mercoledì 21 ottobre 2020

[Recensione] VOGLIAMO VIVERE (1942)

Titolo originale: To be or not to be
Anno: 1942
Regia: Ernst Lubitsch
Sceneggiatura: Melchior Lengyel, Edwin Justus Mayer, Ernst Lubitsch
Cast: Carole Lombard, Jack Benny

Doverosi cenni storici:
Nel settembre 1939 la Germania invade la Polonia mostrando al mondo una nuova tecnica bellica, la "guerra lampo", offrendo in questo modo all'Inghilterra il pretesto per smettere una politica di tolleranza che si credeva sarebbe servita a limitare le mire espansionistiche di Hitler.
Nel corso del 1940 Germania e Russia, poi l'Italia, avanzano in Europa e nord Africa, mentre il Giappone, che già dagli anni '30 aveva intrapreso una sanguinosa politica militaristica di dominio panasiatico, si allea con le potenze dell'Asse per strappare all'Occidente la sua influenza sul continente e isole del Pacifico. 

E' l'America?
Ripresasi poco e male dalla crisi economica post Prima Guerra Mondiale e dal Venerdì Nero del 1929 con una serie di Neutrality Act mantenne sostanzialmente una politica non interventista, a cui Roosevelt fu fortemente avverso. E se le grandi industrie delle armi e del petrolio vedevano nella neutralità un'occasione per arricchirsi vendendo armi a entrambe le fazioni, la grande industria Hollywoodiana girò braccio a braccio coi censori tedeschi per non perdere un importante mercato europeo, arrivando a ricevere visite frequenti dall'ambasciatore tedesco Georg Gyssling e a cancellare progetti come Qui non è possibile (tratto dall'omonimo romanzo di Sinclair Lewis, un romanzo distopico sull'avvento di una dittatura "democratica" negli Stati Uniti) per non inimicarsi gli amici tedeschi.
Copertina del Time del 10/07/1933
che ritrae Joseph Goebbels

L'articolo, pur non essendo pro-nazista,
espone i fatti in maniera non critica
e minimizza molto la situazione
in Europa definendo ad esempio Hitler
un "Super-uomo vegetariano" che aveva
risollevato lo spirito tedesco distrutto
da orribili "ebrei pacifisti".

La macchina propagandistica tedesca accolse quindi con entusiasmo pellicole americane con protagonisti leader forti come
La regina Cristina (1933), I lancieri del Bengala (1935) e La tragedia de Bounty (1935) al pari di pellicole in cui la democrazia era dipinta come inefficiente e imperfetta come "Mr Smith va a Washington" (1939). 

Si può intuire cosa abbia pensato invece l'autoironico e assolutamente non permaloso Hitler riguardo a Il grande dittatore (1940), capolavoro di Chaplin precluso per ovvi motivi alla distribuzione europea fino alla fine della guerra: una sfida aperta al Fuhrer e una sublime ridicolizzazione del male che non poteva passare le maglie soffocanti della propaganda nazista, anche se il nome del dittatore ritratto nella pellicola non era Adolf Hitler ma Adenoid Hynkel.

L'attacco all'avamposto militare USA di Pearl Harbour a Oahu nelle Hawaii ad opera dei Giapponesi il 7 dicembre del 1941 offrì a Roosevelt l'occasione che cercava per entrare in guerra contro il Giappone (e quindi contro Germania e Italia, gli altri membri dell'Asse) cavalcando l'ondata di orrore e indignazione popolare seguita all'attacco. Hollywood, perso definitivamente il mercato tedesco, si trasformò prontamente in una mostruosa macchina di propaganda bellica per offrire sostegno ai "ragazzi lontani". Per l'occasione il 10 dicembre del 1941 venne creata a tempo record la Hollywood Victory Committee, un'organizzazione che mirava non solo a coordinare il lavoro di propaganda bellica di cinema, tv e teatro ma anche a coinvolgere le star del periodo in tour di raccolta fondi e acquisto di bond di guerra in giro per il paese.
Clark Gable, Carole Lombard
e le loro galline
Anche 
Carole Lombard, protagonista della pellicola qui presa in esame, fu una decisa interventista.
Famosa star dell'epoca (talmente influente da potersi permettere cachet quasi pari a quelli delle controparti maschili e di non essere messa sotto contratto esclusivo da nessuna casa di produzione dell'epoca) e terza moglie di Clark Gable, il Rhett di Via col Vento che fu anche il primo presidente della HVC, proprio a seguito di uno di questi tour trovò la morte in un tragico incidente.
Era il 1942 e la Lombard aveva 33 anni.
Dopo aver raccolto la bellezza di 2 milioni di dollari in bond di guerra l'attrice avrebbe dovuto prendere un treno per la California ma optò per l'aereo: prima di partire aveva litigato col marito per presunte (ma mica tanto) voci di infedeltà e desiderava tornare a casa al più presto per riappacificarsi e tenere sott'occhio la situazione. 
Gable, distrutto dalla perdita, entrò in una lunga fase di depressione e si arruolò per la guerra in Europa nell'aviazione. Si risposò solo nel 1949 con la modella e attrice Sylvia Ashley, la cui somiglianza con la defunta Lombard non passò inosservata nemmeno all'epoca.
Fatte le dovute premesse, passiamo al film.

*

TRAMA
Polonia, agosto 1939.
"L'Europa è ancora in pace e la vita a Varsavia si svolge normalmente. 
... Ma che succede d'improvviso? Questi polacchi hanno forse visto un fantasma? E perché questa macchina s'è repentinamente fermata? Tutti guardano in un'unica direzione. Stupore o spavento si leggono sui volti di questa gente. ... E' mai possibile? ... Ma certo. Certo! L'uomo coi baffetti è Adolfo Hilter!
Hitler a Varsavia mentre i due paesi sono ancora in pace? E tutto solo! Egli sembra non rendersi conto dell'emozione di cui è causa... Si interessa forse alla ghiottonerie di Maslowsky? ... Impossibile: si sa che è vegetariano!"
Scopriamo ben presto che non si tratta del vero Hitler ma di Bronski (Tom Dugan), un attore che lo impersona in Gestapo, una commedia satirica sul nazismo: criticato dal regista per la sua presunta poca somiglianza col vero Fuhrer, Bronski si farà un giretto per le strade di Varsavia per dimostrargli il contrario. 
Che dire, scommessa vinta.

Nel frattempo la compagnia teatrale sta portando sulle scene di Varsavia l'Amleto (da qui il titolo originale del film, To be or Not to Be, che richiama al famoso monologo): a impersonale il ruolo del protagonista il famoso attore polacco Josef Tura (Jack Benny), con la moglie Maria (Carole Lombard), altra star delle scene teatrali polacche, nel ruolo di Ofelia.
Bronksi, qui a interpretare il ruolo dell'alabardiere senza battute, si lamenta di questo spreco del suo talento col collega Greenberg (Felix Bressart). Greenberg (un cognome palesemente ebraico, anche se i riferimenti agli ebrei o al giudaismo non saranno mai espliciti per una diffusa reticenza del periodo) a sua volta gli rivela di aver sempre sognato di interpretare l'ebreo Shylock de Il mercante di Venezia.
Cita quindi il famoso monologo: 
Shakespeare pensava a me quando l'ha scritto, a me:
"Non ho io occhi?
Non ho io mani, organi, sensi, dimensioni, affetti, passioni? 
Nutrito con lo stesso cibo, ferito con le stesse armi, soggetto agli stessi morbi?
Se ci pungete non sanguiniamo? Se ci solleticate non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?"
Una scelta casuale, insomma.

Nel frattempo anche in seno alla famiglia Tura si svolge un piccolo dramma prima professionale (si litiga su quale dei loro nomi debba apparire per primo nella locandina di Gestapo) e poi romantico: la bella Maria da giorni riceve mazzi di fiori da un misterioso ammiratore e il marito è geloso marcio, e anche se la moglie lo rassicura sul fatto che deve essere qualcuno che omaggia le sue doti di attrice e non la donna in realtà sa benissimo che quei fiori arrivano da un giovane e affascinate pilota, Stanislav Sobinski (Robert Stack). 
Lusingata dalle sue attenzioni Maria lo invita a recarsi nel suo camerino durante il monologo Essere o non Essere, perché i due possano parlare con calma. Sobinski obbedisce alla lettera alzandosi platealmente nel mezzo dell'esibizione.
Tura la prende bene.
"Magari avrà avuto un piccolo attacco di cuore."
"Speriamo..."
"Forse si è sentito morire."
"Chissà che sia già morto... Come sai confortarmi tu!"
Il giorno successivo la troupe è pronta per la prima di Gestapo, e vestita di tutto punto si accalca intorno alla radio da cui si odono le parole di Hitler che arringa dal Reichstag: è il 1 settembre 1939, giorno della dichiarazione di guerra alla Polonia. In teatro fa la sua comparsa un membro del Ministero degli Esteri a invitare caldamente la compagnia a non mettere in scena Gestapo a causa del suo messaggio morale: la Polonia preferisce non inasprire i rapporti già tesi con la Germania.
"Il governo teme che questo... possa offendere Hitler"
"... Sai che gran peccato sarebbe!"

Ma tocca cedere e rimettere in scena l'Amleto.
Durante il solito monologo Sobinski si alza di nuovo e torna a trovare Maria. Le confessa i propri sentimenti: vuole che vada via con lui, la ama, pensa che lei ricambi e che lascerà non solo il marito ma anche le scene teatrali per una vita ritirata da massaia. Le assicura che le comprerà addirittura una macchina per il burro.
Lei è un'esplosione di entusiasmo.
Sfortunatamente scoppia la guerra e Sobinski da buon soldato deve correre al fronte lasciando Maria a sognare languidamente la sua macchina per il burro perduta, mentre l'Amleto viene interrotto e Varsavia è rasa al suolo dai bombardieri tedeschi "per mera voluttà di distruzione".
"Così ora non ci preoccuperemo più per la commedia sulla Gestapo..."
"Ora la commedia l'hanno cominciata i nazisti, ma atroce..."
"E la censura non le ferma."
Tra i Polacchi però non serpeggia solo la tristezza e la rassegnazione ma anche e soprattutto l'odio e la volontà di combattere contro l'invasore tedesco: l'azione si sposta alla divisione polacca della British Royal Air Force, dove ritroviamo Sobinsky e altri giovani piloti in compagnia del leader della resistenza tedesca, il professor Siletsky (Stanley Ridges), in procinto di tornare a Varsavia. I soldati gli affidano messaggi per le loro famiglie, ma a Sobinsky qualcosa non quadra: il professor Siletsky afferma di essere nativo di Varsavia ma non conosce Maria Tura, la più famosa attrice del paese.
La sua intuizione si rivela corretta: Siletsky è in realtà una spia nazista che ora è in possesso di una lista con nomi e indirizzi di parenti e simpatizzanti dei piloti polacchi della RAF. 
Sobinksy viene rispedito a Varsavia per neutralizzare il professor Siletsky prima che la lista finisca in mani naziste. Ma braccato dai soldati tedeschi non riuscirà a mettersi in contatto con la resistenza polacca e dovrà cercare riparo da una vecchia conoscenza...

La scena successiva vede Maria Tura entrare nella libreria che avrebbe dovuto raggiungere Sobinsky e chiedere il volume di Anna Karenina per lasciare al suo interno una foto di Siletsky, proprio come avrebbe dovuto fare il giovane tenente: lo ritroviamo nell'appartamento dei coniugi Tura, profondamente addormentato nel letto di Josef mentre due guardie naziste bussano insistentemente alla porta di casa, in cerca di Maria Tura.
La donna teme di essere stata scoperta ma scopre che è il professor Siletzky a chiedere di lei per riportarle il messaggio in codice del suo giovane ammiratore: "Essere o non essere".
Stregato dal fascino della donna Siletzky la invita a cena perché spera di convincerla a passare "dalla parte giusta" in qualità di spia. Le prospetta il ritorno al suo appartamento requisito e al suo stile di vita agiato, e in fondo, le dirà, non si tratta di vendere l'anima al diavolo.
I nazisti non sono mostri.
Maria si finge lusingata dall'invito e torna a casa con la scusa di rassettarsi un po', e nel frattempo Josef Tura scopre Sobinsky nel suo letto, con il suo accappatoio adosso, e riconosce il figlio di un cane che lasciava il teatro durante il suo monologo: prima che la situazione degeneri in un drama sentimentale Maria torna a casa trafelata e ragguaglia il giovane sulla situazione, mentre a Josef Tufa la fronte comincia a prudere.
E io rinascerò cervo a primavera...
Ma ci sono questioni più urgenti di un paio di corna da affrontare, tipo la salvezza del paese e del mondo intero dal giogo nazista.
C'è poco tempo.
Siletzky è arrivato a Varsavia in anticipo rispetto a quanto credeva l'intelligence e all'indomani consegnerà la lista al comandante Ehrhardt della Gestapo: bisogna ucciderlo prima che ciò avvenga e alla fine è Josef a offrirsi volontario, e alla fine di tutta questa storia spera di avere qualche spiegazione sul rapporto tra Maria e il giovane pilota.

Maria torna all'Hotel Europa dove prosegue il galante corteggiamento con Siletzky fino all'arrivo di un soldato con un messaggio che interrompe l'idillio: il colonnello Ehrhardt vorrebbe vederlo immediatamente e al professore tocca lasciare sola la povera Maria mentre va all'appuntamento al quartier generale nazista, che scopriremo essere il teatro di Varsavia, dove ad attenderli oltre alla resistenza polacca c'è lo stesso Tura, che indossato il suo vecchio costume di scena finge di essere Ehrhardt, il colonnello "concentrone". Il piano sarebbe semplice, farsi consegnare i documenti dal professore e poi ucciderlo, se non fosse per due problemini:
1) Maria è bloccata in hotel
2) Il professore ha ancora dei documenti nel suo baule...
3) ... E sembra non conoscere il più grande attore della Polonia, Josef Tura. In compenso conosce molto bene la moglie, e un giovane pilota dell'aviazione che si incontrava segretamente con lei quando il marito recitava il monologo di Amleto.
A seguito di queste rivelazioni Josef si tradisce, il professore tenta la fuga e dopo un rocambolesco inseguimento a teatro Siletzky viene ucciso da Sobinsky sul palco, sotto lo sguardo ammutolito dell'intera compagnia. 
A questo punto Tura indossa occhiali e barba finta e si reca all'hotel Europa spacciandosi per Siletzky, per recuperare i documenti: qui trova non solo la moglie ma anche il Capitano Shultz (Hery Victor), giunto per accompagnarlo dal vero Ehrhardt (Sig Ruman) che ha deciso di anticipare davvero il loro incontro perché il giorno successivo giungerà a Varsavia un vecchio amico del professore.
Il Fuhrer.
Il travestimento funziona finché i nazisti non scoprono il corpo del vero Siletzky: a questo punto un gruppo di soldati lo porta via svelando l'inganno al "povero" Ehrhart ma per fortuna si tratta degli attori della compagnia che riescono a portarlo in un luogo sicuro. Purtroppo lui e Maria non possono più lasciare il paese per fuggire in Inghilterra con l'aereo che i nazisti avevano approntato per Siletzky, e tocca organizzarsi in altro modo.
Ma c'è una speranza: quella sera Hitler sarà a teatro.
La situazione ricorda molto da vicino una commedia che la compagnia ha recitato tempo addietro, ed è allo stesso modo che salveranno la ghirba: Sobinski, Tura, Bronski e gli altri si travestono da tedeschi e si nascondono tra la folla finché Hitler e il suo entourage non prende posto. Mentre i tedeschi sono impegnati a cantare l'inno nazionale tedesco Greenberg, che ha finalmente l'occasione di interpretare un ruolo importante, distrae i soldati di guardia mentre i suoi amici escono allo scoperto con tanto di "Hitler" al seguito.
"Cosa fate qui?"
"Ci sono nato."
"E cosa vi spinge a morirvi?"
"Lui!"
"Che volete voi dal Fuhrer?"
"E lui che vuole da noi? Che vuole dalla Polonia, perché ci opprime? Perché? Perché?! Non siamo uomini? Non abbiamo occhi, non abbiamo mani, organi, sensi, dimensioni, affetti, passioni? 
Nutriti con lo stesso cibo, feriti con le stesse armi, soggetti agli stessi morbi? Esposti allo stesso gelo, allo stesso sole, agli stessi inverni ed estate... Se ci pungete non sanguiniamo? Se ci solleticate non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo? Se ci opprimete non ci ribelliamo?"
Tura ordina che il facinoroso sia portato via e consiglia vivamente al Fuhrer di partire subito: la combriccola sale sulla macchina di Hitler e si allontana in direzione dell'appartamento dei Tura, dove Maria sta aspettando il loro ritorno ma purtroppo non è sola: con lei c'è quel marpione del colonnello Ehrhardt.
All'arrivo di "Hitler" (salito al posto di Tura che ha perso i suoi baffi in macchina e non può andare a prendere la moglie) Ehrhardt è convinto di averci appena provato con l'amante del Fuhrer e resta di sasso mentre Maria riesce a fuggire fingendo di correre dietro al suo uomo.
Giunti all'aereo e liberatisi dei piloti i teatranti possono raggiungere finalmente la Scozia, dove gli Alleati vorrebbero ringraziarli per il lavoro svolto e Maria come ricompensa per sé e il marito chiede di poter recitare Shakespeare.
E sul finale, mentre Josef recita il famoso monologo davanti al suo giovane e avvenente rivale, una storia già vista si ripete...
IMPRESSIONI SPARSE E CURIOSITA'
Vogliamo vivere nacque da un'idea originale di Ernst Lubitsch (ebreo tedesco), dello scrittore Melchior Lengyel (ebreo polacco) e del commediografo americano Edwin Justus Mayer. La pellicola fu prodotta da Alexander Korda (amico intimo di Churchill e, si vocifera, spia inglese) per la United Artists, e le scenografie (comprese quelle della Varsavia rasa al suolo) furono opera di Vincent Korda, suo fratello minore.
Vale la pena spendere due parole sul lavoro di Vincent Korda, che
conferì un insolito realismo alle ambientazioni naziste: se la Hollywood del tempo (ma anche il teatro, come possiamo vedere nel corso delle prove di Gestapo) prediligeva mettere i nazisti in ambienti freddi e spartani a rappresentarne l'inumanità e la durezza, Korda opta per ambienti luminosi e teatrali (in maniera decisamente azzeccata visto il contesto, oltre che storicamente accurata), zeppi di oggetti d'arte, quadri e decorazioni di cattivo gusto: si pensi ad esempio agli orribili leoni che decorano la scrivania del colonnello Ehrhardt

Lubitsch mantenne un controllo artistico pressoché totale grazie all'amicizia di lunga data che lo legava a Korda. Poté scegliere in piena libertà il CAST, compresa la protagonista: la scelta iniziale per il ruolo di Maria ricadde su Miriam Hopkins, la star del succitato Partita a Quattro, la quale però lasciò il set quando il regista si rifiutò di darle più scene. Al suo posto fu scelta Carole Lombard, qui nella sua ultima indimenticabile interpretazione nel ruolo della forte, passionale e divertente protagonista. Un'altro personaggio femminile indimenticabile e divertente ad aggiungersi al mazzo di Lubitsch.
Jack Benny fu un attore teatrale e radiofonico dell'epoca molto apprezzato in America ma non riuscirà mai a fare il balzo nel grande cinema: Josef Tura sarà il suo ruolo più memorabile.
Vogliamo vivere è una pellicola che corre continuamente (in maniera consapevole, studiata al millimetro) su un filo sottile che separa la commedia farsesca dal thriller spionistico, e questo incontro di opposti che risulta a più riprese spassoso e mai ridicolo o irrispettoso è tipico di quello che viene definito tocco alla Lubitsch (abbiamo fatto la sua conoscenza anche nel film Partita a Quattro del 1932).
Ebreo tedesco emigrato a Hollywood nel 1923 (periodo in cui in America faceva man bassa di talenti europei), fu tra i primi a meritarsi un posto d'onore sulle locandine accanto alle grandi star: anche qui il suo nome spicca in enormi lettere scarlatte proprio sopra al titolo. Fu un regista che per tutta la sua carriera mise alla berlina i vizi e le ossessioni della società borghese americana del tempo, vale a dire soldi, donne e potere, ma ambientandole puntualmente in paesi stranieri alla censura non venne mai il dubbio che stesse prendendo per il culo proprio loro. 
Questo film non fa eccezione.
Con un atto di coraggio e incoscienza non da poco (equiparabile a quello del succitato Chaplin, che tracciò il sentiero con il suo Adenoid Hynker) Lubitsch parla del nazismo senza paura o reverenza e soprattutto ridicolizza l'ideologia e i suoi rappresentanti ridendo a loro spese mentre l'Europa soffre sotto il giogo nazista, i ragazzi americani muoiono lontano e le sorti della guerra non sono poi così scontate.
I nazisti, in fondo, sono uomini.
Uomini incompetenti, stupidi e arrapati.
Il discorso che Siletzky fa a Maria Tura per spingerla dalla loro parte (la parte giusta, ovvero quella che vince, e se fossimo nel secondo dopoguerra la sferzatina non potrebbe essere più chiara) del resto non potrebbe essere più chiaro:
"Forse lei non sa ancora cosa sia veramente il nazismo: in ultima analisi noi ci battiamo per avere un mondo felice."
"Perciò quelli che non vogliono essere felici li levate dal mondo... Un po' eccessivo."
"Non siamo brutali, non siamo mostri. Mi guardi: ho l'aspetto di un mostro? Siamo come tutti gli altri: piace anche a noi cantare e ballare, ammiriamo le belle donne... Siamo umani. Umanissimi..."
E gli uomini non sono invincibili.
Né così spaventosi.

Si pensi al colonnello Ehrhardt.
Se all'inizio la sua figura appare minacciosa e imponente, una volta che Josef Tura si trova al suo cospetto quello che ci si ritrova davanti è un ometto grasso, nervoso e ridicolo che fuma e beve senza ritegno, corteggia le donne e racconta barzellette sul Fuhrer. La domanda sorge spontanea: chi può aver fatto colonnello un simile coglione e perché qualcuno dovrebbe obbedire ciecamente ai suoi ordini? E la risposta ce la fornisce in un'altra scena uno degli attori della compagnia travestito da nazista per giustificare di fronte a Siletzky lo strano comportamento di un "ufficiale": "E' il cognato di Goebbels".
Il professore annuisce, ma non sembra affatto sorpreso.
Quindi è normale andare avanti a spintarelle.
Erhardt continua a far paura, sì, ma solo perché è un coglione col potere che firma decine di condanne a morte al giorno senza manco fare lo sforzo di leggerle. Di lui si può solo ridere.

Il film però va oltre la mera umanizzazione: man mano che si fa la loro conoscenza i nazisti diventano fantocci, macchiette la cui umanità va perdendosi in un continuo gioco delle parti in cui un attore può diventare un nazista e viceversa senza che la verità venga svelata se non dall'attore stesso (sia Erdhardt che Tura rispondono con la stessa risatina goffa nel sapere di venir chiamati "colonnello concentrone", quindi attore e persona reale di fatto collimano, ed è un attore che strappa fisicamente la barba finta a Josef Tura, rivelando l'inganno).

Il culmine di questo processo di de-umanizzazione è rappresentato proprio da Hitler, che qui è Hitler in persona e non il quasi omonimo di Chaplin. Ma al tempo stesso non è il vero Fuhrer ma un attore che lo interpreta a teatro (o gli sarebbe piaciuto interpretare a teatro se non fosse stato per l'inutile censura di stato ad opera del governo polacco.
Bronski a detta del regista è un attore mediocre.
Non ha catturato l'essenza del Fuhrer, non gli somiglia per niente.
Nel corso della pellicola è poco più di un mimo: muto, rigido, per la maggior parte della pellicola è passivo spettatore degli eventi e si limita a lanciare sguardi torvi in camera eppure fin dai primi istanti della pellicola tutti, compresi i suoi più stretti collaboratori, vuoi per timore o vuoi per reverenza cadono nell'inganno e a nessuno viene in mente che Hitler non si possa trovare a passeggiare da solo per le strade di Varsavia. Tutti tranne una bambina polacca che chiede al signor Bronski un autografo. Basta essere riconosciuti e l'attore, lusingato, smette la maschera con un sorriso. 
Eppure non viene mai riconosciuto dagli adulti.
Così come Tura che passa in continuazione dall'essere Ehrhardt a Siletzky.

Il film, in un continuo e sublime gioco metateatrale tra finzione e realtà in cui dopo tante complicazioni è un'opera teatrale a fornire l'idea per aver salva la vita e il cattivo arriva a morire su un palcoscenico davanti a un pubblico ammutolito, già che c'è cattura anche le ipocrisie e falsità dietro la macchina splendente di Hollywood: Maria Tura infatti è diversa dalla figura pubblica che compare sulle riviste e sul palcoscenico. 
E' vanesia e orgogliosa, desiderosa di avere il suo nome davanti a quello del marito sulla locandina di Gestapo anche se deve continuamente schermirsi per risultare affascinante. Seduce il suo giovane fan e diversi nazisti con la maschera da diva e questo le si ritorce contro a più riprese: non ha mai avuto dei topini bianchi come si legge dalle interviste, il suo sogno non è fare la casalinga né tantomeno possedere una macchina del burro; non ha nemmeno mai considerato di tradire il suo paese per aiutare i nazisti eppure a fine pellicola tra un sorriso indulgente e un bacio diventa nientemeno che l'amante del Fuhrer.

C'è infine un monito molto chiaro in un periodo in cui non sono più gli ambasciatori nazisti ma il codice Hays a farla da padrone nel mondo del cinema americano e a imporre ai registi e agli sceneggiatori cosa può essere messo in scena e cosa no: la censura non serve a nulla.
Men che meno la censura attuata per paura, per compiacere i potenti.

 A questo proposito Lubitsch, che viene chiamato anche il maestro del non detto, neanche a questo giro si smentisce: in quella strana reticenza che andò a colpire la Hollywood di quel periodo, la questione ebraica è totalmente lasciata fuori dalla pellicola: sono i polacchi tutti, come popolo, ad essere egualmente oppressi e a lottare contro il tedesco. Ciò non vuol dire che la questione non passi comunque sotto agli occhi di uno spettatore poco poco attento: sono cognomi ebraici quelli che scorrono sulle insegne dei negozi nei primi istanti di film, ed ha cognome ebraico l'attore che sogna di interpretare Shylock, l'usuraio ebreo de Il mercante di Venezia. E non a caso è proprio attraverso il suo famoso monologo che Lubitsch, attraverso la figura di Greenberg (che sta guardando negli occhi Hitler ma che in realtà guarda dritto in camera verso lo spettatore) lancia il suo accorato messaggio in difesa dell'umanità: 
siamo tutti uguali.

 L'umorismo di Lubitsch è caustico al punto che a inizio pellicola la Tura pretende di girare una scena ambientata al campo di concentramento vestita da fighettina:
"Vuoi star vestita così in un campo di concentramento?"
"Tu credi che stonerei?"
"Tremendamente."
"Beh, io invece penso che farà un bel contrasto. Quelli mi frustano al buio, io grido, si accende la luce e il pubblico mi vede a terra con questa magnifica toeletta!"
Questo non accade perché Lubitsch non sia consapevole di quanto accada in Europa (al limite si poteva essere non pienamente consapevoli dell'orrore perpetrato dai nazisti in Europa nonostante le informazioni di fatto arrivassero anche alla grande massa) né perché voglia minimizzare o ridicolizzare quanto accade davvero oltreoceano o i campi di concentramento. Oltre ad essere black humour che fa da catarsi contro l'orrore irrazionale nei confronti dei nazisti, si tenga presente chi sta pronunciando la battuta: una stella del teatro polacco, una privilegiata priva di empatia che ha solo voglia di brillare a scapito della riuscita della commedia. 
E se sono i nazisti, o attori che impersonano i nazisti, a pronunciare una battuta orribile il motivo dietro questa scelta (scelta che già all'epoca, i tempi in cui ancora non esisteva la cosiddetta "dittatura del politicamente corretto" fu fortemente criticata) è semplice: sono nazisti, il loro lavoro è perpetrare l'orrore, e a furia di perpetrare quotidianamente l'orrore ci si desensibilizza ad esso e diventa più semplice scherzare persino sui campi di concentramento.
E' inutile edulcorare la cosa, o censurarla.
E' umana.

Non bisogna pensare di avere di fronte un post di Sesso droga e pastorizia lungo un'ora e mezza abbondante. Al contrario, nel film non mancano a più riprese momenti che proprio grazie al loro contrasto con le scene più grottesche colpiscono duro o straziano il cuore, come i manifesti  che  tappezzano i muri della Polonia occupata che minacciano i Polacchi ribelli di rappresaglie violente (in seguito si ride ma amaramente in proposito, quando veniamo a sapere che queste condanne a morte le firma un pirla che nemmeno legge quello che ha davanti o sa se si trova davanti un innocente o un vero traditore) o la Varsavia distrutta dalle bombe tedesche: l'occhio della telecamera indugia a lungo, con affetto, sul ciò che resta del negozio di ghiottonerie di Maslowki davanti al quale si era fermato "il Fuhrer" il giorno prima: il proprietario contempla le macerie del suo negozio chiuso in un dignitoso silenzio, e poi si volta.
Non verso di noi ma verso la strada, dove osserva con odio impotente un plotone nazista inondare le strade zeppe di macerie marciando con arroganza a passo dell'oca nel loro nuovo dominio.
E, di nuovo, "nessuna censura li ferma".

*

IN CONCLUSIONE...
Non ci sono parole per descrivere quanto io abbia amato Vogliamo Vivere, anche se nel corso di questa recensione ne sono volate pure troppo (a chi arriva in fondo, in premio il mio amore).
Un film intelligente e sentito, una commedia amarissima che scherza su tematiche crude in maniera triviale ma che al tempo stesso mantiene un'incredibile delicatezza di fondo; una pellicola comicissima che possiede al tempo stesso la struttura complessa di un film spionistico che prevede gli inganni di un astuto traditore, lanci col paracadute in terra nemica, una buona dose di travestimenti, inseguimenti tra la neve e all'interno di un teatro e morte in cui a più riprese ci si ritrova ad angosciarsi sinceramente per le sorti dei protagonisti man mano che la storia avanza, la tensione cresce e i personaggi si ritrovano sempre più stretti tra le spire del nemico. 
Definirlo una commedia sarebbe troppo riduttivo.
E' piuttosto un complesso gioco delle maschere in cui gli attori sono nazisti e i nazisti sono attori che interpretano il ruolo dei solerti e integerrimi uomini del Fuhrer, che tengono il loro ritratto nell'ufficio ma poi a differenza di una bambina polacca non riconoscono l'autentico da un falso quando ce l'hanno parato a due centimetri dal naso. Le interpretazioni di tutti i personaggi in gioco sono sopra le righe e grottesche, ridicole, mediocri a dir bene, ma tutto fa parte di un gioco ben orchestrato che mira per tutto il tempo a ridicolizzare e depotenziare non solo lo spauracchio nazista ma anche l'ego degli attori con cui Lubitsch doveva aver a che fare quotidianamente, bambini che si barcamenano tra capricci da diva e velleità artistiche frustrate.

Lubitsch è riuscito nell'impresa titanica di dar vita a un film elegante, sofisticato e coraggiosissimo senza tempo che parla dell'arte attraverso l'arte e al tempo stesso ci ricorda (nel caso in cui ci fossimo dimenticati della lezione di Remus Lupin sui Mollicci in Harry Potter) che il modo più potente ed efficace che abbiamo di combattere il male e reagire all'orrore è non attraverso la censura o la mera riproposizione del dramma ma attraverso un umorismo libero, incontrollato e caustico che sveli l'uomo dietro la maschera del mostro.

Giudizio finale:
Per questo film potrei introdurre pure la sesta stellina.

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