Autore: Mattia Butta
Genere: Guide di viaggio
Edizione: CreateSpace Independent Publishing Platform
Pagine: 144
Anno: 2012
Euro: 6,76
Non sono mai stata una gran fanatica del Giappone.
Curiosa, molto, ma non fanatica.
Pur essendo una persona che non fa la guerra sulla carbonara e non va in giro a sbandierare fieramente la sua cultura di pizza, spaghetti e mandolino non ho mai vissuto la vergogna e la profonda inferiorità culturale che molti giovani compaesani provano nei confronti del magico e mistico paese del Sol Levante.
Con questo atteggiamento mi sono avvicinata al libro di Mattia Butta (nonostante io non sia nemmeno questa gran fanatica di tomi autopubblicati), spinta proprio da un titolo che prometteva di risparmiarci la solita piaggeria reverenziale. La gente spesso parla del Giappone in punta di piedi, dando l'idea di non averci mai vissuto o comunque di aver vissuto la vita e l'esperienza in Giappone in modo molto superficiale: questa è principalmente gente che ha il timore di indisporre quei fanatici del Giappone col prosciutto kawaii sugli occhi che rappresentano il 95% del loro pubblico.
Nel libro di Butta questo problema non lo troviamo.
Se proprio, spesso si presenta quello opposto, ovvero un continuo rimarcare aggratis la superiorità del pensiero occidentale, nella fattispecie Europeo (il nostro alfabeto è migliore, le nostre posate sono migliori, ma soprattutto noi alla gente non rifiutiamo di affittare le case a causa del colore della pelle e le nostre donne hanno le tette - sic!). Questo porta il libro a fare il giro e diventare qui e lì non divertente e impietoso ma provinciale, ottuso, irrispettoso, presuntuoso e a presentare punte di razzismo, caratteristiche che l'autore vorrebbe riservare solo ai giapponesi giusto perché per una volta quello oggetto di razzismo sarà stato lui.
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L'autore, come da titolo, elenca 101 motivi per cui ritiene che non si dovrebbe considerare neanche per sbaglio l'idea di vivere in Giappone (chiaramente, in modo ironico - lui ci è andato ad abitare per lavoro e non è che ci sia morto, anche se ha incontrato molte difficoltà come qualsiasi persona si ritrovi a dover vivere lontano dal proprio paese d'origine e dalla propria cultura). Ovviamente questo lo porta a scrivere diversi punti molto simili, e qualcuno proprio superfluo, o comunque non così grave da giustificare il titolo del libro (che comunque, lo ripeto, non va preso alla lettera: non è che il Butta vuole far fede al suo cognome buttando tutti i gaijin fuori dal Giappone).
- I Giapponesi sono schiavi delle convenzioni sociali al punto che le loro commesse sono obbligate a far finta di provare grande simpatia per te anche se in realtà gli stai sui coglioni (che strana cosa orientale questa, da noi invece ai commessi viene imposto di essere sempre scoglionati e bestemmiare come camionisti) e da preferire rimanere al lavoro fino a tardi anche se c'è da girarsi i pollici i tre quarti del tempo di modo da non apparire come quelli pigri. In più sono molto lenti e poco produttivi.
Ovviamente sulla questione lentezza e produttività influisce una questione culturale: dal momento che siamo noi occidentali quelli con in corpo un dildo anale grosso come l'arnese di John Holmes chiamato Capitalismo è chiaro che abbiamo un'ossessione malsana per la fretta e la produttività che ci porta a ritenere fuori dal mondo nonché molto snervante la pacatezza giapponese. Ci sta però che dia fastidio allo straniero che si trova in Giappone per lavoro ed è giusto far presenti queste differenze culturali.
- La forma è più importante della sostanza in ogni aspetto della vita: bisogna vestirsi in un certo modo, frequentare certe scuole, frequentare certe amicizie, mai uscire dai circoli sociali giusti, rispettare le regole ma solo se sai che non ti controllano. Anche qui, cose molto poco esclusive dei giapponesi ma che magari sono utili a rendere gli orientali un po' più umani ai nostri occhi e a togliere un po' di patina jappomagica dagli occhi dei fan acritici fermi agli shojo manga e qualche saggio di parte.
- Sono profondamente diffidenti e guardinghi nei confronti degli stranieri al punto che per quanto si sia persone perfettamente inserite nel mondo sociale e lavorativo giapponese certe cose siano abbastanza difficili da ottenere senza un garante autoctono, come avere in affitto un appartamento o farsi intestare un conto bancario.
Questa cosa ovviamente riempie il Butta di sdegno.
Locandina promozionale giapponese di Into the Spiderverse: si noti il naso meno pronunciato e il colore di pelle più chiaro di Miles. |
Che non è mica tanto meglio.
Nelle parole dell'autore poi non posso fare a meno di notare tra le righe la sorpresa e l'indignazione di un maschio bianco etero che per la prima volta in vita sua si ritrova ad essere per davvero dall'altra parte della discriminazione e si accorge che non è bello (anche se poi si premura di dirci che lui non è mica uno di quelli che propaganda stupidaggini come lo ius soli o la cittadinanza data via un tanto al chilo, per carità contessa). E questo forse potrebbe essere uno dei 101 motivi per mandare in Giappone certi sovranisti a farsi una doccia di realtà.
- Il loro sistema penale è fortemente punitivo e discriminatorio, specie contro gli stranieri per i motivi di cui sopra (al punto che l'autore ammette che non potrebbe nemmeno intervenire nel caso in cui assistesse a un episodio di molestie o violenza per paura delle ripercussioni con la legge).
Questo punto pare abbia triggerato parecchi lettori quindi mi permetto di aggiungere i miei due cent alla discussione: so che gli anime e i manga mostrano al limite il buon poliziottino di quartiere in bicicletta che fa le ramanzine ai monelli che marinano la scuola ma posso assicurare a tutti i jappofan là fuori che quelle riportate da Butta non sono cavolate e non sono i timori campati per aria di un Occidentale che vuole a tutti i costi fare le pulci a una cultura diversa, da bravo provincialotto italico. La situazione delle carceri giapponesi è fortemente punitiva, poco trasparente, viola da decenni parecchi diritti umani e nonostante i ripetuti rapporti alla corte dei diritti umani dell'ONU poco o nulla sembra essere intenzionato a cambiare.
Qui gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda.
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Quindi, i Jappofan si triggerano a caso e questo libro è una fine e simpatica analisi di un popolo che non è così perfetto come propagandano? Non proprio. Se non mancano le critiche sensate è anche vero che spesso e volentieri nel tentativo di rendere la lettura simpatica secondo i suoi canoni l'autore ficca nel mezzo commenti umoristici da redpillato con cui darsi di gomito con gli amici del baretto (e se erano queste il tipo di battute che proponeva agli amici e colleghi giapponesi forse è per questo che nel libro gli tocca riportare la loro mancanza di ironia), perché lui è maschio bianco etero occidentale e quindi l'intero mondo deve girare intorno al suo punto di vista.
Quindi vediamo Mattia Butta andare in crisi perché:
- In Giappone non vendono carne di coniglio dal momento che considerano il coniglio un animale domestico, alla stregua dei nostri cani.
Ora, visto che penso che noi non prenderemmo di buon occhio un coreano che pretendesse di trovare carne di cane in vendita alla Conad penso che Butta (che si vanta di essere cittadino del mondo che ha viaggiato e non un italiano provinciale di primo pelo) potesse sopravvivere qualche anno senza perdere la testa, se non altro per una questione di rispetto nei confronti del paese ospite. Ma anche per una questione di coerenza visto che poco tempo prima si vantava di non essere uno di quegli italiani fissati con la cucina migliore del mondo.
- I Giapponesi non festeggiano il natale.
Davvero peculiare dal momento che non sono cattolici.
- I Giapponesi hanno il pisello piccolo.
Che è più una scusa per l'autore per imbrodarsi facendoci capire che in Giappone fa fatica a trovare preservativi della sua taglia (cala, Merlino, cala). In effetti tra i 101 motivi per non vivere in Giappone questo è proprio il più problematico, me lo vedo il povero europeo maschio disperato perché non trova i preservativi jumbo per il suo pitone in un paese che a quanto pare non ha né l'e-commerce né i porno shop.
- I Giapponesi sono maschilisti.
Non come lui che si premura di dirci che un motivo per non vivere in Giappone è che le donne non hanno le tette, non si depilano il pube, non sanno truccarsi (al punto da diventare patetiche secondo Butta) e si vestono da beghina di scuola cattolica. In chiusa del capitolo sui loro discutibili gusti in fatto di moda poi per fortuna si premura di specificare che accanto alle educande ci sono le vacche che vanno in giro con la minigonna inguinale. Mai una volta che trovAno una via di mezzo. E che in Giappone avere la stessa grazia ed eleganza di una battona è considerata eleganza.
Grazie Mattia per averci mostrato il rispetto vero vero le donne col tuo stile impeccabile. Magari per la tua prossima fatica letteraria non dico un corso di studi di genere ma almeno recuperare un beta reader.
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IN CONCLUSIONE. . .
101 motivi per non vivere in Giappone è un libricino abbastanza sopra la media nell'oceano melmoso che è l'autopubblicazione nostrana, ma questo non ne fa un buon libro.
Non lo boccio in toto perché pur essendo un tomo scorrevole e non per addetti ai lavori su certe cose apre gli occhi e scava più a fondo rispetto all'immagine patinata che il Giappone vuole esportare di sé stesso, ma è scritto malino (per essere gentile), la necessità di arrivare a 101 motivi porta a quelli che sono nulla più di inutili e sfacciati riempitivi o ripetizioni, e a più riprese butta dentro opinioni non richieste e confonde la simpatia con dei giudizi che più che a mostrarci un volto diverso e più realistico dei giapponesi mirano a mostrare quanto le cose che non incontrano il suo gusto siano volgari e incomprensibili o quanto sia superiore, efficiente, sensata, aperta (ma soprattutto dotata) la civiltà occidentale.
Ma anche no.
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