Autore: Maurizio De Giovanni
Genere: Giallo
Edizione: Einaudi (collana ''Stile libero big''), brossura
Pagine: 350
Anno: 2016
Euro: 14,50 | Ebook: 9,99
Dopo aver affrontato con la solita dovizia di parole il primo capitolo della serie dei Bastardi di Pizzofalcone (escludo volutamente dalla conta il "prequel" Il metodo del Coccodrillo che vede come protagonista il solo Lojacono, che leggerò a suo tempo), continua il mio viaggio tra gli oscuri meandri della Napule mariomerolea in cui si muovono i nostri reietti in divisa.
A questo giro è la sparizione nel corso di una gita scolastica al museo di un bambino appartenente a una facoltosa famiglia della città, Dodo Borrelli, ad offrire ai nostri antieroi l'occasione di brillare. Qui De Giovanni sembra uno che da piccolo, come Dodo, ha frequentato le scuole dalle suore e ne conserva ancora il caro ricordo, perché ste suorine di scuola compaiono in due scene in croce e di loro si sa che sono inutili e piagnone, o intriganti, permalose, arroganti, manesche e soprattutto bravissime a insabbiare gli scandali con i giornalisti per non far fare all'istituto brutta figura.
Proprio come il clero vero!
A questo giro saranno le due teste calde del gruppo Romano e Aragona a indagare sul caso, con l'aiuto di tutta la squadra vista la delicatezza dello stesso e l'urgenza di portare a termine le cose alla svelta e di nascosto alla stampa, mentre Lojacono e Di Nardo resteranno un po' sullo sfondo a indagare su un caso di furto in appartamento dai coniugi Parascandolo, che sembrano nascondere molto più di quanto appaia a un primo sguardo.
IMPRESSIONI SPARSE
Anche in questo secondo volume della saga la lettura, anche se costellata da continui e fastidiosissimi spiegoni a uso e consumo del lettore rincoglionito, scorre liscia e strappa qui e lì qualche sorriso, principalmente per via della linea comica Aragona che ormai serve a fare commenti razzisti e a passare da cretino, però con le intuizioni geniali aggratis a fine libro.
La trama è solida, il ritmo non incalzante ma con dei momenti di introspezione che da un lato sono il punto forte del libro visto che la parte gialla è di nuovo abbastanza scontatella, ma risultano a volte meri voli pindarici finto profondi, esercizi di stile che De Giovanni fa o come riempitivo o per far vedere al lettore quanto è bravo a scrivere. Per quel che mi riguarda, poteva utilizzare un po' di quel tempo per trovare un sinonimo all'espressione "devozione canina": ho capito che gli piace molto e rende l'idea, ma alla terza volta che te lo ritrovi nel romanzo ti viene da pensare che magari l'autore poteva chiedere l'aiuto da casa.
A questo giro purtroppo si viaggia sui binari del patetismo andante, perché la vittima è un bambino ed evidentemente nessuno può affrontare il caso senza sciogliersi come un budino o abbandonandosi a pensieri di furiosissimo sdegno.
Ne paga le spese soprattutto la vittima, Dodo: Dodo sarebbe un bambino di 10 anni che sembra alternativamente un santone tibetano o un neonato, a seconda del grado di puccio-tenerezza richiesto dalla scena, che è comunque molto alto visto che stiamo parlando di un libro italiano in cui la vittima da salvare è un dolce e tenero fanciullo.
Non si salva nessuno dal momento pippone puccio-tenero: non gente ritenuta fredda e professionale come la Piras che prima ancora di sapere che si tratta effettivamente di rapimento mette in moto le procedure di intercettazione e blocco dei fondi ai parenti perché ha percepito qualcosa nello sguardo del bambino impresso sulla telecamera di sorveglianza che ha ripreso il momento del rapimento; non professionisti che ne hanno viste tante e dovrebbero mantenere un minimo di obiettività e lucidità (o perlomeno avere lo stesso atteggiamento di preoccupazione e urgenza che avrebbero se a sparire fosse un uomo adulto o un vecchio) come Lojacono e Romano - che però passa il tempo a giustificarsi e autoassolversi per aver messo le mani addosso alla moglie; non menefreghisti di merda, privilegiati un po' ipocriti e razzisti come Aragona. Nemmeno la Calabrese, che ricordiamolo era quella che nel libro precedente ci ha sfracellato le parti basse col fatto che se il suo figlio autistico fosse annegato in piscina non sarebbe stato questo gran dramma per lei, ci risparmia una parentesi di angosciosa preoccupazione per il destino del piccolo biondissimo Dodo.
L'unico ad essere un po' realistico, che non passa pagine intere con l'occhio lucido e pensa anche al fatto che un rapimento per il commissariato che se ne occupa è un enorme palo nel culo, è Palma. Bontà sua.
Se si volesse fare il gioco "dimmi che sei un boomer cishet senza dirmi che sei un boomer cishet" De Giovanni lo vincerebbe di nuovo a mani basse sul fronte personaggi femminili.
Le donne in questo libro si suddividono (di nuovo) per fasce d'età e cliché: se sei una ragazzina come Marinella sei adorabile piena di speranze, sogni, progetti, voglia di libertà e allora puoi girare per le strade di una città nuova innamorandoti dei suoi cantieri, del suo caos ma soprattutto del tuo dirimpettaio, che ha qualche anno più di te ma è molto carino e ti saluta sempre.
Se sei giovane e dolce come Alina (che viene dal Montenegro ma è figa e serve il caffè sorridendo quindi scampa al radar razzista di Aragona) sei meritevole di essere ammirata e amata, ma una squadratina al culo mentre hai le spalle girate non si risparmia a nessuna, in fondo i culi delle femmine servono a quello e poi per par condicio lo fanno anche le donne lesbiche.
Se sei sulla quarantina sei un'esplosione di sensualità matura, e allora troviamo descrizioni che richiamano con la memoria ai vecchi film di Pierino dove Alvaro Vitali sbirciava la supplente bona attraverso il buco della serratura. Della Piras, tanto per fare un esempio, ci viene detto:
"Appena entrava in una stanza, Laura Piras la riempiva, pur essendo di statura minuta. Il viso regolare, i grandi occhi neri e soprattutto le forme, che il tailleur scuro non riusciva a contenere, suscitavano l'attenzione di tutti i maschi e l'allarme di ogni donna presente: reazioni istintive di cui lei avrebbe volentieri fatto a meno, ma che aveva imparato a ignorare."
Sarà tipo la quinta volta nel corso di questi libri che trovo dei riferimenti alla sua bellezza sensuale (e non oso pensare quante ne troverei ne Il metodo del coccodrillo, dove il personaggio viene introdotto e De Giovanni può ancora ingolosire il suo lettore con il fattore sorpresa), e onestamente trovo fastidioso che un cazzo di magistrato descritto teoricamente come competente, integerrimo e dal pugno di ferro riempia la stanza perché evidentemente non sa comprare i vestiti della sua taglia ed esce con mezze puppe di fuori, addirittura allarmando le donne a portata di tiro (forse perché temono le parta un bottone che potrebbe accecarle, non so).
Le viene contrapposta la bellezza sensuale (e quando te sbagli?) di un'altra quarantenne dalle forme generose, Letizia.
"Aveva poco più di quarant'anni, l'età in cui una donna si compie in modo perfetto e diventa consapevole della propria bellezza. Bruna, di gran seno e risata contagiosa, estroversa, e accogliente ma non invadente, costituiva la seconda attrazione del locale dopo la cucina, che curava in prima persona nelle ore di felice applicazione precedenti l'apertura.Gli uomini la guardavano muoversi morbida tra i tavoli, imbambolati di fronte a quell'ondeggiare discreto di forme e di sostanza: le donne non la percepivano come rivale, intuendo l'assenza di ogni civetteria nelle sue maniere cordiali."
Forse perché a differenza della Piras fa un mestiere da donna (cucina, serve ai tavoli, ogni tanto una cantatina romana) e il suo metodo di seduzione è chiedere a Lojacono il nomignolo con cui lo chiamava SUA MADRE (sic!). Sarà per quello che Marinella diventerà sua alleata per conquistare il cuore di Lojacono, visto che a quanto pare la volontà di lui conta zero.
Superata l'età in cui una donna si compie in modo perfetto invece è tutto un fiorire di ridicole vecchie stronze amareggiate dalla vita, carampane in cerca di trastulli amorosi giovani che si vestono in modo ridicolo e non accettano il passare dell'età (puntualmente ridicolizzate dai nostri eroi per far sogghignare il lettore che fa schifo quanto loro), o signore sole e povere ai margini della società.
*
Non mancano le stoccate sottili come tronchi di baobab contro le mogli che non capiscono, che sono cattive, che rovinano la vita dei poveri mariti mentre la loro vita va a rotoli e hanno tanti pensieri per la testa (a differenza loro che evidentemente di pensieri per la testa non ne hanno): non si salva neanche a questo giro la povera Giulia, la moglie di Romano, che subisce una serie di piagnistei ipocriti in cui appare come la povera stronza che non capisce che il suo, che ricordiamo essere un ceffone di dorso così forte che le ha spaccato il labbro, è stato un gesto isolato dovuto allo stress.
Dramatization 2: i profondi moti dell'animo di Romano |
E' tutta colpa della vita, dell'universo, dello stress, del figlio che non sono riusciti ad avere, e gnegnegne...
Ora, io continuo a sperare che questo sia solo il punto di vista di un uomo di merda che sta cercando di giustificarsi e minimizzare un gesto imperdonabile e qualcuno prima o poi gli faccia capire che modo di ragionare da stronzo piagnone sia questo. Spero che la cosa non finisca a tarallucci e vino con loro che tornano insieme trovando in qualche modo il benedetto figliuolo che gli manca ma che il ritorno a casa di Giulia, inevitabile come le tasse, segua eventualmente a un serio percorso di psicoterapia e ammissione di colpa. Sempre che per i Bastardi di Pizzofalcone, visto l'andazzo, andare dal medico dei pazzi non sia l'equivalente di tagliarsi il salsiccino con una lametta da barba arrugginita, perché i veri uomini i problemi li risolvono da soli.
E se a Giulia va male, forse va peggio a Eva Borrelli, la madre di Dodo: per tutto il libro passa per una mantenuta, una cretina che non sa scegliersi gli uomini, e naturalmente (non si scampa) non manca la frecciatina al suo essere una ex moglie crudele che tiene lontano il povero padre divorziato dal suo bambino, facendoglielo vedere una volta ogni due settimane.
Il povero padre divorziato e tenuto lontano dal suo pikkolo re invece ottiene tra le righe persino diverse attenuanti nonostante sia la persona più squallida e piagnina presente nel libro (e di questi personaggi qui c'è la fila, come si è visto) in quanto imprenditore del nord (quindi ovviamente "si è fatto da sé", a differenza della gente di Napule che sa arricchirsi solo imbrogliando o perché i soldi arrivano dal papi) costretto a imbrogliare e fare cose orribili (tipo frodare il fisco) a causa della crisi e lui ha quasi 1000 dipendenti da pagare.
D'altronde è uno che insegna al figlio che il supereroe più fico è Batman (che proprio come lui imbroglia, fa cose orribili e deve ricorrere a forzature di sceneggiatura per trionfare sul suo nemico power-munito), deve avere per forza qualcosa che non va.
"Con papà lo diciamo sempre, no? Che tu sei il più grande di tutti i supereroi. Che sei il migliore di tutti, il più forte. Papà me l'ha spiegato, quand'ero piccino e stavamo ancora insieme, quando mi prendeva a cavalluccio sulle spalle e mi diceva: tu sei il mio piccolo re, vedi, e io sono il tuo gigante, ti porto dove vuoi.Papà me l'ha spiegato perché sei il migliore tra gli eroi: è perché non hai superpoteri.Sono bravi tutti a vincere coi cattivi, se sanno volare o hanno l'ultraforza o gli occhi coi raggi verdi. E' facile così. Invece tu, Batman, sei un uomo normale. Però sei coraggioso e intelligente."
Rimango abbastanza perplessa anche sul fattore romance/corteggiamento: si parte da donne che ritengono sia una cosa normale provarci con l'uomo che gli piace tirando in ballo il nomignolo che gli dava sua madre e si arriva a Palma e Romano che stalkerano i rispettivi interessi amorosi sotto casa, e ci fosse un segno da parte del narratore onnisciente che ci avverta sul fatto che no, non è normale e no, non è sano.
Ma se sei antieroe ti abbuonano tutto, parrebbe.
Si salva parzialmente la love story saffica tra Di Nardo e la Martone, la capa della scientifica: un gioco di sguardi e imbarazzi carino anche se un po' virante al didascalico (con le immancabili squadrate di curve che non possono mancare, anche se visto che la Di Nardo arriva da una famiglia molto rigida a cui deve nascondere da una vita la sua sessualità ed è comunque una ragazza molto giovane ci sta che si impappini come una scolaretta degli anime shojo davanti a una bella donna che sicuramente ci sta provando con te), la richiesta di un numero di telefono in modo molto naturale e un messaggio che invita a prendere un caffè insieme, se interessate, ma senza impegno. Forse Letizia, Palma e Romano dovrebbero imparare dalla Martone come si cucca.
*
IN CONCLUSIONE...
Buio per i bastardi di Pizzofalcone è una lettura scorrevole con qualche momento divertente (come vedere Aragona che si crede tutto figo e maschio nel rivolgere uno sguardo ammiccante ad un'anonima donna delle pulizie dell'albergo in cui vive grazie al supporto dei genitori, e in cui lavora l'amata Irina, che di rimando lo ritiene un cretino zozzone. Donna delle pulizie una di noi!) e qualche momento intrigante (come l'indagine del buon Pisanelli sui vecchi morti suicidi, che continua senza sosta).
Il libro si macina in fretta ma pecca, per quel che mi riguarda, di un animo eccessivamente testosteronico accompagnato in questo caso da un patetismo di melassa fastidioso dovuto al fatto che la vittima è un bambino biondo e caruccetto quindi anche se sei un poliziotto temprato dalla vita devi passare metà del tempo ad angosciarti. I personaggi in quanto antieroi devono essere detestabili, ed è realistico che abbiano certi pensieri scorretti, ma sarebbe carino se ogni tanto trasparisse dal narratore esterno una sottile condanna invece di una continua indulgenza nei confronti di comportamenti esecrabili.
Pisanelli, resti solo tu a salvarci dal delirio machista!
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