giovedì 23 luglio 2020

[Recensione] AGENTE 007 - SI VIVE SOLO DUE VOLTE

Anno: 1967
Regia: Lewis Gilbert
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Roald Dahl
Cast: Sean Connery, Donald Pleasence, Akiko Wakabayashi, Mie Hama, Bernard Lee, Desmond Llewelyn


Siamo nel 1967 e il franchise di James Bond comincia a diventare davvero roba grossa. Le divergenze di opinioni su quale sia la strada da intraprendere per la famosa spia dell'MI6 tra i due produttori Saltzman e Broccoli cominciano a farsi così forti da optare per un accordo di non ingerenza: ogni film sarà prodotto ufficialmente da entrambi ma solo uno, alternativamente, avrà totale potere decisionale.
A questo giro la spunta Saltzman.
La prossima pellicola, Al servizio segreto di sua maestà, sarà farina del sacco di Broccoli. 
Si presentano però diversi problemi che portano a costruire praticamente da zero la trama rispetto all'omonimo cartaceo:

1) Il romanzo Si vive solo due volte è un seguito diretto di Al servizio segreto di sua maestà (e insieme al mio amato Operazione Tuono formano la Trilogia della Spectre) e infatti sarebbe stato in programma di dare prima alla luce quest'ultimo ma Connery, provato dal ritmo di lavoro frenetico, dalle première in giro per il mondo e dal fatto che l'essere ormai identificato col personaggio di Bond rischiasse di affossargli la carriera, si rifiutava categoricamente di lavorare fin dall'inverno del 1966 per girare le scene ambientate in Svizzera presenti nel romanzo.
2) A livello di trama Si vive solo due volte è poco più di uno spottone della Pro loco giapponese.

A scrivere la sceneggiatura al posto del solito Richard Mailbaum viene chiamato un uomo che potrebbe risultare davvero fuori posto nel contesto bondiano, vale a dire il Roald Dahl che ha scolpito la nostra infanzia a suon di fabbriche di cioccolato, bambine dai poteri straordinari, volpi furbette, gremlins e grandi giganti gentili.

Ma forse non tutti sanno che...
La vita di Roald Dahl non è stata sempre votata alla letteratura per ragazzi. 
Ha servito il suo paese nella Royal Air Force nel ruolo di pilota (e non è un caso che in questo film ampio spazio sia dato agli aereoplani e agli elicotteri nonostante il tema centrale sia lo spazio) ma soprattutto ha prestato servizio in qualità di spia nella BSC (British Security Coordination), un ramo dell'MI6 nato per coordinare gli agenti inglesi negli States ma soprattutto per contrastare la propaganda filonazista e neutrale d'oltreatlantico.
In soldoni la BSC mirava a convincere l'opinione pubblica americana ad abbracciare la via dell'interventismo durante la seconda guerra mondiale: aveva anche un quartier generale segreto dalle parti del Lago Ontario, Camp X, dove uomini del calibro di Dahl si addestravano in tecniche omicide e nell'uso di gadget bondianiLo stesso Fleming lo visitò nel 1942.
Come curiosità aggiuntiva si deve (anche) a lui l'invenzione della valvola Wade-Dahl-Till: nel 1960 infatti il figlio Theo sviluppò l'idrocefalia in seguito a un incidente d'auto ma la valvola Holt usata al tempo per drenare i liquidi in eccesso era inefficiente. Fu proprio Dahl a coordinare il lavoro del dottor Till (neurochirurgo pediatrico che seguiva il figlio) e dell'amico Stanley Wade (ingegnere specializzato in idraulica di precisione), che portò allo sviluppo di questo strumento.
Non parliamo proprio dell'ultimo degli stronzi, insomma.

Dahl rivoluziona completamente la trama ispirandosi al programma Gemini (1963-1966), il secondo programma di volo spaziale con equipaggio creato dagli Stati Uniti, base di studio per il più famoso programma Apollo (1961-1972).
E hop hop hop...
Alla regia il mio adorato Young passa il testimone a Lewis Gilbert, regista prolifico che in tempo di guerra aveva seguito la Royal Air Force in qualità di documentarista e anche dopo si era specializzato in film a basso budget a tema bellico: tornerà a dirigere James Bond altre due volte, in La spia che mi amava (1977) e il mio amatissimo e delirante Moonraker (1979), sempre a tema spaziale.
Entrambi con Roger Moore.
Ancora una volta la saga di James Bond (a questo giro ambientata quasi totalmente in Giappone) non delude ai botteghini: costato 9,5 milioni di dollari, il film ne incassa 111 in tutto il mondo. 



DUE RIGHE DI TRAMA
Spazio 196X.
Una supposta capsula spaziale americana (la JupiterXVI) si trova in orbita sopra la Terra per testare uno strumento di propulsione portatile: ma improvvisamente una supposta più grande un veicolo non identificato si avvicina rapidamente inghiottendo (letteralmente) la navetta. 



Per il povero astronauta rimasto a passeggiare nello spazio, Chris, non ci sarà nulla da fare. 
Addio Chris, insegna agli angeli a imitare la mossa 1000 aghi di Kyactus.
Nota: Al di là degli ovvi limiti dovuti al fatto che stiamo parlando comunque di effetti speciali degli Anni '60 che oggi sarebbero considerati degni al massimo di un episodio dei Power Rangers, si è partiti alla grande.
Si vede la voglia di stupire ed eccedere ma si riescono ancora ad avvertire gli ultimi echi esamini della verosimiglianza. E accanto all'artiglio da arcade che inghiotte una supposta su sfondo nero vediamo le comunicazioni realistiche tra gli astronauti e la torre di controllo e soprattutto l'assordante assenza di rumore che scandisce non solo l'arrivo della nave nemica ma anche la morte di Chris, la cui sagoma si perde in lontananza, sfocata, inglobata in un nero opprimente.

Siamo in periodo di Guerra Fredda e i primi ad essere ritenuti responsabili di questo increscioso rapimento dallo zio Sam sono naturalmente i sovietici, i quali a detta loro vorrebbero "ottenere il completo ed assoluto controllo dello spazio per motivi militari".

Da sinistra a destra: USA, UK e quelli vestiti peggio e con la barba, i russi, mentre studiano il da farsi per evitare di far precipitare il mondo nella Terza guerra mondiale all'interno di una palla da golf.
Fun fact: i tre gruppi sono arrivati ognuno su un proprio autoveicolo: nella vita vera le delegazioni straniere viaggerebbero a bordo di automobili prodotte nel paese d'origine mentre fuori possiamo vedere due Plymouth e una Cadillac, tutte marche americane.
Anche se tecnicamente saremmo in Norvegia.

Il regno unito però, nel suo ruolo super partes, crede nell'innocenza degli "amici russi", in quanto i satelliti dei servizi segreti inglesi di Singapore hanno rilevato dei flebili segnali della capsula americana dalle parti del Giappone. Invita quindi entrambi a non saltare a conclusioni affrettate e di concentrare le indagini nella lontana terra del Sol Levante.
Dal canto loro, hanno già il loro miglior agente al lavoro a Singapore.

Il quale come vediamo sta svolgendo un lavoraccio infame...
Dopo aver disquisito brevemente sul fatto che le donne cinesi hanno un sapore diverso dalle altre, Bond finisce in un agguato: la femme fatale cinese lo intrappola nel letto da parete e due sicari armati gli scaricano addosso decine di proiettili.
Quando arrivano i rinforzi è troppo tardi.
Bond "E' morto in servizio. Proprio come avrebbe voluto".

Perché dire "Bond è morto trombandosi l'ennesima strappona, proprio come immaginavamo" pareva brutto.
Ma niente paura, James non ci ha ancora lasciati.
Come scopriremo dopo la canzone iniziale (a questo giro un'aria più dolce e malinconica cantata da una Nancy Sinatra che non arrivando all'estensione vocale che richiedeva il brano ha costretto la produzione a fare un collage di 24 prove in studio per arrivare a una performance decente) era tutto un piano dell'MI6 per farlo credere morto ai suoi nemici, di modo che potesse agire con maggiore libertà nella pericolosa e delicatissima missione che lo attende

Cucù!
Torno tutto bello azzimato dalla morte, stile Lazzaro.
Dopo un breve briefing con M a bordo di un sottomarino (il primo dei mille HQ mobili dell'MI6), James Bond si recherà nell'esotico Giappone dove berrà Martini mescolati e non agitati, volerà a bordo di piccoli elicotteri cazzuti, sposerà una giapponese con la faccia da maiale, si sottoporrà a una trapianto di sopracciglia e a una ceretta per diventare un contadino giapponese, entrerà in un vulcano e si sostituirà a un astronauta per trovare la capsula scomparsa e scoprire i responsabili di questa potenziale crisi internazionale, ritrovandosi faccia a faccia con Ernst Stavro Blofeld, capo della S.P.E.C.T.R.E., che lavora per conto di una "misteriosa potenza asiatica" al fine di inasprire gli animi tra le due superpotenze, far indebolire a vicenda USA e URSS e dominare il mondo.

Cucù a te, Bond!

IMPRESSIONI SPARSE
Nonostante le buone intenzioni e le idee divertenti, nonostante l'intro mi abbia emozionata e nonostante appaia per la prima volta il villain principale di questa saga, Si vive solo due volte è un film che non è riuscito ad appassionarmi, divertirmi o a restarmi nel cuore.
Sostanzialmente trovo il film poco più di un dimenticabile fumettone senza cuore che non sa nemmeno prendersi in giro, che in quella linea sottile che esiste tra l'eccessivo e il ridicolo su cui Young ha fatto dei salti carpiati elegantissimi viene non superata ma fatta detonare insieme a tutto il circo (modello intro di Moonraker). 
Vediamo perché:

 Connery è stufo di fare il pirla in smoking.
Si sapeva dai tempi in cui il film era ancora in produzione che questo avrebbe rappresentato, almeno per il momento, l'addio di Connery alla saga di James Bond, non importa quanto profumatamente lo pagassero.
Era una cosa risaputa dal pubblico dell'epoca. 
Questo ha portato sceneggiatore e regista a giocare con la morte di Bond, in questo caso "ufficialmente accertata" con tanto di funerale militare. Non è un caso neanche che proprio ora venga rivelato il volto di Blofeld (Donald Pleasence), per dare un senso di continuità ai futuri capitoli anche in assenza del volto iconico della saga.
Connery, come già detto, era stanco per i ritmi folli da catena di montaggio di questi film ed era stanco di essere identificato in un unico ruolo: il risultato è un Bond spento e imbolsito.
Un Bond che sostituisce la flemma da gentiluomo inglese a una svogliatezza pigra e indifferente, come se tanto sapesse già che è destinato a vincere o a conquistare il cuore della bella, quindi perché impegnarsi? Che lascia il volante ad altri, che sfugge a chi vuole ucciderlo con il piglio di un pensionato lasciato indietro dall'autobus e spacca una parete fatta di tessuto leggero e bambù con la carica destinata a una parete di cemento armato (con tanto di rumore di vetri infranti di sottofondo, come se avesse rotto una finestra). Che ha studiato lingue orientali a Cambridge giusto per fare la sboronata a inizio film di non aver bisogno del dizionario, ma poi parla (e tutti gli si rivolgono) in inglese, e che passa la maggior parte del tempo su schermo in vestaglia. Praticamente una parodia di se stesso, che mantiene una scintilla dell'antico entusiasmo gigioneggiante solo nella breve parentesi con la segretaria Moneypenny.
E non è un difetto da poco in una saga che ruota tutta intorno al suo protagonista.

Bondo-San (sic!)
Bond-giapponese in yukata dopo essersi sottoposto a un rischioso intervento di chirurgia plastica praticato da un gruppo di strappone vestite da infermiere che prevedeva 1) mettersi un parrucchino con l'attaccatura lievemente diversa 2) infoltire le sopracciglia 3) radersi il petto, allo scopo di diventare un insospettabile e umile contadino giapponese.
Che dire, non si poteva far di meglio!
 Ok che il Giappone aveva perso la guerra, ma non mi pareva il caso di infierire così...
Nonostante Dahl ci abbia provato a rimaneggiare quel grosso spottone sulle bellezze esotiche del Giappone che era il romanzo, il film è un'accozzaglia di luoghi comuni imbarazzanti sull'estremo Oriente, roba che oggi sarebbe non solo improponibile ma forse addirittura perseguibile per legge. E che personalmente mi fa rimpiangere il film di Wolverine.
Al di là della lotta senza esclusione di colpi di Bond contro il polinesiano Peter Maivia (nonno di Dwayne "The rock" Johnson e famoso wrestler dell'epoca) spacciato per giapponese perché alla fine sti mangia-sushi del Pacifico son tutti uguali, sono uguali pure agli scozzesi se si depilano il petto e si attaccano un topo morto sulle sopracciglia, vogliamo ricordare con affetto questi piccoli e inutili momenti di Giappone a caso:

Il fan service alle spettatrici.
Un matrimonio tradizionale di gruppo durante il quale al terrore di dover sposare (anche se per finta e anche se le motivazioni non sono così chiare) una nativa con la faccia da maiale subentra il sollievo nel ritrovarsi al fianco il solito gnocchino.
Con cui vuole immediatamente consumare una vera luna di miele poco giapponese.
La scuola per Ninja
Vestito di un classico judoji per non perdere troppi punti virilità anche James apprende "l'arte del mimetismo e della sorpresa"...
... da gente che a fine film prenderà d'assalto in massa (armati di mitragliatori e con la Bondgirl in vestaglia succinta al seguito) il bunker di Blofeld facendosi beccare dalle telecamere in due secondi.
Il maestro Kakashi vi prenderebbe tutti a sputi.


 Abbiamo la bellezza di quattro Bond-girl che insieme non ne valgono mezza in un film in cui seduzione fa rima con cringe...
Mo' me te pappo tutta...
(🎵I'm the Skatman
Ski-bi dibby dib yo da dub dub
Yo da dub dub 🎵)
Della prima neanche sappiamo il nome: serve a farci sapere che le cinesi hanno un sapore diverso dalle occidentali (diverso, non migliore, ci tiene a specificare, perchè non c'è nessuno più democratico di Bond quando si parla di passera), come foie-gras e caviale, e a spingere un pulsante.
La seconda (Helga) è una letale sicaria della S.P.E.C.T.R.E che come già accaduto a Pussy Galore in Missione Goldfinger cede alle avances di James in due secondi di orologio, e senza nemmeno bisogno di uno stupro in un pagliaio: ovviamente è un piano per farlo fidare di lei e metterlo nella tipica situazione da cui non ci si può tirar d'impaccio se non ti chiami James Bond, ma a Connery ormai la figa piove talmente tanto addosso che non trova nemmeno un po' sospetta questa arrendevolezza.
Poi c'è la quota esotica.
Questa è rappresentata da due attrici del famoso studio Toho, prestate a questo film giusto perché pare sapessero spiccicare due parole di inglese in croce, ovvero Kissy (Mie Hama) e Aki (Akiko Wakabayashi). Letteralmente interscambiabili come le pile del walkman (la povera Kissy, che ha resistito alle avance del nostro eroe, morirà in un agguato notturno e 5 minuti dopo James starà già a sfarfallare con la sostituta su una barca da pesca), con una manciata di battute poco memorabili ciascuna: distingui Aki solo perché passa più tempo a cosce di fuori.

🎵 Per quest'anno, non cambiare:
vengo al mare per ciullare!🎵
Nessuna di queste quattro (nemmeno Aki che sarebbe la Bond-girl ufficiale visto che arriva viva a fine film) ha una storia, motivazioni, desideri, un carattere definito: il massimo della caratterizzazione femminile offerta dal film si concretizzerà attraverso il seguente scambio di battute tra Tanaka, capo dell'intelligence giapponese e rettore della scuola per ninja, e Bond nel corso del suo "primo bagno da persona civile" (ovvero mentre si fa insaponare da un gruppo di badanti in bikini).

Tanaka: Regola numero uno; non fare mai niente da te stesso quando c'è un altro che può farlo per te.
Bond: E la numero due?
Tanaka: In Giappone gli uomini vengono primi e le donne seconde.
Potrei già ritenermi soddisfatta così, invece raggiunto il fondo del disagio il film continua a scavare con l'entusiasmo di un cercatore del Klondike.


Tanaka: Immagino che lei sappia che cos'è di lei che le affascina... Sono i peli del petto: gli uomini giapponesi hanno tutti una magnifica pelle liscia.
Bond: Dice un proverbio giapponese: "Gli uccelli non fanno il nido sugli alberi nudi"
Sipario.
Un sipario fatto di cringe.

D'altronde cosa mi aspetto sul fronte femminista da un film pubblicizzato da una locandina in cui io dovrei capire che si parla di spazio perché in mezzo a tutto quel mare di tette e culi orientali James Bond ha in mano un casco?

 Blofeld, nonostante l'iconicità del personaggio (che non a caso verrà ripreso quasi in interezza nelle fattezze dal Dr. Evil di Austin Powers), rasenta il ridicolo.
Nei film precedenti di lui non vedevamo che un'ombra fugace, mani suadenti che accarezzano lentamente un gatto sciantoso bianco come la neve e polsini di un abito di sartoria su misura. 
La voce era posata, calma e spietata.
Anthony Dawson, anche senza mostrare il viso, aveva in tutto e per tutto la presenza di un gentiluomo malvagio che avrebbe potuto davvero rappresentare la perfetta nemesi del nostro sofisticato protagonista (che a questo giro sa addirittura a che temperatura si serve il sake, e me cojoni).
In Si vive due volte prendono il povero Donald Pleasence e lo buttano in mezzo alla via più caciarona, candendo nel cliché del villain brutto e cattivo da fumetto, sfregiato, vestito da stronzo che non sbatte mai le palpebre e non riesce a smettere di accarezzare come un malato di mente il suo gatto nemmeno mentre è impegnato a cliccare su una pulsantiera. Ma menzione di merito per la scena in cui si accorge che uno dei suoi astronauti è Bond travestito fissandogli il culo attraverso un monitor, quando fino a quel momento 'sto marcantonio di quasi due metri aveva girato indisturbato in un posto pieno di giapponesi alti la metà di lui.
Fermate quell'uomo!
(E domandategli come fa a mantenere glutei così sodi)
Questo non vuol dire che del film non si salvi nulla, anzi: lasciando per un attimo da parte il Bond pensionato, il pollaio di bidimensionali bondgirl, il cattivo che riconosce i suoi nemici dal culo e l'esoticità cringe, certe trovate esagerate e fumettose sono incredibilmente divertenti.
Come non amare infatti:

 Le AMBIENTAZIONI
Partendo dal sottomarino che fa da quartier generale dell'MI6 per tutto l'episodio (in cui non può mancare l'iconico attaccapanni a cui Bond a questo giro può lanciare un cappello da comandante di marina e l'ancor più iconica segretaria Moneypenny), passando per la palla da baseball che ospita le delegazioni americane, inglesi e russe e arrivando alla stanza fusion di un Dikko Henderson che pur vivendo in Giappone da 30 anni ancora non riesce a fare il giapponese in tutto e per tutto (però ti sbaglia il Martini, quindi deve morire), gli uffici minimalissimi di Tiger Tanaka.
Ma soprattutto parliamo del covo di Blowfeld che dovrebbe ricordarci molto da vicino il nascondiglio di un altro supervillain che, attratto dal potere, ha deciso di metter su casa in un'isola, all'interno di un vulcano...


... Una base segreta piena di sgherri scavata nella roccia che, come scopriremo, nasconde il razzo supposta di inizio film e gli astronauti scomparsi (tranne il povero disperso Chris, a cui vanno sempre i nostri pensieri)... 



... in cui ci si muove su piccole monorotaie sferiche...



Non stupisce che Gli incredibili, la parodia di un cinefumetto che deve molto alla fantascienza classica, si sia ispirato tanto a questo specifico film di James Bond dal punto di vista visivo.
Sono iconici ed efficaci, con quell'aria futuristicamente retrò.

 I GADGET
Ormai immancabili compagni di viaggio di Bond, tra cui a questo giro spicca la piccola Nellie che non ha nulla da invidiare ai mezzi più classici e letali della superspia. 

Praticissimo elicottero portatile, si smonta e ripone comodamente in 12 bauli del peso approssimativo di un quintale l'uno.
Q e fascinosi energumeni di fatica compresi nel pacchetto.



La piccola Nellie è il pandino 4x4 dei velivoli volanti, compatta ma di carattere: è dotata di due mitragliatrici fisse con proiettili incendiari ed esplosivi, due lanciarazzi, missili aria-aria attirati dal calore e guidati telepaticamente da Bond visto che il calore da solo non può giustificare certe traiettorie pazzerelle, lanciafiamme, fumogeni, mine dal lancio e casco con telecamera.
Non stupisce che faccia il culo con discreta facilità a 4 "fratelli maggiori".
Nella botte piccola c'è il gasolio buono...
 THIS GUY

 LA FUGA DI MASSA FINALE dove Bond, Aki e i ninja d'assalto hanno poco tempo per mettersi in salvo prima che tutto salti per aria ma per qualche ragione ridono tutti.


IN CONCLUSIONE...
Si vive solo due volte è un film con un elicottero adorabile ma che non decolla, dall'estetica impressa a fuoco nella storia del cinema ma dalla trama gravida di cringe, che mi fa temere molto per il "futuro" di questo franchise rimasto irrimediabilmente orfano di Young (in questo vanno purtroppo consolidandosi i miei timori ai tempi di Operazione tuono).
Perché non basta il genio di Dahl alla sceneggiatura o di Ken Adam alle scenografie per rendere buono un film con tanti limiti, non tutti figli del loro tempo, allo stesso modo in cui non basta mettere un brutto parrucchino e due zoccole morte in faccia a Bond per farne un giapponese.


Giudizio Finale:
Bellissimo fumo senza arrosto

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