Anno: 1932
Regia: Ernst Lubitsch
Soggetto: Laszlo Aladar
Sceneggiatura: Samson Raphaelson, Grover Jones, Ernst Lubitsch
Cast: Herbert Marshall, Miriam Hopkins, Kay Francis
Premesse:
Più pellicole di Ernst Lubitsch mi capitano tra le mani e più me ne innamoro, più me ne innamoro e più mi sale prepotente la voglia di recuperarli tutti per dare alla luce una sorta di progettino vintage più ordinato.
Ma non è questo il giorno.
Intanto a questo giro, dopo Partita a Quattro (1933) e Vogliamo vivere! (1942) il mio cuoricino arido batte forte forte per un film del 1932, uno dei preferiti del regista nonché la pellicola in cui il tocco alla Lubitsch giunte a piena maturità.
Basato su una commedia ungherese del 1931, "The honest finder" di Laszlo Aladar, Mancia competente è un altro di quei gioiellini che ci ha regalato il cinema americano pre-code dove tra le altre cose:
✔ I protagonisti sono due ladri...✔ ... Che convivono senza essere sposati.✔ La trama ruota attorno al solito menage a trois tanto caro a Lubitsch (e la locandina insiste molto sul tema facendolo sembrare molto più pruriginoso e perverso di quanto in realtà non sia)
✔ Nessuna malefatta o cattivo comportamento morale viene punito dalla legge, dal caso o da una divinità.
*
DUE RIGHE DI TRAMA
Un barcarolo che in piena notte riempie una chiatta di immondizia maleodorante e poi strilla O sole mio a pieni polmoni ci fa capire che ci troviamo in Italia, più precisamente a Venezia.
Ci hanno inquadrati subito... |
Nella stanza di un lussuoso albergo un uomo, François Filiba (Edward Everett Horton, che interpreterà anche l'odioso borghesotto Max in Partita a Quattro), si sveglia scoprendo di essere stato tramortito e derubato di una discreta somma di denaro, mentre in un'altra si consuma il romantico e segreto rendez-vous tra un affascinante barone e una timida contessa in cerca di passione e mistero.
Non tutto però è come sembra.
I due infatti si riveleranno una coppia di ladri: lui è il famigerato Gaston Monescu (Herbert Marshall), lei una piccola ma abile truffatrice di nome Lily Vautier (Miriam Hopkins), e senza che nessuno dei due si accorgesse di alcunché si sono derubati a vicenda nel corso dell'intera cena, con lui che in chiusa di questa divertente gara di abilità le rivela di averle addirittura sfilato dalla gamba la giarrettiera.
L'amore tra i due è istantaneo e trombano (notare l'eleganza tipica di Lubitsch, che fa scambiare ai due un casto bacio e poi appende un cartello alla porta, ma il messaggio non potrebbe essere più esplicito) mentre il solito munnezzaro neomelodico canta sempre O sole mio sotto alla finestra.
Stacco.
Lubitsch ci conduce a Parigi dove facciamo la conoscenza di Madame Mariette Colet (Kay Francis), giovane vedova di un magnate dei profumi che ha tutta l'intenzione di godersi il denaro che le ha lasciato il suo caro marito e le libertà che il suo nuovo status di non maritata benestante le concedono, quindi passa le giornate tra lo shopping sfrenato e il rifiuto di corti insistenti da parte di noiosi scapoli.
Anche Gaston le ha messo gli occhi addosso, o per meglio dire li ha messi addosso alla favolosa pochette da 125.000 franchi che la donna una sera ha portato a teatro: l'occasione è troppo ghiotta per farsela sfuggire, e il colpo è fatto in quattro e quattr'otto.
Madame Colet offre una ricompensa di 20.000 franchi per la restituzione della borsetta, che è più o meno quello che avrebbe guadagnato rivendendola sottobanco: optando su consiglio di Lily per la via dell'onestà, si reca a casa della ricca signora spacciandosi per Gaston Lavalle, nobile decaduto che a malincuore deve accettare la generosa ricompensa.
La tecnica di Gaston per conquistarsi la fiducia di Madame e abbrancare l'intero contenuto della sua cassaforte somiglia molto a un tentativo di abbrancare l'intero contenuto delle sue mutande: l'uomo è affascinante, lusinghiero e un po' lascivo; non disdegna di mostrare un tocco di gusto e sensibilità femminile consigliando Madame sul rossetto più adatto alla sua carnagione e alla fine scaccia pure uno dei suoi pretendenti (il Maggiore, interpretato da Charlie Ruggles) marcando ufficialmente il territorio.
Lei è già arrapatissima e non sono passati neanche 5 minuti.
Il piano funziona anche meglio del dovuto e Gaston viene assunto a tempo record come segretario personale di Madame, ottenendo non solo il controllo pressoché totale delle sue finanze e dell'azienda, ma diventando di fatto il responsabile della casa, della dieta e personal trainer di una Madame completamente rapita dal suo nuovo fascinoso sottoposto. La loro interazione è sempre molto intima e giocosa, un flirt continuo.
Lily la prende bene.
Stacco di coscia birbante degli Anni '30: fatto. |
Fattasi assumere come segretaria di Gaston, non è la classica cornuta cretina delle commedie romantiche e anche se si accorge da subito che qualcosa di poco professionale bolle in pentola si comporta in modo razionale e intelligente con la loro vittima, perché priorità è la buona riuscita del piano, e studia con attenzione quello che le sta accadendo intorno: almeno da parte di Madame, che arriva a offrire 50 franchi in più a settimana perché si sobbarchi un po' del lavoro di Gaston lasciandolo "un po' più libero di occuparsi delle cose davvero importanti", c'è dell'interesse e anche Gaston non ha mancato di notare che è una donna molto affascinante.
Già sente pruderle la fronte mentre afferra Gaston per il bavero della giacca e lo supplica appassionatamente di non tradire se stesso per un paio di belle gambe coi soldi: "Caro, non dimenticare che tu sei Gaston Monescu. Sei un ladro, io voglio che tu lo sia, ti amo perché lo sei, ti adoro come imbroglione: e allora ruba, truffa, imbroglia, ma ti supplico non diventare mai uno di quei disgustosi gigolo buoni a nulla."
Prima di tutto la dignità. |
Trombano, ma Lubitsch, sempre gran signore, ci terrà ancora una volta fuori dalla porta lasciando loro intimità ma mostrando poi inequivocabilmente che il giorno dopo il loro rapporto si è fatto decisamente intimo, esattamente come è successo a Venezia tra Gaston e Lily.
Letti matrimoniali... Lu diabolo! |
Queste ore di tentennamento gli saranno fatali dal momento che sia Filiba che Giron scoprono (finalmente) la sua vera identità e il primo lo rivelerà a Madame a una festa (spingendola a tornare a casa in fretta e furia per assicurarsi che siano solo sporche bugie) e il secondo andrà a casa della Colet battendo il petto da brava attempata scimmia alfa per intimare a Gaston di togliersi dai piedi entro il giorno dopo o chiamerà la polizia.
Perché non chiamarla subito?
Lily che non ha mangiato la foglia.
Lily che non ha intenzione di fare la brava cornuta.
Lily che, furiosa, entra di nascosto in casa di Madame mentre lei non c'è per rubarle il denaro e andare via da sola: se non può avere Gaston perlomeno può consolarsi con 100.000 franchi, perché a questo punto, nel momento in cui è stata tradita dall'unica persona che aveva amato e a cui aveva dato fiducia, l'unica cosa che conta è il denaro.
"Non mi innamorerò mai più di nessuno, nemmeno se fosse il più grande truffatore della terra!"
Mariette torna a casa in cerca di Gaston, turbata e confusa: deve sapere la verità ma al tempo stesso ne ha paura. L'idea che Gaston abbia finto di amarla solo per interesse le è insopportabile, e se a questo punto scoprisse che la sua cassaforte è vuota non esisterebbe un istante a chiamare la polizia.
Gaston a questo punto, messo alle strette, le rivelerà delle truffe perpetrate ai suoi danni da parte dell'integerrimo Giron, amico di famiglia di lunga data e compagno di scuola del defunto marito, che per anni le ha rubato milioni con manovre contabili paXXerelle mentre insisteva per abbassasse i salari ai dipendenti visto che c'èccrisi, ma lei si rifiuta di chiamare la polizia rivelando l'ipocrisia di fondo della "gente bene", che si sente lesa nell'onore per 100.000 franchi rubati da una cassaforte (che sono tanti, ma a inizio film ne ha spesi 125.000 in una borsa senza batter ciglio) ma per non causare uno scandalo è disposta a chiudere un occhio su un tradimento sistematico per cifre decisamente più importanti.
"Giron..."
Sì, Giron... Presidente del consiglio d'amministrazione della Colet, presidente onorario dell'orfanotrofio. Adolf Giron, cittadino rispettabile... Allora, chiama la polizia? ... Eh, già... Quando si è rispettabili si evita la prigione, ma quando un ladro comincia da zero, è un autodidatta e si fa strada da solo allora si chiama la polizia e lo si mette in prigione, per anni."
A questo punto ogni inganno è svelato e l'uomo si rivela a Madame: Gaston Monescu, famoso criminale, che è entrato nella sua casa per derubarla ma purtroppo si è innamorato di lei. Resta però il problema dei 100.000 franchi, perché lei è convinta che lui l'abbia comunque derubata: è a questo punto che entra in scena Lily, che confessa di aver preso i soldi senza l'aiuto di Gaston. Soldi che decide comunque di tenere come indennizzo, e per il favore reso al vero amore.
Regolarizzata così la situazione Gaston e Mariette... Si dicono addio da amici: non c'è futuro per loro ed è molto probabile che un solerte poliziotto all'indomani vada a bussare alla sua porta in cerca di un tal signor Monescu. L'unica donna nella vita di un ladro può essere solo una ladra.
Non è un caso che Mancia competente fosse il film preferito di Lubitsch: dal suo arrivo a Hollywood nel lontano 1923 (primo di una serie di artisti europei costretti ad abbandonare l'Europa a causa di un ambiente che andava facendosi via via meno tollerante), il regista tedesco si è sempre divertito ad andare in culo al puritanesimo d'oltreoceano con ironia ed eleganza, e questa è forse la pellicola in cui il suo desiderio di mostrare la profonda ipocrisia del mondo borghese del suo tempo (una borghesia che ora non se la passa proprio benissimo, nel pieno della Depressione) raggiunge il suo culmine.
Se dovessimo cercare delle morali in questo film sarebbero:
► IL CRIMINE PAGA
A trionfare davvero alla fine di tutta la vicenda sono proprio i ladri.
Non solo i nostri astuti truffatori Lily e Gaston, che tornano alla loro vita di sempre con un discreto bottino, un'elegante collana di perle e una borsetta infarcita di brillocchi, ma soprattutto Monsieur Adolf J. Giron che rappresenta la categoria di quei "colletti bianchi" più che mai attualissima che ruba milioni nell'impunità più totale mentre il povero cristo costretto a rubare un pezzo di pane per bisogno viene linciato dalla folla.
Chi più ruba, più resta impunito.
Mentre Gaston è comunque costretto a lasciare casa di Madame e a sparire dalla sua vita nonostante i suoi sentimenti per lei siano sinceri (e nonostante di fatto lui sia sempre stato un amministratore degli affari della signora Colet capace, affidabile e più che onesto, furto finale a parte), perché la polizia verrebbe a rendere contro dei suoi crimini e a sbatterlo in galera per anni, è molto probabile che Giron, lo stesso Giron che da inizio pellicola rompe il cazzo a Madame per farle abbassare gli stipendi degli operai del profumificio perché nuncen'èssoldi c'èccrisi, se la caverà con una blanda reprimenda e uno sguardo torvo, o ad andar bene un progressivo allontanamento dalle responsabilità finanziarie della Colet&Co. visto che alla sua età la gente deve cominciare a pensare alla pensione.
Tutto in sordina e senza colpo ferire.
Per fortuna questi squallidi quadretti di riccanza corrotta non ci riguardano più.
► L'AMORE NON REDIME
Di fatto il rapporto sentimentale più solido, paritario e onesto è quello tra Gaston e Lily, i due personaggi moralmente più riprovevoli del film, quelli verso i quali in teoria dovrebbe andare tutta la nostra antipatia e il nostro biasimo.
Belli e affascinanti invece che stronzi e volgari come da moralismo spicciolo post-Code, complici alla pari in tutto e per tutto e altrettanto scaltri nella truffa e nel borseggio, tra i due scatta prima un colpo di fulmine, ovvero la passione incontenibile dettata dall'aver trovato finalmente uno spirito affine con cui non dover fingere di essere qualcun altro, poi una solida convivenza fatta di passione, complicità e reciproca fiducia, reciproca fiducia che nasce proprio dal fatto di essere entrambi ladri, di condividere lo stesso sistema di valori e lo stesso modo di pensare, e di no poter essere davvero loro stessi con nessun altro. Lily sarà molto esplicita in merito: ama Gaston perché è un ladro e vuole che lui lo sia, e lo amerà al punto da confessare a Madame di essere la sola responsabile del furto del denaro dalla cassaforte pur di non essere d'ostacolo alla sua felicità.
E' il paradossale perno morale di Gaston.
Quella che gli ricorda chi è e lo riporta sulla sua personalissima carreggiata, un amore solido che prospera nel vizio e nell'illegalità e che alla fine risulta vincitore nella tenzone che Lily e Madame Colet portano avanti per il cuore di Gaston.
Di contro poco o nulla sappiamo di come dovesse essere il matrimonio borghese fatto tutto ammodino tra la signora Colet e il suo defunto marito, ma a giudicare da come ci viene introdotta mesta e affranta un'idea più o meno ce la si fa.
Madame non parla mai del marito, né in bene né in male, quasi che non fosse mai esistito (è quasi infastidita quando è Giron a ricordarle il suo rapporto di amicizia di lunga data con lui): dà l'idea di essere stata una brava e onesta moglie borghese che è stata al suo posto finché ha dovuto (complice anche la grande differenza d'età che intercorreva tra i due a giudicare dal fatto che il signor Colet e il signor Giron fossero compagni di scuola) e che ora è finalmente libera di vivere come vuole, comprarsi borsette costose, trattare i dipendenti come preferisce senza dover rendere conto a nessuno; una donna felice che non è intenzionata a rinunciare a questa libertà se non per un amore vero, folle e irresistibile.
I suoi pretendenti, quelli con cui è costretta a intrattenere comunque dei rapporti civili, sono uno più disgustoso dell'altro: stupidi, noiosi, insistenti e rancorosi, battibeccano tra loro come bambini e uno, come si intuisce, non disdegna la compagnia di signorine a pagamento. Il loro amore per Madame non sembra spontaneo né rivolto alla sua persona quanto piuttosto alla sua azienda.
Paradossalmente l'amore truffaldino di Gaston è la cosa più autentica mai sperimentata in vita sua, ma questo non basta a concedere loro un "lieto fine" che pareva inevitabile fino agli ultimi minuti di pellicola: sono troppo diversi e lei a dispetto di quanto appaia inizialmente amica del popolo che non vuole affamare i suoi dipendenti per garantire introiti più alti all'azienda ha comunque la sua brava gabbia di preconcetti borghesi di cui tener conto. Preconcetti in cui è naturale chiamare la polizia se un ladro ti svuota la cassaforte, ma se un altro ladro in colletto bianco ti svuota l'azienda si insabbia tutto.
Insomma...
L'amore non basta.
L'amore non cambia in meglio.
E quasi mai gli opposti si attraggono.
Mancia competente è un film più erotico che romantico (ma mai volgare o esplicito, come da tradizione lubitschiana): per tutto il tempo i protagonisti sono impegnati in un continuo ed elegantissimo gioco di seduzione a tre, sempre protesi l'uno verso l'altra, sempre a scambiarsi sguardi intensi e sorrisi languidi. Tutti, soprattutto le donne (anche quelle ricche e perbene), fanno e desiderano sesso senza che qualcuno le giudichi sconvenienti o salti fuori per sbaglio la parola matrimonio. Anzi, Madame Colet da quel punto di vista sembra aver già abbondantemente dato.
Il romanticismo, tenuto ben separato dal sesso e dai soldi (che spesso e volentieri coincidono), è ridicolizzato a più riprese con il barcarolo neomelodico che canta arie d'amore sulla sua chiatta carica di rifiuti organici; le dichiarazioni d'amore più tenere e struggenti riservate ai momenti di massima ipocrisia; un rapporto a tre in cui nessuno sente il bisogno di giustificarsi o scusarsi per quello che prova perché è tutto nella norma secondo i canoni di Lubitsch; e un finale amarissimo che nonostante per tutto il tempo ci abbia spinti con insistenza verso una direzione ben precisa va a disintegrare un "lieto fine" che pareva praticamente telefonato.
Nessun ladro amabile e fascinoso che viene redento dall'amore. Nessuna donna ricca e viziata che grazie ad esso mette giudizio. Nessuna ladra punita per la sua avidità.
Oggi chiameremmo Ernst Lubitsch un trollino del web. Lo amo.
*
IN CONCLUSIONE...
Mancia competente è un film ironico, intelligente, adulto e cinico, con trovate registiche mirabili (menzione di merito alla scena in cui Lubitsch ci mostra la rapida evoluzione del rapporto tra Gaston e Madame inquadrando solo lancette d'orologio che scandiscono il tempo che passa mentre udiamo stralci della loro conversazione che si fa sempre più intima e meno professionale man mano che il tempo passa), dialoghi irresistibili e un cast ispirato, in perfetta sintonia (dai protagonisti ai personaggi secondari, con menzione di merito a quel povero martire del maggiordomo di Madame e a tutte le volte che ha dovuto fare le scale per venire incontro ai cambi d'umore della sua padrona. Alla fine delle riprese all'attore o sono venute delle natiche d'acciaio o un infarto).
Un film che è una gioia per il cuore e per lo spirito.
Perché è rinfrancante vedere che se io nutro una profonda idiosincrasia per la maggior parte delle commedie romantiche moderne il problema non è mio che sono una persona arida ma di questi prodotti che fanno cagare al cazzo (qualcuno deve dirlo).
E' rinfrancante emozionarsi e divertirsi con un prodotto maturo pregno di umorismo sofisticato e brillante in cui gli adulti si comportano effettivamente da adulti nel bene e nel male, senza psicodrammi né patemi, e in cui si può contare sul fatto che come al solito Lubitsch lo inzepperà di personaggi femminili forti e ironici che riescono ad essere più moderni delle eroine contemporanee.
Abbiamo una donna borghese perbene che può desiderare sessualmente un uomo senza farsi problemi inutili né vagheggiare di abiti bianchi e damigelle e al tempo stesso dirgli addio con dignità; abbiamo una donna permale che può fare l'amore con un uomo appena conosciuto, conviverci senza essere sposata e può pure buscarsi il suo bel paio di corna senza cercare di cavare gli occhi alla rivale con uno spillone da cappello ed è disposta eventualmente a farsi da parte con classe, ironia e soprattutto un gran mucchio di danari (in questo mi ricordano molto Fujiko e Lupin, lui più propenso a seguire il cuore e lei che non perde mai di vista che l'obiettivo primario, per loro che sono ladri, sono i soldi). E Lubitsch, bontà sua, riesce a non puntare il dito contro nessuna di loro in preda al solito delirio moralista spicciolo ma lascia che tutti siano se stessi e seguano il cuore.
Una curiosità: la camminata languida e sensuale di Monescu (le cui gesta sono ispirate al famoso ladro rumeno George Manolescu, le cui memorie furono pubblicate nel 1905) non è solo una scelta dovuta al fatto che il personaggio dovendo risultare affascinante mellifluo (è pur sempre un abile ladro) debba avere un passo leggero e felpato ma a una peculiarità dell'attore che lo interpreta: Herbert Marshall infatti perse una gamba durante la Grande Guerra e dovette mettere una protesi. Divenne così bravo a nascondere la zoppia da aver acquisito un modo di camminare naturalmente leggiadro.
In breve, non posso non amare alla follia Mancia competente.
Un film in cui i ladri possono essere amabili, dignitosi, divertenti e affascinanti senza per questo elevarli a modelli di comportamento positivi; in cui si possono mostrare ricchi che rubano e la passano liscia senza che questo passi come "un simpatico vezzo della società moderna" (perché uh, come si ride con le mazzette, le corna, le pandemie e i politici che rubano!); in cui le donne addirittura possono fare sesso, convivere e rivaleggiare per amore senza umiliarsi.
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