sabato 5 dicembre 2020

[Recensione] MYTHOS

Titolo originale:
Mythos
Autore: Stephen Fry
Traduttore: G. Calza
Edizione: Salani, copertina rigida, 468 pagine
Anno: 2018
Euro: 19,80
 
Premesse:
Penso che la domanda sia venuta in mente a molti:
Nel 2018 c’è bisogno di un altro libro che affronti il tema stra-abusato dei miti greci?
Per come la vedo io nulla è necessario ma tutto è potenzialmente valido, e per chi come me con la mitologia greca si diverte (ma si incazza anche in caso di opere pigre e stronze finto profonde prodotte col buco del culo, e ogni riferimento a Canti di Penelope vari è puramente casuale) dai tempi di Pollon, passando per la letteratura classica e arrivando fino alle avventure di Percy Jackson e all'imbarazzante dio Ares con la zoccola morta sotto al naso della Wonder Woman con Gal Gadot, prendere tra le mani questo libro di Stephen Fry (non uno studioso di storia antica e folklore ma un appassionato della materia; attore britannico di discreta fama, ha scritto e diretto diverse serie di documentari, registrato le versioni inglesi degli audiolibri di Harry Potter e i più appassionati del mondo British potrebbero ricordarlo addirittura per i suoi sketch in compagnia di Hugh “Gregory House” Laurie e per aver interpretato Gordon Deitrich nella trasposizione cinematografica di V per Vendetta del 2005) è stata una scelta praticamente obbligata.
Potete chiamarla passione o masochismo, va bene in entrambi i casi.
Il libro, finché può, segue un comodissimo ordine cronologico e parte dall’inizio che più inizio non si può, vale a dire la creazione dell’universo e del Primo ordine divino nelle modalità narrate da Esiodo nella sua Teogonia (VII a.C) e tratte dalla Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro (II d.C): volendo proprio fare la proverbiale punta al cazzo non si dovrebbero accostare insieme fonti tanto distanti tra loro dal punto di vista temporale, ma visto che quello di Fry non è un testo universitario ma una raccolta di racconti a misura di non addetti ai lavori la cosa si può tranquillamente ignorare, così come si può tranquillamente ignorare come Fry ogni tanto per comodità narrativa deragli dalle fonti e parta un po’ per la tangente per rendere la narrazione più sciolta.
Si comincia con la nascita spontanea del Caos primigenio seguito da Gea (la Terra) e Tartaro (il mondo sotterraneo). A differenza di quanto riportato dal poema originale da questa pletora di divinità ancestrali viene escluso Eros, forza primordiale che scioglie le membra mortali e immortali (le ripetute scappatelle divine insegnano che nessuno sfugge alla passione amorosa), che Fry preferisce considerare solo come figlio di Afrodite e Ares senza preoccuparsi, come accade altre volte all’interno del libro, di metterci al corrente della versione alternativa del mito.
Da Gea nasce Urano (il cielo).
 
Dall’unione di Gea e Urano, nascono i 12 Titani, il secondo Ordine di divinità della mitologia greca, 3 ciclopi e i 3 Ecatonchiri (o Centimani): tutti costretti a restare imprigionati nel ventre di Gea per ordine di Urano il quale rimane offeso dalla loro mostruosità. Cercando sostegno dai figli per vendicarsi della violenza subita Gea ottiene l’aiuto di Crono, il più giovane dei Titani, il quale evira suo padre con una falce dentata costruita dalla stessa Gea e getta l’ormai inutile resto anatomico nell’oceano.
Dal sangue versato di lui nascono le Erinni, dee della vendetta con l’incarico specifico di tormentare gli assassini dei familiari, e dal mare a cui si mischia lo sperma di Crono si forma la spuma del mare da cui nasce Afrodite (dea dell’amore, della fertilità e della bellezza), che per il momento Fry lascia a Cipro sulla sua botticelliana conchiglia mentre altri accadimenti hanno da venire prima che si instauri il regno di Zeus ed essa possa finalmente prendere il suo posto tra gli Olimpi (in questo, il posto di divinità “ancestrale” dell’amore qui lo ha preso di fatto lei).
 
Crono, preso il posto di Urano come sovrano di questo secondo ordine di divinità ancestrali, si unisce alla sorella Rea dando origine a una folta schiera di figli: Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone, e Zeus, che il Titano divora al momento della nascita per impedire il verificarsi della profezia che lo vedrà spodestato da uno dei suoi discendenti. E’ Zeus a sfuggire all’ira paterna aspettando il momento propizio per rovesciare il divino genitore e dare inizio al Terzo ordine, il dominio olimpico.
Uno Zeus implacabile coi nemici e generoso con chi lo ha sostenuto nel corso della sanguinosa battaglia contro il genitore e i suoi alleati, ma soprattutto generoso nel diffondere il divino seme con qualsiasi esemplare con un buco si trovi a tiro visto che appena insediato prende e sforna Persefone con Demetra, Atena con Metis, le Ore e le Moire con Temi, le 9 Muse con Mnemosine, con Leto Apollo e Artemide e già che c’è dà un colpetto o due anche a sua sorella e consorte ufficiale Era, che se no si offende.
Era, dea del matrimonio, insegna a
tutte le caste spose là fuori come
reagire ai tradimenti del breadwinner.
Qui Fry ed Esiodo deragliano: per Esiodo Era e Zeus hanno generato Ebe (dea della gioventù e ancella delle divinità, che Fry sostituisce nei capitoli successivi con il bellissimo Ganimede, coppiere degli dei e amante di Zeus.), Ares e Ilizia (divinità dall’identità poco chiara, identificata a volte con Artemide in quanto addetta alla cura delle partorienti), mentre Efesto nasce dalla sola Era, furiosa per i continui sgarri matrimoniali del compagno. Fry preferisce seguire la via della telenovela argentina e rendere Efesto un frutto d’amore deforme tra i due divini consorti, frutto d’amore che Era avrebbe scaraventato dall’Olimpo perché non all’altezza di quei figli tutti fighini che Zeus andava disseminando ovunque.
Questo gran papocchio, che è già disseminato di tanti di quei nomi e quei fatti da far girare la testa a chi si accinge ad affrontare il tema per la prima volta (e non li ho citati nemmeno tutti), va ad occupare poco meno di un quarto del totale, giusto per far capire quanto a dispetto del tono leggero e informale questo libro sia pregno di contenuti.
E dopo averci narrato della nascita dei dodici dell’Olimpo (Estia, che verrà poi sostituita da Dioniso, Ade, Poseidone, Zeus, Era, Demetra, Apollo, Artemide, Afrodite, Ares, Efesto, Atena), un ottimo ripasso per chi come me si era perso qualche capitolo per strada, Stephen Fry passa a raccontare del mito della creazione dell’uomo come raccontato dai soliti Esiodo e Pseudo Apollodoro: impastato nella terra da Prometeo con la saliva di Zeus e infuso di vita dal respiro di Atena, l’uomo è inizialmente una creatura semplice e ingenua, l’ennesimo trastullo di Zeus e ad esso supinamente asservito. Da Prometeo riceve in dono il fuoco (inteso non solo fisicamente come fuoco ma come conoscenza consapevole e libero arbitrio), da Zeus viene punito con l’arrivo della prima donna, Pandora, che libera nel mondo morte, fame e pestilenze mettendo fine all’età dell’oro per dare inizio a quella dell’argento.
Un’età di morte e sofferenza ma anche di profonda intimità col divino.
 
Preparato così il terreno, a questo punto l’autore può divertirsi a raccontare una pletora di miti che ruotano principalmente attorno al tema della metamorfosi (quindi a questo giro con le fonti abbandoniamo Esiodo e lo Pseudo Apollodoro per trasmigrare sostanzialmente verso gli ameni lidi del romano Ovidio, I a.C): si parlerà dei mille amori di Zeus (il dio della metamorfosi per eccellenza), di trasformazioni geografiche (la nascita del deserto del Sahara) e politiche (storie della fondazione di varie città di Grecia e Asia Minore), di punizioni inferte ai tracotanti (Licaone, Atteone, Mida) o trasformazioni indotte da gesti di divina pietà (Cigno, Dafne); di uomini trasformati in animali, stelle e in fiori, di dei trasformati in mostri per celare la loro bellezza all’amata.
Tanta tanta roba, insomma.
Vengono tralasciati quasi del tutto i miti omerici (quindi niente Giasone e Medea, Paride e la mela d’oro e tutta una serie di miti molto noti al grande pubblico e agli appassionati: si salva solo la storia della nascita di Efesto), scelta che ad alcuni farà pure storcere il naso ma che io mi sento di plaudire, perché in tv e in letteratura specie ultimamente mi hanno talmente sfracellato i maroni con la guerra di Troia, gli Achille di colore, le Elene coraggiose e pawah grandi cavallerizze e i minotauri specisti che meno ne sento parlare meglio è.
Non che ci sia niente di male di per sé, ma già i paesi d'Oltralpe per giustificare il loro razzismo da sfigati considerano gli italiani di etnia nera o mediorientale e ci trattano di conseguenza, era proprio il caso di regalarci questo simpatico Enea di colore che al momento della presa di Troia si nasconde sotto un mucchio di cadaveri per poi battersela come un vigliacco?
Personaggio inutile come un culo senza buco.
► Tutto è narrato con umorismo e leggerezza. Pure troppa.
La narrazione, cioè, è inframezzata da dialoghi informali e osservazioni di natura faceta che ci staccano a forza dal mito antico per portarci nel mondo moderno (come il riferimento all’auto della Renault nel capitolo dedicato alla ninfa Clio) con un piglio alla Percy Jackson, che viene anche citato tra i figli di Poseidone a inizio libro. Questa è un’arma a doppio taglio e un particolare di cui tenere seriamente conto al momento di decidere di acquistare questo libro perché mentre i fan di Percy Jackson potrebbero adorare questo piglio dissacrante e a un ragazzino potrebbe divertire trovare rimandi al presente in storie così antiche, chi cerca qualcosa di più serio e rispettoso potrebbe avere la forte tentazione di dare alle fiamme il tomo in questione. Per quel che mi riguarda sto nel mezzo: non mi dispiace Percy Jackson, l’idea di dissacrare rispettosamente il mito non mi turba, ma certe uscite sono veramente sceme. D’altronde trovavo sceme anche molte uscite di Percy.
 
► E' anche evidente però che nonostante voglia tenere tutto su un piano sbarazzino Fry ha fatto i compiti e conosce la materia.
La narrazione non è solo disseminata di dialoghi stronzi (che comunque possono divertire tranquillamente un ragazzino, a patto che i genitori non si facciano venire gli ictus al pensiero di regalare al proprio bambino un libro su divinità notoriamente promiscue che non fanno tanto caso al fatto di starsi infiocinando un uomo, una donna, un fratello, un sasso o un parafango) ma anche di interessanti riflessioni di natura sia filosofico-antropologica che etimologica, perché Fry ci tiene a farci capire per tutto il tempo quanto la cultura e la lingua greca non siano cose “vecchie” da relegare a qualche noioso libro di scuola, ma restano a tutt’oggi ben presenti in Occidente nella vita di tutti i giorni.

● Ci ricorda tra le altre curiosità linguistiche di cui è disseminato il libro di Melis, la ninfa che donò il miele al matrimonio di Zeus e Era: il nome non solo ancora oggi in greco significa ape, ma l’insetto omonimo appartiene alla famiglia degli imenotteri, che significa “ali nuziali”. Ci parla di Ermafrodito, figlio di Ermes e Afrodite che divenne oggetto di un amore così disperato da parte della ninfa Salmace da pregare gli dei di legarsi indissolubilmente a lui. Di tutta una pletora di giovani che hanno dato il loro nome a fiori (Narciso, Giacinto) o animali (Cigno, Aracne). E’ di contro un po’ troppo frettoloso nel limitare l’etimologia della parola Tifone alle sue origini greche ignorando gli influssi cinesi e portoghesi della parola, ma diamogliela buona.
 
● Dall’altro lato non manca di far notare (a costo di ficcarci dentro le somiglianze a martellate) interessanti parallelismi tra il mito greco e altre storie a noi ben più note, come ad esempio la storia di Filemone e Bauci, raccontata nell’ottavo libro delle Metamorfosi: il mito narra di Zeus ed Ermes che prese sembianze umane di poveri viandanti bussano a tutte le porte di una cittadina della Frigia in cerca di ospitalità. Gli unici ad aprire loro la porta e a dar mostra della virtù della xenia sono una coppia di anziani, e cito dal testo ovidiano, “uniti in casto matrimonio” (ahia…). Zeus, commosso dalla loro generosità, decide di salvarli inviandoli sulla cima di un vicino colle nei pressi di un tempio a lui dedicato mentre scatena la sua collera sul resto della città egoista e indifferente.
La distruzione di Sodoma e Gomorra,
John Martin (1852)
A questo punto Fry in preda al delirio biblico, come se le similitudini a quel punto non fossero già piuttosto evidenti, sovrappone completamente il mito al racconto di Lot e sua moglie (che non merita nemmeno la dignità di un nome) che si allontanano da una Sodoma in fiamme: mentre Ovidio racconta che fu Zeus a chiedere a Filemone e Bauci di voltarsi per assistere alla distruzione della città, perché non dimenticassero la potenza della sua collera divina, Fry ci parla del divieto categorico di Zeus di far assistere alla scena a due comuni mortali (come se Zeus si vergognasse di far vedere ai mortali quanto è figo quando si incazza, ma fatemi il piacere): Bauci e Filemone contravverrebbero perché non riescono a restare indifferenti di fronte allo spettacolo della città che viene distrutta e Zeus insolitamente pietoso li tramuta in due alberelli, insieme per l’eternità (secondo la versione "ufficiale" i due avrebbero servito felicemente per anni come sacerdoti di Zeus prima di subire la metamorfosi, al fine di continuare a vivere anche dopo la fine della loro esistenza umana).
Un altro esempio è dato dal mito di Amore e Psiche, e qui andiamo a scomodare Le metamorfosi di un altro autore romano, Apuleio (II d.C). Fry a questo giro trasforma il mito in una vera e propria favola, con tanto di dialoghi tra Psiche e le invidiose sorelle, immancabili aiutanti magici e inevitabile happy ending (proprio come raccontato da Apuleio, anche se ci sono altre versioni del mito che prevedono la morte di Psiche e il mancato ricongiungimento con Amore) nel caso in cui non ci fossimo accorti delle forti similitudini che intercorrono tra questa storia e una favola ben più famosa, La bella e la bestia di Madame Gabrielle Suzanne Barbot de Villeneuve del 1740, un raccontino morale che mirava a educare le future spose di buona famiglia dell’epoca affinché accettassero di buon grado le unioni con sposi molto più vecchi e brutti di loro.
Con tanti cari saluti alla romantica controparte disneyana.
Non mancano in conclusione curiosità, riflessioni filosofiche interessanti sulla natura stessa del mito in relazione alla mentalità dell’uomo greco che ha creato divinità così umane, imperfette e profondamente contraddittorie; ci si interroga su parti che meritano qualche parola aggiuntiva, come la natura del fuoco di Prometeo (il libero arbitrio e la civiltà ma anche la liberazione dal cieco asservimento al divino) o il ruolo di Elpis (Speranza), la creatura rimasta intrappolata sul fondo del vaso di Pandora (speranza intesa come conforto dal male che la divinità ci nega crudelmente o, per rubare le parole a Nietzsche, un atto di pietà da parte di Zeus, la liberazione dalla convinzione che l’esistenza umana abbia un senso e uno scopo?); si elencano le fonti bibliografiche e digitali utilizzate o utili aggiunte per continuare ad approfondire l'argomento, il che ci fa capire quanto Fry, piaccia o non piaccia il risultato, abbia lavorato sodo per dare alla luce questo tomo.
 
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CONCLUSIONI
Pur essendo io decisamente fuori target Mythos è stato una lettura divertente.
E’ chiaro, scorrevole, e non è affatto stupido nonostante qui e lì le libertà narrative abbondino e rimanga poco più di un piacevole ripassino della mitologia greca, con la sua buona dose di riferimenti pop a misura di ragazzino moderno o di chi ragazzino un po’ lo rimane dentro anche se a livello anagrafico quel treno è partito da un po’.
A questo proposito ci sta che qualcuno più attempatello storca il naso di fronte a un modo di porsi a volte troppo informale da parte dell’autore, ma è importante non fare l’errore di indulgere nel solito snobismo intellettuale del lettore di roba seria© che grida ai mala tempora culturali di oggi: non siamo tutti uguali, non siamo nati tutti grandi lettori, e non tutti i ragazzini si fanno attrarre da tomi di impostazione classica (anzi), tomi che tra parentesi ha letto e capito molto bene anche Fry (talmente bene da saperli riportare in modo molto semplice e comprensibile, come tutti i bravi divulgatori). Ci sono sempre stati ragazzi affascinati dai libri più classici che a 10 anni si divoravano come niente un Signore degli Anelli o un Apuleio e altri che avrebbero preferito farsi martellare i coglioni su un’incudine che avvicinarsi a certi mattoni. L'unica differenza è che ora a questa seconda categoria si viene incontro.
Ogni tanto quindi sarebbe il caso di smetterla di farci i pompini da soli perché siamo bravi lettori, di cominciare a capire che per alcune persone una buona base di partenza verso cose più serie è rappresentata più da Percy Jackson e Mythos che da Robert Graves e la sua ossessione per la “dea bianca”.

Giudizio finale:

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