venerdì 1 gennaio 2021

[Recensione] I PRIMI QUATTRO ANNI (LA CASA NELLA PRATERIA #7)

Recensione del romanzo I primi quattro anni di Laura Elizabeth Ingalls Wilder (La casa nella prateria 7)
Titolo originale:
 The First Four Years (Little House on the Prairie #9)
Autore: Laura Elizabeth Ingalls Wilder
Traduttore: P. Mazzarelli
Edizione: Gallucci, copertina flessibile, 100 pagine
Anno: 2018
Euro: /// | Ebook: 6,99

Premesse:
Volti sorridenti che non proiettano ombre, una bambina angelica con un candido vestitino che scalcia come la Carrà e porge un fiorellino (una rosa, perché lei è Rose Wilder, che finezza) preso chissà dove visto che intorno a loro c'è una brulla steppa siberiana al suo simpatico cagnolone nero. 
Forse la bimba ha trappato l'ultimo rametto verde rimasto su quegli alberi brulli e tristi sullo sfondo, dove vediamo degli animali non meglio identificati che cercano di nutrirsi da un terreno brullo e di incoraggiante colore blu-nero.
Uno scenario postapocalittico.

Il libro, pubblicato con una copertina che, mie osservazioni a parte, risulta essere molto tenerella e bucolica esattamente quanto le altre (in questo non è da incolpare la casa editrice Gallucci), si rivela essere fin dalla prima occhiata molto diverso dagli altri dal momento che risulta molto più sottile dei precedenti (100 pagine), i capitoli sono suddivisi in anni, nello stile risulta grezzo ed essenziale, quasi un abbozzo, e c'è un personaggio di nome Manly che nessuno si premura di spiegarci chi sia.
Spoiler: è il nomignolo di Almanzo.
Trattasi infatti di una fatica pubblicata postuma nel 1971 (ricordiamo che Gli anni d'oro è del 1943) dall'erede ed esecutore testamentario della famiglia Ingalls, Roger Lea MacBride (grande amico di Rose Wilder-Lane e figura di spicco del Partito Liberista americano negli anni '70, ma questo ovviamente non ci sorprende se non abbiamo letto i romanzi precedenti con le fette di prosciutto sugli occhi), e mai editata. Il risultato da parte della Ingalls è offrirci un punto di vista un po' più cinico e realistico sulla belliXXima vita del pioniere descritta negli altri 8 libri della saga (ricordiamo che per la numerazione americana questo sarebbe il nono); il che si traduce in una breve ma intensa caterva di sfighe che si abbattono sui due novelli sposini che hanno fatto cadere un po' dal pero molti di quei fan della saga che fino a questo momento si erano fatti le seghe con l'immagine del pioniere che con coraggio e ambizione nonostante gli impedimenti della legge statale, le tasse e il femminismo trionfa sulle avversità.
Io un po' ho riso.

*

DUE RIGHE DI TRAMA

Il libro comincia facendo una sorta di recupero degli ultimi capitoli de Gli Anni d'oro, con Laura e Almanzo in procinto di sposarsi anche se la scena risulta molto meno romantica e idealizzata di quanto ricordassimo: ci stupisce fin dalle prime pagine questa sorta di nuova Laura che durante l'ennesima gitarella a cavallo (non ne abbiamo mai abbastanza) si rigira tra le mani l'anello di fidanzamento che le ha regalato questo nuovo Almanzo detto Manly, e mentre il suo futuro sposo le racconta con entusiasmo dei suoi progetti per il futuro, della casetta che sta costruendo in un terreno preso in concessione per farne bosco e della fuga impossibile da quella megera femminista della sorella Eliza che vuole farli sposare in grande stile, replica:
"Ci ho pensato. Non voglio sposare un agricoltore. L'ho sempre detto. Vorrei tanto ce tu avessi un altro lavoro. Il paese cresce in fretta, ci sono tante occasioni."
Ci fu di nuovo un lungo silenzio. Poi Manly disse: "Perché non vuoi sposare un agricoltore?"
"Perché è duro per una donna vivere in campagna" rispose Laura. "Deve tenere la casa e aiutare nei campi e cucinare per i trebbiatori. E poi l'agricoltore non ha mai un soldo. Non riesce a mettere da parte niente, perché quelli che stanno in paese stabiliscono loro a quanto comprare quello che lui ha da vendere poi stabiliscono anche a quanto vendere quello che lui ha bisogno di comprare. Non è giusto."
Manly scoppiò a ridere. "Beh, come diceva quell'irlandese, Tutto va sempre in pari a questo mondo, i ricchi hanno il ghiaccio d'estate, i poveri d'inverno."
Ma Laura non era in vena di battute. "Non voglio essere sempre povera e sfiancami di lavoro mentre quelli che stanno in paese se la prendono comoda e si arricchiscono a nostre spese"
Che è un po' il succo del liberismo a cui l'autrice fatto la corte per i precedenti 8 libri della saga, solo che questa Laura, che avrebbe detto da sempre di non voler sposare un agricoltore (con la vita che ha fatto direi che è la prima scelta sensata che le si vede fare in corso di storia) si rende conto che il liberismo è più fico se non stai dalla parte di quello che lo prende in culo
Sfortunatamente questo insospettabile sfoggio di saggezza da parte della protagonista (una protagonista che per una volta è onesta con se stessa e con i lettori e ammette di non aver voglia di passare la vita a lavorare per essere perennemente povera come la merda) viene abortito sul nascere.
Manly le scatena contro un pippone, di dimensioni molto ridotte rispetto ad altri che abbiamo subito nel corso della saga a onor del vero, sul fatto che gli agricoltori siano gli unici davvero liberi e indipendenti, i commercianti dipendono dagli agricoltori che quindi hanno il coltello dalla parte del manico, il successo e la ricchezza di un agricoltore dipendono da quanto ha voglia di darsi da fare. Basta che lo sposi e gli dia 4 anni per dimostrarle che la vita del contadino non è tutta privazioni e sofferenze. Se alla fine dei 4 anni le cose non saranno migliorate, smetterà di fare il contadino e farà come vuole lei.
Fingendo di non notare che in pratica il suo futuro marito ha appena dato del coglione pigro a suo padre, Laura accetta visto che in fondo le piacciono i cavalli la selvaggia tranquillità della prateria.
La sfiga si accanirà su di loro con precisione chirurgica:

Anno 1:
 Il raccolto non è eccezionale dal momento che c'è ancora tanta terra vergine da arare e Laura cerca di vendere in città burro e uova per arrotondare un po': il burro non lo vuole nessuno, le uova vengono comprate a un prezzo ridicolo, alla faccia dei commercianti che dipendono dai contadini.
 Un vicino chiede sempre in prestito gli attrezzi e non li restituisce mai, invece Almanzo è furbo e compra tutte le strumentazioni all'avanguardia indebitandosi sempre più e ipotecando la casa.
 Mentre è sola in casa la casa di Laura viene circondata da un gruppo di indiani (stavo in pensiero senza capitolo sugli indiani), che trovando le porte di casa sbarrate decidono di andare nella stalla. Laura, temendo per la vita e l'incolumità dei cavalli, specie l'adorata Trixie, un cavallino da sella che le ha regalato Manly per il matrimonio, si incazza e prende il più grosso a ceffoni
Lei si mise a gridare e a pestare i piedi.
Era uscita di corsa, senza la cuffia
in testa e il vento le scompigliava
le lunghe trecce castane.
Gli occhi mandavano lampi, come sempre
quando si arrabbiava davvero.
Quello che sembra il capo del gruppetto di pellerossa sbandati si innamora di questo dolce fiorellino della prateria e le propone di galoppare con lui verso il tramonto per diventare la sua squaw. Lei è lusingata dall'offerta ma è costretta a rifiutare. Gli indiani la prendono bene e se ne vanno.
Io ho riso un'ora.
 Laura resta incinta.
 Il raccolto va a puttane ma si salva il fieno per le bestie.
 Il terreno seminato a bosco secca ma Manly ripianta qualche albero e dissoda tutto.
Manly non si arrende e continua a ripetere a pappagallo che il ricco ha il ghiaccio d'estate e il povero d'inverno: forse pensa che dirlo tanto volte farà dimenticare alla moglie e a chi legge che è una stronzata.

Anno 2:
In dicembre nasce Rose, che è tanto carina e tutto, però anche la pendola che le regala Manly per natale fa figura. Il medico, le medicine e l'aiuto le sono costati 100 dollari, due volte il prezzo di una trebbiatrice.
 In primavera i Wilder portano Rose dai loro vecchi amici, i Boast, che fanno tante moine alla dolce tenera cucciolotta e poi quando è ora di andar via cercano di comprare il bebè, com'era usanza in quei bei tempi più semplici e onesti.
"Ragazzi, se mi lasciate qui la bambina perché la cresca Ellie potete prendere il più bel cavallo che ho nella stalla e portarvelo via."
Esterrefatti, Manly e Laura non avevano ancora ritrovato la parola, che lui aggiunse: "Voi potete avere un altro bambino, noi no. Non possiamo avere figli."
Manly raccolse le redini e Laura mormorò: "Oh, no! No! Andiamo via!"
Io ho riso un'ora (parte 2).
 Il cane Shep preferisce morire nella tormenta che condividere la casa con Rose. Al suo posto arriva in primavera un grosso San Bernardo nero da chissà dove che invece la bimba la adora, così i Wilder risparmiano i soldi della baby sitter mentre passano le giornate a dissodare il terreno.
 Il raccolto va a puttane, a questo giro perché la stagione è stata troppo secca, e al tempo stesso il prezzo del frumento scende. Riescono a pagare qualche debito ma restano 500 dollari di ipoteca sulla casa e 800 di ipoteca sulla concessione, più tasse, materiale per la semina successiva, cibo e carbone.
 Il terreno seminato a bosco secca.
Ma il ricco ha il ghiaccio d'estate e il povero d'inverno.

Anno 3:
● A Natale Manly arriva con una stufa a carbon fossile: è costosa, e il carbon fossile costa il doppio del carbone normale, ma nel lungo periodo sai che risparmio?
A Laura viene il dubbio di aver sposato un coglione.
O, per tradurla in linguaggio adatto a una donna non femminista del tempo:
"Laura pensava che la stufa nuova per loro fosse una spesa eccessiva, ma quelle erano questioni che riguardavano Manly. Lei non doveva preoccuparsene. E che lui soffrisse il freddo era fuori di dubbio. Per quanti strati si mettesse addosso non aveva mai abbastanza caldo."
Il che mi porta a riflettere ancora una volta su una questione: se le questioni economiche non sono roba da donne perché in quella minchia di università per ciechi hanno fatto studiare a Mary matematica avanzata ed economia? Misteri della fede.
● Manly e Laura beccano la difterite.
(Fortunatamente la bambina è al sicuro a casa dei genitori di lei)
● Manly si sforza troppo prima di guarire del tutto e subisce una "lieve paralisi" che lo fa restare allettato per mesi, periodo che Laura descrive come "una battaglia durissima", con giorni migliori e giorni peggiori. Non è che la Ingalls entri nei dettagli ma mi sono immaginata così quello che deve essere passato nella testa della protagonista:
Vai Almanzo!
● Non potendo far fronte ai debiti vendono la proprietà coltivata con su l'ipoteca di 800 dollari e si trasferiscono sul lotto preso in concessione a bosco, lotto che non è ancora stato riscattato e non è che stia diventando proprio Bosco Atro, condizione necessaria affinché il governo passi legalmente la proprietà a loro allo scadere del quinto anno.
● Manly compra 200 pecore dal signor Whitehead, convinto repubblicano della zona e terrorizzato dall'avvento dei democratici in South Dakota: giacché essi avrebbe mandato in malora il paese togliendo i dazi facendo crollare in questo modo il prezzo della lana e delle pecore decide di svendere tutto e fuggire, un eroe americano desaparecido.
Come il signor Edwards.
 Inevitabile come la morte e le tasse anche quest'anno il raccolto va a puttane, a causa di un vento torrido che secca l'intero raccolto in tre giorni a un passo dalla mietitura. Resta buono come foraggio per il bestiame, che non è male considerando che hanno 200 pecore in più.
 Il terreno seminato a bosco, ancora una volta, secca.
Ma, di nuovo, il ricco ha il ghiaccio d'estate e il povero d'inverno.

Anno 4 (Anno di Grazia): 
 Laura chiede conto al marito:
"Ormai sono passati tre anni. Ti pare che sia andata bene fin qui?"
"Beh, non so." disse Manly. "Non va poi così male. E' vero, la campagna è stata un fallimento, ma adesso abbiamo quattro vacche e alcuni vitelli. E i quattro cavalli, i puledri, le macchine e le pecore... Basterebbe una buona annata e saremmo a posto."
E se andava peggio di così eravate morti, guaglio'...
 Rose rischia di esser messa sotto da un cavallo
 Un secondo figlio muore.
 Laura sbrocca e dà fuoco alla casa.
 Non hanno nemmeno più il coraggio di dirci nel dettaglio come siano andate le cose col raccolto e la concessione boschiva, ma presumo non benissimo.
 Alla fine di agosto finisce il termine della loro piccola scommessa ed è ora di tirare le somme: Almanzo, pensi di aver vinto la tua piccola scommessa col destino o avevo ragione io, siamo sempre poveri come la merda, io fatico tutto il giorno come una bestia da soma e forse l'idea di andare a lavorare in città non fa poi così schifo?
"Dipende da come la guardi."
Sì, avevano avuto molta sfortuna, ma la sfortuna potevano averla tutti, non solo gli agricoltori (ma diciamo che se grandina o ci sono tre giorni di caldo torrido al commerciante frega un po' una sega, al contadino rode parecchio). C'erano stati tanti anni di seguito di siccità che non poteva continuare così. La prossima sarebbe stata senz'altro una buona annata.
Laura tira un attizzatoio in fronte al marito, lo ammazza, resta vedova, torna dai genitori a fare da cane guida alla sorella cieca e a fare l'insegnante, che non era una vita così schifosa ora che ci pensa.
Fine.
No, non è vero.
Nonostante abbia, ormai è ovvio, sposato un deficiente che fin dall'inizio non è mai stato intenzionato a tener fede alla parola data, quando lei era stata molto chiara fin dal fidanzamento sul fatto che non volesse essere la moglie di un contadino (in barba a quanto sentenziato nel libro precedente, che le donne costrette ad obbedire ai mariti non esistevano), invece di ammazzarlo così de botto senza senso si sente animata dallo spirito combattivo nato da una fusione tra l'incrollabile ottimismo del contadino unito alla fede nel futuro del pioniere.
Perché dopotutto, domani è un altro giorno.

IMPRESSIONI SPARSE

I primi quattro anni è un libro breve e conciso ma che riesce a mettere molta carne al fuoco: quattro anni densi di sfighe, lutti, amici che vogliono comprare tuo figlio, raccolti perduti.
Brutale nella descrizione delle sfide che deve affrontare questa giovane donna della frontiera, parco nei trionfi (in quattro anni l'unica cosa positiva è riuscire a mantenersi in piedi nonostante i debiti e essere ancora vivi) e amaro nelle conclusioni nonostante sul finale si voglia offrire la solita nota di speranza.
Rispetto ai precedenti capitoli della saga lo stacco non solo registico ma anche dal punto di vista della caratterizzazione dei personaggi è netto e non stupisce che molti amanti di questi libri tendano a non considerarlo neanche parte della storia della famiglia Ingalls.

► Almanzo, che qui cambia addirittura nome e diventa Manly (un nomignolo usato davvero dalla moglie, che stranamente non usava volentieri il nome Almanzo), è molto diverso da quanto visto finora.
Dramatization:
il tenero corteggiamento
tra Laura e Almanzo.
Vogliamo ricordarli così.
Lo ricordiamo dai precedenti romanzi come talmente maturo da truffare lo stato e fingere di avere 21 anni per avere una concessione agricola tutta sua; l'avveduto abitante di De Smet che durante il lungo inverno si è potuto sfondare di frittelle ai ciccioli e melassa insieme al fratello; il coraggioso ragazzo che insieme a Cap Garland ha sfidato la tormenta per cercare il colono della leggenda, quello che viveva da solo ma che aveva messo da parte decine di barili di frumento come un fottuto scoiattolo; il corteggiatore galante in cassetta del calesse trainato dai cavalli più belli e selvaggi dello stato. 
Cavalli con cui la protagonista ci ha rotto i coglioni per libri interi.
Lo ritroviamo qui altrettanto ostinato ma decisamente meno avveduto di prima, che continua a vedere la vita del contadino come la più libera e remunerativa che esista (minchia, figurarsi le altre); che continua a riempirsi di debiti non solo per cose necessarie come le sementi o gli attrezzi per coltivare ma anche per lussi non necessari, come una pendola (che è bella ma non è che servisse a molto visto quello che dovevano farci, puntualizzerà Laura) o una stufa in ghisa che va a carbon fossile, più costoso del carbone normale, nella vana speranza che la fortuna inizi a girare. 
Un cretino che fa vivere alla moglie una vita che odia, arrivando a negare l'evidenza di quanto vadano male le cose e parandosi dietro cazzate ripetute allo sfinimento come "i ricchi hanno il ghiaccio d'estate e i poveri d'inverno" pur di non ammettere che Laura ha sempre avuto ragione fin dall'inizio, sul mestiere del contadino.

 Laura dal canto suo smette di essere quel palo nel culo esplosione di generosità, curiosità, ottimismo e gioia di vivere per farsi donna, moglie e madre stanca, insofferente e amareggiata: un po' perché ormai non è più una bambina, un po' perché, lo ricordiamo ancora, qui non c'è lo zampino della figlia a indorarci la pillola e a nascondere la polvere sotto al tappeto.
Fin dalle prime pagine del libro Laura ci sorprende con un'affermazione che non abbiamo mai visto uscire dalla sua bocca in 8 libri (neppure in Gli anni d'oro, che di fatto affrontava il periodo del corteggiamento), ovvero che lei non ha mai voluto essere la moglie di un contadino.
Per la prima volta in questa saga di merda ho avuto l'idea di avere di fronte una donna onesta che dice al lettore le cose come stanno: fare la moglie di un contadino nella frontiera americana dell'Ottocento fa schifo perché si lavora tanto e si guadagna poco.
E' chiarissima fin da subito con Almanzo.
Fanculo te, le tue vacche, le tue
pecore di merda, e non ti dico
dove puoi ficcarti il frumento
perché sono una signora.
Lui dal canto suo è talmente coglione, vigliacco e passivo aggressivo che le chiede di 
pazientare solo 4 anni per dimostrarle che sbaglia sulla vita che l'aspetta, e quando dopo quattro anni di sfighe, dopo aver affrontato persino la moglie di un figlio e la depressione che ne consegue da sola, sdraiata a letto senza la forza di fare nulla, nonché la perdita della loro casa dei sogni di Barbie regina della prateria in un incendio causato da una disattenzione, lei avrà ragionissima su tutto lui farà finta che le cose non vanno poi così male viste in prospettiva pur di continuare a insistere su quella strada gremita di merda di pecora.
Ma vaffanculo
Non stupisce che verso la fine del libro Laura sbrocchi:
"Come poteva fare tutto e badare a tutto? C'erano sempre mille cose a cui tener dietro e lei era sola. Oh, come detestava la fattoria, le bestie, gli agnelli puzzolenti! Come detestava cucinare e lavare i piatti! Si, detestava tutto di quella vita, e in particolare i debiti, che andavano pagati, che lei riuscisse a lavorare o no.
[...]
Come diceva uno dei personaggi della storia che stava leggendo qualche giorno prima? "La ruota gira, gira, e la mosca che si trova in alto dopo un po' si troverà in basso". A lei, a dire il vero, di quella mosca non importava un bel nulla. Avrebbe solo voluto che la mosca che stava in basso riuscisse a salire un pochino più su. Era stanca di aspettare che la ruota girasse. Quelli che stavano in basso erano agricoltori, checché ne dicesse Manly."
Alla fine l'unica cosa che sembra dare gioia a questa Laura è andare a cavallo (da sola o col marito), che poi è l'unico motivo per cui Almanzo ci è parso appetibile persino nella serie regular. Non la figlia, che diventa l'ennesima incombenza di cui occuparsi da sola, di certo non i lavori di casa o i teneri agnellini né lo sfibrante e inutile lavoro nei campi e nemmeno le canzoni folk con cui ci hanno sfrangiato lo scroto per interi volumi.
Non ritroviamo nemmeno più l'affetto della famiglia o degli amici ma solo pagine e pagine di contabilità in cui Laura si angoscia per i debiti e i conti di casa.
Questa Laura è completamente sola e i familiari (nello specifico i genitori, perché le sorelle, compresa Santa Mary per i cui studi hanno tanto faticato, non sono pervenute) sono solo presenze vaghe sullo sfondo, nominate di striscio, un porto sicuro in cui veleggiare per qualche giorno o da cui portare la bambina se Laura e Almanzo si ammalano di difterite.  

Persino la prateria non è più un'amica e una compagna di giochi.
Non ci sono più fiorellini e animaletti che ti evitano brutte cadute nei ruscelli dove la corrente è troppo forte ma solo trombe d'aria, grandinate, ghiaccio e neve che può far morire di freddo la tua bambina, incendi spontanei delle sterpaglie e caldo torrido che distrugge il raccolto. 
Quella Laura che aveva tanta paura di andare in città per l'inverno ora è quella che suggerisce al marito di trovare lavoro in paese invece di incaponirsi a fare il contadino, perché è nelle città che c'è futuro.
Con buona pace della moraletta bucolica dei libri precedenti.

*

IN CONCLUSIONE. . .

I primi quattro anni è un volumetto breve e scarno, praticamente una bozza (anzi, decisamente una bozza visto che manca proprio l'editing), ma meno irritante dei precedenti libri della Ingalls e pregno di contenuti che svelano un po' di dietro le quinte di questa saga, senza nascondere le parti più brutte e dolorose della dura vita di frontiera dietro la scusa dei libri per bambini, che sono piccoli ma non vanno trattati da deficienti.

Questa Laura parla con insolito brutale candore dei debiti contratti dal marito (il quale aspetterà sette anni prima di decidere di dichiarare fallimento e tentare la sorte in Missouri), dell'incertezza per il futuro, di gravidanze faticose e della morte di un figlio (una bella differenza da Il lungo inverno, dove la Ingalls glisserà sulla morte di suo fratello minore nel corso di quella tremenda gelata, non inserendolo nemmeno come personaggio), senza indorare la pillola e con un certo senso di orgoglio personale.
La Ingalls in questo libricino sembra dire a più riprese: odio la vita del contadino ma sono disposta a passarci sopra per il bene del mio compagno (che dal canto suo è istintivo, impetuoso e poco attento alle finanze ma la ama e cerca di incoraggiarla e viziarla come poteva, si veda il regalarle un cavallo da sella solo per lei e permetterle di cavalcare anche se la madre non aveva mai voluto che imparasse visto che non era attività da donne), mi sono rimboccata le maniche al suo fianco anche se mia madre disdegnava le donne che fanno lavori da uomo, sono stata triste e depressa, mi sono arresa e risollevata, ho sbagliato e ho fallito. 
Giudicami pure, vedi che mi frega.
Francamente la preferisco a quella che devolve tutto il suo salario all'università della sorella in odore di canonizzazione per farle intrecciare perline e scrivere lettere in braille, che si eccita per i cavalli selvaggi di Almanzo e supera al primo colpo gli esami super duper difficili vista finora, anche se nulla batte quella del telefilm che durante uno dei primi giorni di scuola tira un pugno nel muso a Nellie Oleson. Che non mi ricordo cos'avesse fatto ma di sicuro se l'è cercata.
Recensione del romanzo I primi quattro anni di Laura Elizabeth Ingalls Wilder (La casa nella prateria 7)
🎵 Come with me for fun in my buggy
Come along let's go for the hell of it
See the faces round they're all looking
Wonder if they'd like to come for a ride. 🎵
Questo libro risulta pieno di un livore umanissimo (e scene talmente tragiche che fanno il giro e diventano comiche) contro una vita di merda che personalmente mi ha affascinata. 
Forse la Ingalls ha abbandonato questi tre quadernini dalla copertina arancione in un cassetto perché dopo la morte di Almanzo nel 1949 (alla veneranda età di 92 anni) ha perso interesse per il suo progetto autobiografico; forse ha ritenuto che che le sue avventure da adulta fossero troppo amare e poco commerciali; o forse è la figlia ad aver pensato che dopo la fine della guerra non ci fosse più bisogno di cagare in testa a Roosevelt e alle politiche del New Deal. Onestamente, non mi frega. Mi sta bene trovare in questo libro poco più di un abbozzo grezzo, meno costruito dei precedenti ma più adulto, un poco più onesto ma soprattutto senza orribili canzoncine o moralette spicciole del cazzo

Qui per la fede religiosa (nel bene e nel male), la chiesa o il catechismo quasi non c'è spazio (il che mi fa pensare che Laura non fosse poi questa devota credente per cui è voluta passare nei romanzi precedenti, anche perché in linea generale quando stai a farti un mazzo così tutto il giorno di tempo per pensare alla spiritualità ne hai pochino), e persino il finale finto-ottimista in cui Laura si rialza, pronta ad affrontare l'ennesima batosta che le riserverà la vita in attesa dell'annata buona non inganna nessuno: il vecchio adagio tanto caro ai liberisti per cui è il duro lavoro e l'ambizione a fare da base a un sicuro successo ci si è sgretolato tra le dita in un centinaio di pagine davanti alla caterva di sfighe subita da Almanzo e da sua moglie, che di certo in quanto a fatica e ambizione non si sono mai risparmiati.
Insomma, alla fine dei giochi un finale che ho addirittura gradito.

*
Concludo ringraziando di cuore chi è riuscito ad arrivare fin qui, alla fine di questo lungo e logorroico viaggio in quel della saga di Laura Elizabeth Ingalls Wilder, insieme a me.
Se volete lasciare un commento, non mordo.
Ma di una che si fa chiamare come la cattiva di Candy Candy c'è poco da fidarsi.
Giudizio finale:

Project: La saga nella Prateria

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