mercoledì 3 febbraio 2021

[Recensione] LA REGINA DEGLI SCACCHI

Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Titolo originale
: The Queen's Gambit
Paese: Stati Uniti
Anno: 2020
Distribuzione: Netflix
Ideatori: Scott Frank, Allan Scott
Soggetto: Walter Trevis
Episodi: 7
Cast: Anya Taylor-Joy, Bill Camp, Moses Ingram, Thomas Brodie-Sangster, Marielle Heller, Harry Melling, Isla Johnston, Marcin Dorociński

Premesse:
Serie che nasce dall'omonimo romanzo di Walter Trevis (che nella vita fu, come la nostra protagonista, un buon giocatore di scacchi e dedito a droghe e alcool per un certo periodo), recentemente edito da Mondadori con l'immancabile facciotto della Taylor-Joy in copertina.
Questo espediente di marketing lo odio...

Il titolo originale, The Queen's Gambit, è intraducibile in italiano e fa riferimento a un'apertura molto antica e ancora molto usata nel gioco degli scacchi che in italiano è chiamata Gambetto di donna, ma gioca anche con la parola gambit che in inglese significa stratagemma, riferito presumibilmente alla protagonista che deve farsi spazio in un mondo come quello degli scacchi, tradizionalmente riservato agli uomini, ruleggiando come una regina. In italiano si è optato per un più generico regina degli scacchi.
Perché lei è una donna e gioca a scacchi.
Banale ma in questo caso c'è poco da lamentarsi: in una traduzione qualcosa si perde inevitabilmente per strada e comunque dubito che si sarebbe colta la finezza o si sarebbe attirato pubblico lasciando il titolo inalterato.

Nel cast, mi ritrovo quell'adorabile faccina da aliena di Anya Taylor-Joy, già vista e adorata nello splendido Emma di Autumn De Wilde (un altro prodotto molto attento all'estetica), al fianco di gente pescata dal mazzo delle grandi opere teen come Harry Melling (il Dudley Dursley di Harry Potter, praticamente irriconoscibile) e Thomas Brodie-Sangster (Jojen Reed di Game of Thrones, Newt di Maze Runner). Sceneggiatura e regia sono in mano a quel pazzo di Scott Frank, l'uomo a cui si devono per motivi inspiegabili sia Wolverine l'immortale che il succitato Logan.
A questo giro fortunatamente Scott si sentiva in mood Logan.

DUE RIGHE DI TRAMA

La serie, ambientata tra gli anni '50 e gli anni '60, racconta la storia di Elizabeth "Beth" Harmon (Anya Taylor-Joy), rimasta orfana a 9 anni a seguito di un incidente stradale in cui resta miracolosamente illesa.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Presa in carico dallo stato e portata in un orfanotrofio femminile del Kentucky farà conoscenza con la quasi coetanea Jolene (Moses Ingram), la ribellina dell'istituto, che prenderà la nuova arrivata sotto la sua ala protettrice. 
Sarà lei a iniziarla al modo giusto di prendere le pillole verdi che vengono quotidianamente somministrate alle bambine, consigliandole di prenderle prima di andare a dormire perché facciano più effetto. 
Si tratta infatti, lo scopriamo presto, di psicofarmaci, presumibilmente una versione fittizia del Librium (molto usato negli orfanotrofi degli States fino agli anni '60 per la gestione degli sbalzi d'umore e capostipite delle attuali benzodiazepine). Non sorprende quindi che molto presto Beth (e con lei un buon numero di bambini dell'epoca) ne svilupperà una forte dipendenza, cosa che influenzerà buona parte dei suoi anni giovanili. Al momento però assumere le pillole verdi ha solo un simpatico effetto collaterale: le fa apparire un'inquietante scacchiera sul soffitto.
La cosa ovviamente non è casuale.
Beth infatti un giorno in cui era stata mandata dall'insegnante a pulire i cancellini del seminterrato ha trovato il custode della struttura, il burbero signor Shaibel (Bill Camp), chino su una scacchiera e concentrato nel gioco.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
La ragazza se ne ossessiona al punto da ritrovarsi a imparare alcune regole solo guardandolo di sfuggita, finché il desiderio di giocare non si fa tanto forte da spingerla a chiedergli con insistenza di insegnarle. 
Dopo le prime reticenze l'uomo capitola.
La ragazza migliora di partita in partita, un po' grazie a un'indole naturale e un po' per le succitate pillole che pare le acuiscano i sensi, oltre che permetterle nel corso di lunghe notti insonni di rigiocare nella testa le partite fatte durante il giorno, per studiare gli errori commessi e trovare contromosse efficaci.
Shaibel la presenta al responsabile del club di scacchi del liceo, suo amico e compagno di giochi, che appuratone il talento la porta a scuola a battersi, sola, contro 10 dei migliori membri della squadra. Beth vince senza particolari problemi, e confesserà al suo amico di trovare la vittoria rinvigorente (un desiderio di rivalsa che l'accompagnerà per tutta la vita, una dipendenza forte quasi come quella da farmaci). Peccato che in piena crisi di astinenza venga beccata a svaligiare l'infermeria e andare in overdose, quindi le verrà proibito di continuare a giocare.

Passa il tempo.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Questa ha 15 anni...
Beth ora ha 15 anni (15 anni: con tutto che per darci l'idea della giovinezza del personaggio continuano a farle tenere quel bob impietosissimo troncato allo zigomo vengo catapultata di prepotenza ai tempi di Dawson's Creek quando la cricca di protagonisti sembrava composta da adolescenti quanto io sembravo il cofano di una Fiat Panda) e finalmente una gioia, o così parrebbe: i coniugi Alma e Allston Wheatley (Marielle Heller e Patrick Kennedy)
 hanno deciso di adottare questa dolce e tenera tredicenne.
Perché sì, la credono una tredicenne.
Cioè qua io già sto impegnandomi a concepirla 15enne e due secondi devo credere che la Taylor-Joy possa essere spacciata per una ragazza di due anni più giovane, appena adolescente. Ma vabbè: da un lato ho sospeso l'incredulità per cose molto peggiori, dall'altro nelle scene successive per non far sembrare lei troppo fuori luogo tutte le adolescenti della sua classe sembrano già pronte per il primo divorzio.

La vita a casa Wheatley ha alti e bassi.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Il matrimonio dei genitori adottivi è una mera facciata, col nuovo papà che ignora sia la moglie che il loro nuovo giocattolino (arrivando ad abbandonarle entrambe dopo lunghi periodi di assenza per lavoro, col rischio che a lei tocchi tornare in orfanotrofio visto che le famiglie monogenitoriali all'epoca erano il diavolo. E' Alma ad assicurarle che mentirà per lei, se vuole rimanere) e la scarsità di denaro: a lei tocca andare in giro vestita e pettinata in stile Derelict  di zoolanderiana memoria perché a casa Wheatley il risparmio è una virtù e i vestiti brutti del discount una scelta di vita. A scuola poi è ignorata e bullizzata perché gli adolescenti sono notoriamente una manica di stronzi.
Dall'altro lato Beth scopre che Alma prende gli stessi psicofarmaci che le davano all'orfanotrofio, quindi può fregargliele di nascosto e tornare a giocare le sue partitelle mentali sul soffitto. Allora tutto ok. 
Il giro di volta per Beth arriva quando scopre che ai tornei di scacchi se si vince si viene pagati: chiesti in prestito i soldi necessari per l'iscrizione al suo vecchio amico, il signor Shaibel, e con l'occasionale aiuto delle sue medicine speciali, la ragazza comincia a macinare vittorie su vittorie fino a conquistare il primo premio di 100 dollari, con cui finalmente si può comprare qualche vestito carino e un paio di scarpe alla moda, che era anche ora. 
A questo punto non solo Beth sboccerà come una scacchista chic ma anche Alma scoprirà che giocando a scacchi si viene pagati e si offre di farle da manager (al 10%, anche se Beth le offrirà il 15), accompagnandola in giro per il paese (e anche all'estero) ai vari tornei per farle macinare premi e giustificare le sue assenze da scuola.

Il resto della serie si incentra sulla vita di Beth che finalmente, tra alti e (molti) bassi, può vivere della sua passione: le giornate scorrono a scossoni sullo sfondo della Guerra Fredda, tra le sue esperienze di adolescente atipica che diventeranno quelle di una donna atipica che viaggia fa cose e vede gente, la sua vita da scacchista dapprima nel provincialissimo ambiente scacchistico americano e poi in quello internazionale, sempre in mezzo a uomini che ci mettono molto meno di quanto sia logico aspettarsi ad ammettere di avere di fronte una donna più brava di loro; si aggiungono traumi del passato, lutti personali, ma soprattutto la vedremo venire a patti con le sue dipendenze di lungo corso (quella da farmaci, quella da alcolici, ma soprattutto la brama che la assale quando vince una partita) e con la sensazione che a parte gli scacchi nella vita non le resti altro. 
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Per rendere più facile allo spettatore destreggiarsi tra i balzi temporali,
Beth cambia acconciatura ogni 2-3 anni, così vediamo
subito quando dovrebbe avere 15 anni e quando
invece ne ha 22.

IMPRESSIONI SPARSE

Non sono una divoratrice compulsiva di serie tv: maltollero proprio l'allungamento della broda che viene da sé quando una storia si trascina avanti per stagioni e stagioni (quando strigni strigni poteva starci tutto in un film di due ore che andasse dritto al punto, senza bisogno di ficcarci a martellate ship secondarie, scene inutili e fan-service). Quindi comincerò dicendo questo, così ci leviamo il dente: La regina degli scacchi mi è piaciuto
Non l'ho adorato alla follia, non lo ritengo la cosa più golosa mai concepita da mente umana, non prenderò d'assalto i negozi di giocattoli per accaparrarmi qualche scacchiera in preda a un'improvvisa febbre del gioco dal momento che gli scacchi mi piacevano il giusto prima e mi piacciono il giusto adesso che li ho visti rappresentati come un torneo Tenkaichi, ma per i miei standard "mi è piaciuto" è buono.
Cosa mi è piaciuto di questa serie, nello specifico?

Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
 ANYA TAYLOR JOY che con la sua bravura dà vita a una protagonista affascinante e complessa, spesso e volentieri irritante e tutt'altro che "simpatica" o "compiacente", che cattura lo sguardo.
Inutile girarci attorno, la nostra Regina degli scacchi è il punto focale, il nucleo attorno a cui ruota l'intera serie e senza di lei e i suoi occhioni scuri potevano andarsene tutti a lanciare i coriandoli in tangenziale.
Questo non perché chi la accompagna offra cattive performance attoriali, tutt'altro (sono tutti molto in parte e a tutti viene offerta l'occasione di brillare, a parte il povero Melling che sembra un americano degli anni '60 quanto Dick Van Dyke ai tempi di Mary Poppins sembrava uno spazzacamino inglese; ma se uno se lo vede in italiano, per dire, passa la paura), ma perché la storia non parla tanto di scacchi quanto di un percorso di crescita che segue quasi i binari di un classico ottocentesco, con la povera orfanella che si risolleva dai colpi bassi che le riserva la vita a costo di dolore e sacrificio.
A differenza di quanto accade puntualmente nei suddetti romanzi però in questo caso la chiave non sta nell'amore né tantomeno nel matrimonio/amore romantico (che in questo caso assume più la forma di una catena opprimente che di un salvagente per le donne che circondano la protagonista, a cominciare dalla madre biologica e passando per la madre adottiva e persino per l'ex queen bitch del liceo, che in una scena reunion viene beccata con una bottiglia di whiskey nascosta sotto alla culla - nulla di nuovo sotto al sole per chi ha letto La mistica della femminità di Betty Friedan) quanto nella collaborazione, nel supporto e nell'amicizia
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
L'arrivo-deus ex machina di Jolene,
che spunta a caso dalla magia
della sceneggiatura che deve darsi
una mossa in dirittura d'arrivo:
primo tassello della strana famiglia
acquisita di Elizabeth

Conseguentemente, è sulla protagonista che si concentra per buona parte del tempo l'occhio della telecamera, ed è sempre la protagonista che diventa, come già detto, il centro della narrazione (giustamente e furbescamente da parte degli ideatori, perché non oso immaginare che immonda martellata ai coglioni sarebbe stato far ruotare davvero tutto attorno al gioco degli scacchi, che è bello quanto vuoi ma non vende). 
In questo contesto le partite di scacchi si costruiscono su giochi di sguardi intensi che richiamano al western e turnicate di macchina che fanno solo intuire il gioco, perché sono battaglie per la sopravvivenza e per l'affermazione di Beth in un mondo riservato agli uomini, qualcosa che la mantiene viva ma che al tempo stesso la distrugge, provocandole la stessa assuefazione malsana dei farmaci e dell'alcool di cui abuserà sistematicamente.

La battaglia è soprattutto dentro Beth.
Ama gli scacchi con passione bruciante e sincera (e che per vivere debba farne un lavoro, passando da un torneo all'altro, non sminuisce in alcun modo questa passione. Purtroppo al mondo servono i soldi, anche se sarebbe bello vivere di aria e passione) ma al tempo stesso proprio questa passione diventa la causa primaria della sua rovina: è per giocare a scacchi nella sua testa che comincia ad abusare seriamente delle pillole (nonostante Jolene la metta in guardia a più riprese), è il timore che smessa la maschera della geniale scacchista di lei non rimanga altro a spingerla verso l'alcool: Beth vive nell'ansia costante della prossima partita, nella paura che il suo essere inizi e finisca col gioco, e arriverà addirittura a chiedersi (anche se nella scena sta ponendo la domanda a un giovane campione russo contro cui si è scontrata nei campionati di Parigi) se ci sarà un dopo, nel momento in cui sconfitto ipoteticamente l'attuale campione mondiale in carica Vasily Borgov (Marcin Dorociński) dovesse diventare lei la più brava scacchista di tutti. 
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Parallelismo della messa in scena non casuale.
Una delle mille finezze estetiche di questo telefilm.
PS: Borgov è il più figo, statece.
Insomma, nel corso della storia Beth dovrà non solo vincere il titolo di campione mondiale, ma soprattutto ricordare che, proprio come accadeva nel polveroso scantinato dell'orfanotrofio quando stava ancora imparando i rudimenti del gioco e il suo avversario era il custode William Shaibel, giocare deve essere soprattutto un divertimento (e magari già che c'è accorgersi che è molto più brava se non si sfonda di calmanti). Dovrà anche rendersi conto che gli scacchi non le hanno permesso solo di sopravvivere in modo indipendente ma anche e soprattutto di allacciare una rete di amicizie sincere, persone che nel corso del tempo le sono state accanto, l'hanno stimata, protetta e amata.

 GLI SCACCHI, mostrati col rispetto che si deve a un gioco tanto complesso ma che al tempo stesso non diventano il centro della narrazione.
Intelligentemente Netflix e Frank Scott destinano il prodotto agli appassionati di scacchi (che raramente perdonano le imprecisioni quando si tratta di mettere in scena il loro sport preferito) con: 
● Partite e strategie di gioco reali (d'altronde i consulenti non erano i primi stronzi che passavano ma Bruce Pandolfini, che fa anche un piccolo cammeo come giudice di gioco in Kentucky, e l'ex campione del mondo Garry Kasparov)
● Citazioni di teorici e grandi campioni all'interno dei dialoghi. A una certa Beth verrà paragonata a Paul Morphy per le sue tendenze autodistruttive, anche se per molti aspetti dà più l'aria di essere una versione femminile di Bobby Fisher, ex campione del mondo dal carattere antisociale, che imparò il russo in vista delle sue partite coi sovietici, che prediligeva uno stile di gioco aggressivo, che viveva della sua passione sputtanandosi i soldi in vestiti di alta sartoria e che operò più o meno nello stesso periodo preso in esame da La regina degli scacchi (Era anche, in modo forse volutamente ironico, parecchio critico sulle donne e le loro capacità mentali e non concepiva l'esistenza di donne scacchiste).
 Gergo tecnico in abbondanza
Al tempo stesso non si perde in spiegoni noiosi e a prova di idiota.
Nel caso del gioco degli scacchi però qualcosa è necessario comunque che lo si spieghi se si vuole destinare il prodotto a un pubblico più ampio (qualcuno che non ha mai visto una scacchiera in vita sua ma forse vorrebbe capire almeno a grandi linee cosa stia accadendo), ma si fa sempre attenzione a non esagerare e a integrare le cose più importanti e i tecnicismi fondamentali all'interno della narrazione. Ad esempio, all'inizio è la stessa Beth ad essere completamente a digiuno di scacchi, cosa che permette a Mr. Shaibel o ad altri rivali nel corso delle competizioni di spiegarle (e spiegarci) qualche mossa basilare: come si muovono i pezzi, come funzionano a grandi linee i tornei ma soprattutto l'etica del gioco.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Degli scacchi vediamo lo studio, la fatica e l'impegno ma non ci stiamo mai a fare due palle su un mucchio di libri, e schemi, e problemi apparentemente irrisolvibili, e strategie, e salcazzo. Qualcuno in corso di gioco ci prova pure a smollare alla protagonista un malloppone di riviste o a proporle un quizzone difficile per vedere come se la sbroglia ma Beth 
è una persona che preferisce lavorare sulla pratica e in base all'istinto e all'imprevedibilità più che mettersi a studiare compulsivamente la teoria. Questo permette alla storia di essere più emozionante.
Le partite vengono appena accennate: diversamente da quanto accadrebbe in un vero torneo le mosse sono rapide, implacabili, feroci e i personaggi parlano tra loro; la telecamera indugia più sui volti degli sfidanti che sui pezzi in gioco, spesso turnica intorno ai giocatori come uno squalo pronto all'attacco. Scott Frank, intelligentemente, ha capito che tenere la camera fissa sulla scacchiera con due stronzi ai lati aspettandosi che lo spettatore casuale ci si faccia sopra dei seghini di eccitazione non è questa mossa geniale, quindi preferisce fare i primi piani intensi da western e far sguisciare la telecamera qui e lì per dare un'idea di azione che nella realtà non esiste.

 L'ASSENZA DI SHIP, o per meglio dire di sottotrame romantiche che fanno da riempitivo ad una storia di merda, tappano i buchi di una sceneggiatura pigra e distraggono quel tipo di spettatore che sulle ship predilette ci costruisce l'autostima; sottotrame romantiche che nel migliore dei casi tolgono spazio alla trama principale e alla caratterizzazione dei personaggi riducendo la figura della protagonista a un grumo di ormoni spinto dall'indecisione romantica.
E chi sceglierà l'eroina alla fine della storia, il tenebroso cupo dal culo di marmo o il sensibile con addominali di granito?
Che suspense...
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Intendiamoci, le figure maschili avvenenti e gentili nella vita di Beth non mancano (un po' perché la sua vita di scacchista si svolge in ambienti in cui bazzicano praticamente solo dei maschi, e un po' 
perché bisognerà dare qualcosa in pasto alle spettatrici per par condicio), ed essendo lei una ragazza normale con normali pulsioni capita che ogni tanto si prenda una cotta per un rivale di gioventù (poi giornalista del settore), D.L. Townes (Jacob Fortune-Lloyd), salvo poi prendere atto della sua omosessualità nel modo più cringe che si possa concepire, quando ciccia fuori l'amante di lui nel corso di quello che si pensava essere un appuntamento come in una soap argentina; che offra come se non ci fosse nulla di strano negli anni '60 un letto all'amico Harry Beltikche si faccia ospitare da Benny Watts nel suo appartamentino di New York, dorma sul suo materasso gonfiabile, ci faccia sesso e poi finita lì, non funziona.
Le liasons di Beth raramente lasciano strascichi a livello narrativo, e quando questo accade fa parte al più del percorso formativo di lei. Non c'è il drama romantico che caratterizza praticamente qualsiasi cosa al giorno d'oggi (dall'horror al poliziesco passando per i film in costume e il fantasy), manca quella continua e snervante tensione erotica col regista che ti occhieggia come uno stronzo maniaco da dietro la spalla per dirti quanto te la sta facendo trasgry e pruriginosa la scena, non c'è l'interesse a rivelare allo spettatore se la bella drogata alla fine della storia finirà con lo stronzo vestito da Crocodile Dundee o con quello che si è fatto sistemare i denti coi soldi dell'università per diventare più carino, perché il punto non è quello.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Il punto è creare
 (anche con delle discrete forzature), di puntata in puntata, una rete di sostegno per Beth che le consenta non solo di trionfare negli scacchi ma anche di riprendersi le redini della propria vita.
Lo dirà lo stesso Benny alla protagonista: se gli scacchi americani sono così provinciali a confronto di quelli sovietici (sono gli anni '60, siamo in piena Guerra Fredda, non è esattamente una cosa detta a cuor leggero da uno yankee dell'epoca) è perché a differenza degli occidentali che sono individualisti e mirano alla vittoria personale, i sovietici collaborano e riescono quindi a giocare i veri scacchi.

 L'ASSENZA DI SPIEGONI: la regina degli scacchi mostra senza spiegare, allude senza esplicitare, e in generale dà l'idea di tenere in gran conto l'intelligenza dello spettatore.
Per fare un esempio sappiamo molto poco della madre di Beth, Alice Harmon: sembra non esserci un marito, al più un ex compagno/amante da cui Alice si era allontanata nonostante fosse incinta di Beth salvo poi ritornare quando lui si è rifatto una vita con un'altra donna e a questo punto non ha alcuna intenzione di prendersi cura di quel "problema" rappresentato da sua figlia (i padri anaffettivi sembrano essere una costante nella vita di questa ragazza); che è depressa e probabilmente dedita alle stesse dipendenze della figlia; che l'incidente che le ha tolto la vita è stato tutto fuorché un incidente.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Il resto è sostanzialmente nebbia, la stessa Beth di lei ricorda poco e non sono ricordi piacevoli, ma c'è
 una scena che potrebbe rappresentare la chiave di volta per capire qualcosa in più del suo personaggio: in un flashback Beth prende in mano un testo universitario della Cornell scritto da Alice Harmon, una tesi di dottorato in matematica dal titolo "Rappresentazioni monomiali e presentazioni simmetriche".
Sappiamo che la stessa Beth è un genio della matematica, o che comunque ha conoscenze matematiche molto più avanzate rispetto a quelle dei coetanei nonostante arrivi da una realtà come quella dell'orfanotrofio dove l'istruzione non è d'eccellenza.
Vediamo anche, nel corso della serie, quanta sofferenza e solitudine porti l'essere una persona di un certo talento, specie se si è donna nel periodo del dopoguerra (quando alle femmine della specie veniva richiesto al massimo di indossare l'abitino più carino e preparare un Martini al breadwinner di ritorno a casa, senza arrovellarsi troppo con le questioni troppo complesse, stile di vita che, lo vediamo anche all'interno della serie, non era esattamente un primo premio della lotteria): e se una scacchista soffre quanto Beth immaginiamo che vita dovesse fare una dottoressa in matematica con figlia illegittima a carico.
Non è che possiamo immaginare i particolari ma possiamo farci un'idea.

Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Si nasconde un po' di mistero e di non detto anche dietro al personaggio di Cleo, la bella francese amica di Benny che Beth incontrerà a New York: c'è il sospetto da parte dei fan che la giovane potrebbe essere nientemeno che una spia russa inviata a New York per sabotare Beth (che si sabota benissimo anche da sola, spasibo compagni).
Le prove a sostegno di questa tesi sarebbero che si presenta giusto la notte prima della sua partita più importante, quella contro Borgov, e la spinga a bere con insistenza fino a stordirsi, salvo poi sparire completamente dalla scena.
E' divertente poi notare che nel corso della sua ultima gara in Russia Beth riesca ad incontrare nientemeno che Townes, che per sostenerla nel corso di una gara cruciale ha richiesto e ottenuto un passaporto da giornalista all'ultimo minuto. Scherzando, ma forse no (nel periodo di Guerra Fredda si son fatte cagate peggiori) afferma di esserci riuscito perché probabilmente all'ambasciata russa erano convinti che avrebbe distratto Beth.
Considerando che da quanto vediamo nel corso della storia l'unica persona a cui Beth confida di aver amato Townes è proprio la succitata Cleo, l'ipotesi della spia in disguise potrebbe essere una divertente sequenza di coincidenze o qualcosa che si è lasciata lì tra le righe. In ogni caso non viene spiegato nulla e tutto questo è bellissimo.

Viene da sé che essendo La regina degli scacchi una serie che punta sui particolari e il non detto L'ESTETICA assume nel corso della storia un ruolo fondamentale.
Nulla è visivamente lasciato a caso, a cominciare dalla protagonista.
Beth a differenza di quanto accada nel libro è una bellissima ragazza dal trucco e parrucco quasi sempre impeccabile, un trucco che per ovvi motivi privilegia porre l'accento sullo sguardo con forti sbafate di eyeliner (di questo ringraziamo Daniel Parker, già attivo in opere del calibro di Chernobyl, Knightfall e, ehm, Troy), che non appena ne avrà l'occasione rifornirà il suo guardaroba di vestiti eleganti e alla moda: questo ha provocato a livello di fandom una contenuta ondata di sdegno contro quella pratica abusata e normalmente abbastanza fastidiosa del rendere più avvenenti di quanto non siano in originale i personaggi al momento delle trasposizioni su schermo.
Specie se donne.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
In questo caso però mi sento di difendere la scelta di quel faccino carino ma comunque peculiare della Taylor-Joy, perché se è vero che sembra non possano esistere protagoniste con difetti estetici marcati, non sarebbe stato perpetrare uno stereotipo vecchio quanto il mondo identificare una ragazza con logica e cervello fuori dal comune con la classica tipa sciatta, con la gonna sotto al ginocchio e il cardigan rubato alla nonna? U
na ragazza bella ed elegante non può essere anche intelligente?

L'attenzione riservata agli abiti (frutto del lavoro di Gabriele Binder) è certosina e non a caso fuori contesto in uno sport che privilegia la mente al corpo, al punto che persino in corso di narrazione i giornalisti faranno notare a Beth che rischia di non essere presa sul serio se si mostra troppo bella e alla moda.
La dice lunga sulle pressioni a cui ancora oggi sono sottoposte quotidianamente le donne riguardo al loro aspetto fisico dal momento che a questo punto della storia Beth ha a più riprese dato mostra della sua bravura e in linea generale gli americani sono quelli più tarati male sulla presenza di donne davanti alle scacchiere. Chi dovrebbe prenderla poco seriamente, almeno negli Stati Uniti, sei scemo?): oltre che indossare vestiti molto fedeli al periodo il simbolismo è esplicito, quasi banale ma di fascino: non si contano le volte in cui Beth indossa abiti nei toni del bianco/beige e nero o motivi quadrati che richiamano alla scacchiera, arrivando a trasformarsi letteralmente in una regina bianca alla fine della storia.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Persino se non richiamano tanto apertamente agli scacchi le scelte cromatiche e di stile di Beth non risultano praticamente mai casuali (il suo guardaroba ad esempio si riempirà di note di colore in occasione del suo sbocciare come donna, arrivando a dei toni scarlatti molto sensuali - ma il rosso è anche un colore che indica pericolo - in occasione del suo incontro al bar con Cleo).
Per fare solo un paio di esempi:
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
L'abito color menta che Beth indossa in occasione
della sua prima disastrosa partita contro Borgov
richiama ai colori delle pillole di cui abusa

Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
E' il momento di maggior vicinanza tra Beth e Alma, la loro breve
avventura in Messico: i loro abiti sono coordinati,
a sottolineare un rapporto che è andato facendosi più affettuoso
a dispetto del fatto che le due di fatto non siano madre e figlia di sangue.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Dopo la morte di Alma, e nei momenti di maggior sconforto,
Beth prediligerà l'azzurro e il rosa, i colori preferiti della sua madre adottiva.
In una scena arriverà ad indossarne la veste da camera.
Anche alle ambientazioni (opera di Uli Hanisch) viene riservata la stessa attenzione e concorrono a darci informazioni aggiuntive su quanto accade intorno alla protagonista: di nuovo, nulla è lasciato al caso.
Per fare solo qualche esempio:
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
La casa dei Wheatley
Un guazzabuglio opprimente e disordinato di motivi,
tendaggi, suppellettili ficcati a cazzo.
Sembra (e infatti è) qualcosa che Alma ha preso a caso dalle riviste di interior design e ha ammassato in giro per dare l'impressione superficiale di un nido accogliente. Ne riflette il caos emotivo.
La stessa Beth in seguito cerca di mettere ordine nella propria vita
rimodernando il mobilio. 
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
A sinistra: Alma a Mexico City, poco prima di morire
A destra: All is Vanity, opera di Charles Allan Gilbert che ritrae la vanità della giovinezza a cui si sovrappone l'ineluttabilità del memento mori. 
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Studio di un cavallo, di Rosa Bonheur
Alma possiede molti quadri dell'artista francese Rosa Bonheur (artista del XIX secolo che proprio come Beth si fece largo in giovane età in un mondo di uomini grazie al proprio talento): tuttavia alla sua morte, una volta tornata a casa, Beth è affascinata da questo quadro che rappresenta un cavallo.
Ovviamente non è casuale.
Morta la madre adottiva, in un certo senso suicidatasi proprio come Alice Harmon a causa dei suoi eccessi nel bere, Beth avverte con forza straziante il peso della solitudine.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
L'opprimente, rigido, simmetrico e squadrato minimalismo sovietico
nel luogo più ostile per una giovane americana negli anni '60.


*

Ma come dicevo all'inizio di queste recensione, non è tutto oro quello che luccica e non è tutto perfetto quello che viene portato sullo schermo da La regina degli scacchi.
Ci sono cose che in corso di visione mi sono risultate fastidiose, laddove non addirittura indigeste, sempre però nel contesto di un'opera in generale molto valida.

La storia della tredicenne.
Non mi va giù, ma chi ce crede che quella ha 13 anni: come fa a passare per una tredicenne se fatica a passare per quindicenne, come ha fatto al liceo a finire nella classe giusta insieme a delle stronze modaiole che sono chiaramente a dir bene delle coetanee, e soprattutto cosa gliene frega a una coppia così disastrata (divisa, si dirà, dalla perdita di un figlio anche se non ci saranno mai rivelati i dettagli) che in una figlia adottiva cerca soprattutto un rimpiazzo, qualcosa con cui tenere occupata una moglie sola, frustrata e alcolizzata?
Paradossalmente dovrebbe far loro più comodo una ragazza più grande.

 L'arrivo a cazzo di Jolene
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Pare uscita dalle Pantere Nere e 
due scene dopo gioca a squash,
caga i soldi e vuole fare l'avvocato.
Dai tempi dell'orfanotrofio queste due non si sentono, non si scrivono (vediamo Beth contattare una volta il signor Shaibel, e solo per chiedergli dei soldi - mai restituiti), teoricamente Jolene non dovrebbe sapere nemmeno dove abita (a meno che i giornali non abbiano fornito il suo indirizzo, cosa che onestamente non credo o avrebbe casa assaltata da qualche fan), ma do per buono (anche se non mi pare una cosa coerente coi personaggi) che lei e il custode in quanto amici di Beth abbiano fatto qualche chiacchiera.
Beth è nel suo periodo più nero, alla vigilia della sua gara più importante in Unione Sovietica ma senza soldi per arrivarci dal momento che in uno sprazzo di orgoglio a caso (che secondo me è autolesionismo puro e semplice) ha mandato a cagare la società di amici di Gesù che la stava finanziando: si sta sfondando di alcool e droghe come non mai, e sull'orlo del baratro, e arriva sto spettro dei natali passati.
Così, a caso, perché è morto Shaibel.
Così possono farsi una chiacchierata molto commovente su quanto le sorelle (anche se non sono sorelle di sangue) si aiutino e lei può anche darle i 3000 (treMILA!) dollari che le servono per arrivare in Russia. Tesoro, qui non si tratta di aiutare una sorella ma di avere fottuti poteri psichici e di aver rapinato Fort Knox.

► Il volemosebbene forzato.
Capisco che il messaggio generale della serie volga alla collaborazione, ma c'è una differenza sostanziale tra il voler portare avanti un messaggio positivo di rivalsa, amicizia e sostegno e ballare sulla linea sottile, marrone e puzzolente di un happy ending disneyano.
L'impressione generale è che il telefilm, volendo arrivare a un pubblico più vasto possibile, indulga qui e lì nelle solite americanate poracce e non sia mai davvero cattivo come vuole sembrare.
La regina degli scacchi sembra viaggiare col freno a mano tirato
Beth sembra la parodia di una stronza borghese col broncetto più che una persona che ha convissuto una vita con traumi orribili e una dipendenza da alcool e calmanti: dà l'idea di poter essere in potenziale molto più egoista, cattiva, arrogante, disperata e devastata di quanto non appaia (persino nei momenti più neri è sempre tanto bellina e in ordine e si sbava giusto un po' il rossetto nell'incipit, per gradire).
Soprattutto chi la circonda sembra tenersi a freno.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Nello specifico, nessuno la sfancula mai anche se dovrebbe, così che Beth (e lo spettatore) possa concentrarsi in via esclusiva sui propri demoni interiori. 
Se chi la osteggia apertamente e ciecamente fuori dal mondo degli scacchi viene ridicolizzato e trattato da fesso (Allston Wheatley in particolar modo è talmente omuncolo dentro e fuori che praticamente non esiste, manco riesce a guardarla negli occhi: era così ambiguo e sfuggente che ho pensato per tutto il tempo che volesse metterle le mani addosso) i tutti i suoi flirt, dagli amori non corrisposti ai friendzonati male passando per i semplici rivali di gioco, non uno che non se la metta via con sportività (la sconfitta da parte di una donna e la friendzonata) e non diventi un prezioso alleato per la sua crescita personale; non uno dei colleghi di gioco che non arrivi a rispettarla in due secondi per la sua intelligenza e il suo talento, come se il fatto di giocare a uno sport di intelligenza e tattica non li possa rendere un branco di scimmioni dall'ego fragile come accade ai fan di sport più di contatto in un qualsiasi bar sport. A ricordarci che il maschilismo nel mondo degli scacchi esiste (negli Anni '60 come adesso) tocca che ce lo ricordino ogni tanto un giornalista che fa una domanda stronza o un vecchio ritaglio di giornale sul muro di uno scantinato muffito.
A una certa tocca solo mettersela via e fidarsi.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
La Gaprindashvili nella serie:
triste, in penombra e vestita da amish
In più a proposito di maschilismo non ho capito perché in Russia lei possa partecipare senza problemi ai campionati mondiali maschili e nessuno a parte uno si faccia venire crisi di pianto ma chi commenta la partita faccia cenno a una scacchista russa (giusto per far vedere che esistono, dettaglio che si perde visto che per tutto il tempo nominano solo scacchisti maschi, come se buone teorie di gioco non siano mai saltate fuori da un utero), Nona Gaprindashvili, che è molto brava ma non ha mai gareggiato contro degli uomini. Cosa che dovrebbe giustificare la popolarità di Beth in Unione sovietica (durante la Guerra Fredda... Mah), anche se a me sembra solo un modo di sottintendere che se non ti batti contro degli uomini in fondo non sei poi così brava.
Brutto scivolone, telefilm...
Mi sono informata ed ho concluso che, come immaginavo, è una cazzata: la vera Gaprindashvili gareggiò abitualmente contro scacchisti uomini e una volta prese anche parte al torneo di qualificazione per il campionato maschile nazionale. Se vogliamo trovare un paese in cui alle donne spesso e volentieri non era permesso di gareggiare contro gli uomini questi sono proprio gli Stati Uniti.

► Il ruolo delle pillole
Confuso, contraddittorio e tirato via.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Per tutta la serie ce la menano in ogni modo possibile e immaginabile su quanto le pillole aiutino Beth a giocare meglio (nel corso di tutti gli episodi vediamo proprio Beth più lucida, sveglia, sicura, muovere i pezzi come un razzo in preda a una frenesia istintiva che tutti lodano e in generale non si vedono mai sul suo corpo i segni di una dipendenza di quasi 15 anni. Nonostante a inizio storia ci dicano esplicitamente che sono CALMANTI, tra l'altro). Sembra che effettivamente non ne possa fare a meno, e per tutto il tempo sembra si suggerisca che sia piuttosto l'alcool (e in maniera più sottile e sfuggente la solitudine) a buttarla giù e spegnerle il cervello. 
Ma evidentemente no visto che alla fine grazie al potere dell'amicizia e della sorellanza interraziale smette di prenderle e finalmente vince contro Borgov, in tre minuti scarsi di montaggio.
Vabbè.

*

IN CONCLUSIONE. . .

La regina degli scacchi è un buon prodotto nel catalogo Netflix, una storia che commuove senza prendere il piglio patetico da telenovela, che intrattiene senza trattare da scemo lo spettatore, che riesce a far stringere il culo sulla sedia con uno sport come quello degli scacchi e che soprattutto spero sia autoconclusiva, anche se il successo che sta riscuotendo mi fa temere molto per l'uscita di stagioni aggiuntive.
Stagioni aggiuntive a sfondo romantico, nello specifico.
A quel punto per me possono andarsene tutti a battere in tangenziale.

Piano olandese o Dutch Angle:
Pone l'orizzonte su un piano obliquo.
La serie è giocata su dialoghi intelligenti e trovate di regia finissime: abbondano gli zoom all'indietro che accentuano il senso di solitudine di Beth, ma anche primi piani puntati sullo sguardo dei personaggi nei momenti di massima tensione; aggiungiamoci pure una spruzzata di piani olandesi nei momenti di maggior confusione e smarrimento.
Il piglio generale è delicato al punto che persino quello che dovrebbe essere l'epico scontro finale tra lei e Borgov sfocia nell'anticlimatico e non eccede mai in quel vouyerismo pruriginoso figlio di una sceneggiatura fatta col culo né per quanto riguarda il sesso né per quanto riguarda i drammi personali di protagonista e personaggi di contorno.
Tra le altre cose non sapremo mai i dettagli della morte del figlio di Alma o del suo rapporto fallimentare col marito (né quello di Alice con l'ex compagno o la sua vita con Beth trascorsa in roulotte, del resto). Benny racconterà di aver avuto un padre alcolizzato, cosa che lo rende molto sensibile agli eccessi alcolici di Beth, ma la storia finisce lì e non si indulge in particolari violenti che trasformano una buona storia nella fiera della telenovela argentina.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Il drama c'è ma lo si tiene a bada perché non serve rimarcarlo con insistenza.
All'orfanotrofio, per dire, se è vero che indossa una divisa orribile e le vengono tagliati i capelli in modo criminale e che alle giovani ospiti vengono dati farmaci per l'umore (come previsto dalla legge dell'epoca d'altronde) è anche vero che in linea generale l'infanzia di Beth scorre in modo tranquillo anche se non è un ambiente sereno: Beth studia sodo e viene lodata per il suo impegno, trova in Jolene una buona amica, vengono fatti sforzi sinceri di trovarle una buona casa e genitori amorevoli. Viene accontentata nel perseguire la sua passione per gli scacchi e se poi le verrà proibito di giocarci sarà solo a seguito della sua effrazione nell'infermeria con conseguente overdose, e non perché la direttrice è una stronza modello Miss Minchin

La protagonista anche se a conti fatti offre la versione ripulita di una drogata è una boccata d'aria fresca nel panorama dei personaggi femminili: troviamo in Beth una giovane donna tutt'altro che gradevole dal punto di vista caratteriale, complicata e a tratti contraddittoria (come tutti i personaggi scritti bene, in fondo), determinata e intelligente ma anche cupa e depressa proprio a causa di ciò che la rende speciale.
Mai dolce o remissiva, mai portata a indulgere nelle romanticherie.
La sua storia di crescita è tutta interiore, e le persone intorno a lei possono al più supportarla o farle da mentori e occasionali compagni di gioco ma mai amarla in senso romantico (non finché lei non impara ad amare se stessa, perlomeno). Il che non significa che non abbia sani appetiti e non possa andare in giro a fare sesso come più le aggrada, anche se sono gli anni '60 e le brave ragazze in teoria non lo dovrebbero fare (e poi ritroviamo le donne di mezza età che si sono comportate bene sole, infelici e frustrate): è un personaggio con altre ambizioni e obiettivi, mica ce l'ha murata col cemento armato.

Insomma, nonostante presenti la sua buona dose di problemi e semplificazioni (d'altronde Netflix non è un ente di beneficienza e produce cose che spera guardi molta gente), La regina degli scacchi una possibilità la merita.
Anche se in pratica è l'ennesima riproposizione del tema del genio infelice.
Anche se a una certa pare un film sulla nascita di un supereroe.
Anche se gli scacchi vi fanno cagare.
Recensione della serie Netflix "La regina degli scacchi", con Anya Taylor Joy.
Un Borgov finale, perché quest'uomo è davvero bello,
mi pare Jon Hamm in Mad Max.
Giudizio finale:

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