bob in corsa, ma è stupido e ironicoSi prende in giro e si fa prendere in giro dagli altri sfoggiando 'sta faccetta di chi non ha capito la battuta ma ride lo stesso per sentirsi parte del gruppo visto che è l'ultimo arrivato. Ti si vuol bene Roger, anche se non si vuole altrettanto bene a questo film!💙

*

DUE RIGHE DI TRAMA
Tre agenti MI6 incaricati di monitorare i movimenti del boss del crimine "black"
Dr. Kananga (Yaphet Kotto), in arte "Mr. Big" vengono uccisi in circostanze pittoresche rispettivamente al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, a New Orleans nel corso di un funerale danzerino, e durante una danza tribale con serpente nei Caraibi.
James Bond viene mandato in America a investigare sulla scomparsa dei tre soliti "agenti migliori in circolazione" (figurarsi i peggiori...), e a questo giro la spia più grande del mondo non dovrà vedersela con pecionate come laser mortali fatti di diamanti o figonze allergiche sottoposte a ipnosi, no no. L'altra volta è toccata a Las Vegas e alla Bond girl americana stupida come una betoniera, a questo giro sarebbe il caso di virare su serietà, rispetto, realismo e Blackspoitation* dignitoso.
... Ma dopotutto perché?
Guy Hamilton e 
Tom Mankiewicz preferiscono rifilare al pubblico una pellicola senza senso zeppa di sceriffi ruminatabacco ignoranti e violenti, neri col ritmo nel sangue, una bond girl di colore scema e superstiziosa e una bond girl caucasica ancora più scema della prima, un boss della droga che vuole regalare eroina a tutti gli Americani, salti paXXerelli sulla schiena dei coccodrilli, magia vodoo di preveggenza coi tarocchi attivata dalla verginità e divinità pagane redivive (Hamilton, vuoi proprio farmi rimpiangere Goldfinger)... Si fatica a decidere quale sia la trovata più scema, infatti il film sarà un trionfo di botteghino con quasi 162 milioni di dollari di incasso a fronte dei 7 di spesa.
Live and let (me) die...
* Blackspoitation (o Blaxpoitation): sottogenere "black" in voga negli Stati Uniti nei primi anni '70 caratterizzati da tematiche di delinquenza, violenza, cazzimma da ghetto e soul/jazz.

IMPRESSIONI SPARSE
Che il momento trama a questo giro sia stato così stringato nonostante la mia notoria graforrea non deve stupire dal momento che in soldoni Vivi e lascia morire non parla di un cazzo: è un film in cui Bond fa cose e vede gente, seduce figa e mena i cattivi come da copione e poco altro. Hamilton ci prova ogni tanto a fare il serio anche se dovrebbe ammettere a se stesso che quel treno è passato, se mai gli è capitato di aspettarlo sul binario giusto a un certo punto della sua carriera. Ormai lui e la produzione hanno capito che il pubblico che segue i film di James Bond vuole disimpegno, botte e inseguimenti che sfidano le leggi della fisica.
L'Inghilterra si adegua.
Hamilton ci sguazza come una papera.
Ne pecca la trama, che praticamente si regge sugli spiegoni che ci vengono concessi ogni tanto per unire i puntini che portano James tra New York, New Orleans e i Caraibi, tra l'esotica Rosie e l'esoterica Solitaire, tra il nero col moncherino e il nero col doppiopetto scarlatto da pappone, e fanculo la logica o la coerenza: viene il sospetto che la droga l'abbiano regalata pure allo sceneggiatore per partorire 'sta cacata.
Manca quella capacità di unire serietà e intrattenimento sopra le righe, di altalenare ironia e tensione
, passare con finezza dal drama adulto all'esotismo spicciolo e poi al fumettoso sfacciato.
Qua un secondo prima si costruisce una scena tutta ansiogena con Bond che cerca di attrarre a sé grazie a un orologio-magnete una barca a remi ancorata all'altra riva mentre il pericolo incombe tutto intorno, e quello immediatamente dopo salta su un ponte di coccodrilli come un cazzo di Crocodile Dundee.
"Bond picchia duro e tromba figa, tutti applaude".
🠝
Hamilton in a nutshell.

Sul versante Bond Girl non arriviamo ai livelli cupi raggiunti da Tiffany Case nel precedente Una cascata di Diamanti, ma neanche a personalità memorabili su cui spendere fiumi di parole come accaduto con Tracy De Vincenzo in Al servizio segreto di sua maestà. Sostanzialmente viaggiamo nella media senza infamia e senza lode: come tutto quello che concerne i film messi in mano a Hamilton abbiamo un buon potenziale con resa discutibile e contorno di battute sessiste e cringe.
Ooookay...
Troviamo a questo giro Rosie Carver (Gloria Hendry) la prima Bond girl di colore, e anche se ovviamente si tratta della scaldamaterasso di riserva, l'incapace doppiogiochista che funge da sollievo comico, che si spaventa per i pupazzetti di paglia in mezzo all'erba e muore come una stronza fuori inquadratura, non si tratta comunque di una scelta di casting da poco né per i canoni dell'epoca né in generale per il franchise. 
Basti pensare che per avere una Bond girl principale di colore dovremo aspettare Hale Berry nel film La morte può attendere (2002), ed è a tutt'oggi l'unica donna afroamericana ad aver ricoperto quel ruolo. Si vede che nell'universo di 007 non hanno ancora legalizzato le unioni miste.
La Bond Girl principale della pellicola è invece la sensitiva cajun Solitaire (Jane Seymour) nel ruolo di cartomante vergine vestita da pappagallo, inutile donzella in difficoltà a una certa non più tanto vergine e impotente vittima del mandingo nero, spauracchio senza tempo dei nazisti dell'Illinois.
La storia di Solitaire è l'ennesima occasione sprecata: la  ragazza discende da una schiera di sensitive il cui potere divinatorio è determinato dalla verginità, in quanto spose di qualche dio voodoo (quindi una sorta di versione distorta delle suore cattoliche, piuttosto fico), anche sua madre "lavorava" per Mr. Big almeno finché non ha deciso di gettar via il suo dono (non si entra nei particolari ma si immagina che se ha partorito, e nello specifico ha partorito una ragazza bianco latte, la madre di Solitaire l'ha data a qualcuno che non era lui e la cosa non lo ha fatto rosicare per nulla). Ora Solitaire è costretta non si sa perché a vivere al fianco di Kananga, incapace di opporsi al suo volere, e passa il tempo a consultare i suoi infallibili tarocchi, incapace di opporsi anche alla volontà delle carte.
Ed è subito Yu-Gi-Oh.
A una certa
è pure insidiata da un nero con in mano un grosso pitone,
per aggiungere delicatezza alla metafora.
Un background interessante che ovviamente finisce in merda: Solitaire infatti è passiva e poco interessante, ingenua, inutile, letteralmente incapace di fare due passi da sola e talmente stupida da chiedere a Bond dove sia Kananga quando pochi secondi prima gli è letteralmente volato addosso per poi esploderle a due centimetri dal naso. Ma dato che in questo film qualsiasi tentativo di essere seri è stato abortito sul nascere anche se fa finta di no tutto rimane lì, sospeso, con noi che restiamo a domandarci come sarebbe stata la povera Solitaire se dietro la macchina da presa ci fossero stati Young o Hunt. 
Se escludiamo che nella pellicola la strada per la liberazione di Solitaire passerà attraverso lo sverginamento ad opera di uno col doppio dei suoi anni (creepy) che le fa credere che "è quello che vogliono le carte" (creepy2), privando Kananga del piacere di farlo in prima persona (creepy3), ho trovato forti somiglianze tra la storia di questa Bond girl e quella di Ifalna e Aerith di Final Fantasy VII. Con la differenza che per la storia di Aerith mi sono commossa, per la storia di Solitaire mi è venuta voglia di cavarmi gli occhi e gettarli ai corvi.
Come postilla finale semiseria ritengo che, si fosse pronti o meno all'epoca, Solitaire avrebbe dovuto essere di colore: al di là del fatto che una bond girl principale di colore nel 1973 sarebbe stato epocale, il tema del mandingo nero che tiene in scacco la donna bianca non è proprio invecchiato benissimo.

E' vestito anche in tinta con l'ufficio,
capito la classe?

 Il fronte villain strigni strigni spicca solo perché la mente criminale a questo giro è di colore altrimenti si perderebbe nel mucchio degli altri cattivi, anche se ci troviamo di fronte forse a un decimo del carisma di un Emilio Largo, per fare un nome a caso.
Nonostante vogliano spacciarcelo come il Padrino di Harlem, la mente criminale che gestisce ogni affare poco pulito di stampo "black", Mr. Big/Dr. Kananga è il cliché del pappone nero che nei serial polizieschi viene interrogato alla morte di una prostituta.
Si veste da imbecille e si porta sempre dietro un fighino, fa tanto il sofisticato ma alla fine è un tamarro ripulito, ha un piano talmente scemo e sottotono rispetto alla media che non ci si crede (riempire di droga gratis le strade americane, sei proprio un birbone...) e muore come un cattivo di Bugs Bunny con un effetto speciale insgamabile.
Come accade per Solitaire, anche qui abbiamo un'occasione sacrificata sull'altare della faciloneria buttata in merda: ci sono momenti in cui quasi si coglie in Mr Big / Kananga (a cui capita di rivolgersi a se stesso in terza persona) una sorta di dualismo alla Two Face di Batman. Come se Kananga fosse rimasto legato alle sue radici antiche, al voodoo, alla magia, al cuore delle carte, alla violenza bruta, mentre Mr. Big sembra non solo una maschera costruita per muoversi tra i salotti bene di New York ma una vera e propria personalità alternativa. 
Laddove Kananga alleva migliaia di coccodrilli e alligatori ammirandone la selvaggia maestosità, Mr. Big costruisce laboratori chimici all'avanguardia tra le paludi; e laddove Kananga ha timore e rispetto nei confronti del potere divinatorio di Solitaire, Mr. Big è quello che occasionalmente gusta il momento in cui coglierà il suo fiore bianco (creepy4).
Ma perché perdere tempo con queste finezze deprimenti quando ve' ve', Johnny, c'è Bond che ha su il costume di scena di Solitaire, non è lolloso?
 Va meglio sul fronte sgherri, che sono fumettosi e bidimensionali quanto fighini e villain ma almeno non fanno finta di voler essere presi sul serio. Menzione di merito per Tee-Hee, un armadio a due ante di rossovestito come un garzone d'hotel che ama a tal punto i coccodrilli del suo boss da averci rimesso la manina, stile Uncino.
E' il classico ammasso di muscoli che però non si limita ad eseguire stupidamente gli ordini in silenzio, anzi: andando contro il cliché classico del bruto silenzioso ha autonomia di movimento al punto da controllare in prima persona i laboratori di eroina, una parlantina sciolta e una risata contagiosa, anche mentre ti sta lasciando a morire tra le paludi come uno stronzo...
... rigorosamente dopo averti messo a conoscenza del
covo segreto di droga del cattivo, però.
Anche il vecchio apripista senza nome del funerale a New Orleans mi è rimasto nel cuore, sarà quell'aria paciarotta alla Hitchcock di colore o il fatto che quella scena è davvero buttata di fuori.
Ma il personaggio che resta più impresso è senza dubbio la quota-etnico voodoo senza senso ma di impatto, Baron Samedi (Geoffrey Holder).
Inizialmente è spacciato per un attore assunto da Kananga per impersonare il Loa Baron, la divinità voodoo incaricata di custodire i cimiteri e traghettare i morti verso l'aldilà e spesso raffigurato con fattezze che richiamano i cadaveri pronti alla sepoltura secondo le usanze di Haiti; cappello a cilindro, vestito nero, occhiali scuri e cotone infilato nelle narici. Più passa il tempo però e più viene il dubbio che non si tratti di un attore molto calato nel ruolo ma del vero Baron Samedi, simbolo tangibile delle oscure forze voodoo che agiscono attorno a James Bond.
Pare il Tim Curry nero, lo amo.
🎵I'm just a sweet Samedi (sweet Samediiiii)
God of voodoo evil wizardryyy.... Ah ha!
🎵
 Questione razziale.
Suppongo che nel 1973 sia sembrato sexy e di buongusto "dar fuoco" a una ragazza di colore nei titoli di testa sulle note della splendida Live and Let Die di Paul McCartney, e allo stesso modo non dovesse rappresentare un problema in un'ottica di Blackspoitation bianca se la gente di colore aveva il ritmo nel sangue anche ai funerali; se terrorizzava a morte un povero uomo bianco con danze tribali e sventolandogli sotto al naso un serpente velenoso; se passassero per persone superstiziose legate a forze magiche irrazionali e in generale fossero stronzi la cui capacità imprenditoriale e i piani criminali non andavano oltre la droga gratis.
Quindi lasciamo stare.
Una cosa però voglio segnalarla, e in positivo: il fatto che praticamente tutti i neri di questa pellicola risultino malvagi tranne una vecchia conoscenza di Bond, dal boss della droga allo sgherro che fa il tassista, non va intesa a mio modesto parere come l'atavica lotta tra il bianco buono e il nero cattivo, ma come una molto sottile e molto lasciata tra le righe critica sociale (anche questo non farina del sacco di Hamilton e Mankiewicz ma leit-motiv del genere blackspoitation dietro tutti i bumbum pum sbem madafacka anche se non è che si debba pensare di avere di fronte pellicole black-power alla Spike Lee: si parla comunque di roba prodotta per gasarsi un po' sulle poltroncine del cinema). 
Il fatto che in Vivi e lascia morire non si muova foglia nera senza che Mr. Big ci metta lo zampino mi porta a fare qualche riflessione:
La malavita bianca non ha interesse a metter mano negli affari dei neri, o è impossibilitata a farlo a causa di una separazione razziale che di fatto esiste ancora nonostante siano gli anni '70 e ai neri abbiano dato addirittura la possibilità di votare. Si pensi al Fillet of Soul, un locale di Harlem frequentato da soli neri in cui un bianco non ci pensa proprio a mettere il naso, a meno che non siano in grado di difendersi come Bond e Felix.
E con buona ragione.
 La povertà e la disperazione in quei quartieri è tale che molti si abbandonano alla superstizione (in questo senso ho preferito che il film insinuasse il dubbio dell'esistenza della magia voodoo alla sua ridicolizzazione dall'alto della superiorità intellettuale europea) e praticamente nessuno si salva dalle grinfie di Mr. Big, dal chimico che sintentizza l'eroina al tassista. Lo stesso Mr. Big si è ritrovato  asuo tempo in una posizione di subordinazione, costretto a prendersi le briciole della malavita bianca.
 Il fatto che Mr. Big invece voglia riempire di droga gratis bianchi e neri, senza discriminazioni razziali, può anche essere inteso come un sentimento di rivalsa violenta della minoranza nei confronti di chi li opprime (rappresentata a una certa dallo sceriffo redneck masticatabacco), una rivalsa che però sembra non poter avvenire se prima non si assumono gli atteggiamenti, l'aspetto e il linguaggio della controparte, come ha fatto Kananga "diventando" Mr. Big.

... Ma ora basta e passiamo alle cose serie: la ciccia, il succo, il vero punto nevralgico della pellicola, ovvero il:
PUM PUM SVROOOOOM SCREEK
Di pregio.
Tra il salto dei coccodrilli, il funerale jazz danzerino e l'inseguimento in barca con alle calcagna lo sceriffo di contea sboccato e ignorante che sputa come un lama stile Hazard, la quota tamarriade è raggiunta e abbondantemente superata. Sono i momenti in cui il film la butta di fuori e a Hamilton non gliene frega più niente di sentirsi impegnato.
Tanto non ti credeva comunque nessuno...

IN CONCLUSIONE...
Vivi e lascia morire è un film che soffre per l'assenza di Connery ma che al tempo stesso invece di trovare nuove strade coraggiose come si era provato a fare nella parentesi Lazenby va avanti col pilota automatico. Porta a casa il compitino  giusto per non farsi mettere la nota, per venire incontro ai gusti meno sofisticati del pubblico di massa dell'epoca, che vuole evasione e non realismo: i tempi della guerra sono lontani.
La pellicola intrattiene con le scene tamarre e qualche sprazzo di suspense qui e lì, ti mette un balletto esotico con pelli di capra, un bel fighino vergine dai lunghi capelli in screen, una nota di colore sovrannaturale e un po' di vecchio Sud ignorante e razzista.
Certo manca la trama, ma chi la vuole quando ve', ve', Johnny, c'è una fighina italiana nuda che esce dalla camera di Bond e le si vede anche un accenno di chiappette, non  ti fa schiantare?

Il Bond di Moore è fresco e pimpante, desideroso di fare: si impegna e personalmente lo adoro per il fatto di essere il Bond di Moonraker, ma in linea generale e non per colpa sua il personaggio si adegua all'abbassamento dello standard della saga: meno violento e più ironico, meno uccisioni facili e più salti nell'iperuranio su un motoscafo, il che toglie quell'aria drama che dosata sapientemente con le scene più fumettose creavano un contrasto irresistibile. Sono gli psichedelici anni '70, baby, tieni per te il tuo realismo deprimente.
Tematiche specie sul fronte etnico invecchiate male, malissimo, ma se devo trovare la rappresentazione razziale più offensiva, stupida, irritante e da cancellare col fuoco non andrei tanto a guardare i neri cattivi (che sono anche uomini di successo, chimici, sgherri dalla parlantina fluida e bond girl stupide ma fascinose) o la donna a cui viene dato fuoco nell'opening, quanto quell'omino Michelin dello sceriffo Pepper...
In chiusa, non perdonerò mai a Hamilton di non aver inserito Q a questo giro nonostante Llewelyn si fosse pure ritagliato dei giorni da un altro impegno televisivo proprio per presenziare a 'sta cacata, mortacci sua!
In loving memory of your bel faccino, Llewelyn...

Giudizio finale:
🎵"Lo sai che i papaveri son alti alti alti?"
"Ci faccio l'eroina, ci faccio l'eroina..."
🎵

Nessun commento:

Posta un commento

La tua opinione è importante anche se non sei d'accordo con quello che ho scritto e mi fa sempre piacere scambiare due parole con chi si prende la briga di leggere quello che scrivo.